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Autore: fuoritema    10/01/2015    2 recensioni
È sera, nel distretto 12, e due ragazzini si ritrovano a parlare mentre la messinscena degli Sfortunati Innamorati ha inizio.
***
«Tutti hanno paura» rispose Rory con una serietà che gli era stata estranea fino a quel momento. Ricordava quella nella voce di Gale quando aveva detto che sarebbe stato lui l’uomo di casa, anche se aveva solo tredici anni. «Anche il colosso del due ne ha un po’, seppellita tra i suoi muscoli. E la piccoletta del suo stesso distretto. Sarebbero pazzi, se non ne avessero» concluse. Ne era sicuro, anche se in quelle macchine da guerra i sentimenti erano quasi assenti. «Tutto sta nel soffocarla, perché c’è la speranza e…»
«Ed è più forte della paura» concluse Prim per lui, prima che si fermasse sull’ultima parola che gli mancava.
«Giusto.» Rory si grattò la guancia, imbarazzato. Non era la prima volta che la ragazzina lo aiutava a finire una frase, perché ormai aveva compreso quella sua difficoltà e cercava di aiutarlo come poteva. Era come se le parole gli scappassero davanti, senza che riuscisse a recuperarne se non stralci.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Primrose Everdeen, Ranuncolo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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You’re my Doc(tor)
 


Rory/Prim
“Ce la farà, Katniss. Ne tornerà viva..”
“… Non so se ce la farà, ma so che ci proverà. Me l’ha promesso”
|Avvertimenti: ambientato durante i 74 Hunger Games|
 
 
 
 
 
Rory era già stufo dei Giochi il terzo giorno, mentre guardava il posto vuoto di suo fratello, quello più lontano dall’ammasso di legna bagnata che chiamavano camino. Lo osservava con rabbia, senza che i suoi occhi accennassero a passare su qualche altro oggetto, perché sapeva che lui non sarebbe tornato – non quella sera. Come lui si ostinava ad aspettarlo, Gale si ostinava a rimanere fuori sotto la bufera con le trappole come unica compagnia.  Avrebbe dormito di nuovo con le foglie come cuscino e la pioggia che gli scorreva addosso invece delle lacrime – quelle che non aveva versato né alla morte di suo padre, né all’estrazione di Katniss né al bacio che le aveva rubato il panettiere.
«Esco» sussurrò al muro, e non seppe neppure se le sue labbra si fossero mosse per pronunciare quella parola o l’avesse solo pensata. Tanto era solo, lì. Decise che lo aveva detto, scacciando il senso di colpa di star lasciando sua madre e Vick e Posy da soli. Poi prese il giaccone, lo infilò con dei genti veloci e precisi, e si fermò sull’uscio. Scuotendolo con le sue lunghe folate, il vento lo invitava a rientrare e concedere a suo fratello qualche altro secondo, perché se Gale fosse tornato non avrebbe trovato nessuno ad aspettarlo – solo una donna addormentata con i ferri in mano e il fantasma di un padre morto troppo presto.
Rory si divincolò da quel pensiero che cercava di stringerlo tra le sue braccia, come avevano fatto già in troppi dopo l’esplosione della miniera. Ormai Gale non aveva più bisogno di qualcuno che gli corresse incontro quando tornava con il sacco di iuta sulle spalle, che gli battesse i pugni sul petto perché aveva fatto tardi o lo guardasse con astio per poi dimenticarsi di tutto e salutarlo con un debole cenno del capo. Chiedeva solo che Katniss non lo dimenticasse, e in questo Rory non c’entrava più nulla. I tempi in cui poteva assillarlo con domande su come tirarsi da parte le ragazzine e baciarle su un cumulo di scorie della miniera erano finiti, che lo volesse o no, e avrebbe dovuto imparare a cavarsela da solo.
«Torno tra un paio d’ore» aggiunse, fissando la sommità delle scale. Sbuffò e la porta sbatté, quando si decise a risalire fino alla sedia dove Hazelle si era appisolata, i capelli scuri – da Giacimento – che le ricadevano scomposti sugli occhi. Era bella, sua madre: anche se le preoccupazioni le avevano cerchiato gli occhi e continuavano a gravarle sulle spalle, riusciva ad addormentarsi con un sorriso. Vick diceva che era perché le persone buone non possono fare cattivi sogni, ma Rory sapeva che non era così. Lui stesso rivedeva la miniera che crollava tutte le notti, sentiva l’urlo riecheggiare sulle sue pareti e gli mancava l’aria come se stesse soffocando lui stesso. Eppure sorrideva accomodante al suo fratellino. “Sì, è così” gli dava ragione, e stava imparando a mentire sempre più bene per proteggere lui e Posy dalla realtà. Loro non si meritavano di vivere a Panem, non ancora.
E lui? Il ragazzo scosse la testa: c’era stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui era come loro, poi suo padre era morto e aveva iniziato a riversare il suo odio sulla Capitale. Come una colata di lava, quel sentimento aveva distrutto l’innocenza che gli era rimasta. Sperava solo che questo significasse diventare grandi – anche se faceva schifo.
«Magari Gale sarà già qui» continuò la sua silenziosa discussione con Hazelle, posandole una coperta presa dalla sua camera sulle spalle. “E potremo essere una vera famiglia.”
Poi uscì.
 
 
***
 


La mano di Prim diventava ogni giorno più fredda, sebbene ormai Rory tentasse di riscaldargliela con le sue, come avrebbe fatto un principe con una principessa (oh che gelida manina, me la lasci riscaldare?). Non ricordava né dove avesse sentito quella frase né quando, ma in quel momento ci stava dannatamente bene e la ripeté alla ragazzina, osservando con orgoglio le sue guance tingersi di una sfumatura di rosso più accesa. Sapeva che quelle attenzioni – da innamorati – la rendevano felice, e stava diventando sempre più difficile ottenere un suo sorriso, come se le sue labbra fossero tirate all’ingiù da dei fili invisibili. Avrebbe tanto voluto tagliarli, rifletté Rory mentre lo schermo cambiava inquadratura, fermandosi per l’ennesima volta sugli Sventurati Innamorati del dodici. Strinse le labbra. Intuendo che quella situazione stesse sfiancando suo fratello, non gliene aveva mai fatto parola – sarebbe stato come pugnalarlo alle spalle – eppure si capiva da ogni singolo movimento del panettiere che lui avrebbe potuto proteggerla dall’odio più di quanto avesse fatto Gale in  cinque anni.
Un rumore proveniente dal televisore e Prim si rannicchiò ancora più vicino a lui, poggiando la testa sulla sua spalla. Quell’inaspettato movimento lo fece girare non per il gesto in sé, sebbene fosse strano che lei gli dimostrasse la sua amicizia in modo così poco fraterno, ma per la semplicità con cui era stato compiuto. La guardò per qualche secondo: la dodicenne aveva le unghie mangiucchiate, le trecce sfatte e lo sguardo stravolto, ma era (bellissima lo stesso) lo stesso dottore che conosceva da anni. Quasi arrossì, a quel pensiero.
«Ho paura» sussurrò infine Prim, dopo aver taciuto per momenti interminabili. «Kantiss non ne ha; invece io…» Non finì neppure la frase, lasciandosi ricadere con pesantezza sullo schienale del divano che avevano portato lì poco dopo l’inizio dei giochi – con tutti gli oggetti della Capitale. Rory non sapeva neppure perché si fossero seduti lì e non da qualche altra parte, considerando che solo la sedia a dondolo era occupata dal gattaccio. Sapeva così poco di Giacimento, il divano, senza la patina di carbone che si depositava dappertutto nel dodici.
«Tutti hanno paura» rispose con una serietà che gli era stata estranea fino a quel momento. Ricordava quella nella voce di Gale quando aveva detto che sarebbe stato lui l’uomo di casa, anche se aveva solo tredici anni. «Anche il colosso del due ne ha un po’, seppellita tra i suoi muscoli. E la piccoletta del suo stesso distretto. Sarebbero pazzi, se non ne avessero» concluse. Ne era sicuro, anche se in quelle macchine da guerra i sentimenti erano quasi assenti. «Tutto sta nel soffocarla, perché c’è la speranza e…»
«Ed è più forte della paura» concluse Prim per lui, prima che si fermasse sull’ultima parola che gli mancava.
«Giusto.» Rory si grattò la guancia, imbarazzato. Non era la prima volta che la ragazzina lo aiutava a finire una frase, perché ormai aveva compreso quella sua difficoltà e cercava di aiutarlo come poteva. Era come se le parole gli scappassero davanti, senza che riuscisse a recuperarne se non stralci. Correvano più veloci di lui, sebbene fosse più rapido di Gale e Katniss e tutti i ragazzini della scuola. In quello, non lo batteva nessuno; nel parlare tutti. Era come se gli mancassero le basi per intavolare un vero discorso da adulto. Avrebbe voluto riuscirci senza aiuti – pensò con i pugni stretti – ma evidentemente non era possibile: chi glielo avrebbe potuto insegnare era morto da troppo tempo, ormai.
«Sei un vero filosofo, sai?» lo prese in giro Prim, con la sua inconfondibile gentilezza.
«No, io… io utilizzo solo frasi già fatte.» Nascose l’imbarazzo abbassandosi a rifarsi i lacci delle scarpe. Se c’era qualcuno capace di filosofeggiare meglio di lui, era suo fratello maggiore, almeno per quanto riguardava gli argomenti proibiti. Anche se nessuno lo aveva mai sentito – altrimenti i Pacificatori gli avrebbero fatto passare per sempre la voglia di ribellarsi – Rory era convinto che fosse un gran parlatore e avrebbe potuto infiammare gli animi dei minatori, se solo glielo avessero permesso.
«E di chi sarebbero, queste frasi?» gli domandò l’amica con un pizzico di curiosità. Le sue dita corsero a rimettere a posto delle ciocche sfuggite alla salda stretta delle trecce, sebbene non stesse male, così. Però lei non lo sapeva. Il ragazzino avrebbe voluto dirglielo, per farla arrossire (era proprio bella quando le sue guance sorridevano per lei), ma il televisore parlò prima.
«Peeta Mellark ha gradito molto il regalo che gli ha fatto l’alleata, Katniss Everdeen. Guardate!»
L’inquadratura cambiò in quel preciso istante, mostrando il bacio tra i due. Ci fu un attimo interminabile in cui le loro labbra si incontrarono, poi Rory distolse lo sguardo. Era per quello che suo fratello non si faceva più vedere, a casa: temeva che la delusione fosse troppo visibile nei suoi occhi per nasconderla, che essa s’insinuasse anche nei suoi familiari, facendoli star male per lui. Gale li proteggeva sempre, ma non sempre nel modo giusto. Si costrinse a ingoiare le cattive parole verso Peeta.
«Da mio fratello – le confidò in un orecchio – Lui dice anche che Katniss ce la farà. Lei… tornerà. Viva.» Senza l’incertezza, la sua frase sarebbe persino sembrata quella di Gale quando avevano parlato per l’ultima volta. Prima che i fidanzatini rovinassero tutto. Eppure Prim gli sorrise comunque, poggiando la testa stanca sulla sua spalla. Capelli biondi stuzzicarono il naso di Rory, farfalle la pancia.
«Non so se ce la farà, ma so che ci proverà. Me l’ha promesso.»
«E le promesse si mantengono» sussurrò, «sono sicuro che tua sorella è persino più forte di Cato. Lei è del Giacimento.» Mise del sentimento, nell’ultima frase, quasi del patriottismo. «Quelli del Giacimento combattono per vivere meglio degli altri.» Ed era vero perché le miniere si mangiavano i minatori come gli ibridi e i Pacificatori, sebbene fossero meno accaniti che quando le loro madri erano giovani, comunque non lasciavano possibilità di ribellarsi. Per questo Gale doveva tapparsi la bocca, quando la sua rabbia verso la Capitale scoppiava in delle discussioni senza fine con Hazelle.
«Noi siamo forti, Doc
«Perché Doc?» nel chiederlo, la dodicenne parve sorpresa. Si fece più a sinistra, accogliendo Ranuncolo con qualche carezza sulla testa, poi dovette scostarsi perché l’odio che i due maschi provavano reciprocamente non le permetteva di tenerli entrambi vicini.
«Perché… perché i dottori guariscono la gente, e tu lo stai facendo un po’ con me» spiegò Rory, di nuovo imbarazzato. «Sai, l’odio consuma da dentro e bisogna trovare qualcuno che lo renda meno forte. Tu sei la mia medicina.»
«Se non altro, nessuno mi aveva fatto un complimento del genere.» Vedendolo abbassare lo sguardo, Prim gli diede una spintarella con il pugno. Rise, appena lo sguardo offeso del ragazzino incontrò il suo, e continuò a farlo finché un cuscino non la centrò in pieno.
«Bell’amica che sei.»
«Tu dici che sono solo un dottore!» Staccò una piuma dalla suo naso, continuando a sorridere. Le apparvero sulle guance due rughette, piccole, che le incorniciarono le labbra screpolate. Ora la televisione trasmetteva immagini dei Giochi dell’anno prima a vuoto: era un sottofondo per scherzi di bambini che bambini ormai non lo erano più.
Perché se quelli del Giacimento sono più resistenti degli altri, è solo per l’infanzia che gli viene strappata via.
 


Angolino dell’Autrice:
 
 
 Premetto che, nonostante Rory sia un personaggio della Collins, si è visto talmente poco nei libri (nei film neppure di striscio) che lo considero un mezzo OC. Non avevo mai scritto su di lui, né sulla paperella, ma questo prompt mi ha ispirata fin da subito. Nel mio headcanon è un ragazzino molto semplice, che cerca di fare riflessioni più grandi di lui e si trova spesso senza parole per esprimerle. Stima Gale soprattutto per questo: perché è capace di spiegare con chiarezza ciò che pensa mentre lui non ci riesce, o almeno non subito. Ho immaginato anche che nella famiglia Hawthorne si fosse notata la rabbia del maggiore verso Peeta e che lui, per non far vedere questo sentimento, sia stato quasi tutto il giorno a cacciare o a lavoro. Come si vede nel film durante il conto alla rovescia, Gale è nel bosco, quindi ho pensato che vi fosse rimasto spesso, durante il periodo dei 74esimi Hunger Games. E niente, non bistrattatemelo perché mordo(?)
Come avrete notato, il soprannome di Prim è l’abbreviazione di Doctor, al posto di paperella. Mi è venuta quest’idea quasi da subito e mi sembra azzeccata per lei, quindi bau. Se mai scriverò qualcos’altro su loro due – e mi piacerebbe tanto – la riutilizzerò :3
Ora, vorrei chiarire la questione delle parentesi nella storia: dovrebbero rappresentare dei pensieri di Rory che sono stati sostituiti da altri con grande velocità. L’alternativa sarebbe stata metterli cancellati, ma così erano più difficili da leggere. Poi non so, secondo voi in che modo è meglio?
Ringrazio chi ha letto *cuora*
 

Talking Cricket
PS: L’ispirazione per scrivere di questa coppia e indagare un po’ nella mente dei personaggi malcagati me l’ha data Kary91, grazie a tutte le storie che gli dedica ^^
  
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