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Autore: crownforaking    11/01/2015    2 recensioni
[Raccolta di AU; FrUk o Fem!Fr/Uk + eventualmente altra gente].
7) Archaeologist & Ancient Deity: in cui Arthur è un archeologo alla scoperta di un tempio misterioso.
Ad un primo sguardo il tempio appare perfettamente conservato: dall’altare in marmo bianco agli oggetti ornamentali d’oro, tempestati di pietre preziose. Dagli incredibili motivi geometrici nel marmo del pavimento ai fini dettagli delle sculture. Ed è proprio ad una di queste statue che Arthur si avvicina, come prima cosa, attratto da qualcosa di inesplicabile.
I lineamenti della donna scolpita nella pietra sono i più belli che Arthur abbia mai visto. La morbida curva delle labbra, il sorriso allo stesso tempo regale ed enigmatico; e più di ogni altra cosa, Arthur è sicuro che lo sguardo della donna sembri seguire ogni suo movimento.
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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1) Per chi non conoscesse il mito di Ade e Persefone: "Persefone, figlia di Demetra e Zeus, venne rapita da Ade, dio dell'oltretomba, che la portò negli Inferi per sposarla ancora fanciulla. Una volta negli inferi le venne offerta della frutta, ed ella mangiò senza appetito solo sei semi di melograno. Persefone ignorava però che chi mangia i frutti degli inferi è costretto a rimanervi per l'eternità. La madre Demetra, dea della fertilità e dell'agricoltura, che prima di questo episodio procurava agli uomini interi anni di bel tempo e di raccolti, reagì disperata al rapimento, impedendo la crescita delle messi e scatenando un inverno duro che sembrava non avere mai fine. Con l'intervento di Zeus si giunse ad un accordo, per cui, visto che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell'oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno. Così Persefone avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra."
2) Nella fic la madre è diventata il padre perché sticazzi, ho deciso così XD
3) Correte tutti quanti a vedere la meraviglia di fanart che ha disegnato wickedalbion per questa fic!


Luglio.
Francis danza al ritmo di una musica che Arthur non può sentire — una musica composta dal cinguettio degli uccelli sugli alberi e il fruscio del vento tra l’erba e le foglie degli alberi —, ridendo e sfiorando leggero il terreno; ad ogni singolo passo di danza la terra si riempie di germogli e di fiori dai colori delicati, ad ogni singola risata il mondo si ricopre di fiori dai colori sgargianti e Arthur non riesce a distogliere lo sguardo da quello spettacolo di vita dal quale lui è completamente escluso.
Un pensiero fugace e pericoloso lo sfiora quando un raggio di sole bacia i capelli color dell’oro del giovane e illumina tutta la radura intorno a loro: se ci fosse qualcuno come lui forse il suo regno sarebbe meno oscuro e meno opprimente.

Agosto.
Il giovane si è seduto sulle gambe di Arthur come se avesse già capito che d’ora in poi quello sarà il suo posto: il dio degli Inferi lo guarda con un misto di paura e compiacimento che chiunque farebbe fatica a coniugare. Francis non è certo di capire e nel dubbio si limita a rimanere in silenzio e a lasciare che Arthur lo sfiori un po’ ovunque: le mani del dio sono fredde e mandano brividi lungo tutto il corpo ma il giovane lascia che continuino a toccarlo e accarezzarlo, insinuandosi sotto la stoffa del chitone e giungendo in punti che nessuno ha mai osato sfiorare prima.
Francis lo lascia fare, spinto dalla curiosità, e non distoglie lo sguardo da lui nemmeno per un singolo istante; Arthur sente il proprio fiato spezzarsi sotto lo sguardo del giovane e tutto quello che può fare è spostare una mano fino al suo collo, stringendolo quel tanto che basta a fargli capire senza fargli del male.
Il giovane si lascia sfuggire un sospiro tremolante dalle labbra dischiuse, sospiro che diventa un gemito quando le dita del dio si insinuano nella sua bocca: la lingua del giovane accarezza con dovizia le dita gelide di Arthur, che si costringe ad aspettare e a non prenderlo in quell’esatto istante.
Gli occhi di Francis non lo lasciano ancora, lo seguono anche quando tra le mani del dio compare un melograno aperto, lo inseguono quando Arthur sfila le dita dalla sua bocca e raccoglie pochi chicchi del frutto, avvicinandoli alle sue labbra.
Francis lo guarda e nei suoi occhi lampeggia un dubbio fugace, portato via soltanto un secondo più tardi dalle dita della mano libera di Arthur che si spostano tra le sue gambe e premono tra le sue natiche; dischiude le labbra per gemere e obbedire allo stesso tempo, la sua bocca si sporca del rosso dei semi ed è in quel preciso momento che Francis capisce che il suo destino ormai è stato scritto.

Marzo.
Francis siede sulle sue gambe con la consueta grazia, senza parlare e senza muoversi, lo sguardo fisso davanti a sé su qualcosa che sembra interessarlo particolarmente; Arthur sfiora le cosce dell’altro con la punta delle dita, accarezzando la pelle morbida e godendo del calore che essa trasmette alla sua mano.
Mancano pochi giorni allo scadere dei sei mesi che il giovane è costretto a passare nell’Ade insieme a lui e l’assenza del sole e della luce hanno reso la sua pelle molto più pallida, molto più simile a quella di Arthur; nonostante questo l’incarnato di Francis conserva ancora una scintilla di luce, un guizzo di quella che Arthur non esita a chiamare vita — quella che manca a lui, quella che manca a tutto il suo Regno.
«Sei felice?» chiede dopo qualche istante ancora, sforzandosi di spingere fuori quelle parole dalla gola e dalle labbra, sforzandosi di non pensare a quanto ovvia sia la risposta a quella domanda.
Francis sembra riscuotersi dal torpore nel quale era caduto e prima di rispondere — prima di mormorare quel «di cosa?» — ha cura di sistemarsi meglio sul grembo di Arthur, poggiando i piedi nudi contro il legno scuro del trono sul quale sono seduti.
«Tra pochi giorni potrai tornare da tuo padre» bisbiglia Arthur in qualche modo, il respiro spezzato dal movimento che Francis ha appena compiuto per stringersi a lui. C’è qualcosa in quel ragazzo — nel suo modo di muoversi, nel suo modo di parlare, nella sua grazia e nella sua pacatezza — che riesce giorno dopo giorno a trascinarlo in un abisso di follia. Arthur ne è perfettamente consapevole, quella è follia: follia dal primo momento in cui ha posato gli occhi su Francis, follia dal momento in cui ha deciso che lo voleva per sé, follia da quando l’ha portato con sé nell’Ade. Follia cresciuta di giorno in giorno, di minuto in minuto, per colpa di quelle labbra dischiuse, di quelle mani tiepide e morbide, di quel corpo perfetto che si stringe a lui come se da questo dipendesse la sua salvezza.
Una parte di lui vorrebbe urlargli che si sbaglia, che Arthur è tutto tranne che salvezza, che avrebbe dovuto scappare quando ancora ne aveva l’occasione; tutto il resto di lui, però, si piega sotto il peso dei sospiri di Francis ora che la sua mano ha finalmente osato superare la stoffa leggera del chitone, ora che la mano di Arthur indugia molto più del necessario sulla pelle morbida delle sue natiche.
«Sono felice» sospira il giovane contro le labbra di Arthur, spostando il peso sulle ginocchia e sollevando il bacino quel tanto che basta perché il dio possa accarezzarlo con entrambe le mani, quel tanto che basta perché Arthur possa avere completo accesso al suo corpo.
Ma averlo lì tra le proprie braccia e averlo a propria disposizione non basta ad Arthur per dimenticare le parole appena udite, per fingere che non siano mai state pronunciate. È così ovvio, è così normale che Francis non voglia altro che allontanarsi da lui: sono passati sei mesi ed è come se fossero passati pochi giorni, per lui nulla è cambiato, per lui quella è ancora una prigionia.
«Sono felice» ripete Francis, interrompendo il flusso dei pensieri di Arthur con quelle parole e con un bacio tiepido e lieve posato da qualche parte sul collo del dio; «ma sentirò la tua mancanza».
Lo stupore si fa strada negli occhi di Arthur e Francis non può fare a meno di lasciarsi sfuggire quella risata lievissima, soffocata contro le labbra del dio degli Inferi. La mente di Arthur lavora freneticamente per trovare una spiegazione a quella folle risposta, per trovare un motivo per giustificare il senso di quelle parole: perché sperare che Francis voglia rimanere con lui? Perché sperare che qualcosa sia davvero cambiato per poi scoprire — è certo che succederà! — che non è così, che non ha fatto altro che ingannarsi?
Arthur non vuole credere a quelle parole: per questo zittisce Francis con un bacio affamato, stringendo le natiche del giovane fino a lasciare segni che non scompariranno facilmente e prendendolo con fretta e necessità sul trono degli Inferi.
Pochi giorni dopo Francis torna a godere della luce del sole, della natura che rifiorisce ad ogni suo passo sulla terra e dell’abbraccio sollevato del padre. Pochi giorni dopo Arthur lo lascia andare e si prepara a trascorrere sei mesi nella più completa solitudine.

Settembre.
Arthur aspetta da ore ormai, in silenzio, nascosto dietro a quell’albero esattamente come la prima volta in cui ha posato lo sguardo su di lui; Francis si lascia stringere tra le braccia del padre e Arthur non fa fatica a rendersi conto di quanto il giovane sia triste di dover abbandonare non solo la propria famiglia ma l’intero mondo per tornare sotto terra. Abbandonare la luce del sole per il buio e l’ombra, abbandonare i fiori e l’erba per le rocce e la terra brulla, abbandonare i suoni della natura per il silenzio irreale che regna nel suo mondo. Abbandonare il padre, gli amici, tutta l’umanità per il dio dei morti e le anime dei dannati.
«Francis» nonostante questo Arthur si decide finalmente a richiamare il giovane, che si scosta titubante dal padre e china il capo, compiendo qualche passo in direzione del dio.
«L’estate non è ancora finita, dovresti lasciarci almeno qualche ora in più» protesta animatamente il padre di Francis, ma Arthur lo zittisce con un sommesso «ti sembra che la cosa mi interessi?»
Il giovane lo richiama piano, a bassa voce, e Arthur si rende conto che per quanto poco possa interessargli dei desideri dell’altro uomo, quelli di Francis meritano almeno di essere ascoltati: «desideri rimanere ancora qualche ora?» chiede con la morte nel cuore — destino quantomeno ironico per il dio dell’Ade.
Francis rimane in silenzio qualche istante prima di compiere gli ultimi passi che lo separano da Arthur e premersi contro il suo petto; «mi sei mancato» mormora piano, sollevando lo sguardo a ricercare gli occhi del dio, il quale non può fare altro che stringerlo più forte e tentare di trattenere l’ondata di emozioni che gli scuotono il cuore e la mente.
In fondo sei mesi sono bastati a Francis per capire tante cose: sei mesi sono bastati per capire che Arthur non è né duro né crudele ma solo e triste, sei mesi sono bastati per capire che le mani di Arthur non sono gelide ma tiepide. Sei mesi sono bastati per capire che il suo posto è al fianco di Arthur, sulle sue gambe, tra le sue braccia, contro il suo corpo.
«Sono felice di tornare» bisbiglia contro le sue labbra quando Arthur si china per baciarlo e sorride quando il dio lo prende in braccio e lo conduce a casa.

Dicembre.
«Lo stai facendo di nuovo?» chiede Arthur in un bisbiglio, tentando di far capire al giovane che quella domanda non implica in nessun modo fastidio da parte sua. Francis sorride allegramente e sfiora di nuovo i capelli di Arthur, intrecciando l’ennesimo fiore colorato tra le ciocche chiare.
Quando la corona di fiori è quasi terminata Francis si decide a mormorare un «mi piaci, così» al quale Arthur risponde nascondendo il viso nell’incavo del collo del ragazzo. Non può vederlo ma sa perfettamente che ora Francis, mentre gli accarezza i capelli con dolcezza, sta sorridendo. Francis sorride sempre, Francis riesce a far sembrare accogliente perfino l’Ade.
Quei sorrisi non sono falsi, non sono costretti, non sono costruiti; quei sorrisi sono per lui e Arthur ha tutta l’intenzione di custodirli gelosamente nel proprio cuore, uno per uno.
Sapere di avere davanti a sé un’eternità di sorrisi e piccoli fiori colorati gli scalda il cuore quasi più di quanto possano fare le mani di Francis.

   
 
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