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Autore: Mek101    11/01/2015    2 recensioni
Chi l'ha detto che nell'universo dei Pokemon qualcuno non abbia provato a farne delle armi?
E se questo qualcuno avesse provato a mescolare DNA umano e Pokemon?
Dalla storia:
"139
L'hanno detto i camici bianchi.
È il mio nome? Solo un numero? Sono solo 139? È ciò che sono?
Gli ho sentiti chiamarmi mostro. È ciò che sono vero?
139 il mostro.
Forse hanno ragione loro..."
Attenzione, questa non è la solita fanfiction sui Pokemon
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Anime
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La mia camera è fredda
È brutta
Non ricordo come sono finito qui.
Il mio nome. Qual'è il mio vero nome? Non lo so... non lo so...

139
L'hanno detto i camici bianchi.
È il mio nome? Solo un numero? Sono solo 139? È ciò che sono?
Gli ho sentiti chiamarmi mostro. È ciò che sono vero? 
139 il mostro.
Forse hanno ragione loro...




Un giorno i camici bianchi mi avevano portato in un posto nuovo. Era pieno di strane e ruvide colonne marroni che si ramificavano e in cima avevano delle cappelle verdi fatte di tanti piccoli pezzi che stavano attaccati alle ramificazioni della colonna centrale. Credo si chiamino alberi, credo.
Mi piacciono gli alberi, mi fanno sentire tranquillo sotto le loro cappelle. Per terra poi c'erano tanti fili verdi, alcuni con strane forme colorate profumate. Mi ricordo bene quel posto. Era caldo e colorato e la luce. La luce che veniva da una grande lampada gialla su un enorme soffitto azzurro che era altissimo, molto più alto di quello della mia camera. La luce era calda e affettuosa, inondava quel posto meraviglioso, lo scaldava con i suoi caldi raggi. Io non l'avevo mai vista quella luce, ma mi era bastata guardarla una volta per innamorarmene. Era la prima volta che ero felice. 

Quel posto era il mio paradiso.
Non ero solo. Oltre ai camici bianchi, c'erano delle piccole creaturine (credo si chiamino poremon o pokemon, non ricordo bene) che mi guardavano, alcune si nascondevano, altre mi venivano incontro con allegria. Non mi facevano paura come i camici bianchi. 

Lì vicino a quel posto pieno di alberi c'era un lunghissimo buco nel terreno dove c'era dell'acqua limpida che scorreva via veloce nel buco e si perdeva in mezzo alle cappelle degli alberi. Là dentro c'erano tante creaturine che nuotavano allegramente nell'acqua. Sembravano felici. Ad un certo punto alcuni di loro si accorsero di me e si avvicinarono alla sponda. Erano coloratissimi, ce ne erano alcuni azzurri, altri rossi e blu e uno con una pelliccia arancione e una specie di collare azzurro che salto fuori dall'acqua con un balzo e mi accolse con uno "Squirell!"
Era la prima volta in vita mia che qualcuno si interessava a me.
Erano curiose di me, mi chiedevano cos'ero e come mi chiamavo, dicevano con le loro voci cristalline che non avevano mai visto uno come me. 
Ma io non lo sapevo. Per cui, siccome non ero un camice bianco, forse ero come loro. Loro però scossero la testa. No non ero come loro, dicevano che assomigliavo a un uomo. Credo che "uomo" sia il modo con cui loro chiamano i camici bianchi. 
È vero, in certe cose sono molto simile agli uomini, anch'io ho una testa, due braccia e cammino su due piedi. Ma in effetti sono anche diverso, loro non hanno gli artigli, non hanno una coda. La loro pelle è rosa o marrone scuro. La pelle delle mie gambe, delle mie bracia e della mia coda è blu. 
Quelle piccole e graziose creature dicevano che assomigliavo a tutti e due. 
Ma non ero ne l'uno ne l'altro. 


Cosa sono?
Ancora oggi mi chiedo quale dei due io sia.
Sono un mostro?
Sono 139 il mostro?
I mostri sono cattivi e fanno  male. Ma io non volevo farlo... Non quella volta...


I camici bianchi mi avevano portato in una grande stanza. Era chiusa come la mia camera. Le luci fredde illuminavano il pavimento di terra battuta sulla quale c'erano dei cerchi e delle linee. 
Non ero solo, c'erano due uomini, che però non erano dei camici bianchi. Le loro teste erano più grosse e lucide. Erano bianche e dove ci dovevano essere gli occhi c'era una fessura nera. Le loro teste sembravano essere ricoperte di metallo che rifletteva la luce fredda e senza cuore di quella stanza. Uno era davanti a me, all'altro capo della stanza. L'altro era dietro di me.
Non ci ero mai stato in quella stanza. 
Non avevo mai visto quegli uomini di metallo.
Avevo paura.
L'uomo davanti a me aveva urlato qualcosa, poi aveva lanciato una piccola sfera bianca e rossa. La sfera si era aperta e con un lampo era uscita una creatura spaventosa, che appena il lampo scomparse fece un urlo così tremendo che tremo solo a ricordarmelo.
Aveva delle grandi ali nere, il corpo era grande e arancione, le gambe erano corte e muscolose, le braccia con tre piccoli artigli erano gracili. Il collo della bestia alata era lungo, sulla cima troneggiava una testa affilata con il muso puntato in avanti. La creatura aveva dei grandi occhi blu e delle corna arancioni.

Mi spaventava.
Volevo tornare nella mia fredda e triste camera. 

Tutti e due gli uomini presero ad urlare insieme. Facevano un gran rumore. Mi spaventavano quelle urla. Misi le mi braccia davanti a me per cercare di scacciare quella visione spaventosa da me. Ma era inutile. Era reale.
Ad un certo punto l'uomo dall'altra parte della stanza urlò: -Charizard, Lanciafiamme!-
La bestia inspirò forte. Poi apri la bocca. 
Ero terrorizzato, dalla sua bocca erano uscite delle fiamme cremisi che, anche se erano ancora lontane lo sentivo che erano caldissime. Potevo sentire il loro calore sulla mia pelle.
Si stavano avvicinando a me, in fretta, troppo in fretta.
Ero terrorizzato, rivolsi le mie mani verso quella fiamma infernale che si dirigeva verso di me nel tentativo di allontanare da me quell'incubo. Le mani mi formicolavano. Non era mai successo prima. 

Dalle mie mani uscirono dei raggi azzurri seghettati. Chiusi gli occhi.
Le urla dell'uomo alle mie spalle furono spezzate dalle urla della bestia.

Poi calò il silenzio. 

C'era uno strano odore nell'aria. 

Odore di bruciato.

I non volevo farlo. 

Le mani avevano smesso di formicolarmi. 

Aprii gli occhi. 

Avrei preferito non averlo mai fatto.

La bestia era caduta a terra. Il suo corpo era diventato nero carbone ed era completamente bruciato. Le ali erano completamente distrutte. Ricorderò per sempre la sua faccia, con le orbite riempite da una gelatina abbrustolita, la bocca spalancata e completamente bruciata.

Era morto.

Ero stato io.

Non volevo farlo.

Sono un mostro.

Mi presi la testa tra le mani e urlai, urlai come mai avevo fatto prima. Mi rannicchiai e piansi quante più lacrime avevo in corpo. Non ricordo cosa successe dopo, ricordo solo che quando mi ripresi ero nella mia camera. Era piccola e spoglia, con un letto composto da una asse di gelido metallo tenuto su da delle catene. Non c'era altro a parte delle sbarre che mi impedivano di raggiungere il corridoio e la porta. Sono qui da allora. 

Sono completamente solo. 


È colpa loro. Solo colpa loro. 
È colpa loro se sono solo.
È colpa loro se non posso tornare più in quel posto magnifico e luminoso, insieme a quei dolci pokemon.
È colpa loro se quella bestia è morta. Loro me l'hanno fatta uccidere.


Anch'io voglio essere felice.


Voglio uscire di qui.








-Allarme! L'ibrido 139 sta forzando le sbarre!- gridò un addetto alle telecamere alla sala di controllo. 
-Come è possibile!? Non può sviluppare un tensione sufficiente a danneggiare la cella!-
-Eppure è così dottoressa, sta sovraccaricando il sistem...-
Tutto si spense all'improvviso, la sala di controllo era nel panico.
Le luci tornarono dopo pochi secondi. per fortuna il generatore d'emergenza era entrato in funzione. La dottoressa era allarmata, se quell'esemplare scappava l'intero progetto per le nuove armi organiche ibride sarebbe retrocesso di anni. 
-Mandate una squadra a recuperarlo. E non danneggiatelo in nessun modo!- era altrettanto importante che rimanesse vivo e sano. Ameno fino a quando non avessero concluso gli esperimenti.
-Qui squadra 7, l'intero settore delle celle è al buio, non doveva essersi attivato il generatore d'emergenza!?- gracchio una radio sulla console della sala di controllo. La dottoressa afferrò il microfono. -Il sovraccarico è avvenuto proprio in quel punto, deve aver bruciato le luci e fuso tutti i sistemi- in effetti i sensori erano tutti muti. -Ricevuto squadra 7?-
Passarono alcuni secondi. 

Nessuna risposta.

-Squadra 7!? Pronto Squadra 7 mi ricevete!?-

Niente.

La dottoressa era furiosa. Uscì dalla sala di controllo e corse verso il settore delle celle.
Era buio pesto. Continuo imperterrita fino a quando non pestò qualcosa che emise un debole mugolio. Guardò per terra. Ai suoi piedi giaceva ciò che restava della Squadra 7, erano tutti accasciati a terra doloranti. I loro volti erano completamente ustionati, e le braccia erano ricoperte da metello fuso che una volta doveva essere stato un fucile d'assalto. 

Era sconvolta, per la prima volta in vita sua aveva veramente paura, se il metallo era ancora parzialmente fuso, significava che la Squadra 7 era stata abbrustolita da poco. 

Ciò significava che chi aveva fatto questo era ancora qui vicino. 

Molto vicino.

La dottoressa si voltò per darsi alla fuga.
Una figura in una camice bianco da paziente, con una coda blu, le mani e le braccia dello stesso colore si parò davanti a lei.

Afferrò la donna per la gola con i suoi artigli, la sollevò. Lei cercava di scappare ma era inutile.

Un lampo azzurro. Poi un urlo.

Silenzio.







Allora... Questa storia l'ho scritta tempo fa e mi sembrava triste lasciarla marcire nel computer.
Se la storia vi è piacuita, vi ha fatto schifo o volete semplicemente fare un saluto, lasciate un commmento o una recensione, cerchero di rispondere il prima possibile. Fa sempre piacere sapere che ne pensa un lettore della propria storia.
Detto ciò vi ringrazio per aver letto la storia di questo pazzoide e vi saluto con un:
Au revoir!
   
 
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