Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: kamony    11/01/2015    5 recensioni
[...]Era troppo tardi. Ero consapevole che alla fine la morte, quasi sicuramente, ci avrebbe separati, senza pietà. Senza darci l’ultima occasione di chiarimento, negandocela per sempre.[...]
Due fratelli, una misteriosa malattia celata e negata, un chiarimento che forse non ci sarà mai. Oppure...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa storiellina è nata nell’anno domini 2003 grazie ad una sfida in un forum. Ora la ri-pubblico. All’epoca passò quasi inosservata e c’erano anche degli errori narrativi e non, l’ho rivista e ora, per curiosità ve la propongo. Vediamo che ne pensate. Grazie a chiunque leggerà e a chi vorrà esprimermi il suo parere in merito :)



TROPPO TARDI…

 

Osservando l’inesorabile scandire del tempo, mi sentivo impotente, ma non rassegnato, guardai l’orologio sulla parete. Non mi fu d’aiuto, era rotto. Ero in preda ad una grande angoscia.
Non riuscivo bene a capire, che cosa stesse accadendo, o forse semplicemente non volevo capirlo. Mi sembrava di avere la testa vuota e leggermente confusa, come se fossi stato sospeso in uno strano limbo. Avvertii una sensazione simile a quella che ti coglie quando ti svegli di soprassalto, nella notte, disturbato da qualche rumore molesto, ritrvandoti con gli occhi aperti, smarrito, in preda al panico, incosciente, ma sveglio.
Improvvisamente mi venne in mente mio fratello.


Ora mi era tutto molto più chiaro.

Stava male, molto male. Una malattia incurabile.
Non ce ne siamo accorti subito, perché era una patologia viscida e subdola. E poi quando si ammalò era abbastanza piccolo, e noi, troppo presi dai nostri problemi, non facemmo caso a certi particolari, impercettibili, ma rivelatori. In fondo, forse, non volevamo accettare una simile, cruda realtà.
La dottoressa ci disse che non c’erano precise cause scatenanti. La malattia si presentava così, di colpo, e in molti casi prima dei diciotto anni. 
Gli furono fatte un sacco di cure, anche sperimentali, ma sapevamo in partenza che erano palliativi, per un po’ stava bene, poi tornava a peggiorare.
Lo abbiamo sempre protetto, coccolato e trattato come se fosse di vetro.
Sbagliato. 
La nostra cautela nei suoi confronti, ha innescato un meccanismo di incomprensione, che ci ha definitivamente allontanato da lui.
Ora ne pagavamo le conseguenze.
Non era vicino a me, in quel momento, ma mi pareva quasi di vederlo. Un po’ imbronciato, con una certa aria di rimprovero, e di sfida, che mi diceva: “Bravo! Ci sei arrivato finalmente hai capito. Ma è troppo tardi! La situazione è grave, ti è sfuggita di mano, non puoi più fare nulla! Tra poco, se Dio vuole, sarà tutto finito!”.
Provai un forte dolore. Io amavo mio fratello. Non avrei mai voluto farlo soffrire, non intenzionalmente almeno.
Volevo fare qualcosa, chiedergli perdono, fargli capire che non mi vergognavo di lui, che se non lo portavo fuori con me e miei amici era solo per proteggerlo, non per umiliarlo.
Lui non sapeva bene che tipo di patologia avesse e si arrabbiava, diceva che non era malato, che si sentiva bene e quindi viveva i miei rifiuti come cattiveria, mancanza d’amore ed attenzione verso di lui.
Mi diceva che ero egoista. Avrei dovuto passare più tempo con lui e spiegargli che non era affatto così.
Il tempo continuava a scorrere e io mi sentivo sempre più impotente. Cosa potevo fare? Niente. Era troppo tardi. Ero consapevole che alla fine la morte, quasi sicuramente, ci avrebbe separati, senza pietà. Senza darci l’ultima occasione di chiarimento, negandocela per sempre.
Non riuscivo ad accettare una simile crudeltà. 
Avrei fatto qualsiasi cosa per tornare indietro e per evitare il suo gesto: disperato e definitivo.
Non lo odiavo, piuttosto odiavo me stesso. Era solo colpa mia. Era come se questo peso che portavo dentro mi schiacciasse. Ero stanco, svuotato. Poggiai la testa, distrattamente da qualche parte per assopirmi un po’. Avevo così tanto bisogno di riposarmi, le palpebre si erano fatte pesanti e la stanchezza mi vinse.

Improvvisamente fui come abbagliato da una forte luce, mi stropicciai gli occhi per il fastidio. Fu allora che lo vidi.
Aveva lo sguardo allucinato e mugolava una cantilena dondolando ritmicamente.
“Tommaso sei tu?” gli chiesi stupito di vederlo.
Si girò di colpo, mi guardò con maligna soddisfazione, poi si avvicinò e disse
“È finita! Non sei più moribondo. Sei Morto!”.
Sembrava quasi che ghignasse “Ho provato piacere ad ucciderti, sai? Sei un ragazzo cattivo, molto cattivo. Loro non lo sanno che sono stato io. Pensano che ti abbia accoltellato uno scippatore! Il matto è stato furbo!” il suo sguardo scintillava colmo di soddisfazione.
Poi, riprese a parlare con quella vocina in falsetto, quasi da bambino, fissando il vuoto con occhi vacui “Povero Tommaso! Tommaso è malato! Tommaso è pazzo” dondolava e si massaggiava la testa con entrambe le mani.
Continuò a vaneggiare in tono basso e tagliente e disse facendo il verso a nostra madre “Shhhhhhh non dire così, non è pazzo è schizofrenico!” si girò di scatto e mi disse con una voce, ora profonda e rabbiosa. “Pensavate che non vi avessi mai sentiti eh? Ma vi ho appena dimostrato che non sono affatto pazzo. Mi sono liberato di te e d’ora in poi, loro, saranno tutti solo per me! Sono più furbo di voi, io!”.
Di colpo, con lentezza, come se si fosse improvvisamente ricomposto e la crisi fosse passata del tutto, si avvicinò al letto d’ospedale dove ero stato portato d’urgenza. Lo vidi chiaramente, dall’alto, dove mi resi conto di essere. 
Che strana sensazione.
Sembrava quasi di guardare un film dove tu stesso sei il protagonista.
Si chinò, mi sfiorò con delicatezza guancia con un bacio e carezzandomi la testa mi disse in un soffio “Addio fratello adorato”.

 

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: kamony