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Autore: My Pride    19/11/2008    8 recensioni
Era il mio idolo, il mio appiglio, e forse, sebbene non avessi mai assaporato il sentimento dolce-amaro che in molti chiamavano amore, sentivo di provare per lui qualcosa che andava oltre al semplice affetto fraterno che mi riservava.
Ogni qual volta osservavo le sue labbra rosee che si muovevano, avevo l'irrefrenabile stimolo di assaporarle come tanto vedevo fare dal Colonnello quando veniva a trovarci, come se fossero per me un frutto proibito ma squisitamente tentatore.
Cosa c'era di sbagliato in me, se mi ritrovavo a desiderare mio fratello?
[ Alphonse Elric POV ]
[ Roy/Ed con riferimento Elricest oneside ]
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Roy Mustang
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Amori Amari... Cuori Riflessi Titolo: Amori amari, cuori riflessi
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 1889 parole ]
Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Roy Mustang
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico

Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen ai, What if?



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.


    Da un po' di tempo, ormai, mi soffermavo a guardare il corpo del mio fratellone, quel suo profilo che avevo imparato a conoscere a memoria in tutti quegli anni in cui eravamo cresciuti insieme.
    Era cresciuto moltissimo da quando era riuscito a ridarmi il mio corpo e a riprendersi i suoi arti, e più di una volta, quando se ne stava seduto al tavolo della cucina per lavorare, proprio come in quel momento, mi perdevo ad osservare il suo volto così concentrato senza che ne capissi realmente il perché.
    Era un'età difficile, la mia. Essendo inoltre vissuto solo con lui, nel corso di quegli anni, avevo interagito solo con poche persone al di fuori della sua sfera affettiva, non riuscendo però ad instaurare con loro il forte legame che avevo con mio fratello Edward. Era il mio idolo, il mio appiglio, e forse, sebbene non avessi mai assaporato il sentimento dolce-amaro che in molti chiamavano amore, sentivo di provare per lui qualcosa che andava oltre al semplice affetto fraterno che mi riservava. Ogni qual volta osservavo le sue labbra rosee che si muovevano, avevo l'irrefrenabile stimolo di assaporarle come tanto vedevo fare dal Colonnello quando veniva a trovarci, come se fossero per me un frutto proibito ma squisitamente tentatore. Cosa c'era di sbagliato, in me, se mi ritrovavo a desiderare mio fratello?
    Immerso com'ero nei miei più reconditi pensieri, ci misi un po' per capire che era quella del mio Fratellone la voce che mi stava pian piano richiamando alla realtà. Sbattei più volte le palpebre come per abituarmi ad una zona in penombra, e appuntai la mia attenzione su di lui che, con il volto poggiato sul palmo della mano, e la penna che reggeva nell'altra picchiettata sui fogli sparsi sul tavolo, mi osservava, incuriosito e mezzo preoccupato.
    «Qualcosa non va, Al?» mi chiese, posando la stilografica e sporgendosi un po' verso di me come per capire che cosa mi turbasse. Mi sentii le guance in fiamme quando mi mise una mano sulla fronte, premendoci subito dopo le labbra. Quelle labbra che fino a poco prima stavo guardando. «Sei un po' accaldato, fratellino», disse, e sembrava preoccupato. «Non sarà che hai la febbre?»
    Scossi con impeto la testa, deglutendo e alzandomi per andare a preparargli la colazione. Quello che era andato ad imporporarmi le guance era un rossore fin troppo marcato, non sarei mai riuscito a spiegarglielo. Così mi concentrai solo sull'impasto per le frittelle, ma prima che potessi anche solo preparargliene una, sentii sfregare la sedia sul pavimento, e il mio fratellone mi si avvicinò, posandomi leggero una mano sulla spalla.
    «Non disturbarti, Al, mangerò qualcosa a lavoro», mi scompigliò amorevolmente i capelli. «Roy deve ancora offrirmi il pranzo, gli farò sborsare qualcosa». A quel nome, la ciotola che reggevo tra le mani mi cadde a terra. Socchiudendo gli occhi, mi chinai per raccoglierla, ma Edward fu più veloce, prendendola e posandola sulla mensola. «Sicuro di non avere la febbre?» mi domandò ancora, osservandomi. «Chiedo un giorno di permesso, se stai male. Ci penso io alla casa, mentre tu riposi».
    Non potevo negare che l'offerta era allettante. Avrei potuto passare un po' di tempo in compagnia di Edward senza che ci fosse stato anche il Colonnello con noi, e vederlo alle prese con i lavori domestici sarebbe stato imperdibile! Stavo per rispondergli, raggiante, quando sentimmo suonare il campanello. Edward mi intimò divertito di sedermi sul divano, attraversando l'ingresso per andare ad aprire la porta, tornando qualche attimo dopo in compagnia della persona che mai come in quel momento non avrei voluto assolutamente vedere. Roy Mustang. Avevo detto le ultime parole famose, prima...
    Mi salutò, sorridente come sempre, ma risposi solo con un breve cenno del capo. Solo ora, trovandomi faccia a faccia con lui, e avendo avuto modo di riflettere su alcune cose prima del suo arrivo, capivo che quel qualcosa che provavo per il mio fratellone era amore, forse. Era amore perché in questo momento, vedendo gli occhi a mandorla del Colonnello fissare Edward con devozione, mi sentivo tremendamente geloso degli sguardi che si lanciavano.
    Forse era solo per capriccio che mi sentivo così, chi poteva dirlo. Probabilmente, non sopportavo l'idea che mio fratello potesse amare così intensamente quell'uomo con quasi il doppio dei suoi anni. Forse tutto questo era dovuto al fatto che non avevamo mai avuto una figura paterna che ci guidasse, che ci insegnasse cos'era giusto e cosa sbagliato. Perché sentivo che, seppur non volessi crederci nemmeno io, il sentimento che covavo per il mio fratellone, e quello che era nato da un bel po' tra lui e il Colonnello, erano profondamente errati.
    «Come va, Alphonse?» mi chiese cordiale il Colonnello. «Ed mi ha detto che non ti sentivi bene».
    Mi limitai solo a tirare un lungo sospiro, scrollando le spalle. Non dovevo far trapelare nulla di come mi sentissi. «Sto bene, Colonnello, è solo stanchezza».
    Lui annuì, come se fosse restio dal crederci, ma poco me ne importava.
    «Roy senti, ho un favore da chiederti», esordì mio fratello, e io lo guardai interrogativo, sbattendo confuso le palpebre.
    «Dimmi», fece lui.
    «Puoi darmi un giorno di permesso? Non me la sento di lasciare Al da solo».
    «Fratellone, vai al Quartier Generale, non preoccuparti», provai a dire, ma nessuno dei due mi prestò minimamente ascolto.
    Difatti il Colonnello annuì, rivolgendomi un sorriso. «Pensa a rimetterti, Alphonse. Acciaio è un ottimo infermiere», ammiccò verso di lui per una frazione di secondi. «Sei in buone mani».
    La cosa, detta con quel tono allusivo, provocò un forte rossore sulle guance del mio Fratellone, che prese a borbottare tra sé e sé ignorando le risatine soffocate del Colonnello e il mio sguardo. Avevo sempre pensato che si fossero spinti oltre, ma... speravo sempre di sbagliarmi. Immaginarmi mio fratello fra le braccia di quell'uomo era disgustoso. Non che avessi qualcosa contro di lui, però, se solo ci pensavo, non potevo non sentirmi male.
    «Vai a lavoro, stupido», bofonchiò Ed, spingendolo verso la soglia della cucina. «Non vorrei che arrivassi in ritardo».
    Prima di andarsene, lo vidi scoccargli un bacio sulle labbra, e mi portai una mano al petto, sentendo il cuore stringersi in una morsa. Perché provavo certi sentimenti? Era sicuramente sbagliato, tutto questo. Edward era sangue del mio sangue, mio fratello. Non potevo ritrovarmi a pensare che avrei tanto voluto poter assaggiare il sapore delle sue labbra sulle mie, le sue mani sul mio corpo, e il calore di qualcos'altro...
    Mi sfregai veloce le mani sulle guance, sentendomi arrossire, e alzandomi, ciondolai svelto verso la mia camera da letto, rifugiandomi sotto le coperte con il respiro un po' velocizzato. Sulla soglia, poco dopo, comparve anche Edward, che reggeva fra le mani una bella tazza fumante di thé.
    «Inizia a scaldarti con questo», disse dolce, avvicinandosi per porgermelo. «Dopo ti preparo del brodo... o preferisci una minestra?»
    Sorrisi, felice di quella sua premura. Sembrava quasi volesse fare la parte della moglie perfetta... o della madre, perfetta. «Il brodo va bene, grazie», gli risposi, drizzandomi a sedere e sistemandomi meglio sui cuscini per poter bere il thé. Non avevo la febbre, ma farmi coccolare in quel modo mi piaceva.
    Quando lo vidi sorridere, per poi darmi le spalle, gli afferrai d'istinto la manica della camicia, ricevendo da lui uno sguardo incuriosito. «Che c'è?» mi chiese dolce.
    Deglutii, grattandomi una guancia. «N-Niente», mollai la presa.
    Il fratellone scosse divertito la testa, accarezzandomi i capelli. «Sei un bambino anche a quest'età», ridacchiò.
    «Senti chi parla», replicai io, ridendo a mia volta.
    «Stupido», mi sorrise. «Dai, bevi tutto».
    Annuii, obbedendogli. Quando bevvi anche l'ultimo sorso, mi tolse la tazza dalle mani, riponendola sul comodino accanto al letto. Restai un po' ad osservarlo mentre risistemava un po' la stanza, piegando i miei indumenti e posandoli ordinatamente nei cassetti, cosa che in teoria avrei dovuto fare io, se non fossi stato impegnato a fare il finto malato. Si spostò un po' i capelli dalla fronte, e una volta terminate quelle piccole - nay, non piccole, la parola la detestava - quelle poche faccende, si sedette sul materasso accanto a me.
    «Visto? Qualcosa lo so fare anch'io!» esclamò gioviale, grattandosi la testa, chiudendo gli occhi e sorridendo.
    Quelle labbra erano sempre incurvate così splendidamente... volevo baciarle. Solo una volta, ma volevo. Senza nemmeno riflettere, mi sporsi verso di lui, scoccandogli un bacio a timbro su quelle sue labbra così... morbide, rosee, dolci.
    Colto di sorpresa, Edward si ritrasse, guardandomi confuso e sbattendo le palpebre. «A-Al?» mi chiese, deglutendo.
    Mi portai due dita alle labbra, chiudendo gli occhi e gustando quel sapore che avevo sentito solo per poco, quel sapore così simile al mio. Non pensavo che un bacio potesse piacermi tanto. Il primo bacio al mio fratellone... il primo e l'ultimo.
    «Alphonse?» lo sentii chiamarmi ancora, e aprii gli occhi per guardarlo. I suoi, che sfumavano in un oro un po' più scuro e dilatato, mi osservavano fin troppo attenti, quasi scioccati.
    Il mio gesto non era possibile da spiegare a parole, quindi mi limitai ad abbracciarlo, poggiando la testa sul suo petto e ascoltando il ritmo velocizzato del suo cuore. Il suo corpo era caldo, ma rigido per il mio strano comportamento, però poi, tentennando, sentii la sua mano tremante accarezzarmi piano i capelli, con una leggerezza inaudita. Sapevo che non poteva provare quel che provavo io, ma mi bastava.  «Ti amo, fratellone», sussurrai di getto, sfregando il viso contro di lui.
    Sussultò appena, e il suo battito cardiaco aumentò. Mi allontanò un po', afferrandomi il viso fra le mani e controllando ancora con le labbra la mia temperatura. Scosse la testa, come se pensasse che stavo delirando.  «Ti amo anch'io», mi disse poi, sorridendo, e prima che continuasse, gli gettai le braccia al collo, quasi rischiando di farlo cadere dal letto. Mi scostò nuovamente con delicatezza, sospirando. «Ti amo come si può amare un fratello o una sorella, Al, e tu sei mio fratello», quasi mi sentii mancare, a quelle parole. «Quello che provi per me non può essere amore, è affetto», mi diede un buffetto sul naso. «L'amore non si può spiegare, ma lo si sente». E su quel punto, gli davo perfettamente ragione. Non potevo spiegarmi l'amore che nutrivo nei suoi confronti, ma riuscivo a sentirlo fin troppo bene e anche chiaramente. Si alzò, guardandomi un'ultima volta. Poi sorrise sincero. «Vado a prepararti il brodo», disse con semplicità. Uscì e mi lasciò solo con i miei pensieri, con il suo sapore ancora sulle labbra.
    In fondo, io l'avevo sempre saputo. Meglio aver amato e perso che non aver amato mai, no? Però quell'unico capriccio a cui mi ero aggrappato ero riuscito ad averlo. Le sue labbra erano state mie per poco, anche se non aveva risposto come avrei voluto. Lui era del Colonnello Mustang, ormai.
    Mi strinsi le gambe al petto, circondandole con le braccia e posando la testa sulle ginocchia, ad occhi chiusi. Mio fratello era un qualcosa che non potevo avere del tutto. Era come il sole, non potevo afferrarlo in alcun modo, nemmeno se tendevo le mani verso il cielo per attirarlo così vicino a me.








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