Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Nimueh    11/01/2015    4 recensioni
C'era una volta una principessa che vide il suo mondo esser distrutto sotto i suoi occhi.
La sua famiglia era stata divisa, e la sua casa occupata da immeritevoli.
La fuga fu la sua unica soluzione, tuttavia non sapeva che il suo viaggio sarebbe stato il più bello e difficile di tutti.
AVVISI: CaptainSwan acuta, possibili Crossover con altri telefilm, favole, libri, manga
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alla ricerca dell'amore perduto


Black Swan

 
Spalle dritte, sguardo fiero, e passo sicuro: ecco l’insegnamento di una vita.
Sembra una persona forte e gli altri penseranno che tu lo sia veramente, mi dicevano i miei maestri. Una principessa, continuavano, non può sembrare un dolce esserino indifeso: il suo compito è governare, il suo polso deve essere fermo contrò le avversità, flessibile nell’astuto gioco della diplomazia, ma indistruttibile.
Eppure c’era qualcosa. Tutto sembrava presagire qualcosa che era più grande di me. Quel piano, che avevo così penato per idearlo, non mi pareva poi così valido.
Avevo preso tutte le precauzioni, non mi sembrava abbastanza.
Cercavo di muovermi con cautela, senza farmi notare troppo. Il mio volto era troppo riconoscibile anche per la gente comune, come se al collo mi pendesse un cartello con su scritto il mio nome a caratteri cubitali. Se qualcuno mi riconoscesse, le persone incomincerebbero a parlottare, e le voci, dapprima basse, diverrebbero alte e arriverebbero fino alle orecchie del principe mio fratello. La principessa Emma non doveva esistere più.
Avevo provveduto a mascherare il mio aspetto il più possibile, ma non sembrava mai abbastanza. Avrei dovuto tagliare i capelli, ma erano l’unica cosa preziosa che mi fosse rimasta, oltre la mia stessa vita. Così li avevo intrecciati in una lunga treccia, che poi avevo avvolto su se stessa sulla nuca. Era un così vano tentativo di celare la lunghezza della mia chioma, fin troppo anomala per una popolana qualunque.
E anche la mia pelle era troppo candida, un colore che le donne del posto non avrebbero mai potuto avere. Il lavoro, il sole, il sudore avevano modificato la loro carnagione, cosa che non era mai successo a me. Presi così della polvere di carbone, e con i polpastrelli creai due occhi nuovi. Il verde delle mie pupille fu esaltato da quei pigmenti scuri, mostrando al mondo una donna nuova, distruggendo lo sguardo limpido della bambina che fin quel momento ero stata.
I miei vestiti non erano più quei leggeri tessuti dalle tonalità sgargianti, oppure dai toni pastello; ma abiti rigidi e scuri, che fasciavano le mie forme sempre tenute nascoste. Avevo un cappuccio calato sul capo quando entrai nella taverna.
Sapevo cosa cercare. Il mio obbiettivo era un uomo, uno di quelli famosi per le sue braverie, di cui le nonne ne narravano le storie con il terrore dipinto sul volto. Il suo vero nome non lo conoscevo, ma il suo titolo era conosciuto in tutti i sette mari. Le persone lo chiamavano Captain Hook.
Non doveva essere difficile scovare un uomo con un uncino al posto della mano sinistra, mi ripetevo come un mantra, studiando l’ambiente in cui mi ero ficcata.
Con gli ultimi spiccioli che mi erano rimasti, dopo la fuga dal castello, avevo pagato alcune persone che rintracciassero per me il pirata, una volta arrivato al porto. Speravo veramente non fossero soldi buttati.
Quell’uomo mi aveva assicurato che il Capitano era solito andare in questa locanda, quando faceva tappa qui, ad Approdo del Re, eppure non si era ancora fatto vedere.
Così presi da mangiare, se così si poteva chiamare. La lontananza dal castello mi aveva insegnato la fame, e il privilegio in cui ero cresciuta. Ogni mio appetito era soddisfatto dal lusso, ogni capriccio divenivano un ordine, mentre in quel luogo e in quel momento non ero nessuno, e il cibo di cui mi nutrivo era la cosa peggiore che avessi mai mangiato, ma l tempo stesso la fame lo aveva reso pari al nettare degli dei.
Tra un boccone e un altro, incominciai a pensare alle uniche informazioni che avevo di quell’uomo. Di solito era dipinto come un essere lascivo, avvezzo ai bordelli. Altri invece lo descrivevano come un uomo profondamente innamorato di una donna, che aveva poi perduto. Taluni affermavano che in origine fosse stato un tenente, un ufficiale devoto al regno, al suo re, alle regole. Avevo talmente tante dicerie in testa che non sapevo a cosa credere. Messo in questi termini, sembrava un uomo dalle mille facce, una contrastante con l’altra.
Immaginavo fosse un tipo avvezzo alle belle donne, sempre pronto per una nuova avventura, e forse l’unico modo con cui potevo sperare di avvicinarlo era il mio aspetto.
Alla corte tutti mi ritenevo bella, brava, dolce, una così splendida principessa. All’inizio ne ero onorata, sembrava una bella cosa incarnare tutte quelle qualità, finché non mi accorsi che non potevo esser nient’altro. Tutto ciò che non era degno del Cigno Bianco (così mi avevano soprannominata) non poteva esser portato alla sua presenza, o esser discusso con lei... Ero diventata un bel soprammobile, niente più che un gioiello della corte, ma il destino, che non è mai né benevolo o malevolo, aveva cambiato tutte le carte in tavola.
Pensai di essere sul punto di svenire quando lo individuai, invece l’unica reazione visibile fu la stretta a pugno delle mie mani. Quello che invece era invisibile era lo stupore. Quell’uomo era bellissimo.
Altro che il vecchio bitorzoluto che mi aspettavo di vedere, considerando che dovesse avere più di duecento anni, sembrava un normalissimo (escluso l’uncino) e splendido uomo di mare su venticinque, trenta anni. Era assurdo!
Spiccava in quel locale come una fiammella nell’oscurità. Era più che bello, era affascinante, composto, non un semplice e rozzo marinaio, come mi ero immaginata. Insomma credevo che vivere per secoli su una nave dovesse comportare un certo grado di trascuratezza, eppure non era così.
Era attorniato da una manciata di uomini, il quale aspetto non mi incuteva timore, anzi mi faceva provare un’innata simpatia per quegli omuncoli che la vita aveva gettato in mare.
Dopo non so quanti minuti di riflessione e smarrimento per tutta quell’avvenenza, le mie gambe decisero finalmente di prendere coraggio, e subito mi ritrovai dinanzi a lui.
-Ma chi sono questi aitanti signori?- mormorai lasciva, guardando un uomo a caso della ciurma, l’unico che potesse esser attraente abbastanza da giudicare il mio interesse giustificabile, poiché non volevo che fosse chiaro a chi avevo puntato. L’unico modo per far funzionare il piano era far sì che lui mi scegliesse tra le tante donne che potevano stuzzicarlo in quel luogo. Doveva divenire una vittima del mio fascino.
Lasciai che mio sguardo vagasse su tutti loro, che si soffermasse anche sul Capitano, i cui occhi brillavano di aspettativa, per poi ritornare all’altro uomo, impassibile. Dovevo lanciare l’amo al suo orgoglio.
-Uomini molto affamati, signorina- pronunciò una voce alle mie spalle, il cui timbro mi fece tramare le mani per un secondo. Per un momento una scossa attraversò il mio corpo, che smaniava per girarsi e incrociare di nuovo quegli occhi ardenti.
All’improvviso una punta fredda iniziò a tracciare un linea sinuosa sulla mia scapola, lasciata scoperta dal vestito. Se prima le mani avevano vacillato, in quel momento furono le ginocchia a rischiare di tradirsi. Solamente il gusto della vittoria, la sicurezza di esser stata scelta mi riportò indietro dal quel momento di torpore.
Con lentezza mi girai verso il mio interlocutore. Puntai i miei occhi su di lui, giusto il tempo di vedere il suo orgoglio abboccare, e i suoi occhi rialzarsi dal mio posteriore fino ad arrivare ai miei.  
-Oh, Capitano, la vostra fame sarà presto saziata: siete nel posto giusto- dissi continuando quel gioco di allusioni, che un tempo mi avrebbero imbarazzata a morte, mentre adesso mi infiammava il sangue nelle vene.
Quella situazione sembrava inebriarmi. Non avevo mai compreso cose fosse veramente l’attenzione di uomo, e quella di Hook sembrava così dolce e selvaggia allo stesso tempo, da annullare la mia prudenza, le mie paure.
-Quindi voi sapete chi sono- mormorò ammiccando, mentre i suoi occhi scivolavano sul suo uncino. Per la prima volta da quando avevo pensato di trovare quell’uomo, incominciai a chiedermi cosa si provasse ad aver perso una mano. Sembrava così scomodo utilizzare quel pezzo di ferro.
-Sarebbe un po’ difficile non sapere chi siate. La vostra fama vi precede, mio signore.
-Allora siate gentile, rivelatemi il vostro di nome- rispose al mio sguardo sicuro. Sembrava dopotutto che il ruolo di prostituta improvvisata non mi riuscisse troppo male.
Nei suoi occhi aleggiava un baluginio che mi inquietava. Era lo sguardo uomo che sta per azzannare la sua preda.
-Il mio nome è Swan. I miei genitori si chiamavano così- dissi accomodandomi di fronte a lui- ma sono quasi sicura che ci siano particolari di me che vi potrebbero interessare molto di più- continuai candidamente, mentre anche lui prendeva posto.
-Solo Swan? Il nome ti si addice.
Nella frazione di qualche secondo era passato dal voi al tu, senza permesso, senza alcuna causa apparente. Questa cosa mi straniva,  ma in fondo io non ero una prostituta, non potevo sapere che genere di rituali avessero senso tra una donna e un uomo che avrebbero condiviso il letto per una sola notte, e non per amore. Tuttavia la cosa che mi stranì di più fu che non aveva raccolto la provocazione. Strano.
Con un gesto della mano chiamai l’attenzione della ragazza dietro il bancone. Cercai di non far trasparire alcuna delusione dal mio volto, così ordinai da mangiare e bere per tutti quanti, anche se avevo sperato di non dover arrivare in quel punto. Non volevo che entrasse in gioco l’alcool, doveva essere lucido nel momento in cui avrei barattato le mie conoscenze per i miei scopi. Inoltre non volevo toccarne nemmeno una goccia.
-Hai messo da parte la fretta, bellezza?
-Diciamo che mi sono accorta che non siete ancora pronto per un tête à tête- mormorai mentre versavo del vino nel bicchiere che una ragazza aveva posto davanti a lui, non rendendomi conto che mi stava analizzando più profondamente di quanto volessi.
-Tête à tête... una scelta di parole singolare per una ragazza del popolo- rispose serio, fissando i suoi occhi nei miei.
Ero scivolata e lui se n’era accorto. Forse potevo iniziare a perorare la mia causa senza dover imbastire un osceno siparietto nella sua cabina.
-Non sono una ragazza qualsiasi: vi avevo detto che possiedo qualità che potrebbero interessarvi enormemente, se mi permetterete di parlarvene- dissi prendendo coraggio.
Non aveva senso continuare a recitare se lui aveva capito che ero molto di più che una semplice popolana senza arte né parte. Ero così delusa: mi ero così impegnata per sembrare convincente! Se non altro sperai di non aver rovinato tutto con la mia poca dimestichezza con i pirati. Per fortuna mi invitò, con un semplice gesto della mano, a proseguire, cosa che non mi rifeci ripetere due volte.
-Sapevo di potervi trovare qui, Capitano... Ho fatto tutto questo perchè voglio proporvi un accordo, uno scambio.
-Per molto tempo ho vissuto ad Approdo del Re, nel palazzo reale, come serva. Mio padre era uno dei maestri del principe Bealfire. Mi ha fatto studiare e imparare molte cose, che ho deciso di mettere finalmente a frutto, ora che il Re ha deciso di licenziare me e la mia famiglia.
-Continua- rispose intrigato dalle mie parole, sebbene vedessi chiaramente che era distratto. I suoi occhi erano puntati su di me, ma a volte abbandonavano i miei e si spostavano su qualcos’altro di interessante sul mio volto.
-Non posso parlarne così davanti a tutti. Si tratta di dettagli che se ascoltati da orecchie estranee potrebbero far fallire il nostro accordo. 



Salve, sono Nimueh e spero di aver allietato anche se per pochi minuti la tua giornata, mio caro lettore.
Penso che hai tanti dubbi su questa storia, ma se continuerai a leggere sono sicura che passeranno!
Un paio di precisazioni: Bealfire è il fratello di Emma, quello che nel telefilm è Neal Junior. Ho pensato che fosse poco principesco come nome, e l'ho cambiato con l'altro. Emma, come vedrete, è la sorella maggiore, ma hanno pochi anni di differenza. 
Non è avvenuta nessuna maledizione, e quindi Emma è vissuta nella Foresta incantata con la sua famiglia.


 
Con affetto Nimueh
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Nimueh