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Autore: Riholu    11/01/2015    3 recensioni
Rido, dondolandomi.
Perché ho voglia di ridere. E' un giorno lieto, forse.
[Perché anche un Diabolic Esper ha un cuore]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Add, Eve
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non avrei mai pensato di arrivare fino a qui.
Fino a questo punto.

Buio. E' tutto ciò che vedo, ormai; ovunque, nei visi della gente, negli alberi, negli edifici... attorno a me. Vedo solo oscurità - fitta, tetra, avvolgente, mi trascina sempre più giù, in un baratro di disperazione che non mi lascia fiato, o spazio.
Mi stringe tra le sue braccia, con freddo affetto, penetrandomi nelle carni e nelle ossa, nella mente e nei miei ricordi, che piano piano scemano sempre più col passare del tempo.

Non avrei mai pensato di arrivare fino a qui.
Cos'è successo? Perché comincio a sparire?

Apro piano gli occhi, ma bruciano; come se non li aprissi da chissà quanto tempo, o avessi addosso una tale stanchezza da spingere le mie palpebre a tornare giù, a celare quegli occhi che d'umano ormai hanno ben poco.
Vedo solo oscurità, dentro il quale il mio sguardo si perde e vaga, disperato, alla ricerca di qualcosa. Ma cosa? Un accenno, un movimento... un raggio di luce?
Luce... non ho idea di cosa sia... non me lo ricordo; eppure in me c'è una vaga sensazione di rimembranza, che mi spinge a ricercare nei meandri della mia mente il concetto di “luce”, insieme a qualcosa che possa appartenervi.
Ma cosa?

Non ho più ricordi, ormai. Nella mia testa non c'è più nulla.
Come non c'è nulla attorno a me, ora.

Tutto è stato assorbito da quell'oscurità chiamata “tempo”, che inesorabilmente scorre, rendendoci schiavi della sua folle e instancabile corsa verso il “dopo”.
Per me non c'è più un dopo. Non c'è più un prima - e nemmeno l'ora, pensandoci bene.
Perché non ho idea di quanto tempo sia passato da quando mi sono buttato qui, in questo baratro buio e oscuro che mi consuma i polmoni e la gola, bruciandomeli.
In me c'è solo una sensazione vaga, strana... dovrei aver paura, in fondo credo che ciò che sto provando sia semplicemente la “morte”; quel qualcosa di misterioso di cui tutti gli esseri umani hanno paura; ma io non ho paura... Non ho nulla nel mio cuore.
Solo pace, tranquillità – forse rassegnazione, anche se non so a cosa mi dovrei esattamente rassegnare.

Forse alla mia mente vuota. Quella sarebbe effettivamente un qualcosa a cui non potrò mai far fronte, eh eh...
Ho passato così tanti varchi spazio-temporali, nella mia vita, da non sapere nemmeno più chi sono. Ho visto così tanti me, felici e spensierati, grandi e piccoli, giocare o sorridere alla gente attorno a loro, sebbene fossero così tremendamente pallidi da far spavento alla natura stessa.
Eppure sorridevano.

Eccolo, un ricordo che riaffiora... e io che pensavo non ne avessi più nemmeno uno.
Sorrido anch'io, contemplando con la mente quel che i miei occhi chiusi stanno vedendo: una donna, con capelli pallidi ma luminosi, candidi, che sorride a qualcuno – un bambino, pallido come lei, in tutto.
Lo stesso bambino le sorride, chiamandola, ma io non ne odo la voce; la donna risponde, apre la bocca, ma non sento alcun suono provenire da quelle labbra ridenti.

Chissà chi sono... me lo domando, ma so di non trovare mai la risposta.
E scioccamente mi illudo che quel bimbo sono io, in tenera età, mentre quella donna è mia madre – la stessa che ho tentato di trovare e salvare innumerevoli volte...

Mi cade una lacrima, anche se non me ne accorgo; il buio ha inghiottito subito anche quella.
Non chiedevo tanto alla Dama di EL. Volevo solo salvare mia madre.
Un'altra lacrima segue la precedente, e così fanno tante altre, mentre piccoli singhiozzi escono dalle mie labbra ormai morte per il freddo e la gola mi arde maggiormente per l'acqua che sto ingerendo.

Non chiedevo tanto... solo un sorriso. Una carezza.
Un cenno di fiducia, d'amore, nei miei confronti; volevo essere amato, come tutti i me bambini che ho visto durante i miei viaggi interdimensionali; come tutti i bambini che, sicuramente, durante la mia pazza follia ho ucciso, insieme alle loro famiglie.
Ho chiesto troppo, Dama di EL? Ho avanzato una richiesta talmente impossibile per te, che sei la nostra signora e guida? Ti prego, dimmelo se con il mio desiderio ho turbato il mondo e le sue creature, se ti ho turbata.

Volevo solo una madre, un padre, una famiglia mia; qualcuno da amare e proteggere, per cui combattere... ma no. Forse il tuo disegno prevedeva che io perdessi la mia casa e la mia gente, che perdessi la via del senno, me stesso; forse prevedeva che io viaggiassi nel tempo inconsapevolmente, mentre come un matto studiassi un modo per uscire da quella biblioteca in cui sono stato imprigionato per anni, in preda alla solitudine e a una folle mania di ricerca – ma di cosa? Di un nucleo nasod, per me irraggiungibile da quelle quattro mura; il nucleo della regina Eve.

Ce l'hai forse con la razza nasod, Dama di EL? Perché mi hai mandato a ucciderla?
Ho provato a eseguire il tuo volere, ma non ci sono riuscito... Qualcosa dentro di me non ha potuto farlo... Forse questo mio vagare senza meta è stata la punizione per il mio mancato successo. Te ne chiedo perdono.

Povera Eve... Chissà che avrà pensato quando le sono balzato addosso gridando: “Sei mia!”.
E il viso dei suoi compagni che si lanciavano in suo aiuto, anche se di certo non le era servito affatto, per fermarmi; Eve è ampiamente più forte di me.
Lei è serena... Non sente i morsi della pazzia attanagliarle la mente, può concentrarsi su ciò che vuole. Avrei dovuto forse chiederle scusa, prima di sparire dalla circolazione per sempre. Ma ho la sensazione che tutto ciò che avrei ricevuto in cambio sarebbe stato un ceffone – ben meritato.

E' strano pensare che non li rivedrò più.
I litigi tra i due nanetti, gli sguardi incomprensibili del principino e dell'elfa nei miei confronti... Ero convinto che fossero di compassione, anche se non gli ho mai detto nulla del mio passato.
Probabilmente ne sentirò la mancanza, di tutti loro, quando sarò morto – sempre se proverò qualcosa.

Ridacchio, stranamente.
Sono in pace, eppure sono triste. Mi sono legato a qualcuno, non dovevo farlo... Sapevo che sarei finito male, per quello che stavo facendo. Non me ne rendevo conto, preso dalla follia, ma inconsciamente lo sapevo che sarei finito qui.
Ecco perché sono arrivato fino a qui; il destino era questo, morire. Dimenticato? Forse; non mi importa più di tanto, ormai. Tanto tra poco Add non esisterà più, sarà solo l'ennesimo “morto affogato per disperazione totale”.
Suona quasi comico.

A un certo punto vedo qualcosa di chiaro davanti a me.
Apro piano gli occhi, guardando quella piccola chiazza che illumina a giorno le tenebre attorno a me, e mi ritrovo ad osservarla incuriosito, chiedendomi da dove viene. Non dovrebbe esserci alcuna luce lì-
Aspetta, luce? Quella è luce? Ma... non capisco da dove viene; sopra o sotto? Non ricordo nemmeno più con che parte del corpo sono entrato in acqua, ormai.

Vedo qualcosa uscire da quella luce, formarsi, osservarmi. Come può osservarmi? La luce non ha occhi, questo lo so per certo. Eppure eccoli lì, un paio di occhietti viola, grandi... sembrano quasi i miei; ma sono così innocenti che mi sembra impossibile.
Dell'incarnato pallido compare attorno a quegli occhi limpidi, sopracciglia, labbra sorridenti, ciuffetti color avorio lilla. Ora quel viso somiglia terribilmente ai tanti me da bambino con cui ho stretto amicizia durante i miei viaggi.

Guardo incuriosito quel sorriso, dimentico di tutto quello che turbava i miei sensi fievoli.
Mi domando perché mi sorrida, non ne vedo il senso. In fondo, probabilmente lo avrò ucciso... Perché sorridere al proprio assassino?

Ora mi tende la mano, amichevole – continua a sorridermi.
Lo guardo affranto, ricambiando il suo sorriso con uno mesto e dispiaciuto. Non è altro che un piccolo ricordo, un frammento che mi è rimasto impresso nel cuore; la parte più dolce del mio carattere... tutta racchiusa in quel piccolo bambino che ora mi sta tendendo la mano.
Quanto mi dispiace di avergli tolto la vita...

Ora ritira la mano, continuando a osservarmi con i suoi occhi innocenti; mi viene incontro, mi domando perché, ma non si scontra con il mio corpo... lo trapassa.
Mi giro, seguendolo con lo sguardo, che senza accorgermene lo sta pregando di rimanere – non voglio restare solo in queste tenebre. Sono davvero egoista.
Si ferma, poco più sopra di me; si gira di nuovo, mi sorride; mi tende di nuovo la mano. Dietro lui la luce.

Sospiro, scuoto la testa.
Non posso andare con lui, la luce non è il mio posto a quanto pare. Ci ho sperato, ci ho provato in ogni modo, ma non ha funzionato. Ma lui non demorde, continua a tendermi la mano con fare sicuro.
Mi perdo in quegli occhi, puri come tutti quelli dei bambini; privi della cattiveria che è nei miei, egoisti e freddi. C'è tanta speranza in quegli occhi, speranza per il futuro.

A un certo punto apre le labba, mi parla.
«Non è il momento di dormire, devi ancora giocare con me! Me l'avevi promesso, Add!» mi dice, lasciandomi sconvolto.
Poi si slancia verso di me, ma non mi attraversa questa volta; mi afferra invece la mano, mi tira verso di lui, verso la luce.

No... non voglio andare verso la luce, non posso!
Mi divincolo, ma la sua presa è forte.

Vorrei dirgli di lasciarmi, ma non posso parlare. Non esce nulla dalle mie labbra.
Mi lascio trascinare verso la luce, inerme; serro gli occhi, coprendomeli con l'altra mano al momento dell'impatto con essa.
Ed ecco che torno a respirare, nella mia gola passa aria, non più acqua. Mi fa tossire.

«Add! Che ci facevi in acqua?» mi arriva alle orecchie, confondendomi.
Non era un piccolo Add quello che mi ha riportato a galla?

Apro gli occhi, confuso, e mi ritrovo davanti il viso di Eve.
Mi guarda perplessa, gli occhi dorati freddi come sempre; eppure vedo una nota di preoccupazione, anche se molto più probabilmente è una mia vana speranza di affetto nei miei riguardi.
«Che accidenti vuoi, Eve.» rispondo, scansandola e girando la testa altrove.

«Ti stiamo cercando da mezz'ora. Vedi di muoverti, dobbiamo tornare a Hamel per fare rapporto. Avrai tempo per un bagno più tardi.» mi rispose a sua volta lei, per poi alzarsi e allontanarsi.
Con la coda dell'occhio vedo i suoi lunghi capelli argentei svolazzare, illuminati dal sole.

«Un bagno, eh?».
Mi alzo, tossendo ancora, e guardo il mio riflesso sull'acqua: gli occhi, per ora privi della devastazione che hanno causato sul mio corpo i continui viaggi spazio-temporali, per un attimo mi sembrano come quello del bambino che mi ha riportato a riva poco fa.
Un barlume di innocenza brilla nel profondo delle mie iridi viola, ma scuoto la testa; io non sono può un bambino. Non sono innocente.

Un ceffone inconfondibile mi riscuote dai miei pensieri.
«Ammirerai il tuo viso più tardi, ora cammina.» mi ordina Eve, tirandomi per la mano che mi ha afferrato.

Sospiro, lasciandomi di nuovo trascinare.
Pazienza... morirò un'altra volta.
Mentre camminiamo guardo in alto, guardo il sole; non me ne ero reso conto, eppure oggi splende così vivace...

Ma sì, dai. Forse è davvero il caso di posticipare la mia morte.
Anche perché, ho l'impressione che tutti quei bambini che mi trotterellano accanto nella mia mente non mi lascerebbero mai dormire per sempre.

Rido, facendo girare Eve, che mi guarda come se fossi totalmente uscito pazzo.
Rido, dondolandomi.
Perché ho voglia di ridere. E' un giorno lieto, forse.
Alzo lo sguardo al cielo, osservando le nuvole chiare come il bambino che non sono più.

«Non è il giorno adatto.»
E i bambini ridono accanto a me.

 
This day isn't the right day for die,
because children are laughing next to me
and I don't want to turn off their smiles
.

I will live for them,
because I killed them;
and they will live through me
.

I'm their big brother,
so please, forgive me, my little brothers.
I'm so sorry, don't hate me.
I'll never forget your sacrifice
and my sins.
   
 
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