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Autore: NoraC    11/01/2015    2 recensioni
"Quel giorno il cielo rosso cupo era spruzzato da nubi di cenere nera; non era una novità, da quando ero nato non avevo mai visto il cielo assumere un colore diverso. Probabilmente era colpa delle fiamme che ardevano perpetue sulle mura della Città, rendendo l’aria torrida e impregnandola di polvere sottile e grigia. C’era chi diceva che altrove, lassù in superficie, il cielo fosse azzurro e che si tingesse di rosa e di rosso con il sorgere e il calare del sole"
Se entrate nella Città non vi lascerà più andare...
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 

La Città

 



E il Signore disse a Michele: “Annunzia a Semeyaza e agli altri che, insieme con lui, si unirono con le donne per corrompersi con esse, in tutta la loro impurità: quando tutti i loro figli si trafiggeranno a vicenda, e quando vedranno la morte dei loro cari, legali per settanta generazioni sotto le colline della terra fino al giorno del loro giudizio e della loro fine, fin quando si compirà l'eterna condanna. E, allora, li porteranno nell'inferno di fuoco e saranno chiusi, per l'eternità, in tormenti e in carcere. E quando Semeyaza brucerà e si estinguerà, da allora, insieme con loro, essi saranno legati fino alla fine delle generazioni. E distruggi tutte le anime del piacere e i figli degli angeli vigilanti perché hanno fatto violenza agli uomini!” 




 

Quel giorno il cielo rosso cupo era spruzzato da nubi di cenere nera; non era una novità, da quando ero nato non avevo mai visto il cielo assumere un colore diverso. Probabilmente era colpa delle fiamme che ardevano perpetue sulle mura della Città, rendendo l’aria torrida e impregnandola di polvere sottile e grigia. C’era chi diceva che altrove, lassù in superficie, il cielo fosse azzurro e che si tingesse di rosa e di rosso con il sorgere e il calare del sole. Mi era sempre sembrata una favola assurda. Qui non esistevano né l’alba né il tramonto e se non fosse stato per le fiamme sulle mura, probabilmente l’intera Città sarebbe vissuta nelle tenebre. Una volta avevo sentito favoleggiare un vecchio, vestito di stracci, seduto sul ciglio della strada polverosa, di una sostanza bianca che talvolta scendeva dal cielo e ricopriva la terra di un manto bianco e freddo. Qui l’unica cosa che scendeva dal cielo era la cenere grigia, che in alcuni giorni formava una nebbia talmente fitta che diventava impossibile sia vedere che respirare.

Distolsi l’attenzione dal cielo, null’altro che un bagliore rossastro, sollevai la mia sciarpa fino sotto gli occhi e attesi appostato al lato del bancone della frutta. Avevo fame, ma era una fame che non poteva essere saziata. Qui i cibi non riempivano lo stomaco, erano soltanto una soddisfazione momentanea per chi poteva permetterselo, cioè molto pochi. Non girava molto denaro per la Città e le monete più frequenti erano quelle di rame o di bronzo; l’oro era talmente raro da essere leggendario. C’erano due categorie di persone nella Città, quelli che della loro fame insaziabile se ne facevano una ragione e chi impazziva; io, fortunatamente, ero tra i primi. Quelli che stavano peggio erano gli abitanti del quartiere dei Golosi; in quella zona i fenomeni di cannibalismo erano molto frequenti nonostante i ripetuti interventi dei Guardiani e le quarantene. Era pericoloso passare per quella zona, in un batter d’occhio potevi ritrovarti nella pentola di qualcuno, ma quale quartiere era davvero sicuro? In quello dei Lussuriosi rischiavi di essere stuprato, in quello degli Iracondi massacrato senza pietà.

Ecco, era il momento giusto. Afferrai una mela dal banco e me la svignai; non abbastanza veloce purtroppo. Dietro di me udii il mercante gridare «Al ladro!» e in breve me lo trovai alle calcagna. Svicolai tra le stradine affollate; nessuno conosceva la Città meglio di me. A uno svicolo me lo ritrovai ancora alle calcagna e piegai a sinistra, poi a destra, di lì a poco vidi ergersi davanti a me l’arcata che introduceva nel quartiere degli Iracondi; speravo che l’uomo non avesse l’ardire di inoltrarsi in quel luogo malfamato, ma mi sbagliavo, a quanto pare il mercante teneva troppo alla propria merce, ma non ero preoccupato, presto non sarebbe più stato in grado di seguirmi, ogni volta che mi giravo scorgevo in lui segni di cedimento. Era un forestiero, non era abituato a respirare quell’aria intrisa di fumo e cenere. Ben presto lo seminai e quando mi fui accertato di non essere più inseguito mi fermai e, lanciando in aria il mio trofeo, esultai.

Improvvisamente qualcuno mi gettò a terra, il frutto mi cadde di mano e rotolò sul terreno fino a fermarsi di fronte a un paio di piedi nudi e grigiastri. Il proprietario di quella carne grigia si chinò per raccogliere la mela, seguendola alzai lo sguardo verso di lui. Sul dorso della sua mano scorsi il marchio: un cerchio contornato da scritte e simboli al cui centro era stilizzata la figura di un cinghiale, il simbolo degli iracondi. Calcolai che doveva essere qui da molto, molto tempo, la pelle dell’uomo era dello stesso grigio della cenere che cadeva dal cielo, incartapecorita e grinzosa, i capelli ormai se ne erano andati da un pezzo, gli abiti erano laceri e lerci. Tutta la sua persona emanava un lezzo misto a marciume, letame e bruciato. Era ciò che accadeva a tutti coloro che venivano qui, la loro carne si rinsecchiva e marciva, esposta agli effluvi venefici del fuoco e della città, o forse per la mancanza di luce e speranza. Nella Città non esisteva la bellezza.

Qualcuno mi sollevò da dietro per il colletto di peso, quasi strozzandomi, e nel movimento la sciarpa che mi copriva parte del volto mi ricadde sul petto.

«Ma guardate cosa abbiamo qui.» disse il capobanda stringendo tra le dita scheletriche le mie guance, poi mi spinse all’indietro, facendomi sbattere contro un altro del gruppo che mi tolse il berretto; i capelli ribelli mi piovvero sul viso.

«Uno nuovo.».

Non era esattamente così. La mia pelle, nonostante la permanenza nella Città, manteneva un aspetto sano seppur pallido, i miei capelli erano folti e neri, gli occhi lucidi, ero forte, più degli abitanti della Città, i cosiddetti Forestieri. La sciarpa, il berretto, i mezzi guanti, tutto il mio abbigliamento servivano a camuffare il mio corpo, perché non era prudente essere “uno nuovo” da queste parti.

«Dì un po’, da quant’è che sei qui, eh?».

Non risposi. L’uomo mi mise la mela davanti agli occhi «Abbiamo rubato il frutto proibito, eh? Come mai sei qui? Che cos’hai fatto?».

Un altro degli uomini del gruppo mi afferrò la mano destra e mi strappò via il guanto a mezze dita, ma sul dorso non c’era alcun segno. Increduli mi tolsero anche l’altro, ma nemmeno sulla sinistra c’era il marchio della mia colpa. Intimoriti mi lasciarono e si allontanarono da me di qualche passo.

«Perché sei qui?» ripeté quello che doveva essere il capobanda, nella sua voce sentii l’incertezza.

Lo guardai dritto negli occhi velati «Ci sono nato.».

«Non… non è possibile… è una menzogna».

Uno degli uomini del gruppo gli si avvicinò «Deve essere il figlio di qualche demone, lasciamolo in pace o non avremo che guai.».

«Nessuno partorisce qui. Nessun dannato.».

Una luce improvvisa illuminò l’aria, ferendo i miei occhi abituati quell’oscurità velata di rosso, seguito da uno squillo di trombe. Gli uomini che mi avevano aggredito si piegarono in due coprendosi gli occhi con le mani. L’intera Città fu illuminata da quella luce calda e bianca, non calda come le fiamme roventi, era un calore diverso, qualcosa di piacevole e rassicurante. La luce si diffuse sempre di più sopra di noi come una cupola e l’aria fu pervasa da un odore dolce e pungente che non sapevo identificare. Erano poche le volte in cui i Vigilanti si spingevano fino qui, questo non era il loro posto e sfuggiva al loro dominio. I Guardiani della Città li disprezzavano perché si ritenevano molto più importanti di loro solo perché abitavano lassù, ed erano belli, puri e immacolati. Doveva esserci stata una violazione, una di quelle gravi, nemmeno ai Vigilanti piaceva scendere fin quaggiù, la loro materia, avevo sentito dire in una parodia della loro altezzosità, tendeva sempre verso l’alto.

Approfittai della disattenzione e del momentaneo sbigottimento per riprendermi la mela dalle mani del dannato, ne spintonai un altro per liberarmi la strada e corsi via, in un batter d’occhio mi ritrovai nella piazza centrale. Mi rifugiai sotto uno dei portici che costeggiava il mercato e ne approfittai per legarmi bene la sciarpa e infilarmi di nuovo il berretto che avevo recuperato prima della fuga. Nascosi per bene il mio volto finché non rimasero visibili solo gli occhi, poi infilai la mela al sicuro, in una tasca sotto la casacca. Tornai con il pensiero all’arrivo dei Vigilanti, se davvero era successo qualcosa di grave allora sarebbero andati a parlare con Lui e non ne sarebbe stato per nulla contento, era meglio tenersi a debita distanza. Nonostante ciò ero curioso di sapere cosa stava succedendo, per carpire le ultime notizie niente era meglio che una passeggiata per il mercato.

Il mercato era la zona franca della città, in esso si mescolava tutto il peggio della baraonda che popolava quella brulicante e gigantesca fornace infernale. Gli odori si rincorrevano l’un l’altro, tentando di sopraffarsi come due galli da combattimento. L’odore della frutta marcia che veniva raccolta nei campi ad est delle mura aleggiava come una punta aromatica in mezzo alla puzza delle carni in putrefazione che marcivano a causa della corruzione, al lezzo della dell’aria fumosa e quello della speranza e della disperazione, che bruciavano come pergamena toccata dalla scintilla di una brace. In mezzo a questi marasma brulicante si vendeva di tutto ma in realtà non si comprava niente, per cui se si voleva qualcosa era necessario rubarla, ameno che non si avessero anni da scambiare, una trovata del governatore.

Originariamente, quando era stato fondato, il posto doveva fungere da via intermedia per quelli che non meritavano di stare di sopra, ma nemmeno di stare di sotto. Il punto era che prima o poi tutti impazzivano, respirando l’aria malsana densa di ceneri e vivendo di stenti, per cui, persa ogni traccia di umanità, o persino prima di questo fatidico momento, compivano un qualche reato che li conduceva alla deportazione. Dato che prima o poi tutti finivano per raggiungere i piani sotterranei, non c’era alcuna ragione di aspettare che combinassero qualche misfatto, era più semplice concedere a ognuno uno svariato numero di decenni da poter utilizzare come moneta per comparare merce al mercato. Una volta che il malcapitato avesse esaurito gli anni veniva portato di sotto. Questo tipo di conio era diventato più prezioso dell’oro, perché nonostante l’esistenza grama che si conduceva nella Città, era pur sempre meglio di quello che si pativa nei luoghi di deportazione, tanto più che quella trovata dei Guardiani sembrava più una presa in giro che una soluzione al sovraffollamento. Il cibo comprato non sfamava e i tessuti venduti erano dei miseri brandelli. Era più consueto ricorrere al baratto, sebbene fossero davvero pochi quelli che giungevano nella Città con qualche bene, per cui era ancora più consuetudine rubare.

Questa zona franca sorgeva al centro della Città e agli estremi della pizza si innalzavano le sette arcate che conducevano ai sette quartieri in cui era suddivisa. I quartieri confinanti possedevano degli accessi secondari per passare dall’uno all’altro, esisteva inoltre una serie di gallerie sotterranee che collegava tutti e sette i quartieri. La via principale era denominata Cardo, ma che veniva più comunemente chiamata il Corridoio, perché collegava le porte della Città con la casa del governatore, situata nel quartiere dei Superbi.

Da un po’ di tempo cercavo di carpire qualche notizia sugli ultimi avvenimenti, senza risultato, quando la mia attenzione fu catturata da un alterco che si stava svolgendo poco più in là al banco della frutta.




Anticipazioni Capitolo 2: Un incontro
«Vuoi dire che sono costretto a stare in questo buco merdoso? Il buco del culo del mondo?».
«Forse non l’hai capito, ma non sei più nel mondo e sei spacciato, per l’eternità.».
L’uomo mi guardò stupefatto per qualche momento, con la bocca semi aperta, poi la richiuse. Si guardò di nuovo intorno. Case che cadevano a pezzi, gente che mendicava per la strada affamata e ingrigita, gli occhi spenti di chi non è quasi più umano e su tutto questo la cenere cadeva fitta attorno a noi, ammucchiandosi sulle nostre spalle e spruzzando di grigio i capelli dell’uomo.

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