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Autore: stayherelou    11/01/2015    1 recensioni
Louis non sa se e quando. Spera solo di farcela.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Louis, che mi continua a dare speranza.
A Harry, lo stesso.
E a chi, nonostante tutto, mi rimane accanto.
Vi voglio bene.





Louis stringe i denti.
Ormai dovrebbe essere abituato, ormai non dovrebbe più fare male, eppure –molto, molto spesso- sente sempre qualcosa di nuovo fargli male proprio lì, all’altezza del cuore.
“Uno schifo, ecco cosa sei, sei uno schifo” continua l’uomo, prima di strattonarlo facendolo cadere sul letto “Guarda come vivi, nel disordine, come tutto, come la tua vita e la tua testa. Non andrai mai da nessuna parte finché rimarrai in questo schifo”
Louis ormai non replica più. Si limita a stringere e i denti e a pensare come –se solo fosse più forte- prenderebbe volentieri suo padre per i capelli spingendolo a forza contro il mobile di legno della sua camera. Anche solo immaginare la scena, immaginare il suo dolore, lo aiuta a scaricare almeno un po’ la rabbia e la tensione. Fa un bel respiro, mentre pensa che no, deve scacciare questi pensieri da instabile mentale, perché alla fine è suo padre e gli vuole bene.
Suo padre ha lasciato la stanza, nel frattempo, non prima di aver gettato a terra entrambe le sedie, facendole cadere con un tonfo, e aver sparso tutti i suoi vestiti sul pavimento. Riesce comunque a sentire le urla dall’altra stanza, parole che ha sentito troppe volte ma che fanno sempre troppo male. Cerca di trattenere un singhiozzo e si sente davvero, davvero, stupido.
“Vorrei vedere chi altro si comporta male come te o è uno schifo come te. Uno peggiore di te non l’ho mai conosciuto, mai. Ti devi solo vergognare di quello che sei, vergognati e basta”
Louis stringe i denti di nuovo, sente la mandibola tremare e allora lo fa un altro paio di volte. Scarica la tensione, lo aiuta.
Vorrebbe dirgli che non ha termini di paragone, che non conosce poi così bene i suoi –pochi- amici o la famiglia che hanno alle spalle.
Vorrebbe ricordargli che ha 18 anni, che non fuma, non beve, la sera non esce mai, neppure il sabato, ha scuola ha i suoi problemi –è vero, ma è sempre riuscito ad ottenere una media più che discreta. Non ha mai saltato una lezione, non ha mai fatto tardi da un’uscita pomeridiana, non gli dice bugie, quando esce non compra mai nulla che non sia un panino per mangiare. Il primo bacio l’ha dato un paio d’anni prima, è stato a stampo, nulla di più, ma è bastato tanto per mandarlo nel panico e farlo vivere con l’ansia per giorni. Non sa cosa sia successo, è un problema che si ripresenta spesso, ma che cerca di ignorare. Non cerca altri problemi nella sua vita come quelli che porterebbe un’eventuale relazione.
Respira di nuovo, questa volta un singhiozzo vero e proprio gli sfugge dalle labbra, seguito da un altro e poi un altro ancora. Si sente debole, si sente schifoso e fottutamente debole.
Vuole andarsene, da questa casa e da questa città, ma non può. Si vede già a 30 anni ancora sotto questo stesso tetto, con suo padre a ricordargli quanto sia un fallito e invece quanto quel bambino che faceva calcio con lui sia diventato un bravissimo allenatore o il suo compagno delle elementari ora sia un medico di prestigio.
“Non ti sei mai applicato nemmeno ad uno sport, mai sei riuscito a portare a termine qualcosa”
Sente ancora dei rumori provenire dalla cucina, l’acqua che si apre e delle stoviglie che sbattono tra di loro.
“Non ti meriti nulla, ti meriti solo di rimanere da solo, poi voglio vedere proprio come fai. Non hai mai avuto una passione, mai un merito—mai, mai!, mi hai portato una soddisfazione.”
Davanti al suo pc, cercando invano una distrazione da quelle parole che sente troppo bene, strizza gli occhi azzurri un paio di volte e sente due lacrime cadergli sugli zigomi.
Rimanere solo. Non meritare nulla. Nessuna soddisfazione.
“Sei vergognoso, vergognoso, non fai mai nulla dalla mattina alla sera. Perdi solo tempo, non ti curi di nulla. Vorrei proprio sapere da chi hai ripreso. Da me non di certo.”
A volte vorrei non esistere, vorrei non essere mai nato.
Le lacrime scorrono più veloci, si preme due polpastrelli sugli occhi ma non serve a nulla. Niente serve.
Si sente un bambino, un bambino di 10 anni che piange silenziosamente, seduto a gambe incrociate sulla sedia, con il viso bagnato dalle lacrime e le labbra rosse per i morsi, mentre si guarda intorno e vede i suoi vestiti a terra, i suoi poster fatti a pezzi sul pavimento.
Sente dolore, dolore al petto. La voglia di uccidersi non ha la meglio solo perché ha speranza, perché qualcuno che gli da’ speranza ancora c’è, speranza che un giorno questo cambi. Speranza che ne esca più forte di prima, che queste frasi non incidano per sempre sulla sua vita. Sente di sbagliarsi ma non ci fa troppo caso, non può eliminare anche l’unica e sola speranza della sua vita.
Può e deve farcela. Magari non ora, magari non oggi, magari nemmeno domani.
“Sei una vergogna, tu e la merda in cui vivi. Devi solo vergognarti dello schifo che sei, dello schifo che fai. Ti si ritorcerà tutto contro, tutto. Non avrai mai nulla di bello, perché tu sei cattivo—sei cattivo dentro, cattivo nell’anima.”
Mentre ascolta ancora e ancora parole come queste, Louis non sa se e quando.
Spera soltanto di farcela, in qualche modo.

 
  
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