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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    12/01/2015    1 recensioni
Incredibile quanto la guerra e la perdita possano sconvolgere la vita delle persone.
Ellie Nightshade e Henry Faircross lo sanno bene.
Nella prima guerra contro Valentine entrambi hanno perso tutto: la propria famiglia, la propria casa, le proprie certezze...
Quando Magnus Bane li porta via da Idris diretto all'Istituto di New York, sono ben consci che l'unica cosa su cui potranno fare affidamento sono loro stessi.
Per questo decidono di diventare Parabatai.
Perché avere un Parabatai vuol dire proteggersi a vicenda, amarsi incondizionatamente, essere amici, fratelli ed essere pronti a sacrificare tutto per la felicità dell'altro: essere una famiglia.
Quando la guerra mortale minaccerà di distruggere ogni cosa ancora una volta, i Cacciatori dell'Istituto di New York si ritroveranno a combattere non solo contro i Demoni evocati da Valentine e Sebastian - intenzionati a creare una nuova stirpe di Shadowhunters - ma anche contro quelli che si annidano nelle loro anime e dovranno essere pronti a perdere tutto pur di proteggere coloro che amano.
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Love Turns to Ashes
 
IV
Convalescenza
 
 
 - Hodge! Hodge! - le mie grida fendono l’aria e rimbombano nell’ingresso dell’Istituto. La grande struttura sembra completamente vuota, ma so bene che a causa di una maledizione lanciatagli dal Conclave come punizione, Hodge non può lasciarla nemmeno per una passeggiata.
 Continuando a reggere Henry, ormai sempre più pallido e debole, percorro i grandi corridoi che portano alla biblioteca. Le torce di stregaluce illuminano con una pallida luce bianca i quadri e le armature che adesso sembrano fantasmi emersi dalle pareti.
 Quando raggiungo la grande sala, apro la porta con una gomitata ed entro.
 Il mio tutore, seduto alla scrivania e intento a leggere un libro, solleva lo sguardo.
 - Eleanor! - esclama - Cos’è successo? -
 - Nel Bronx - comincio - era un Demone Superiore. Ha ferito Henry. Ho provato a guarirlo con un iratze, ma non funziona. - mi avvicino ad un divanetto e faccio sedere Henry, ormai quasi privo di sensi.
 - D’accordo. Portiamolo in infermeria. Aiutami. - mi dice Hodge dopo averlo osservato per un momento.
 Lo prendo per la vita e mi isso un braccio sulle spalle e con l’aiuto del mio tutore lo sollevo.
 
 Dopo un’ora Hodge si allontana dal letto su cui Henry è sdraiato. Sta dormendo e le cure del direttore sembrano far effetto.
 - Quell’iratze gli ha salvato la vita. Se non ti fossi accorta della ferita, non so se Henry sarebbe ancora vivo. -  mi dice, poggiandomi una mano sulla spalla. Annuisco, continuando ad osservare il mio amico.
 - Ora deve riposare. - conclude.
 - Rimango qui con lui. - affermo decisa.
 - Anche tu dovresti riposare. - mi consiglia Hodge con apprensione.
 - Sto bene. Riposerò qui. - concludo e mi siedo sulla sedia accanto al letto dove è disteso il mio parabatai.
 Hodge annuisce, mi augura una buona notte ed esce chiudendosi la porta alle spalle.
 
 Sono rimasta seduta per più di un’ora, così, per sgranchirmi le gambe, mi alzo dalla sedia e mi avvicino alla finestra.
 Il buio avvolge ogni cosa. I lampioni illuminano le strade creando cerchi argentati sull’asfalto e la città e totalmente vuota.
 Sospiro e torno a sedermi.
 Osservo il viso di Henry, illuminato dalla debole luce delle lanterne dell’infermeria. Le sue guance sono di color rosso vivo, così sfioro la sua fronte con una mano. La febbre è ancora alta, ma con le cure di Hodge, entro domani mattina starà meglio.
 L’orologio sopra la porta segna la mezzanotte. Il ticchettio rimbomba nella sala producendo un rumore quasi assordante, ma comunque rilassante.
 Dopo mezz’ora, stanca per la lunga giornata, poggio la testa sul materasso accanto a quella di Henry e mi addormento.
 
 Mi sveglio di soprassalto qualche ora dopo.
 Henry, muovendosi, deve avermi sfiorata con un braccio. Vedo che si muove convulsamente, il respiro è affannoso e il suo corpo è madido di sudore.
 Sono le quattro del mattino e quindi non posso svegliare Hodge, anche perché ha già fatto tutto il possibile per aiutarlo; così mi alzo dalla sedia e mi dirigo verso l’armadio. Devo tenere la testa di Henry al fresco per abbassare la febbre. Apro le ante e prendo una delle bacinelle impilate ordinatamente alla mia destra, la riempio d’acqua e prendo un pezzo di stoffa.
 Poggio il contenitore sul comodino accanto al letto di Henry, intingo il fazzoletto nell’acqua fresca, lo strizzo per far uscire quella in eccesso e lo poggio sulla fronte del mio amico.
 Lui, sentendo freddo, apre gli occhi.
 - Ellie… Dove…? - ansima.
 - Shh. Stai tranquillo, siamo all’Istituto. Hodge ha sistemato la ferita, ma ci vuole un po’ perché le cure facciano effetto. - spiego, continuando a tenere il fazzoletto sulla sua fronte - Hai freddo? - aggiungo.
 Lui annuisce, così prendo una coperta dal letto accanto e la stendo su di lui.
 - Non andartene. - mi sussurra, vendendo che mi sto alzando nuovamente dalla sedia.
 Intingo ancora il fazzoletto e lo pongo nuovamente sulla sua fronte, facendolo trasalire. - No, Henry. Non me ne vado. Rimango qui. - lo rassicuro e mi siedo sulla sedia.
 Lui annuisce ancora, rincuorato. - Puoi sdraiarti qui con me? - domanda ad un tratto.
 Io esito. Sdraiarmi con lui? Non siamo più bambini. Siamo cresciuti e da un po’ non dormiamo nello stesso letto.
 - Ti prego. Ho freddo. - mi implora.
 Dopo un altro momento di esitazione, annuisco e quando lui solleva le coperte, mi sfilo gli stivali, la cintura e la giacca. Indosso una canottiera bianca e i pantaloni da battaglia che non ho ancora avuto il tempo di togliermi.
 Mi infilo sotto le coperte e Henry mi circonda con un braccio facendolo passare sotto la schiena e io appoggio la testa nell’incavo del suo collo.
 Sento il calore del suo corpo bollente per la febbre; poggio una mano sul suo petto scolpito e come lui, pochi minuti dopo, mi addormento.
 
 - Ellie? - mi sento chiamare.
 Quando apro gli occhi, vedo che Alec è in piedi accanto al letto. Avvolta dal torpore del sonno, mi sollevo su un gomito. Henry, accanto a me è steso sulla schiena e continua ad avvolgermi con un braccio.
 Mi metto a sedere.
 - Alec. - dico, ancora assonnata - Ciao. -
 - Hodge mi ha detto di Henry. Come sta? - domanda.
 Scuoto il capo per scacciare via il sonno e poi parlo. - Aveva ancora la febbre, ma adesso dovrebbe stare meglio. -
 Lui annuisce e mi porge la mano; l’afferro e mi metto in piedi.
 - Tu come stai? - domanda ancora lui, reggendomi mentre mi infilo gli stivali.
 - Bene. Insomma, un po’ indolenzita, ma non è nulla. - spiego.
 Mi porge la giacca e quando mi muovo per infilarla, una fitta di dolore mi costringe a fermarmi.
 - Tutto ok? - domanda lui.
 Annuisco, ma un’altra fitta al petto mi colpisce.
 - Devi avere qualche costola rotta. - afferma - Sdraiati, così posso dare un’occhiata. -
 Obbedisco e mi stendo sul letto accanto a quello di Henry, ancora profondamente addormentato.
 Alec mi solleva la canottiera fino a scoprirmi la pancia. Tasta le costole con le mani e sentendomi gemere, diminuisce la pressione.
 - Hai una costola rotta e una incrinata. - constata. Mi dice di sfilarmi la canottiera.
 Il reggiseno nero spicca sulla mia pelle pallida e costellata di lividi causati dalle innumerevoli cadute.
 Alec prende lo stilo dalla tasca e lo impugna. Traccia un iratze sul mio addome e quando il disegno ha preso forma, solleva lo stilo e lo ripone nuovamente nella tasca dei pantaloni. - Devo bendarti, così non rischi di romperle mentre si ristabilizzano. -
 Annuisco; lui mi aiuta ad alzarmi e mi dice di rimanere in piedi.
 Alec si avvicina all’armadio delle scorte e prende delle bende. Mi si avvicina e mi chiede di sollevare le braccia, poi comincia a fasciarmi: le bende proteggeranno le costole da altri urti.
 Poggio le mani sulle sue spalle e attendo che lui finisca il lavoro. Fa un nodo sulla schiena, per tenerle ferme e liscia lo strato di bende facendo scorrere le mani sui miei fianchi.
 - Ecco fatto. - dice.
 - Grazie, Alec. - lo ringrazio.
 Un rumore ci costringe a voltarci.
 Henry si è svegliato e ci sta osservando perplesso.
 Allontano di scatto le mani dalle sue spalle e lo stesso fa lui.
 - Henry. - comincio - Come ti senti? -
 Lui inarca le sopracciglia scure. - Bene. Tu che cos’hai? - domanda con voce flebile, vedendo che, a parte bende e pantaloni, il mio unico indumento è una capo di biancheria.
 - Qualche costola incrinata. - spiego, voltandomi.
 Alec, intanto, ha riposto le bende nell’armadio e si è avvicinato nuovamente per porgermi la canottiera. La prendo dalle sue mani e sorrido. - Grazie. - dico.
 Lui si schiarisce la voce, saluta Henry con un cenno della testa ed esce lanciandomi un ultimo sguardo fugace, mentre sono ancora intenta ad infilarmi la canottiera.
 Una volta che Alec è uscito dall’infermeria, mi siedo sulla sedia accanto al letto di Henry e poggio la mano sulla sua fronte, poi sorrido.
 - La febbre è passata. - affermo.
 - Grazie per essere rimasta, questa notte. - sbotta lui.
 Sorrido ancora. - Nessun problema. - rispondo.
 Lui si solleva sulle braccia e si mette a sedere. - Sai com’è andata la caccia al Pandemonium? - domanda.
 - Sicuramente meglio della nostra. - affermo sicura.
 - Senza dubbio. - ride lui.
 Rimaniamo ad osservarci per un po’.
 Alla fine, dato che nessuno dei due parla o dà segno di volerlo fare, mi alzo lentamente dalla sedia e verso l’acqua, che era nella bacinella sul comodino dalla sera precedente, nel lavandino in marmo bianco. 
 - Vado a prenderti dei vestiti puliti. - dico prima di uscire chiudendomi la porta alle spalle.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Come promesso, rieccomi qui con il quarto capitolo!
Spero tanto che vi piaccia!
Fatemi sapere.
E lunedì.
Eli, xX__Eli_Sev__Xx
 
 
 
 
 
 
   
 
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