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Autore: Non ti scordar di me    12/01/2015    0 recensioni
Al mondo esistono tanti tipi di amori: gli amori adolescenziali, gli amori infantili, gli amori genuini….E poi ci sono loro. Sono solo dei ragazzi con delle storie diverse.
Ci sono Elena e Harry. Sono due fratelli e non si vedono da anni.
Al ritorno di lui cosa succederà? Il loro è un amore proibito. Uno di quegli amori che ti consumano fino alla fine, soffocandoti dolcemente.
Ci sono Elisabeth e Nathan. Loro sono solo due ragazzi con vita e modi di fare differenti.
Avete presente l’amore delle fiabe? Il principe azzurro? Il cavallo bianco? Dimenticatelo. Il loro è un amore malato. Uno di quegli amori di cui diventi solo schiavo. E non puoi fare niente se non aspettare che quella scintilla si esaurisca.
Dalla storia:
«No, coglione! Non posso reggere di perdere te e basta! Perché ti amo. Perché ti amo. E ora vai e sfracellati, non m’importa!» Grugnì con lo sguardo in fiamme.
*
«Perché vai da un maledetto strizzacervelli?» Nathan era fuori di sé.
«Ne ho bisogno.»
«Di cosa?»
«Di essere curata da te. E da questa cosa che mi divora dentro!» Gli urlò Elisabeth, stanca di quei giochetti.»
*
A voi l’ultima parola.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
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Capitolo uno.
 
Tutto passa. E, purtroppo, talvolta ritorna.
Roberto Gervaso, La volpa e l’uva, 1989.
 
Una ragazza dai lunghi capelli castani chiuse con stizza l’armadietto e con un cipiglio sul volto decise di uscire da quell’edificio per avviarsi alla biblioteca del campus.
«Buongiorno, splendore!» La salutò una voce familiare che riconobbe come il suo migliore amico. Elena non sapeva se considerarlo ancora tale. Di sicuro il loro rapporto era cambiato molto in quei tempi, in particolar modo quell’estate. La dichiarazione del ragazzo aveva innalzato tra i due un muro che impediva che il loro rapporto ritornasse com’era prima.
«Andrew, non è giornata.» Commentò con un diavolo per capello. Elena era fatta così, ma ormai il ragazzo la conosceva bene. A volte si alzava la mattina e decideva che quella era una delle sue tante giornate NO, una di quelle giornata in cui il tuo umore era incredibilmente fatto a pezzi senza un reale motivo.
Quello che Andrew non sapeva, però, era che c’era eccome un motivo. Un motivo che l’avrebbe resa così per molto tempo.
«Una giornata no?» La provocò il biondo trattenendo a stento una risata. Elena alzò gli occhi al cielo e s’inumidì le labbra, pronta a rispondere.
«Quale parte del non è giornata, non ti è chiara Andrew?» Tuonò. La ragazza, però, si pentì immediatamente di quelle parole dette di getto. Gli occhi dell’amico si abbassarono imbarazzati e iniziò a giocherellare con uno dei suoi tanti bracciali.
«No, io…Scusa, veramente, solo che non è una buona giornata.» Continuò, girandosi di spalle. Sapeva che il suo amico la stava seguendo, perciò non accelerò di tanto il passo.
«Bene, ci sentiamo più tardi?» Le chiese speranzoso. Era quello che Elena odiava di Andrew. Detestava quello che il loro rapporto era diventato. Ormai non poteva più fare la stupida con lui, non poteva più fare i suoi soliti commenti…Il loro rapporto di amicizia era cambiato e lei dava la colpa irrimediabilmente a lui. Perché era lui che tra i due aveva ceduto. Era lui che si era innamorato, non lei.
«Ti mando un messaggio.» Lo liquidò con un’alzata di spalle, prima di filare dritto verso l’uscita. Non fece neanche in tempo a metter piede fuori l’uscio, la voce squillante di una ragazza la fece girare.
«Elena! Elena!» La sua amica – lei insieme ad Andrew si conoscevano fin da piccoli – correva a perdifiato verso di lei. Come sempre i capelli rossi erano raccolti in un’acconciatura complicata e sul suo volto c’era sempre quel sorriso che la distingueva.
«Liz, ti prego, non mi chiedere di accompagnarti a fare shopping!» La pregò Elena. L’amica rise rumorosamente, ma non disse niente. Si prese alcuni momenti per osservarla: i lineamenti tesi e la mente da un’altra parte. Le stava, senza dubbio, succedendo qualcosa.
«Qualcuno non è di buon’umore, eh?» La sfottò la rossa. Il silenzio dell’amica accanto parlò da sé. Liz aveva preso in pieno il problema, oggi c’era qualcosa che turbava Elena. «Dai, andiamo in caffetteria. Mi racconterai tutto lì davanti ad un caffè.» Le ordinò prendendola sotto braccio.
Elena quasi per un momento fu persuasa dall’idea di Elisabeth, ma dopo si rese conto che quello che doveva fare non poteva essere assolutamente rimandato ad un altro giorno.
«No, Liz, veramente non posso. Ho un test di trigonometria, dovrei andare in biblioteca.» Le disse l’altra scrutandola seriamente.
«Tu vai in biblioteca, io ti aspetto in caffetteria. Ordino due caffè forti – si girò verso l’amica prima di uscire da lì – uno è il tuo!» Le comunicò, lasciandole un bacio. Così si ritrovò con un sorriso sulle labbra e si chiedeva quanto potesse essere convincente la sua amica.
Si sentì fortunata, almeno il college che frequentava non era molto grande. Era semplice spostarsi così da un campus all’altro, anche se il Trismont college non poteva essere paragonato ad uno dei grandi college che aveva sempre voluto frequentare da piccola.
Sospirò e si avviò verso la biblioteca a passo deciso.
Il passato va ignorato, pensò la ragazza.
 
*
La memoria si blocca. Ma è ancora lì tutta intera.
Anche le cose più dimenticate si ripresentano, ma quando vogliono loro.
E.Canneti, Il cuore segreto dell’orologio
 
Un ragazzo dagli occhi chiari e limpidi osservava con un tenue sorriso quell’enorme casa che aveva di fronte. Era immersa nella natura e anche se ormai era messa male – con qualche crepa di troppo e il colore sbiadito – rimaneva sempre la casa in cui passava le primavere con la sua famiglia.
Harry si ritrovò a pensare a come si sia ridotto in quello stato quell’enorme casa, forse nessuno era venuto più in quegli anni.
A grandi falcate scese si avvicinò sempre più ed estrasse dalla tasca un paio di chiavi. Non credeva che a distanze di secoli, suo padre non avesse cambiato la serratura della casa.
L’esatto di ciò che pensava mamma. Pensò il ragazzo dai capelli scuri che infilò la chiave nella toppa e girò lentamente. Quella casa era abbandonata da anni, probabilmente il padre non aveva neanche pensato di disfarsene o di cambiare serratura.
E pensare che la madre prima di partire si era raccomandata di non crederci troppo. Ora, invece, quell’enorme casa era davanti a lui.
Dalle foto che aveva visto e dagli sfocati ricordi che aveva, se la ricordava simile. Entrò lentamente dalla porta principale e si mise le chiavi in tasca.
Era completamente chiusa. Le persiane erano abbassate e le tende chiuse. La luce filtrava solo dalla porta che il giovane aveva lasciato aperta.
Si fermò non appena il suo sguardo cadde su una fotografia che era all’ingresso. Era una foto che si erano scattati anni prima.
Si ricordava di quanto l’avevano fatta. Era primavera e se i ricordi non lo ingannavano era stato suo fratello minore ad insistere per quella dannata fotografia.
Già, suo fratello minore. Chissà com’era diventato. Nella fotografia era un tenero bambino di quattro anni con le guance paffute e gli occhi verde smeraldo.
Quant’è cambiata mamma. Si ritrovò a pensare Harry, osservando quella fotografia. Lì aveva su per giù trentacinque anni, o almeno ne dimostrava pochi. I capelli erano di un castano scuro, quasi mogano e le labbra – ricoperte da un rossetto opaco – erano incurvate in un sorriso. La sua pelle era liscia, senza una ruga di espressione.
Mantiene sempre lo stesso sguardo. Costatò poco dopo. Per quanto fosse invecchiata in quegli anni rimaneva sempre una bella donna e quello sguardo vivace e brillante non era cambiato in quegli anni.
«Chissà com’è diventata Elena…» Continuò – questa volta – ad alta voce. La decisione di ritornare da suo padre era stata la cosa più idiota che decidesse di fare, questo lo sapeva bene; ma lo sguardo della madre distrutto lo avevano convinto.
Perché Harry sapeva che la lontananza forzata da Londra non l’avrebbe aiutato. La lontananza fomentava solo i suoi ricordi che s’intensificavano sempre più.
Il corvino non era affatto contento di essere ritornato in quella città. Non voleva incontrare quello che rimaneva della sua famiglia e soprattutto non voleva rimanere col padre. Era solamente colpa sua se il matrimonio della sua famiglia era fallito.
Dai racconti che era riuscito ad estorcere a sua madre – era stata un impresa convincerla a raccontargli qualcosa – aveva capito che la fine del matrimonio era colpa solo di Micheal. Harry si rifiutava di chiamarlo papà, non gli veniva naturale.
Così come non gli veniva naturale vedersi in una casa con altri due ragazzi che scorrazzavano in giro. Ormai si era abituato alla sua vita da “figlio unico” e ritornare qui dal padre e i fratelli era strano.
Un effetto particolare. Perché lui non l’avrebbe mai ammesso ma aveva paura di non sentirsi a casa. Di non sentire l’affetto dei suoi fratelli e di suo padre. Per quanto in quegli anni non si era mai fatto sentire né con loro né col padre, si era sorpreso di come Micheal avesse accettato di buon grado la sua presenza qui.
Forse voleva aggiustare le cose? Ma non c’era niente da aggiustare. Se la sua famiglia era stata divisa non era di certo colpa sua.
Con un cipiglio sul volto, posò quella fotografia da dove l’aveva presa e si guardò attorno un’altra volta.
Quella visita in quella casa gli aveva fatto male. Perché la famiglia di quella foto, non era la famiglia che vedeva ora. Non poteva essere la stessa. Mancava la madre per essere la stessa. Mancava l’armonia per essere la stessa.
Mancava tutto.
Così velocemente si chiuse alle spalle quella casa e sospirò una volta fuori.
Non aveva alcuna voglia di ritornare a casa sua in quel momento.
Sorrise. Aveva fatto bene a prendere il volo anticipato. Almeno poteva abituarsi a quella cittadina così diversa da Londra e poteva schiarirsi le idee.
Ma un pensiero lo stava tormentando: come avrebbe reagito davanti ai suoi fratelli? Come doveva comportarsi con dei ragazzi che non vedeva da quando aveva solo sei anni?
 
*
La paura è una pessima consigliera.
Giorgio Bassani.
 
Elisabeth era in coda alla caffetteria del college e tanti pensieri le affollavano la mente. In realtà, non voleva ammettere a sé stessa di avere paura. Una spropositata paura verso la sua amica. E non era quel tipo di paura infondata, quella paura che nasceva dopo un litigio o dopo un evento particolare…No, Elena si era dimostrata fin da piccola una buona amica ma aveva la capacità di portare rancore in modo spaventoso e di quello lei era spaventata.
Aveva paura che la sua amica avesse iniziato a covare per lei del rancore, del rancore fondato su un suo errore. Un errore madornale che non poteva essere più aggiustato.
E lei e la sua amica ne avevano fatti di errori, fin da quand’erano piccole avevano capito che loro due insieme formavano una di quelle coppie di amiche strane e a tratti romanzate che, ai giorni d’oggi, non trovavi più.
Anche se Liz non l’aveva ammesso apertamente, la sua paura era fondata sul perdere la sua migliore amica.
Si consolò pensando che se avesse scoperto il suo segreto a quest’ora non le avrebbe già parlato e di sicuro Elena non era così calma e composta da parlarne delicatamente davanti ad una tazza di caffè fumante.
Elena chiudeva e stroncava i rapporti da subito.
Non ha scoperto niente. Devo solo calmarmi. Pensò la rossa giocando nervosamente con una ciocca di capelli che era caduta dall’acconciatura.
Si massaggiò le tempie col pollice e l’indice e una volta che arrivò il suo turno sorrise educata al cassiere che la invitava a parlare.
«Due caffè…» Ci pensò su, prima di continuare. «Entrambi molto forti.» Continuò. La sua amica non era l’unica ad aver bisogno del caffè. Anche a lei serviva per distendere i nervi.
Aspettò lì all’incirca due minuti pensando al da farsi e a come comportarsi col ritorno dell’amica dalla biblioteca.
«Ecco a te.» Le disse il ragazzo porgendole i due caffè forti. Liz poggiò lì un paio di dollari e si guardò attorno alla ricerca di un posto dove sedersi. La sua attenzione fu catturata da un volto familiare, oh sì. Ora lui l’avrebbe sentita, eccome!
A passo sicuro si avviò verso il suo tavolo e non si preoccupò minimamente di farsi notare da lui che la stava ignorando normalmente e si stava buttando a capofitto in una lettura alquanto noiosa.
La ragazza si prese pochi istanti per squadrare quel viso che era contratto in un’insolita espressione pensierosa e quella labbra – che lei amava – erano incespicate in una forma strana.
Visto il suo silenzio, si accomodò al tavolino stringendo nelle sue mani i caffè forte che aveva preso.
«Oh, gentile da parte tua prendermi un caffè.» Commentò serafico il ragazzo. Gli occhi verde foglia incontrarono quelli della ragazza scuri e per un momento si chiese qual’era il motivo per cui era arrabbiata.
Elisabeth, non farti ingannare. Si ripeté mentalmente. Alzò la testa e si aggiustò una ciocca che era sfuggita alla sua accurata pettinatura.
«Non è per te.» Replicò con un tono inacidito. A quel tono così indisponente, il ragazzo alzò un sopraciglio e l’espressione – prima infastidita da ciò che stava studiando – si trasformò in divertita. Quella piccola rossa non usava mai questi tono, perché ora era…così incattivita?
«Betty, qual è il problema?» Le chiese chiudendo il libro di filosofia. Avrebbe studiato più tardi, ora aveva altro a cui pensare. E quell’altro indicava quella ragazza mingherlina dai lunghi capelli rossi che ora lo stava guardando arcigna.
Elisabeth storse il naso per quel fastidioso sopranome, ma fece finta di ignorarlo.
«Tu.» Rispose piccata assottigliando lo sguardo. Nathan si sorpresa del tono convinto che stava usando, anzi si stava piacevolmente divertendo.
«Questa l’ho già sentita. L’ultima volta che me l’hai detto è stata ieri sera alle nove.» Mise su quell’espressione da cucciolo che funzionava di solito con lei, ma questa strategia non funzionò. Almeno non oggi.
Elisabeth lo guardava sempre con la stessa espressione seria e immutabile, non si era smossa a quella faccia – che reputava infinitamente dolce – e aveva mantenuto la sua posizione dritta con gli occhi concentrati su Nathan.
«Lo sai, già. Sai perfettamente quanto ti odi, esatto!» Sbuffò lei, iniziando a pensare a cosa ribattere. Se lo odiava, perché diamine si era seduta con lui? Perché era stata attratta lì. Ogni singola cellula del suo corpo l’avevano condotta lì, da lui e ora non sapeva che fare. E quando si era trovata a fare i conti col cuore che pregava di andare lì a infastidirlo e con la parte razionale che le urlava di sedersi altrove, le sue gambe l’avevano condotta a quel tavolino.
«So perfettamente quanto mi odi. Perciò, di grazia, come mai sei qui?» Le chiese candido Nathan toccandosi i capelli mogano in segno di nervosismo. Quel segno però fu interpretato male dalla ragazza che faticava a concentrarsi su di lui e su ciò che doveva dirgli, quel suo sistemarsi i capelli lo rendeva solo più sexy.
«Elena, oggi, è di malumore. Immaginavo che tu potessi saperne qualcosa.» Si riprese immediatamente che in fondo era una mezza bugia.
«Immaginavi male, Elisabeth.» Disse con una scrollata di spalle. Sistemò repentinamente i suoi libri nella tracolla e le sfilò di mano il caffè da cui bevve un sorso.
Neanche lui ha idea di cosa la turbasse? In questo modo l’ansia della rossa cresceva sproporzionalmente.
Nathan si beò dell’espressione sconvolta della ragazza e sorrise divertito. Parlare con lei era una continua scoperta.
Si alzò dal tavolino portando con sé quel caffè, ma non si allontanò più di tanto perché la voce squillante di Liz gli arrivò dritto alle orecchie.
«Non ti ho detto che potevi berlo!» Gli urlò. Si era alzata dal tavolino e l’aveva raggiunto con pochi passi.
«Ho preso solo un sorso.» Costatò lui con una semplice alzata di spalle. Quell’aria angelica gli donava, perché con quel viso e con quel sorriso era difficile odiarlo. E, in realtà, per quanto Elisabeth volesse odiarlo non ce la faceva proprio.
«Ripeto: ti odio.» Scandì quelle parole vicino alle sue labbra con voce ferma tentando più di convincere sé stessa che lui.
«Ti odio anch’io, Betty.» La sfotté un’ultima volta con quel sopranome che lei odiava tanto, prima di stringere a sé quello scricciolo e poggiare le sue labbra su quelle della ragazza.
Un bacio a stampo, niente di più. Uno sfioramento di labbra.
Dopo di che, Nathan se ne andò a passo stanco – sempre col mio caffè. Aggiunse mentalmente Elisabeth.
Solo, però, dopo una decina di minuti si rese conto che quel ragazzo l’aveva lasciato un bacio a stampo sulle labbra.
Se le inumidì leggermente e sorrise, come un’ebete, sentendo su di sé il suo sapore.
Ora sa di caffè amaro. Pensò, avviandosi nuovamente verso la caffetteria per prendere un altro caffè per lei.
E tristemente notò come la paura di perdere la sua amica si era eclissata vicina a quel ragazzo.
 
*
Chi ha l’occhio, trova quel che cerca
Anche ad occhi chiusi.
Italo Svevo, Marcovaldo, 1963.
 
Harry si guardava intorno. Quel college era piuttosto piccolo. Non aveva idea del perché ci stesse perdendo tempo, considerato che a Londra aveva lasciato incompleti gli studi…forse era stuzzicato al pensiero di trovare una bella collegiale.
E in effetti i suoi occhi azzurri caddero poco più avanti su una figura snella che camminava a grandi passi verso chissà dove.
La osservò, prima di pensare al da farsi. Aveva dei lunghi capelli castani che ricadevano – come una cascata di cioccolato – dietro la schiena in morbidi boccoli, i fianchi erano piccoli e il sedere ben proporzionato.
Voglio vedere il suo viso. Fu quello il pensiero di Harry, così anche lui accelerò il passo fino ad arrivare quasi dietro di lei.
Chissà come si chiama. Pensò ancora il ragazzo. Quel comportamento era inquietate, anche se per lui era normale. Amava stare in posti affollati, così aveva più scelta riguardo le belle ragazze e ora la sua attenzione era preso da quella sconosciuta che filava verso la biblioteca.
Entrò prima lei ed Harry si chiese se era il caso di continuare con quel piano. Non ci riflettè più di tanto, non passarono neanche una ventina di minuti che entrò subito dentro guardandosi attorno.
Per essere un college piccolo, la biblioteca era ben fornita. C’erano diversi scaffali e non poteva – non voleva – perdere tempo a cercare quella ragazza, così si avviò verso la bibliotecaria che era concentrata su un libro.
«Signora…» Catturò la sua attenzione. «Mi saprebbe indicare, cosa cerca l’ultima ragazza che è entrata qui? Alta più o meno così – indicò la sua altezza – capelli lunghi e scuri…» Non continuò con la sua descrizione poiché la signora gli fece subito intendere di aver capito di chi stesse parlando.
«E’ andata da lì.» Gli indicò la libreria più lontana e polverosa. Lui annuì e si limitò ad un semplice grazie. «Perché la cerchi?» Continuò curiosa. Il corvino non si fece perdere in contropiede, sorrise leggermente e si schiarì la voce.
«Le avevo detto che l’avrei raggiunta in biblioteca per studiare.» Prese la prima scusa che gli venne in mente e dopo aver sorriso un’ultima volta s’incamminò verso quell’angolino, ma decise di nascondersi dietro la libreria.
Voleva solamente osservare quella ragazza.
Era di spalle e borbottava imprecazioni una dietro l’altra, sempre più infastidita. Stava cercando qualcosa. Harry la spiava tra gli spazi dei libri e trattenne una risatina per i suoi modi di fare buffi.
«Finalmente.» Disse a voce poco più alta. Teneva tra le mani un libro e anche il ragazzo mentalmente si disse finalmente, per tutto quel tempo non si era mai girata. Solo ora aveva rivelato – inconsapevolmente – il suo volto: aveva i tratti delicati, delle labbra rosee e piene e gli occhi – incorniciati da un trucco che la risaltavano – erano nocciola. E la cosa più sorprendente era come quegli occhi non risultassero banali o scialbi.
Quella ragazza era affascinante, eppure non era il prototipo di bellezza preferito da Harry. Fin’ora aveva riposto la sua attenzione su delle belle ragazze alte e dai lunghi capelli biondi, con fisico invidiabile e movenze lascive.
Aveva sempre pensato che le ragazze più belle fossero quelle bionde, forse le reputava più belle? Più rare? Allora perché, in quel momento, quella ragazza gli era sembrata diversa?
Una bellezza esotica. L’aveva definita mentalmente.
Ridacchiò più forte e si appoggiò un po’ troppo su uno scaffale, facendo cadere un libro che provocò un tonfo sordo a terra.
Fu così che Elena si concentrò di più sulla libreria dietro la quale lui era nascosto.
Gli venne in mente, al ragazzo, un’idea geniale. Si schiarì la voce e provò a renderla più raschiata, più bassa.
«Trovato ciò che cercavi?» Il tono gli risultò strano e irreale. Elena alzò un sopraciglio a quella voce e girò attorno a sé stessa.
«Certo.» Rispose sulla difensiva lei, provando a capire dove si trovasse questo ragazzo che la stava prendendo in giro.
Non voleva perdere tempo, già non era di buonumore…Mancava solamente questo sconosciuto con questa voce finta e questo modo di abbordare piuttosto squallido.
«Perché non ti fai vedere e non ti nascondi dietro una libreria?» Questa volta fu lei a ridacchiare, mentre Harry la guardava quasi ipnotizzato. Una ragazza molto sicura di sé. Anche se quell’aggettivo non rendeva l’idea che ora si era fatto, più la guardava più le infondeva un’aria combattiva e quasi infastidita di quelle attenzioni.
«Smettila di girare in tondo, come un’idiota. Sono dietro la libreria da cui è caduto il libro.» Riprese lui la parola. La ragazza si girò verso la direzione di quella libreria e sbuffò.
Mi ha chiamata idiota? Pensò stringendo le mani in due pugni. Storse il naso per tutta quella confidenza che si era preso e s’inumidì le labbra, aveva già in mente il modo per ribattere.
«Non hai il coraggio di mostrare la faccia?» Continuò a sfotterlo la mora che non tratteneva il suo sorriso divertito in volto.
«Mi piace questo mistero…e mi piacciono le belle ragazze. Cosa ne pensi?» Quella bella frase l’avrebbe fatta cedere in un brodo di giuggiole, no? – Le altre ragazze con cui ci aveva provato erano cedute fin da subito.
«Penso che se ti potessi vedere ti prenderei a calci in culo per questi giochetti insopportabili.» Commentò delicatamente – per quanto delicata potesse risultare la sua risposta ovviamente –. Harry sgranò gli occhi, quella era la conferma di ciò che sospettava.
Quella ragazza non era una facile. Doveva abbandonare già i suoi piani.
«Calma, tigre!» La buttò sull’ironia con l’intenzione di farla rilassare. Quella sconosciuta era tesa come una corda di violino, Harry poteva notarlo solo da come le sue mani erano chiuse a pugno e dal suo stare sempre all’erta.
«Non chiamarmi tigre.» Scandì lentamente Elena, serrando i pugni infastidita. Non era possibile che capitassero tutta a lei. No. Proprio no. Non era normale incappare in un’idiota non appena aver saputo che il peggiore tra tutti stava ritornando a casa.
«Bel temperamento, mi piaci.» Le confessò il corvino aspettandosi una reazione quantomeno normale per una ragazza, ma lo sorprese ancora. Scoppiò in una risata divertita, lasciando Harry senza parole. «Come m’immagini?» Continuò ancora.
Quella moretta lo incuriosiva. E non lo incuriosiva come lo incuriosivano le ragazze a Londra. No, semplicemente gli interessavano i suoi modi strani di approcciarsi con lui.
«Ti immagino basso, grasso, con l’acne. Tipico topo da biblioteca. Ho immaginato bene?» Harry si chiese come potesse essere sempre così acida. Possibile che quella ragazza riuscisse solamente a sbuffare e non potesse parlare con lui – come qualsiasi altra persona normale –?
«Ritenta, sarai più fortunata.» Ammiccò divertito. «Io t’immagino alta, snella con dei bei fianchi, capelli ondulati e due bellissimi occhi color cioccolato.» Continuò divertito.
Elena, invece, arricciò il naso infastidita. Come faceva a conoscerla?
«Come hai fatto?» Chiese curiosa, sciogliendosi leggermente. Non l’avrebbe mai ammesso ma avrebbe fatto di tutto pur di non vedere Elisabeth e sorbirsi il suo interrogatorio.
«Ti ho vista…» Lasciò il discorso in sospeso, mentre sul suo volto si dipingeva un sorriso malizioso. Eccome se ti ho vista. Pensò, immaginandosi il volto perplesso di quella sconosciuta.
«Non so chi tu sia.» Gli fece notare la mora. A questo punto, anche lei, voleva sapere com’era. E voleva sapere il suo nome.
Chi adescava ragazze in una biblioteca?
Così la sua fantasia fece il resto, iniziò a pensare attentamente a tutti i ragazzi del college che fin’ora aveva incontrato.
Mhm, lui sta camuffando la voce. Notò Elena. Questo rendeva tutto più complicato, ma non avrebbe desistito.
«Ti sei incantata? Forse mi stai immaginando?» La voce di Harry le arrivò alle orecchie come una ninna nanna leggera che la riportava alla realtà. Le capitava spesso di soffermarsi a concentrarsi su quello che le succedeva intorno e a volte perdeva il senso dell’orientamento.
Elena aveva sempre sostenuto che quelle volte in cui perdeva la concentrazione serviva solamente per evadere un po’. Evadere da quello che lo circondava, che sembrava opprimerla sempre di più.
«Ti hanno mai detto che sei di una grande modestia?» Il ragazzo da dietro la libreria si sistemò i capelli e ridacchiò. Quella ragazza non riusciva né ad accettare un complimento né a mantenere una conversazione normale tra sconosciuti.
Fin’ora aveva fatto l’esatto contrario: o lo aveva deriso o metteva fine ad ogni approccio di lui per attaccare bottone.
«Ti hanno mai detto che sembri più antipatica quando fai l’acida?» Commentò compiaciuto. I continui sbalzi di umore della ragazza – un momento sembrava divertita, in un altro sembrava scossa – lo confondevano e un po’ si rispecchiava in quei modi di fare.
«E a te hanno mai detto che sembri più nerd quando adeschi ragazze in una biblioteca?» Replicò lei incrociando le braccia al petto.
Harry si portò le mani alla testa e se le mise tra i capelli quasi esasperato. Qualsiasi cosa dicesse lei voleva sempre continuare a provocarlo per avere l’ultima parola.
«Mhm, di solito non è così difficile. Le ragazze accettano i miei complimenti.» Rispose già sapendo che avrebbe avuto in risposta qualcosa che l’avrebbe solo innervosito e poi divertito. Perché sì, ora Harry si stava divertendo. Divertendo come si divertiva con gli amici a Londra.
Ed era strano provare quella sensazione con una ragazza.
«E’ un modo per abbordare?» Il silenzio fu interrotto da una risata in quel luogo silenzioso e Harry si trattenne dal non seguirla apertamente.
«In realtà, questo è un nuovo approccio.» Fu il commento che infastidì a pelle Elena. Detestava gli approcci idioti dei ragazzi, preferiva qualcosa di più semplice. Magari un semplice ‘ciao’ poteva bastare per lei.
«Non sta funzionando, allora.» Per fortuna non sembra acida, la ragazzina. Costatò il corvino sentendosi quasi sollevato. Per un momento aveva pensato di non dire quella battuta, magari poteva infastidirla? Stranamente non parve nervosa – almeno non parve nervosa alle suo orecchie, ma Elena aveva già cestinato l’idea di uscire con quel tipo per quell’approccio…come poteva definirlo? Bizzarro? Strano? Squallido?
«Mi dovrei preoccupare, allora.» Usò il suo tono malizioso e già si pregustava la risposta della mora di cui non sapeva ancora il nome.
Però non replicò e gli venne un dubbio: e se volesse scoprirlo? Se si stesse alzando per cogliermi di sorpresa?
Fin’ora ha sempre risposto. Si alzò velocemente da terra e cercando di essere il più silenzioso possibile sgusciò via da lì con un sorrisetto soddisfatto.
L’avrebbe cercata. Ora ci era dentro. Quella ragazza l’aveva incuriosito.
 
*
La rabbia è una follia momentanea,
quindi controlla questa passione o essa controllerà te.
Omero.
 
Elena a grandi passi – e con umore peggiore di prima – si stava avviando verso la caffetteria, dove probabilmente l’amica la stava aspettando.
Aveva un buon ritardo, ma la scusa era più che ovvia.
Quel ragazzo l’aveva presa in giro, lasciandola lì in biblioteca da sola. E pensare che lei stava cercando di scoprire chi era!
Alla fine si era ritrovata da sola con la bibliotecaria che rideva sotto i baffi. Chiuse gli occhi frustata ricordando quant’era imbarazzante lo sguardo che le aveva rivolto la signora.
Idiota. Con metodi squallidi di approccio. E anche bidonaro. Si segnò tutti i difetti che aveva trovato in quel ragazzo. Sbuffò ancora e scosse la testa.
I suoi pensieri su quel ragazzo si eclissarono quando vide Nathan che la seguiva. Iniziò ad accelerare il passo, per sviarlo ma il ragazzo non desistette.
Fu più veloce di lei –in quanto in passato aveva praticato un po’ di atletica leggera – e le si piazzò davanti con sguardo severo.
Avevano solo due anni di differenza e comunicare per loro non era un problema – in effetti non erano quasi mai in disaccordo –.
«Potresti rallentare?» Gli intimò a voce bassa. Già vedeva come gli altri collegiali li stavano guardando. Proprio questo Elena odiava di là e di quella piccola cittadina in cui era segregata. Lì tutti erano pronti a mormorare stupidaggini sul tuo conto e le chiacchiere viaggiavano velocemente. Non c’era segreto che teneva. Per questo, la ragazza si era sempre sentita ‘limitata’ da un certo punto di vista ma non aveva alcuna voglia di lasciare la sua famiglia o quello che ne rimaneva.
«Cosa vuoi?» Disse scocciata lei. Nathan quasi si sorprese per il tono insopportabile che aveva usato con lui.
«Vorrei parlare. Si può?» Elena così rallentò la velocità e si rese conto di come, anche lei, fosse infastidita da quel tono. Stesso tono che lei aveva usato con lui, perciò cambiò approccio.
«Coraggio, spara.» Gli disse più docile. Quasi si sorprese di come sua sorella avesse cambiato tono e modi di fare.
«So che non ti è…particolarmente piaciuta la notizia che ci ha dato papà.» Le disse. Elena roteò gli occhi al cielo. Cosa si aspettava in fondo? Dopo la litigata – una delle poche – col padre e col fratello quella mattina, poteva fare solo due cose o difendere a spada tratta ciò che sosteneva o scusarsi per tutto quello che aveva detto.
Ma lei era convinta. Non si rimangiava niente di tutto quello che aveva detto.
 
La ragazza indossò velocemente la giacca di pelle e sorrise guardandosi allo specchio. Staccò il suo cellulare dalla presa e se lo infilò in tasca.
Scese frettolosamente le scale rivolgendo un’occhiata veloce all’orologio che c’era sul muro e si rese conto che era in ritardo – più del solito – quella mattina.
Afferrò la borsa che prima aveva appoggiato sul mobile e ricontrollò tutto velocemente, ripentendo nella sua mente le cose che le servivano quella mattina.
«Elena, potresti venire in cucina?» Il padre la chiamò e non poté non alzare gli occhi al cielo. Si precipitò in cucina e scoccò un’occhiataccia al fratello – seduto a bere caffèlatte, visto che lui aveva lezione sul tardi –.
«Sarei leggermente in ritardo, sai?» Disse ironica. Come al solito il padre si prese alcuni istanti per squadrarla attentamente.
«Tesoro non abbandonerai mai questo look…stravagante?» Le chiese. Elena sbuffò e si schiaffò una mano in fronte. Perché era così difficile fargli capire che non c’era niente di strano nel suo look?
«Era questo che dovevi dirmi?» Scattò sulla difensiva. Seguirono istanti di silenzio. Nathan osservava suo padre e gli intimava con un’occhiata di parlare. Non poteva trattenere quel segreto per molto.
«Cosa succede?» Insistette la ragazza che si era accorta di quegli sguardi d’intesa del padre e del fratello.
«Si tratta di Harry.» A quel nome Elena inclinò leggermente il capo. Da quanto tempo non voleva più sentire pronunciare quel nome? Da più di dieci anni.
«Lui ritorna.» E fu così che il suo umore precipitò completamente. Non poteva ritornare, non ne aveva più diritto. Lui non aveva nessun diritto di ritornare a casa del padre dopo aver ignorato i suoi fratelli per anni.
Elena non voleva più vederlo.
«E perché? Mamma non vuole averlo più a casa?» Il padre sapeva che lei tra i due era quella che avrebbe avuto la reazione peggiore…Aveva sempre sospettato che dividere i suoi ragazzi avrebbe portato dei risvolti negativi, quello era solo uno dei tanti.
Elena non sapeva neanche com’era suo fratello e forse da bambina non le sembrava strano, come non le sembrava strano che i suoi genitori non vivessero più insieme.
Pensava che si erano presi una vacanza, o forse quella era la scusa che le avevano rifilato?
Queste bugie all’inizio funzionavano. Ad ogni Harry quando chiamerà? Il padre sorrideva e la rassicurava. Ad ogni Perché quando mamma ha chiamato, Harry non ha voluto parlare con noi? Lui le accarezzava i capelli e le diceva sempre la stessa maledetta cosa.
Tutto questo aveva funzionato solo fino a quando Elena non aveva iniziato a capire che suo fratello maggiore l’aveva abbandonata. Non voleva più conoscerla, non voleva sapere chi fosse…E la colpa era, anche, della madre.
Eppure lei colpevolizzava lui. Quand’erano piccoli era giustificato, ma ora non aveva scuse. Nessuna scusa teneva.
I rapporti si erano persi e se prima erano più frequenti i viaggi per incontrare la madre da dieci anni a questa parte si erano completamente esauriti.
«E’ maggiorenne…Ha solamente deciso di venire qui, da noi. Mi chiedevi sempre il suo ritorno.» Tentò di convincerla. La mora strabuzzò gli occhi e scosse la testa.
«Te lo chiedevo quando avevo quattro anni. Non voglio incontrare una persona che non si è mai fatto vivo.» Mise subito in chiaro.
Nathan invece rimase zitto e assisteva con aria divertita a quella litigata. Non sarebbe intervenuto né a favore di uno né a favore dell’altro. Anche perché non aveva idea da che parte schiarirsi. Nemmeno lui era contento al massimo del ritorno di Harry. Non si vedevano da una vita. E lui si era sempre mostrato insofferente a quello che succedeva. O almeno questo aveva captato dalle telefonate tra la madre e il padre – che ormai non avvenivano più da anni.
«Si sta facendo vivo ora, però. E’ tuo fratello, Elena.» La ammonì con un’occhiata severa. Alle parole è tuo fratello scattò come una molla.
«Nathan è mio fratello. Harry è solo uno sconosciuto che non vedo da quando vi siete separati. La colpa di questo odio è solamente colpa vostra! Tua e di tua moglie. Non ve ne è mai importato di dividerci.» Alzò spropositatamente il tono della voce. «E io non voglio colpevolizzarvi ma tutto questo è solo una conseguenza, okay, ma lui quando è diventato maggiorenne è venuto qui da noi?» Si rivolse a Nathan che la guardava con occhi consapevoli. Sapeva che aveva ragione, ma lui era stuzzicato dalla curiosità di conoscere suo fratello, di conoscerlo veramente.
«Non è venuto. E non gli importa niente né di me e Nathan né di te.» Concluse rivolgendosi al padre che la guardava con gli occhi sgranati.
Lasciò la cucina e di umore pessimo prese la borsa. Era meglio andarsene al college.
 
«Ti ha mandato lui qui a parlarmi?» Chiese Elena arricciando il naso. Nathan guardò la sorella e non poté non pensare che lei aveva tutte le ragione buone di questo mondo per arrabbiarsi.
«Ti volevo dire solo di dargli una chance.» Commentò infilandosi le mani in tasca.
«Solo?» Quasi si strozzò con la stessa saliva. «Ti sembra poco?» Non l’avrebbe mai fatto. Non poteva cedere e dargli un’altra chance, lui non ne aveva mai avuto una.
Non si parlava di chance, lui non aveva mai provato a fare nulla per loro. Harry non sapeva neanche che faccia lei avesse, a malapena  - forse – si ricordava il suo nome.
«So che ti manca. E so, perfettamente, che vorresti schiaffeggiarlo per come si è comportato come so che dopo averlo schiaffeggiato lo abbracceresti contenta del suo ritorno.» Disse il ragazzo prendendole la mano e avvicinandola a sé.
«Non mi convincerai.» Commentai infastidita. «Quando arriva a casa, io non ci sarò.» Decise lei stringendo le mani in due pugni serrati.
Nathan sorrise a quelle parole. Quant’è prevedibile la mia sorellina.
«Pensaci.» Le consigliò con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. C’è qualcosa che non quadra. Non le piaceva quella situazione, le sembrava scomoda. Come le sembrava scomodo avere un altro fratello – di cui non si sapeva niente – tra i piedi.
«Ci penserò.» Gli promise. Nathan le lasciò un innocente bacio sulla guancia. «Vai da Elisabeth?» Gli occhi al nome della ragazza si erano illuminati, effettivamente Elena si era sempre chiesta cosa succedesse tra i due.
Annuì in risposta.
«Salutala da parte mia.» Detto questo si girò di spalle e si avviò verso la sua aula.
La ragazza scrollò le spalle e già si dimenticò di quello che le aveva detto il fratello. Non l’avrebbe ascoltato. Non riusciva a cambiare idea, non finchè non avrebbe visto suo fratello lì davanti a lei in carne ed ossa.
Avvistò da lontano Elisabeth che stava studiando chissà cosa.
«Scusa per il mega ritardo!» Sospirò Elena sorridendole con uno di quei sorrisi che avrebbero fatto sciogliere chiunque.
Liz la scusò e si sentì meglio. Non poteva essere arrabbiata con lei come sospettava, altrimenti non si sarebbe scusata con lei per uno stupido ritardo.
«Già dimenticato. Ecco a te.» Le porse il caffè che ormai era diventato freddo. Elena ne bevve un po’ e storse il naso.
«E’ troppo forte.» Commentò allontanandolo.
«Ora che sei arrivata…vorresti spiegarmi da cosa è causato questo malumore?» Le chiese prendendole la mano. La mora guardò la rossa e si chiese se era il caso di raccontarle tutto. Per mezzo secondo valutò l’idea di dire una stupidaggine ma una volta incontrati gli occhi preoccupati dell’amica crollò.
«Quello stronzo sta ritornando.» Chi sta ritornando? Si chiese Liz guardando l’amica che aveva un grosso cipiglio in volto.
«Non se n’è mai importato né di me né di Nathan. Non se ne importa di nessuno. E ora pensa che ritornando possa aggiustare tutto.» La ragazza iniziò a parlare a macchinetta ed Elisabeth – anche se aveva capito veramente poco di quello che stava dicendo – la lasciò fare.
Finito quello sfogo, Elena si sentì meglio e sospirò.
«Oddio, scusa…Tu non hai capito niente, vero?» Trattennero entrambe una risatina. «Sto parlando di Harry.» Chiarì poco dopo.
Elisabeth riuscì a collegare quel nome solo ad una persona. Suo fratello? Da un lato era curiosa di conoscerlo, di lui non sapeva niente e non l’aveva mai conosciuto; dall’altro capiva quell’umore che l’amica aveva da quella mattina.
Elena le aveva parlato di questo Harry un paio di volte. E ogni frase in cui c’era il suo nome, c’era sempre – di conseguenza – almeno un aggettivo negativo nei suoi confronti.
«Aspetta…Harry stronzo? Harry il fratello assente?» Chiese. Ottenne la conferma di ciò che disse dall’occhiata che le rivolse la morta.
«Cosa farai?» Domanda scontata, ma Elisabeth non aveva idea di come consolarla. Anzi, non c’era proprio niente da consolare. Un’altra persone sarebbe stata felice del ritorno del fratello, no?
«Non farò niente.» Rispose Elena con voce strozzata. «Lui sta ritornando.»
 
 
 
 
 
 
 
 


A/N: *Esce da dietro il pc* *fa ciao con la mano* *schiarisce voce*
Buona giornata people, io sono *rullo di tamburi* Non ti scordar di me! E sono nuova in questa sezione, poiché non sono molto attiva nelle storie romantiche/Originali.
Finita questa presentazione (?) – Non ho idea di come definirla, ma questa cosa non è una presentazione – passo alla storia e faccio una premessa.
Esiste già un’altra storia con questa trama e con questo titolo, ma non l’ho copiata perché sono la stessa autrice. Solo che ho deciso di cambiare un po’ i personaggi, la narrazione non è in prima persona e tanto altro.
La trama credo che più o meno l’abbiate capita. Racconterò un po’ di questi ragazzi che sono uno più complicato dell’altro.
Ognuno di loro ha dei segreti (li scopriremo più avanti) che non vogliono rivelare, ora bisogna solo vedere come la situazione andrà avanti.
Che dire…Spero che vi possa piacere. Aggiornerò appena avrò del tempo, il prossimo capitolo è in work :3 Poi c’è dell’altro? Credo di aver detto tutto.
Ovviamente io non mangio nessuno, se volete lasciarmi una recensione (positiva o negativa che sia) è sempre gradito. La storia è nelle vostre mani – nel vero senso della parola.
Un abbraccio,
Non ti scordar di me. 
  
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