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Autore: Ariluna    12/01/2015    0 recensioni
Anna è libera. Finalmente la sua vita sembra prendere il volo, un volo diretto per Londra e per tutte le opportunità che una grande metropoli può offrire, lontano dal bigottismo e dall'odore di vecchio che impregna Firenze e i suoi abitanti. Ovviamente, ogni gran piano che si rispetta è soggetto a problemi in corso d'opera...
[ Dal testo ]
" Voglio vederti. "
" Cos...ma... sei tu? "
" Leonard. Mi chiamo Leonard. "
[...]
" " Ma che diamine..." Niente. Aveva già concluso la telefonata. I pensieri che mi attanagliarono per tutto il resto della giornata furono dei più disparati: andare o non andare? E se poi mi ritrovavo davanti un maniaco sessuale? Diamine... quella fottuta voce continuava a risuonarmi nelle orecchie come se non avessi mai ascoltato altro in tutta la vita...
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
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L’inizio -

 


 

Era il duemilanove quando ricevetti quella lettera, quella che aspettavo ormai da troppo e che tardava ad arrivare. Sembrava passato un secolo dal mio diploma, invece erano passati solo un paio di mesi, il sole di un agosto particolarmente torrido riscaldava i tetti di una Firenze frenetica e colorata più che mai. La piccola villetta spiccava nel verde dell'immediata campagna toscana, una costruzione in mattoni rossi e il tipico tetto con tegole in terracotta, il tutto contornato dal perenne canto degli uccelli e dai rumori allegri della natura. Io, inserita malamente in questo dipinto celestiale, dormivo stravaccata nel mio letto, aggrovigliata nelle lenzuola fresche che perdevano il loro ordine ogni santissima notte: mai una volta che riuscissi a dormire tranquilla o, per lo meno, come una persona normale. Sembrava quasi che il mio modo di dormire rispecchiasse la natura tormentata, quel mio impossibile carattere eccessivamente emotivo il quale mi faceva sembrare un pugno nell'occhio di un viso bellissimo che, ovviamente, non era il mio.

 

 

" Anna! ALZA IL CULO DAL QUEL MALEDETTO LETTO! "

 

 

Mio cugino Diego e la sua delicatezza inesistente raggiunsero il piano più alto della casa, una mansarda piuttosto ariosa nella quale risiedeva la mia camera...piuttosto tetra. Aprii un occhio, giusto quel poco che serve per sentire immediatamente il bruciore della luce filtrante dalla finestra che mi investì in pieno, costringendomi ad affondare il viso nel cuscino piumato alla ricerca di qualche altro momento di buio prima di alzarmi. Mi costrinsi ad abbandonare il letto con un broncio degno di una bambina a cui viene tolto un giocattolo, trauma mattutino che si intensificò quando mi ritrovai davanti al lungo specchio che riflettè l'immagine poco armonica di una diciannovenne dai capelli scuri e indomabili. Mi presi qualche secondo per studiare l'immagine di me stessa: bassina, niente seno, colori mediterranei, sorriso imperfetto e, a mio avviso, fianchi fin troppo pronunciati che odiavo più di ogni altra cosa, nonostante tutti mi dicessero di essere una fissata e che, in tutti i miei difetti, i fianchi proprio non erano da considerarsi. Non so perchè, forse per la mia insicurezza cronica o forse per il mio umore altalenante che non mi dava mai un attimo di tregua, fattostà che non mi sono mai piaciuta sotto nessun punto di vista. Mi portai una mano alla bocca torturando le unghie e decisi di sopprimere quei pensieri accendendo la radio:

 

 

 

 

" Relax

 

 

There is an answer to the darkest times.

 

 

It's clear we don't understand but the last thing on my mind

 

 

Is to leave you.

 

 

I believe that we're in this together. "

 

 

 

 

 Quelle parole mi aprirono subito un sorriso obliquo sul viso. Sembrava quasi scritta per l'occasione, come se la musica e quel cantante che conoscevo grazie alla fissazione spasmodica di mia cugina Asia, volessero darmi il loro sostegno. Fui di nuovo raggiunta dalle urla di Diego che mi esortavano nuovamente a muovere il culo, ma cosa stava succedendo in casa mia!? A giudicare dal trambusto che arrivava dal piano terra, sembrava che tutti fossero in fermento. Mi buttai addosso il primo paio di jeans e il primo golf che trovai ammassati malamente sulla mia sedia e scesi controvoglia. Non ero dell'umore adatto per affrontare una giornata frenetica, specialmente se questa comportava toni di voce alta e movimenti troppo veloci. Come un bradipo, scesi le scale con passo pesante e sbadigliando ad ogni scalino, neanche mi ero pettinata, stavo da schifo e quando entrai in cucina furono gli occhi di Asia a ricordarmelo. Alta, curve mozzafiato, capelli neri e lucenti e occhi di un verde acceso che lanciavano fiamme di malignità capaci di arrostire chiunque avesse osato mettersi contro di lei. Mi guardò dall'alto in basso, l'aria schifata palesemente dipinta nelle labbra carnose arricciate in una smorfia di disgusto...insomma, tra me e la mia dolce cuginetta, proprio non correva buon sangue. La mia attenzione passò dalla mia altezzosa parente alla tavola della cucina, stranamente popolata da tutti gli abitanti della villa seduti al grande tavolo rotondo di legno chiaro che mio padre aveva costruito con l'aiuto di mio zio proprio quell'anno. In senso orario, erano seduti mia madre, mia nonna, mio zio, Diego, mio padre e mia zia, mentre Asia se ne stava in una posa da copertina appoggiata al ripiano della cucina. Tutti, ma proprio tutti, spostavano lo sguardo da me alla grande busta bianca che occupava il centro della tavola, nessuno osava toccarla, come se avessero avuto paura che esplodesse da un momento all'altro.

 

 

Deglutii.

 

 

Più volte.

 

 

La risposta era arrivata.

 

 

Nel giro di quindici giorni, mi ritrovai seduta in classe economica che volavo verso Londra, una valigia, bagaglio a mano e tutte le mie cose che sarebbero state spedite al mio nuovo appartamento la settimana successiva. Nel giro di sedici giorni entrai per la prima volta nella facoltà di psicologia più prestigiosa d'Inghilterra e dopo venti giorni da quella fatidica mattinata in cucina, mi furono consegnate le chiavi del mio appartamento, arrivate ovviamente in ritardo. Adoravo quel posto, adoravo Londra ed il suo clima rigido, adoravo il mio appartamento vicino a Kensington... adoravo un pò meno la stage che mi spedirono a fare. Un call center, una specie di telefono amico che raccoglieva le chiamate di giovani e meno giovani bisognosi di un consulto o, più semplicemente, di parlare e sentirsi meno soli. L'unica cosa che apprezzato di quel servizio era l'assoluto anonimato, sia da parte di chi effettuava la chiamata, sia da parte dell'ascoltatore... nessuno avrebbe mai saputo la mia identità, ero solo una voce pronta a darti qualche suggerimento di tipo psicologico.

 

 

Era il tre Settembre duemilanove... non lo scorderò mai.

 

 

" Telefono Amico, come posso aiutarti?" risposi con il solito tono meccanico, quasi come un disco rotto, ancora più statica a causa del mio inglese non ancora perfetto. "Hem... io..." Riagganciò. Pochi minuti dopo, la solita persona chiamò nuovamente. "S-scusami... non so da dove partire, ho così tanta confusione in testa che neanche riesco ad organizzare un discorso..." La sua voce era calma, molto bassa e particolarmente armoniosa, era un uomo sicuramente. " Proviamo a partire dall'inizio, che ne dici? Allora, di sicuro se hai composto questo numero è perché in te c'è qualcosa di incrinato... magari anche solo un fastidio. Prova a dirmi come ti senti... " Silenzio, interminabili secondi scanditi solo dal suo respiro al di là della cornetta. Poi cominciò. " Falso. Tradito... snaturato. Credo che si possa definire solitudine, anche se in realtà sto sempre in mezzo a milioni di persone, non c'è nessuno che riesca a togliermi questa sensazione dalla pelle, a dire il vero credo che non si tratti solo di una sensazione ma... di una tristissima realtà. Ogni giorno ci sono milioni di bocche che mi sorridono, milioni di occhi che mi guardano... ma non mi vedono realmente. " Continuò così per un tempo che sembrava non finire mai, mi raccontò di essere sempre in lotta con se stesso, di non riuscire a far valere le proprie idee sopratutto nel lavoro e che, quando ne scopriva i risultati, percepiva come un piccolo pezzo di se stesso che moriva, inesorabilmente schiacciato dalla pesantezza dell'omertà. " Ci vogliono le palle! " Sgranai gli occhi guardandomi intorno, subito dopo quell'esclamazione in italiano che mi era uscita di bocca senza pensarci, ero troppo presa dal racconto del ragazzo. - Benissimo – pensai – evitare il coinvolgimento personale era la prima regola che ti insegnavano all'università e io, ovviamente, avevo appena infranto questo dogma senza neanche accorgermene. " Prego? " la voce mi richiamò all'ordine " Dicevo... devi tirare fuori il tuo coraggio, lo stesso che hai usato per chiamare qui e per ammettere di avere un problema. Sai, già riconoscere i propri disagi è un grande passo, avere la consapevolezza che qualcosa non va e accettarlo, accettare che non si è invincibili. E questo, vale anche per quelle persone che ti obbligano a tarpare le ali alle tue idee... neanche loro sono invincibili. Immaginati come un albero, i tuoi frutti devono essere nutriti da te, non dagli alberi vicini... il loro sapore deve raccontare la tua storia, non quella di qualcun altro ". Mi faceva rabbia saperlo in questo stato, non lo conoscevo minimamente, neanche sapevo il suo nome... eppure la sua voce mi infondeva tranquillità, mi trasmetteva vibrazioni positive, seppi subito che si trattava di una persona buona. Mi chiamò altre volte, con una frequenza sempre maggiore, finché non finimmo per sentirci tutti i giorni e io, in segreto, mi ritrovavo sempre più spesso a fantasticare su quella voce e sul suo proprietario, cercando di immaginare i suoi lineamenti o sperando di individuarlo intorno a me ogni qual volta che uscivo di casa anche solo per andare da Starbucks a fare colazione. Più parlavo con lui, più mi sentivo utile a qualcosa per la prima volta nella vita. Terminava sempre le sue telefonate con " Grazie amica "... sì, anche se non lo vedevo, anche se non sapevo chi era, lo sentivo mio amico, sapevo che quella voce non mi avrebbe mai fatto del male e sapevo che il mio compito era quello di alleviare le sue pene. Quali pene poi... una delle ultime volte mi raccontò di essersi perso negli eccessi nel tentativo di non pensare, di liberare le sue spalle da quei pesi troppo grandi.

 

 

Poi...

 

 

" Telefono Amico, come posso aiutarti? "

 

 

" Voglio vederti. "

 

 

" Cos...ma... sei tu? "

 

 

" Leonard. Mi chiamo Leonard. "

 

 

Tappai il telefono con la mano e mi guardai intorno con fare circospetto, timorosa che qualcuno potesse aver sentito quella confessione così pericolosa. Una volta assicurata di essere lontana da orecchie indiscrete, mi piegai sulla mia postazione fin quasi a spalmare il naso sulla scrivania. " Ma sei impazzito? Dobbiamo mantenere l'anonimato...mi farai licenziare!" " Ti ho detto il mio nome...non ho chiesto il tuo! Fatti trovare stasera alle 20.00 davanti all'entrata del tuo ufficio, al resto ci penso io. " " Ma che diamine..." Niente. Aveva già concluso la telefonata. I pensieri che mi attanagliarono per tutto il resto della giornata furono dei più disparati: andare o non andare? E se poi mi ritrovavo davanti un maniaco sessuale? Diamine... quella fottuta voce continuava a risuonarmi nelle orecchie come se non avessi mai ascoltato altro in tutta la vita e oltretutto vi si aggiungeva una seconda vocina pungente e fastidiosa che mi intimava di andare e farla finita con tutte le mie solite paranoie da diciannovenne sociopatica. Insomma, per farla breve, alle 19.30 mi alzai di scatto dal divano del mio appartamento infilandomi un paio di leggins e un golf di lana blu, largo e lungo abbastanza da calarmi sul sedere e coprirlo, tanto per sottolineare l'amore profondo per il mio corpo. Uscii di casa quasi indispettita da quell'appuntamento al buio, nel giro di un quarto d'ora arrivai davanti al mio posto di lavoro con il fiatone...beh, avevo camminato alla velocità di un eurostar noncurante dei buoni quindici minuti di anticipo che mi avrebbero costretto ad aspettare al freddo, sotto una pioggia che iniziava ad intensificarsi come se il cielo si fosse accorto che avevo dimenticato l'ombrello a casa. Fissavo i passanti e mi rincuorò vedere che lo spilungone che camminava dall'altra parte della strada non era messo tanto meglio, tutto nascosto in un impermeabile blu elettrico, il viso affondato in una sciarpa di lana rossa e i riccioli appiattiti dalla pioggia che aveva evidentemente preso alla sprovvista anche lui, non ero solo io la sfigata allora! Continuai ad osservarlo divertita, era un pugno stonato nel grigiore di Londra in quella serata ma entrai decisamente nel panico quando lo vidi attraversare la strada con lunghi passi e fermarsi a pochi metri da me guardandosi intorno circospetto. Non potevo crederci. Nel momento stesso in cui incontrai i suoi occhi nocciola listati di verde, capii che era il proprietario di quella maledetta voce che mi ossessionava e, anche se me lo aspettavo più basso, non fui per niente delusa dal suo aspetto anche se lo scorsi ben poco a causa del suo abbigliamento che lo copriva fino al naso. " Leonard? " Mi avvicinai guardinga, stingendomi nelle mie stesse braccia e inclinando appena la testa in cerca del suo viso ancora coperto, per tutta risposta, lui sgranò gli occhi e mi afferrò per un braccio trascinandomi dentro il portone dell'edificio che si apriva in una piccola corte interna completamente deserta a quell'ora. " Sapevo che eri tu... ma ti immaginavo più alta!" Strinsi gli occhi a due fessure severe ma non riuscii a trattenere una risatina, nel vederlo litigare con la sciarpa che non voleva saperne di liberarlo, essendosi incastrata nel colletto alto dell'impermeabile. Quando poi, finalmente, riuscii a vedere il suo viso chiaramente, mi sembrò di essere tornata nella mia casa a Firenze e di stare davanti ad uno dei mille poster che tappezzavano la camera di Asia, sua fan sfegatata. Leonard Thorpe, in arte Leòn, mi guardava con gli occhi di un cucciolo abbandonato per strada, io invece lo guardavo come se avessi appena visto un fantasma.

 

 

" MA TU SEI.."

 

 

" Shhh, ti prego...non dirlo."

 

 

" N-no, ok non lo dico...ma tu sei tu, nel senso...sei lui! Cioè... non so se mi sono spiegata bene."

 

 

Arricciò le labbra in un'espressione dispiaciuta, qualcosa mi fece intuire che non gli piaceva essere riconosciuto o comunque associato alla sua immagine pubblica... molto pubblica. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani non riuscendo a dire nulla, l'imbarazzo che si insinuò tra noi si fece così pressante che mi costrinse ad aprire bocca. " Non mi interessa chi sei, Leonard... ho conosciuto ben altro di te. Al momento mi sconvolge molto di più la tua capacità di accozzare colori improbabili! " In quel momento, imparai un'altra cosa su Leòn: la sua capacità di mutare stato d'animo alla velocità della luce. Si aprì in un sorriso che gli arricciò il naso e che invase di allegria anche me, smise addirittura di piovere e oggi, ricordo quello come l'inizio di un'avventura pazzesca, una catastrofe sovrumana e, in cuor mio, come il giorno che mi cambiò completamente la vita.

 

 

 

 

 


LaScrittologa­­­­ --à Ciao carini! Se siete arrivati a leggere addirittura queste brevi note, non posso far altro che ringraziarvi di cuore e inviarvi abbracci virtuali ( mi viene il diabete… ). COMUNQUE! Questa è una storia che già avevo pubblicato su Efp ma che, a causa del mio bimbominkiosismo latente, era morta sul nascere ed era stata decisamente impostata e sviluppata male. Oggi ho deciso di dare una seconda opportunità a questo frutto della mia testa bacata, sperando che possa allietare le vostre ore trascorse su Efp alla ricerca di qualcosa da leggere che sia quantomeno decente.

 

ALCUNE PRECISAZIONI:

-          Le canzoni che troverete in giro per i capitoli sono tra le mie preferite e le sceglierò in corso d’opera, a seconda di quello che richiederà la storia.

-          Anna è ispirata a me medesima e alle mie turbe mentali.

-          Leonard è figo.

-          Non mi viene in mente altro.

 

 

Sarei felicissima se qualcuno di voi fosse così carino da lasciarmi la propria opinione, così da aiutarmi nella decisione di proseguire o meno la storia…

Grazie a tutti,

 

Ariluna.

   
 
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