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Autore: polvere di biscotto    13/01/2015    4 recensioni
DAL SECONDO CAPITOLO:
«Mi raccomando indossa qualcosa di sexy» mi sussurrò all’orecchio, facendomi rabbrividire.
«Sparisci, cretino!» imprecai.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Erano appena le sei e mezzo del pomeriggio, quando tornata dalla passeggiata con Catherine, mi preparai per l’appuntamento delle otto con quell’idiota di Aaron Mayson.
Prima di tutto, raccolsi i capelli scuri in uno chignon perfetto. Indossai un maglione azzurro di cotone e un paio di jeans chiari, strappati sulle ginocchia. Abbinai a ciò delle Converse bianche. Misi giusto un filo di eye-liner nero e un velo di mascara sulle ciglia. Colorai le gote con un pochino di blush.
Scesi le scale e andai in soggiorno, dove mia madre sedeva sul divano. La sua espressione non emetteva soddisfazione.
«Scherzi vero?» mi disse con tono serio.
«Perché?» protestai.
«Non vorresti mica andare all’appuntamento con Aaron vestita in quel modo» accennò a una nota di rimprovero.
«Be’, in realtà sì» dissi turbata.
«Ad Aaron farebbe piacere vederti con qualcosa di carino addosso» cercò di farmi cambiare idea. «Non credi?» soggiunse.
«Uhm, suppongo di sì» ammisi seccata.
«Allora cambiati, che aspetti?» mi mise fretta.
Sbuffando pesantemente m’incamminai verso la mia camera, sbattendo la porta per il nervoso.
Tolsi delicatamente il maglione per non disfare lo chignon e poi lo gettai sul letto. Mi sedetti ai piedi del letto, e mi tolsi le scarpe. Poi sfilai i jeans.
M’incamminai verso l’armadio e lo aprii, cercando qualcosa da mettere che andasse bene a mia madre.
«Questo non sarebbe male» dissi a me stessa. Estrassi dalla cruccia un semplice vestito nero e lo abbinai a delle decolleté del medesimo colore.
«Vada per questo!». Indossai l’abito e mi diressi nuovamente da mia madre che questa volta sorrise di compiacimento.
«Perfetta!» esclamò, facendomi roteare su me stessa. Mi limitai ad abbozzare un sorriso.
Il campanello suonò e un brivido percosse tutta quanta la mia colonna vertebrale. Afferrai la giacca e la borsa dall’attaccapanni e mi precipitai ad aprire la porta.
«Ehi, ciao, splendore!» la sua voce roca parlò. Fui sicura di arrossire, anche se non potei vederlo.
«Ciao, Aaron» dissi, mostrando l’ombra di un sorriso lieve.
«Andiamo, su» m’incoraggiò a seguirlo.
Aaron mi aprì la portiera, lo ringraziai a voce bassa e scivolai sul sedile, sistemandomi il vestito. Fece il giro e si sedette sul lato del conducente. Indossava un paio di jeans, una camicia bianca e una giacca nera. Dal colletto della camicia, si intravedeva un tatuaggio sulla parte destra del collo. Stava benissimo. Il suo profumo m’inebriò, cosa che mi creò un certo nervosismo. Se Catherine mi avesse vista, mi avrebbe sicuramente uccisa.
Il tragitto fu silenzioso, al contrario di come pensavo. Non accese nemmeno la radio.
Arrivammo in un locale non molto distante. La sala dove ci fecero accomodare era abbastanza modesta, niente di particolarmente lussuoso o eccentrico. Si respirava un’atmosfera calda e accogliente. Il tavolo quadrato era posto in un angolo della stanza, coperto da una tovaglia color crema. Sopra di essa c’erano due candele profumate e dei petali rossi di rosa sparsi sopra, una bottiglia di champagne e due calici.
«Siediti» m’invitò, spostando la sedia per farmi sedere.
«Grazie» sussurrai piano.
«Bene. Vedo che mi hai accontentato» sorrise soddisfatto.
«Riguardo cosa?» domandai confusa. Bevve un sorso di champagne dal calice.
«Ti avevo detto di indossare qualcosa di sexy, be’, sei sexy, fattelo dire» ridacchiò. Deglutii.
«Senti, mia madre si è messa in testa cose assurde. Io sarei rimasta a casa, fosse stato per me» dissi senza timore.
«Cos’è che non ti piace di me?» mi guardò serio.
«Il tuo modo di comportarti» confessai. Intanto arrivò il cameriere con gli antipasti.
«Cos’ha che non va?»
«Scherzi, vero?» alzai un sopracciglio, «conosco le storie sul tuo conto» aggiunsi.
«E cosa direbbero queste storie?» chiese.
«Sì, come se non lo sapessi» sbuffai.
La sua mano scivolò sotto il tavolo e accarezzò la mia coscia da sotto il vestito. Avevo la pelle d’oca. Mi scostai velocemente, traballando con la sedia a causa del movimento improvviso. La sua risata si fece sentire.
«Non ho intenzione di venire a letto con te, mettitelo in quella testa!» esclamai, alzando un po’ la voce.
«Non ti ho chiesto di venire a letto con me, o sbaglio?» rise. Roteai gli occhi. Il cameriere portò via i piatti e ci offrì il dolce.
«Senti, ho intenzione di andarmene al più presto» feci per alzarmi.
«No» affermò seriamente, «rimani qui» continuò.
«Voglio essere chiara con te: non sono il tipo di ragazza che va a letto con il primo che passa» spiegai.
«Ma io non sono il primo che passa» si atteggiò. Bevve un altro sorso.
«Usi le ragazze per portartele a letto e poi le scarichi quando ti stanchi. Per non parlare del tuo atteggiamento violento, mi hanno detto di quel ragazzo che hai mandato al pronto soccorso» dissi tutto d’un fiato.
«Ehi. Così mi offendi!». Non riuscii a capire se in quel momento fosse serio, oppure stava facendo il cretino.
«Gradirei che mi riportassi a casa, per favore».
«Non ci penso nemmeno, sono ancora le dieci». Sbuffai.
Aaron si alzò, mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi dalla sedia, ma io ignorai il gesto. Ci dirigemmo verso il bancone e lui pagò il conto. Uscimmo dalla sala e l’aria fresca che c’era fuori mi entrò nelle narici. Soffiava un leggero venticello, perciò mi strinsi ancora di più nella mia giacca.
«Quanto ti devo per la cena?» domandai, mettendo mani sulla borsa per prendere il portafogli.
«Niente, principessa» sorrise.
«Non chiamarmi così».
In poco tempo arrivammo al parcheggio, dove c’era l’auto blu di Aaron. Mi precipitai ad aprire la portiera, ma Aaron fece prima di me e bloccò la mia mano, prendendola fra le sue. Attirò il mio corpo al suo, facendomi rabbrividire. Deglutii.
«Hai un buon profumo, lo sai?» chiuse gli occhi, mentre respirava sul mio collo. Il suo respiro era caldo e il suo alito profumava di menta, come la sera precedente.
«Pesca, giusto?» mi domandò, posando la mano sul mio fianco. Annuii lievemente, e cercai di respingerlo, ma lui era forte e non si mosse di un centimetro.
Un lamento lasciò le mie labbra quando le sue labbra furono in stretto contatto con la pelle del mio collo.
«Aaron, smettila, per favore» dissi con un filo di voce. Tutta la mia sicurezza svanì e mi sentii una stupida per aver accettato l’invito di uno come lui, anche se la maggior parte della colpa era di mia madre che aveva insistito tanto.
La sua lingua tracciò una circonferenza sulla pelle del mio collo, appena sotto l’orecchio. La sua bocca assorbiva la pelle sottostante e le sue dita si strinsero intorno al mio fianco quando mordicchiò la pelle ormai arrossata.
Ne avevo avuto abbastanza. Stava esagerando, ma nonostante ciò non riuscii a respingerlo del tutto, pur volendo togliermelo di dosso.
«Aaron, basta!» dissi, stavolta alzando la voce. Lui allentò la presa sul mio fianco ed io lo allontanai. Rise di gusto e si leccò le labbra soddisfatto, ammirando il segno sul mio collo. Armeggiò con l’elastico che legava lo chignon e lo sciolse.
«Così va meglio!» disse più a se stesso che a me.
«Meno male che non ti piacevo!»  aggiunse ridendo e andò verso il lato del conducente. Non riuscii a controbattere, le parole mi morirono in gola, mentre la rabbia e il nervosismo mi ribollivano dentro.
Salii in macchina, frustrata, ma con una certezza: non sarei mai più uscita con Aaron Mayson, né con un suo simile.
Presi la borsa ed estrassi il cellulare per vedere l’ora, notai che avevo un messaggio.
Da: Catherine♥
Ore: 21:54
Oggetto: Come sta andando con quel deficiente?
 
A: Catherine♥
Ore: 23:03
Oggetto: Non lo so.
 
«A proposito, non ho ancora il tuo numero» interruppe il silenzio.
«Non penso che ti serva, dato che non ci vedremo mai più» dissi.
«Io non ne sarei tanto sicuro» sorrise.
«Sì, come no» ironizzai.
La macchina si fermò davanti casa mia. Tenevo ancora il cellulare in mano, aspettando che Catherine mi rispondesse.
Con scatto repentino prese il cellulare dalle mie mani e lo custodì tra le sue.
«Dammelo subito!» urlai seccata.
«Prima devo fare una cosa» ridacchiò.
Velocemente si mandò un messaggio, in modo che potesse avere il mio numero.
«Ecco fatto» mi restituì il cellulare.
«Ti odio, lo sai?».
«Cambierai presto idea, principessa» mi accarezzò la guancia. 
  
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