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Autore: Mimi18    20/11/2008    11 recensioni
Ino corre verso di lui e gli si siede accanto, ignorando le cicche secche attaccate al marciapiedi e qualche foglio di carta vecchio e strappato a pochi centimetri dai suoi piedi.
Gli sorride con malizia, sventolando l’opuscolo di fronte al naso del ragazzo, che fuma placidamente una sigaretta.
-«Che vuoi Mendokuse?»-, seccatura le dice e la fa ridere: Ino lo considera un po’ come il modo per dimostrarle affetto, nonostante più volte lo aveva picchiato per quell’appellativo poco adatto alle fidanzate.
[Shikamaru x Ino]
Seconda classificata al contest on alphabet indetto da Sky_eventide.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ino Yamanaka, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino Yamanaka

Dedicata a Eleanor89.

Lei sa – come Choji – perché.

 

Mura di carta



- Shikamaru e Ino Tribute. -

 

-Past-

 

Le strade sono nuove. Non si sentono schiamazzi di bambini che giocano, non si vedono madri che con un cipiglio seccato li richiamano all’ordine.

Tutto tace in quella prima mattina di una primavera appena sbocciata. Il tempo scorre lento ed inesorabile, mentre il quartiere rimane immenso nella più irreale delle tranquillità.

Una tranquillità che viene spezzata, distrutta per sempre da un rumore di passi; passi decisi, passi che sanno dove dirigersi. Passi che non sono di una sola persona, ma di due. O meglio, una e mezzo.

Alle porte di Konoha – quartiere situato in una delle periferie più emarginate di Tokyo -, compaiono due figure, un uomo ed una bambina. Si tengono per mano, quasi a voler dimostrare l’affetto che li lega, mentre camminano sicuri lungo la strada deserta, quasi somigliante agli scenari tipici dei vecchi film Western.

La bambina si accarezza i capelli biondi, tagliati in un caschetto audace che mette in bella mostra i grandi occhi blu, puri e ingenui, così atipici per una giapponese.

-«Papà, perché non c’è nessuno?»-, è una domanda posta con semplicità, forse usata solamente per attirare l’attenzione del genitore, che subito posa gli occhi – blu – sulla figura minuta.

-«Forse è ancora presto e tutti stanno dormendo, Ino.»-, azzarda con incertezza, scostando lo sguardo.

Ino riconosce senza sforzo la bugia del padre: arriccia la bocca in una brutta smorfia, tornando a fissare di fronte a sé. E quasi le scappa un urlo di sorpresa.

Afferra la giacca del padre, tirandola con forza e decisione, mentre con un dito – maleducata – indica un bambino di fronte a loro. Un bambino dalla pettinatura più strana che Ino abbia mai visto, con una coda ispida alta e legata stretta.

-«Papà, guarda! È...è un ragazzo con la testa ad ananas!»-, e corre via, senza aspettare una parola del padre, che guarda con malinconica dolcezza la figura della figlia allontanarsi veloce, sventolando una mano in segno di saluto verso l’altro bambino.

Sbuffa un po’, passandosi una mano fra i lunghi capelli color paglia, osservando restio le facciate immacolate della case; un quartiere sconosciuto, deserto e piccolo.

-«Non tornare tardi, Ino.»-

 

 

 

-Present-

 

 

I bidoni a terra vengono evitati con falsa indifferenza dalle malaugurate casalinghe di quel quartiere, vecchio e logoro, che camminano spedite verso i pochi luoghi di loro interesse: super-market, fruttivendolo, casa.

Un ritmo costante, continuo, che viene ripetuto giorno per giorno, ripetitivo ed incessante.

Ma godete di ogni piccolo istante, voi, spettatori di questo piccolo teatro di abitualità e monotonia; anche di quei piccoli bambini che corrono, sfuggiti forse dalle mani forti delle madri che, ora, urlano i loro nomi, preoccupate, spaventate, perché Konoha non è più quella di un tempo.

Konoha non è più quel piccolo quartiere caldo e sicuro, semplice e moderno; ha abbandonato quel lusso da tempo, da quando i piccoli bambini reclusi sono diventati grandi, da quando bottiglie tintinnanti hanno iniziato a toccarsi l’una con l’altra per la prima volta, da quando l’estraniarsi dalla gente normale è diventato legge.

Ora per le strade non c’è più il solito e tranquillizzante silenzio di un tempo: urla volgari che ricoprono di complimenti spinti le ragazze piacenti, audaci a camminare sole in quelle zone, o semplicemente pazze.

Nemmeno le strade sono più loro: logore, buie, cupe. Un teatro da film Horror.

Strade che ospitano le donne di Konoha, vecchie pettegole e portinaie, che attendono i momenti di chiacchiericcio comune con ansia, durante tutta la settimana; ed è in quegli spiazzi che brutte parole escono o sfuggono dalle bocche, fautrici di tutte quell’idee che sono state la rovina di Konoha: hai sentito del figlio maggiore degli Uchiha? Pare sia in galera per sospettato omicidio del padre. E il minore? Ha messo incinta la giovane erede Hyuuga. Si dice che Hiashi sia andato fuori di sé e che abbia obbligato il nipote Neji a sposarsi e prelevare l’azienda di famiglia.

E quei Nara? Ancora che litigano; non capisco come il figlio possa ancora vivere con loro. Lei è una poco di buono...

Ma c’è chi queste cose le evita. C’è chi vive lasciando fuori dal proprio cuore quella maldicenze, per concentrarsi solo sui pochi istanti che la vita regala.

Ed è qui che comincia la nostra storia – o meglio, la sua storia. Di quella ragazza con la chilometrica coda di cavallo bionda platinata, dalle gambe snelle che procede lenta e sicura, il mento alto, lungo la strada emanante un puzzo di piscio che da il voltastomaco.

Tiene fra le sue mani bianche un opuscolo; uno di quelli che danno nelle scuole superiori, verso l’ultimo anno, per decidere la meta per il futuro: università, scuola di preparazione, accademie.

Si mangiucchia un’unghia accigliata, mentre solleva lo sguardo azzurro sui quattro ragazzi di fronte a lei: li saluta con un sorriso di quelli che fanno capire che alle maldicenze, lei, non ci crede.

Si salutano in modo rumoroso, con baci schioccati ed umidi sulle guance, con abbracci lunghi ed esagerati per gente che non si vede da poche ore.

-«Torni da scuola?»-, chiede quello più vicino a lei, che le cinge la vita sottile con un braccio, mentre nella mano sinistra tiene stretto un cellulare.

Annuisce con decisione, Ino, mentre si stacca gentilmente da lui, curiosando lo schermino per captarne qualche nuovo pettegolezzo da discutere con le sue amiche.

Il biondino lo allontana imbarazzato, allungando una mano verso l’alto, ben lontano da dove Ino e la sua altezza potrebbero arrivare: l’unico aspetto che la fanciulla ha con il restante popolo giapponese è proprio quel metro e cinquantacinque scarso.

-«Niente da fare, Yamanaka. Non voglio far sapere in giro i miei affari.»-, sbotta un po’ seccato, riferendosi sicuramente a quella volta in cui Ino e TenTen, la sua più cara amica, erano andate a sbandierare ai quattro venti che lui, Naruto Uzumaki, si era trovato una ragazza.

Ridacchia gioiosa, gli occhi brillanti ed aperti, mentre si allontana velocemente, con il suo passo di danza, sotto gli occhi adoranti di qualche ragazzo più grande, già scaricato più volte. La causa? Troppi lividi viola sul viso e soprattutto un codino ad ananas spinoso, come quello del ragazzo che si è lasciato scovare dagli occhi di Ino.

-«Nara!»-, la sua coda bionda taglia il vento che porta odore di fumo e cenere per tutto il quartiere, ed è la causa della chiusura di molte finestre.

Ino corre verso di lui e gli si siede accanto, ignorando le cicche secche attaccate al marciapiedi e qualche foglio di carta vecchio e strappato a pochi centimetri dai suoi piedi.

Gli sorride con malizia, sventolando l’opuscolo di fronte al naso del ragazzo, che fuma placidamente una sigaretta.

-«Che vuoi Mendokuse?»-, seccatura le dice e la fa ridere: Ino lo considera un po’ come il modo per dimostrarle affetto, nonostante più volte lo aveva picchiato per quell’appellativo poco adatto alle fidanzate.

Gli prende una mano, stringendola con forza, prima di iniziare a parlare come un treno, aggiungendoci le parolacce che lui stesso, anni prima, le aveva insegnato.

-«Ce l’hanno dato a scuola, sai. Tu ci dovevi venire, idiota, ma hai pensato bene di fare sega con Uzumaki e co., allora ho preso una copia anche per te – mi devi ricompensare, pesa almeno tre etti!», riprende fiato, osservando soddisfatta il viso seccato di Shikamaru, -«Ci sono tutte le scuole del Giappone con i campus che ospitano gli studenti di altre città.»-, continua imperterrita, iniziando a sfogliare eccitata le poche pagine, prive di dettagli significativi.

Shikamaru sbuffa un po’ di fumo, allungando le gambe, andando a toccare quelle di Ino, molto più corte delle sue. La vede bloccarsi, e, una volta lasciato perdere l’opuscolo, chiude gli occhi, pronto a ricambiare le labbra di Ino che, un secondo dopo, si poggiano con naturalezza sulle sue, andando ad incastrarsi alla perfezione.

Appoggia mollemente la mano con la sigaretta sul suo viso, accarezzandolo leggero, come sempre; non si cura dello sguardo della vicina di casa che, dalla sua finestra, vede tutta la scena: già sa che andrà a riferirlo alle altre pettegole del quartiere.

Quando abiti in un posto piccolo come Konoha – ragiona Shikamaru, lasciando cadere le mani lungo i fianchi di Ino – non puoi pretendere che la tua vita privata rimanga tale; ognuno, per dirlo alla Ino Yamanaka, sa i cazzi di tutti, nessuno escluso.

Quindi non c’era nulla di nuovo per lui: stava con Ino da praticamente una vita; quasi dalla prima volta che l’aveva vista, forse.

Ricordava ancora la figura minuta che correva per la strada, sventolando la mano bianca verso l’alto, interrompendo la quiete solita del quartiere di Konoha; aveva sbuffato un po’ quando lei come un treno aveva iniziato a tempestarlo di domande: come ti chiami, dove abiti, quanti anni hai, giochi con me, diventi mio amico, perché i tuoi capelli sono così, cosa sono queste urla, ti piace il mio vestito nuovo. Si ricordava tutto come se fosse ieri. Immagini nitide nella sue mente, accantonate nella parte dedicata ai ricordi più belli.

Ricordi che erano lontani da quelli legati alla sua famiglia. Parenti che Ino, con la sua luce, aveva pian piano reso più sopportabili. Shikamaru, quando riusciva a scappare, non era più obbligato a rimanere solo e, per quanto lui lo giudicasse noioso, parlava male alle loro spalle con Ino, sfogandosi e, alle volte, anche piangendo.

Ino non lo giudicava mai. Lo guardava sempre con gli occhi limpidi, come sta facendo ora, mentre le loro fronti sono una contro l’altra e i nasi si sfiorano, in piccole carezze gentili tipiche di due gatti innamorati.

-«Pensavo»-, fa Ino con il fiato mozzo, -«che ti sarebbe interessato. Sai, andare via...io e te.»-

Shikamaru non può che sorridere di fronte a quelle guance bianche divenute porpora. Non può che baciarla di nuovo, ancora, ancora, ancora e ancora. Lasciando perdere i fischi che Naruto lancia dall’altra parte della strada, incoraggiato dagli schiamazzi dell’amico di sempre Kiba Inuzuka e dai gesti volgari di Kankuro.

-«Sai, cambiare aria, no? Per te che trovi tutto così seccate magari potrebbe essere meglio.»-, continua Ino con più incertezza nella voce, mentre Shikamaru la scruta con quegl’occhi di pece che, sempre, le fanno battere il cuore.

Sente il respiro sulle sue labbra: un sapore di nicotina sulla sua lingua, che sa tanto di Shikamaru e che la fa emozionare, come se fosse ancora la prima volta.

E con un battito di ciglia, Ino torna veloce e sorridente a quel giorno di metà inverno di quattro anni prima, quando Shikamaru l’aveva afferrata per un braccio con lo sguardo più seccato del mondo, a causa delle lacrime che minacciavano di uscirle dagl’occhi, provocate dai pettegolezzi tra Nara e una ragazza più grande, Temari.

Aveva lasciato perdere per una volta i modi di fare strascicati e l’aveva baciata come Ino aveva visto fare solo nei cinema: un bacio vero, di quelli che ti lasciano senza respiro perché vuoi stare dietro alla passione e che ti mandano il cervello in tilt.

Ricordava ancora, come se non fosse successo così tanti anni prima, che si era aggrappata a lui, ignorando i commenti sprezzanti delle donne spettatrici, che non potevano credere che una ragazza come lei potesse fare quelle cose con il ragazzo della poco di buono che litigava spesso con il marito.

Ino poi aveva subito l’ira di suo padre, parole cattive sputatele in faccia senza ritegno e causa, uno schiaffo e tanti, tanti, tanti silenzi.

Silenzi che, con il tempo, aveva imparato a riempire; vivendo giorno per giorno, ignorando le occhiate della gente quando passava per le strade mano nella mano con Shikamaru, evitando con cura gli avvertimenti delle donne contro i Nara, litigando ogni tre per due con quello che, in mezzo ad una vita fatta di stenti e in luogo in cui sembrava che l’amore fosse inesistente, era diventato il suo mondo.

Aveva sopportato così il cambiamento radicale che il quartiere di cui si era innamorata all’età di sei anni aveva subito; grazie alla presenza costante di Shikamaru accanto alla sua. Grazie a lui che, nonostante i modi di fare da scansafatiche, le aveva presentato quelli che ora sono la sua famiglia.

Ed Ino ride, abbracciando Shikamaru di slancio, facendolo cadere a terra, impiastricciandogli la camicia bianca della divisa scolastica.

Intreccia le loro gambe, ignorando le mezze imprecazioni sussurrate da Shikamaru al suo orecchio, mentre gli mordicchia il collo, il fantasma della risata ancora sul volto bello e giovane.

-«Un vita nuova, in un luogo in cui non esistono pregiudizi, in cui solo noi possiamo sapere di noi.»-, gioca con le parole, mentre lo bacia qua e la, allontanando dalle mani del ragazzo la sigaretta, gettandola lontana e contribuendo alla sporcizia che già infanga Konoha.

Shikamaru non sorride. La osserva con curiosità, le labbra piegate in una smorfia semi-seccata, mentre le mani sfiorano il corpo magro di Ino.

La sente sospirare leggera, come fa sempre sotto il suo tocco un po’ rude; come ogni singola notte passata con lui, da quando Shikamaru aveva sfidato la sua sorte, scavalcando il davanzale di casa Yamanaka e andandola a trovare, nel bel mezzo della notte, dopo una furiosa litigata dei suoi genitori.

Ino l’aveva accolto in silenzio, abbracciandolo di tanto in tanto, durante il discorso spezzato dalle pause di Shikamaru, che fumava come se nulla fosse una sigaretta; come se non stesse raccontando di sua madre che lanciava imprecazioni – troppo – pesanti contro un marito disoccupato; come se non fosse riferito alla sua famiglia quel covo di bastardi.

E poi, ora Shikamaru non si ricorda nemmeno come fosse iniziato tutto, si era ritrovato a sfiorarle il corpo, coperto solo da un leggerissimo strato di seta – era la prima volta nella sua vita che vedeva una camicia da notte così pregiata.

Forse Ino l’aveva fatto per consolarlo, per coprire quei singhiozzi che le sarebbero usciti dalle labbra e che l’avrebbero fatta vergognare. L’unica cosa che Shikamaru comprendeva, in quel momento, era che la pelle di Ino, il mattino seguente, puzzava di fumo. Le aveva lasciato, senza volerlo, un marchio addosso, che in quel quartiere avrebbe segnato la proprietà su Ino.

Proprietà inesistente, ora. Perché Shikamaru sa che il suo rapporto con Ino, così poco consono ai rapporti che esistono fra le altre coppie del quartiere, non era basato sul possesso, ma su uno scambio reciproco di un sentimento troppo pulito rispetto alla strada su cui sono sdraiati.

-«Potremmo passare le notti insieme, prenderci per mano senza doverci preoccupare che qualcuno ci schiaffeggi o di sentire occhiate disgustate sui nostri corpi.»-, prosegue Ino imperterrita, facendo inginocchiare Shikamaru di fronte a sé.

Ha un bel sorriso, pensa lui allungando una mano verso la sigaretta mezza finita che Ino ha gettato pochi secondi prima.

Se la mette in bocca senza problemi, ignorando le labbra di Ino arricciate in una brutta smorfia.

-«Sai, potrebbe succederti qualcosa.»-, borbotta seccata, allungando una mano verso la cicca tenuta saldamente fra i denti da lui.

Shikamaru scosta il viso, togliendo la sigaretta di sua spontanea volontà.

-«Questo quartiere mi ha già ucciso psicologicamente. Non penso lo farà anche fisicamente, ama troppo vedermi correre da te.»-, sbotta senza allegria, senza la voglia di fare battuta, mantenendo lo sguardo scostante su un punto imprecisato oltre la spalla di Ino.

-«Non è una bella cosa, da dire.»-

-«Per te che vivi ancora nel mondo delle favole.»-

-«Dal mondo delle favole ci sono uscita quando ho oltrepassato il cartello “Konoha”, Shikamaru.»-

E Shikamaru capisce di avere esagerato; capisce che Ino sta facendo tutto per lui; per poterlo allontanare da quella che è stata la sua falsa infanzia, con genitori assenti e poco interessati a lui.

Sente la mano di Ino stringere la sua – ancora. Solleva il volto e incrocia gli occhi azzurri di lei. Occhi azzurri, azzurri dalle sfumature più belle, di quelle che si vedono nei dipinti di pittori famosi, nei musei, durante le seccanti uscite didattiche obbligatorie, in cui lui, Naruto e Kiba scappavano sempre per qualche ora, richiamati poi dalla voce più alta di un’ottava perché arrabbiata di Ino.

Ino. Ino. Ino.

È una presenza continua nella sua vita. Una presenza che continua nella vita di quel quartiere sgangherato, che lui tanto odia, ma che riporta ogni singolo ricordo di un’infanzia passata troppo veloce, per i suoi pochi diciassette anni.

Un’infanzia che, nel bene e nel male, ha sempre avuto l’ombra di Ino accanto. Fianco contro fianco, braccio contro braccio, spalla contro spalla.

E Shikamaru sa che, quando Ino gli sfiora l’avambraccio in una tacita domanda, accetterà.

Accetterà e già si vede, mano nella mano con Ino, a dare un’ultima occhiata a questo dannato covo di bastardi, a sorridere mezzo esultante e dargli le spalle, pronto per un altro luogo, per creare nuovi ricordi, per condividere altri momenti con l’essenza che ha reso parzialmente respirabile l’aria soffocante di una cella per lui.

 

 

-Future-

 

Capelli lunghi di un biondo platinato ormai spento vengono soffiati dal vento. La donna rimane in piedi con un mezzo ghigno sul viso ancora bello, nonostante gli ormai raggiunti quarant’anni.

Tiene la gonna ferma, ed i suoi occhi sono familiari. E colgono familiarità.

Avanza d’un passo, sorpassando con una sicurezza che le ricorda la sua prima volta in quel luogo la linea che segna l’inizio del quartiere di Konoha - quartiere situato in una zona povera della periferia di Tokyo.

I piedi piccoli, stretti in scarpette dall’aria costosa bianco sporco, producono un eco nella strada deserta. Sono l’unico suono udibile per la piccola zona.

Una volta arrivata a metà strada, volta il viso, lo sguardo fisso su una scritta, brutta, sbiadita, scritta velocemente, in mezzo a mille altre, più volgari, più nuove, più colorate:

 

Shika+Ino

 

Sorride divertita, sfiorandola leggera con le dita esili, tremando appena a contatto con la ruvidità delle mura che, sempre, sono state compagne di quei piccoli momenti trascorsi lì. Poggia le labbra sulla scritta sbiadita, incurante dei batteri e della sporcizia, proprio come anni prima un ragazzo aveva fumato una sigaretta appena caduta a terra.

I battiti del cuore accelerano, quando un rumore ovattato di passi attira la sua attenzione.

Un uomo dai capelli neri legati in una coda alta e spinosa e una bambina che cammina di fianco a lui, un ciuffo ribelle color pece a coprirle parte del viso.

-«Ino, dobbiamo andare. Yukiko inizia scuola fra un’ora, e ci vuole mezz’ora di macchina per arrivarci.»-, l’uomo parla con una voce lenta e strascicata; sembra seccato da qualcosa che la moglie comprende, visto il sorriso malizioso che si apre sul bel viso.

-«Smettila di usare quel tono lamentoso, e poi anche tu ci volevi tornare.»-, trilla con allegria, afferrandogli con energia un braccio.

Shikamaru – li avete riconosciuti, no? – borbotta sottovoce, ben deciso a non farsi sentire da Ino, che ha già preso a camminare verso l’uscita.

Lui si blocca un attimo, lasciando andare avanti la sua famiglia; prende un secondo per sé e si volta a guardare la scritta che poco prima ha catturato l’attenzione di Ino.

Sorride.

Avrebbe dovuto immaginarlo che lei avrebbe lasciato un segno indelebile, che avrebbe fatto storcere a tutte quelle vecchie pettegole il naso per il disgusto, ogni qual volta sarebbero passate di fronte a quel muro.

S’immaginava anche di sentirle: la figlia dello Yamanaka è scappata con quel Nara. Dovevamo immaginarlo quando sono arrivati; quei due hanno portato solo guai.

Per la verità, rifletté Shikamaru osservando una scritta intagliata sotto quella di Ino - una scrittura brutta e discontinua che ricordava tanto quella di Naruto - lui non credeva che avessero portato guai.

Sorrise, voltandosi e dando le spalle  per l’ultima volta a quella che è stata la sua casa per una vita. Una vita a metà.

E con mille occhi invisibili puntati addosso, saluta. E getta una sigaretta mai accesa a terra.

 

Shika+Ino

Siate felici ovunque voi siate

N.

 

Fine.

 

 

* *** *

E di nuovo sì, sono stupita dalla posizione. Però devo ammettere che questa era l’unica delle tre fic inviate per il contest che mi piaceva. Quindi sono felice. *smile*

Sky ha trovato alcuni errori, ma non ho avuto il tempo di correggere la Fic, vi prego quindi di scusarmi. Rimedierò...un giorno.

Per quanto riguarda il fatto di non aver diviso la Fic in tre capitoli è un mio capriccio: ho scritto insieme questa fic, la posto insieme – unita.

Non è una cosa per cui si può aspettare, perché so per natura che dimenticherei l’avvenimento dei primi capitoli. Anche perché li posterei ogni morte di Papa.

 

Che dire? Sono felice di aver partecipato a questo contest – il primo a cui mi sia mai iscritta – e di non essere morta d’ansia, ecco.

Faccio numerosi complimenti a Tone e rekichan, le prime classificate, e a tutte le altre partecipanti.

ShikaIno Rocks! *smile*

 

With love,

Mimi.

 

 

   
 
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