Dedicata a Eleanor89.
Lei sa – come Choji – perché.
Mura
di carta
-
Shikamaru e Ino Tribute. -
-Past-
Le
strade sono nuove. Non si sentono schiamazzi di bambini che giocano, non si
vedono madri che con un cipiglio seccato li richiamano all’ordine.
Tutto
tace in quella prima mattina di una primavera appena sbocciata. Il tempo scorre
lento ed inesorabile, mentre il quartiere rimane immenso nella più irreale
delle tranquillità.
Una
tranquillità che viene spezzata, distrutta per sempre da un rumore di passi;
passi decisi, passi che sanno dove dirigersi. Passi che non sono di una sola
persona, ma di due. O meglio, una e mezzo.
Alle
porte di Konoha – quartiere situato in una delle periferie più emarginate di
Tokyo -, compaiono due figure, un uomo ed una bambina. Si tengono per mano,
quasi a voler dimostrare l’affetto che li lega, mentre camminano sicuri lungo
la strada deserta, quasi somigliante agli scenari tipici dei vecchi film
Western.
La
bambina si accarezza i capelli biondi, tagliati in un caschetto audace che
mette in bella mostra i grandi occhi blu, puri e ingenui, così atipici per una
giapponese.
-«Papà,
perché non c’è nessuno?»-, è una domanda posta con semplicità, forse usata
solamente per attirare l’attenzione del genitore, che subito posa gli occhi – blu – sulla figura minuta.
-«Forse
è ancora presto e tutti stanno dormendo, Ino.»-, azzarda con incertezza,
scostando lo sguardo.
Ino
riconosce senza sforzo la bugia del padre: arriccia la bocca in una brutta
smorfia, tornando a fissare di fronte a sé. E quasi le scappa un urlo di
sorpresa.
Afferra
la giacca del padre, tirandola con forza e decisione, mentre con un dito –
maleducata – indica un bambino di fronte a loro. Un bambino dalla pettinatura
più strana che Ino abbia mai visto, con una coda ispida alta e legata stretta.
-«Papà,
guarda! È...è un ragazzo con la testa ad ananas!»-, e corre via, senza
aspettare una parola del padre, che guarda con malinconica dolcezza la figura
della figlia allontanarsi veloce, sventolando una mano in segno di saluto verso
l’altro bambino.
Sbuffa
un po’, passandosi una mano fra i lunghi capelli color paglia, osservando
restio le facciate immacolate della case; un quartiere sconosciuto, deserto e
piccolo.
-«Non
tornare tardi, Ino.»-
-Present-
I
bidoni a terra vengono evitati con falsa indifferenza dalle malaugurate
casalinghe di quel quartiere, vecchio e logoro, che camminano spedite verso i
pochi luoghi di loro interesse: super-market, fruttivendolo, casa.
Un
ritmo costante, continuo, che viene ripetuto giorno per giorno, ripetitivo ed
incessante.
Ma
godete di ogni piccolo istante, voi, spettatori di questo piccolo teatro di
abitualità e monotonia; anche di quei piccoli bambini che corrono, sfuggiti
forse dalle mani forti delle madri che, ora, urlano i loro nomi, preoccupate,
spaventate, perché Konoha non è più quella di un tempo.
Konoha
non è più quel piccolo quartiere caldo e sicuro, semplice e moderno; ha
abbandonato quel lusso da tempo, da quando i piccoli bambini reclusi sono
diventati grandi, da quando bottiglie tintinnanti hanno iniziato a toccarsi
l’una con l’altra per la prima volta, da quando l’estraniarsi dalla gente normale è diventato legge.
Ora
per le strade non c’è più il solito e tranquillizzante silenzio di un tempo:
urla volgari che ricoprono di complimenti spinti le ragazze piacenti, audaci a
camminare sole in quelle zone, o semplicemente pazze.
Nemmeno
le strade sono più loro: logore, buie, cupe. Un teatro da film Horror.
Strade
che ospitano le donne di Konoha, vecchie pettegole e portinaie, che attendono i
momenti di chiacchiericcio comune con ansia, durante tutta la settimana; ed è
in quegli spiazzi che brutte parole escono o sfuggono dalle bocche, fautrici di
tutte quell’idee che sono state la rovina di Konoha: hai sentito del figlio maggiore degli Uchiha? Pare sia in galera per
sospettato omicidio del padre. E il minore? Ha messo incinta la giovane erede
Hyuuga. Si dice che Hiashi sia andato fuori di sé e che abbia obbligato il
nipote Neji a sposarsi e prelevare l’azienda di famiglia.
E quei Nara? Ancora che
litigano; non capisco come il figlio possa ancora vivere con loro. Lei è una
poco di buono...
Ma
c’è chi queste cose le evita. C’è chi vive lasciando fuori dal proprio cuore
quella maldicenze, per concentrarsi solo sui pochi istanti che la vita regala.
Ed
è qui che comincia la nostra storia – o meglio, la sua storia. Di quella ragazza con la chilometrica coda di cavallo
bionda platinata, dalle gambe snelle che procede lenta e sicura, il mento alto,
lungo la strada emanante un puzzo di piscio che da il voltastomaco.
Tiene
fra le sue mani bianche un opuscolo; uno di quelli che danno nelle scuole
superiori, verso l’ultimo anno, per decidere la meta per il futuro: università,
scuola di preparazione, accademie.
Si
mangiucchia un’unghia accigliata, mentre solleva lo sguardo azzurro sui quattro ragazzi di fronte a
lei: li saluta con un sorriso di quelli che fanno capire che alle maldicenze,
lei, non ci crede.
Si
salutano in modo rumoroso, con baci schioccati ed umidi sulle guance, con
abbracci lunghi ed esagerati per gente che non si vede da poche ore.
-«Torni
da scuola?»-, chiede quello più vicino a lei, che le cinge la vita sottile con
un braccio, mentre nella mano sinistra tiene stretto un cellulare.
Annuisce
con decisione, Ino, mentre si stacca gentilmente da lui, curiosando lo
schermino per captarne qualche nuovo pettegolezzo da discutere con le sue
amiche.
Il
biondino lo allontana imbarazzato, allungando una mano verso l’alto, ben
lontano da dove Ino e la sua altezza potrebbero arrivare: l’unico aspetto che
la fanciulla ha con il restante popolo giapponese è proprio quel metro e
cinquantacinque scarso.
-«Niente
da fare, Yamanaka. Non voglio far sapere in giro i miei affari.»-, sbotta un po’
seccato, riferendosi sicuramente a quella volta in cui Ino e TenTen, la sua più cara amica, erano andate a sbandierare
ai quattro venti che lui, Naruto Uzumaki, si era trovato una ragazza.
Ridacchia
gioiosa, gli occhi brillanti ed aperti, mentre si allontana velocemente, con il
suo passo di danza, sotto gli occhi adoranti di qualche ragazzo più grande, già
scaricato più volte. La causa? Troppi lividi viola sul viso e soprattutto un
codino ad ananas spinoso, come quello del ragazzo che si è lasciato scovare
dagli occhi di Ino.
-«Nara!»-,
la sua coda bionda taglia il vento che porta odore di fumo e cenere per tutto
il quartiere, ed è la causa della chiusura di molte finestre.
Ino
corre verso di lui e gli si siede accanto, ignorando le cicche secche attaccate
al marciapiedi e qualche foglio di carta vecchio e strappato a pochi centimetri
dai suoi piedi.
Gli
sorride con malizia, sventolando l’opuscolo di fronte al naso del ragazzo, che
fuma placidamente una sigaretta.
-«Che
vuoi Mendokuse?»-, seccatura le dice e la fa ridere: Ino lo considera un po’
come il modo per dimostrarle affetto, nonostante più volte lo aveva picchiato
per quell’appellativo poco adatto alle fidanzate.
Gli
prende una mano, stringendola con forza, prima di iniziare a parlare come un
treno, aggiungendoci le parolacce che lui stesso, anni prima, le aveva
insegnato.
-«Ce
l’hanno dato a scuola, sai. Tu ci dovevi venire, idiota, ma hai pensato bene di
fare sega con Uzumaki e co., allora ho preso una copia anche per te – mi devi
ricompensare, pesa almeno tre etti!», riprende fiato, osservando soddisfatta il
viso seccato di Shikamaru, -«Ci sono tutte le scuole del Giappone con i campus
che ospitano gli studenti di altre città.»-, continua imperterrita, iniziando a
sfogliare eccitata le poche pagine, prive di dettagli significativi.
Shikamaru
sbuffa un po’ di fumo, allungando le gambe, andando a toccare quelle di Ino,
molto più corte delle sue. La vede bloccarsi, e, una volta lasciato perdere
l’opuscolo, chiude gli occhi, pronto a ricambiare le labbra di Ino che, un
secondo dopo, si poggiano con naturalezza sulle sue, andando ad incastrarsi
alla perfezione.
Appoggia
mollemente la mano con la sigaretta sul suo viso, accarezzandolo leggero, come
sempre; non si cura dello sguardo della vicina di casa che, dalla sua finestra,
vede tutta la scena: già sa che andrà a riferirlo alle altre pettegole del
quartiere.
Quando
abiti in un posto piccolo come Konoha – ragiona Shikamaru, lasciando cadere le
mani lungo i fianchi di Ino – non puoi pretendere che la tua vita privata
rimanga tale; ognuno, per dirlo alla Ino Yamanaka, sa i cazzi di tutti, nessuno
escluso.
Quindi
non c’era nulla di nuovo per lui: stava con Ino da praticamente una vita; quasi dalla prima volta che
l’aveva vista, forse.
Ricordava
ancora la figura minuta che correva per la strada, sventolando la mano bianca
verso l’alto, interrompendo la quiete solita del quartiere di Konoha; aveva
sbuffato un po’ quando lei come un treno aveva iniziato a tempestarlo di
domande: come ti chiami, dove abiti, quanti
anni hai, giochi con me, diventi mio amico, perché i tuoi capelli sono così,
cosa sono queste urla, ti piace il mio vestito nuovo. Si ricordava tutto
come se fosse ieri. Immagini nitide nella sue mente, accantonate nella parte
dedicata ai ricordi più belli.
Ricordi
che erano lontani da quelli legati alla sua famiglia. Parenti che Ino, con la
sua luce, aveva pian piano reso più sopportabili. Shikamaru, quando riusciva a
scappare, non era più obbligato a rimanere solo e, per quanto lui lo giudicasse
noioso, parlava male alle loro spalle
con Ino, sfogandosi e, alle volte, anche piangendo.
Ino
non lo giudicava mai. Lo guardava sempre con gli occhi limpidi, come sta
facendo ora, mentre le loro fronti sono una contro l’altra e i nasi si
sfiorano, in piccole carezze gentili tipiche di due gatti innamorati.
-«Pensavo»-,
fa Ino con il fiato mozzo, -«che ti sarebbe interessato. Sai, andare via...io e
te.»-
Shikamaru
non può che sorridere di fronte a quelle guance bianche divenute porpora. Non
può che baciarla di nuovo, ancora, ancora, ancora e ancora. Lasciando perdere i
fischi che Naruto lancia dall’altra parte della strada, incoraggiato dagli
schiamazzi dell’amico di sempre Kiba Inuzuka e dai gesti volgari di Kankuro.
-«Sai,
cambiare aria, no? Per te che trovi tutto così seccate magari potrebbe essere
meglio.»-, continua Ino con più incertezza nella voce, mentre Shikamaru la
scruta con quegl’occhi di pece che, sempre, le fanno battere il cuore.
Sente
il respiro sulle sue labbra: un sapore di nicotina sulla sua lingua, che sa
tanto di Shikamaru e che la fa emozionare, come se fosse ancora la prima volta.
E
con un battito di ciglia, Ino torna veloce e sorridente a quel giorno di metà
inverno di quattro anni prima, quando Shikamaru l’aveva afferrata per un
braccio con lo sguardo più seccato del mondo, a causa delle lacrime che
minacciavano di uscirle dagl’occhi, provocate dai pettegolezzi tra Nara e una
ragazza più grande, Temari.
Aveva
lasciato perdere per una volta i modi di fare strascicati e l’aveva baciata
come Ino aveva visto fare solo nei cinema: un bacio vero, di quelli che ti
lasciano senza respiro perché vuoi stare dietro alla passione e che ti mandano
il cervello in tilt.
Ricordava
ancora, come se non fosse successo così tanti anni prima, che si era aggrappata
a lui, ignorando i commenti sprezzanti delle donne spettatrici, che non
potevano credere che una ragazza come lei potesse fare quelle cose con il
ragazzo della poco di buono che litigava spesso con il marito.
Ino
poi aveva subito l’ira di suo padre, parole cattive sputatele in faccia senza
ritegno e causa, uno schiaffo e tanti, tanti, tanti silenzi.
Silenzi
che, con il tempo, aveva imparato a riempire; vivendo giorno per giorno,
ignorando le occhiate della gente quando passava per le strade mano nella mano
con Shikamaru, evitando con cura gli avvertimenti
delle donne contro i Nara, litigando ogni tre per due con quello che, in mezzo
ad una vita fatta di stenti e in luogo in cui sembrava che l’amore fosse
inesistente, era diventato il suo mondo.
Aveva
sopportato così il cambiamento radicale che il quartiere di cui si era
innamorata all’età di sei anni aveva subito; grazie alla presenza costante di
Shikamaru accanto alla sua. Grazie a lui che, nonostante i modi di fare da
scansafatiche, le aveva presentato quelli che ora sono la sua famiglia.
Ed
Ino ride, abbracciando Shikamaru di slancio, facendolo cadere a terra,
impiastricciandogli la camicia bianca della divisa scolastica.
Intreccia
le loro gambe, ignorando le mezze imprecazioni sussurrate da Shikamaru al suo
orecchio, mentre gli mordicchia il collo, il fantasma della risata ancora sul
volto bello e giovane.
-«Un
vita nuova, in un luogo in cui non esistono pregiudizi, in cui solo noi
possiamo sapere di noi.»-, gioca con le parole, mentre lo bacia qua e la, allontanando
dalle mani del ragazzo la sigaretta, gettandola lontana e contribuendo alla
sporcizia che già infanga Konoha.
Shikamaru
non sorride. La osserva con curiosità, le labbra piegate in una smorfia
semi-seccata, mentre le mani sfiorano il corpo magro di Ino.
La
sente sospirare leggera, come fa sempre sotto il suo tocco un po’ rude; come
ogni singola notte passata con lui, da quando Shikamaru aveva sfidato la sua
sorte, scavalcando il davanzale di casa Yamanaka e andandola a trovare, nel bel
mezzo della notte, dopo una furiosa litigata dei suoi genitori.
Ino
l’aveva accolto in silenzio, abbracciandolo di tanto in tanto, durante il
discorso spezzato dalle pause di Shikamaru, che fumava come se nulla fosse una
sigaretta; come se non stesse raccontando di sua madre che lanciava
imprecazioni – troppo – pesanti contro un marito disoccupato; come se non fosse
riferito alla sua famiglia quel covo di
bastardi.
E
poi, ora Shikamaru non si ricorda nemmeno come fosse iniziato tutto, si era
ritrovato a sfiorarle il corpo, coperto solo da un leggerissimo strato di seta
– era la prima volta nella sua vita che vedeva una camicia da notte così
pregiata.
Forse
Ino l’aveva fatto per consolarlo, per coprire quei singhiozzi che le sarebbero
usciti dalle labbra e che l’avrebbero fatta vergognare. L’unica cosa che
Shikamaru comprendeva, in quel momento, era che la pelle di Ino, il mattino
seguente, puzzava di fumo. Le aveva lasciato, senza volerlo, un marchio
addosso, che in quel quartiere avrebbe segnato la proprietà su Ino.
Proprietà
inesistente, ora. Perché Shikamaru sa che il suo rapporto con Ino, così poco
consono ai rapporti che esistono fra le altre coppie del quartiere, non era
basato sul possesso, ma su uno scambio reciproco di un sentimento troppo pulito
rispetto alla strada su cui sono sdraiati.
-«Potremmo passare le notti insieme, prenderci
per mano senza doverci preoccupare che qualcuno ci schiaffeggi o di sentire
occhiate disgustate sui nostri corpi.»-, prosegue Ino imperterrita, facendo
inginocchiare Shikamaru di fronte a sé.
Ha un bel sorriso, pensa lui allungando una mano
verso la sigaretta mezza finita che Ino ha gettato pochi secondi prima.
Se la mette in bocca senza problemi, ignorando le
labbra di Ino arricciate in una brutta smorfia.
-«Sai, potrebbe succederti qualcosa.»-, borbotta
seccata, allungando una mano verso la cicca tenuta saldamente fra i denti da
lui.
Shikamaru scosta il viso, togliendo la sigaretta di
sua spontanea volontà.
-«Questo quartiere mi ha già ucciso
psicologicamente. Non penso lo farà anche fisicamente, ama troppo vedermi
correre da te.»-, sbotta senza allegria, senza la voglia di fare battuta,
mantenendo lo sguardo scostante su un punto imprecisato oltre la spalla di Ino.
-«Non è una bella cosa, da dire.»-
-«Per te che vivi ancora nel mondo delle favole.»-
-«Dal mondo delle favole ci sono uscita quando ho
oltrepassato il cartello “Konoha”, Shikamaru.»-
E Shikamaru capisce di avere esagerato; capisce che
Ino sta facendo tutto per lui; per poterlo allontanare da quella che è stata la
sua falsa infanzia, con genitori assenti e poco interessati a lui.
Sente la mano di Ino stringere la sua – ancora.
Solleva il volto e incrocia gli occhi azzurri di lei. Occhi azzurri, azzurri
dalle sfumature più belle, di quelle che si vedono nei dipinti di pittori
famosi, nei musei, durante le seccanti uscite didattiche obbligatorie, in cui
lui, Naruto e Kiba scappavano sempre per qualche ora, richiamati poi dalla voce
più alta di un’ottava perché arrabbiata di Ino.
Ino. Ino. Ino.
È una presenza continua nella sua vita. Una presenza
che continua nella vita di quel quartiere sgangherato, che lui tanto odia, ma
che riporta ogni singolo ricordo di un’infanzia passata troppo veloce, per i
suoi pochi diciassette anni.
Un’infanzia che, nel bene e nel male, ha sempre
avuto l’ombra di Ino accanto. Fianco contro fianco, braccio contro braccio,
spalla contro spalla.
E Shikamaru sa che, quando Ino gli sfiora
l’avambraccio in una tacita domanda, accetterà.
Accetterà e già si vede, mano nella mano con Ino, a
dare un’ultima occhiata a questo dannato
covo di bastardi, a sorridere mezzo esultante e dargli le spalle, pronto
per un altro luogo, per creare nuovi ricordi, per condividere altri momenti con
l’essenza che ha reso parzialmente respirabile l’aria soffocante di una cella
per lui.
-Future-
Capelli lunghi di un biondo platinato ormai spento
vengono soffiati dal vento. La donna rimane in piedi con un mezzo ghigno sul
viso ancora bello, nonostante gli ormai raggiunti quarant’anni.
Tiene la gonna ferma, ed i suoi occhi sono
familiari. E colgono familiarità.
Avanza d’un passo, sorpassando con una sicurezza che
le ricorda la sua prima volta in quel luogo la linea che segna l’inizio del
quartiere di Konoha - quartiere situato in una zona povera della periferia di
Tokyo.
I piedi piccoli, stretti in scarpette dall’aria
costosa bianco sporco, producono un eco nella strada deserta. Sono l’unico
suono udibile per la piccola zona.
Una volta arrivata a metà strada, volta il viso, lo
sguardo fisso su una scritta, brutta, sbiadita, scritta velocemente, in mezzo a
mille altre, più volgari, più nuove, più colorate:
Shika+Ino
Sorride divertita, sfiorandola leggera con le dita
esili, tremando appena a contatto con la ruvidità delle mura che, sempre, sono state compagne di quei piccoli momenti
trascorsi lì. Poggia le labbra sulla scritta sbiadita, incurante dei batteri e
della sporcizia, proprio come anni prima un ragazzo aveva fumato una sigaretta
appena caduta a terra.
I battiti del cuore accelerano, quando un rumore
ovattato di passi attira la sua attenzione.
Un uomo dai capelli neri legati in una coda alta e
spinosa e una bambina che cammina di fianco a lui, un ciuffo ribelle color pece
a coprirle parte del viso.
-«Ino, dobbiamo andare. Yukiko
inizia scuola fra un’ora, e ci vuole mezz’ora di macchina per arrivarci.»-,
l’uomo parla con una voce lenta e strascicata; sembra seccato da qualcosa che
la moglie comprende, visto il sorriso malizioso che si apre sul bel viso.
-«Smettila di usare quel tono lamentoso, e poi anche
tu ci volevi tornare.»-, trilla con allegria, afferrandogli con energia un
braccio.
Shikamaru – li
avete riconosciuti, no? – borbotta sottovoce, ben deciso a non farsi
sentire da Ino, che ha già preso a camminare verso l’uscita.
Lui si blocca un attimo, lasciando andare avanti la
sua famiglia; prende un secondo per
sé e si volta a guardare la scritta che poco prima ha catturato l’attenzione di
Ino.
Sorride.
Avrebbe dovuto immaginarlo che lei avrebbe lasciato un segno indelebile, che avrebbe fatto
storcere a tutte quelle vecchie pettegole il naso per il disgusto, ogni qual
volta sarebbero passate di fronte a quel muro.
S’immaginava anche di sentirle: la figlia dello Yamanaka è scappata con quel Nara. Dovevamo immaginarlo
quando sono arrivati; quei due hanno portato solo guai.
Per la verità, rifletté Shikamaru osservando una
scritta intagliata sotto quella di Ino - una scrittura brutta e discontinua che
ricordava tanto quella di Naruto - lui non credeva che avessero portato guai.
Sorrise, voltandosi e dando le spalle per l’ultima volta a quella che è stata la
sua casa per una vita. Una vita a metà.
E con mille occhi invisibili puntati addosso,
saluta. E getta una sigaretta mai accesa a terra.
Shika+Ino
Siate felici ovunque voi siate
N.
Fine.
*
*** *
E
di nuovo sì, sono stupita dalla posizione. Però devo ammettere che questa era
l’unica delle tre fic inviate per il contest che mi piaceva. Quindi sono
felice. *smile*
Sky
ha trovato alcuni errori, ma non ho avuto il tempo di correggere la Fic, vi
prego quindi di scusarmi. Rimedierò...un giorno.
Per
quanto riguarda il fatto di non aver diviso la Fic in tre capitoli è un mio
capriccio: ho scritto insieme questa fic, la posto insieme – unita.
Non
è una cosa per cui si può aspettare, perché so per natura che dimenticherei l’avvenimento
dei primi capitoli. Anche perché li posterei ogni morte di Papa.
Che
dire? Sono felice di aver partecipato a questo contest – il primo a cui mi sia
mai iscritta – e di non essere morta d’ansia, ecco.
Faccio
numerosi complimenti a Tone e rekichan, le prime
classificate, e a tutte le altre partecipanti.
ShikaIno Rocks!
*smile*
With love,
Mimi.