sedicesimo: she loves you just the way you are.
– Così
imparano quegli idioti a scrivere che siamo una squadra di classe C!
La voce
trionfante di Mitsui accompagnò la grassa risata di Hanamichi e Ryota, che
insieme a lui e al resto della squadra festeggiavano la meritatissima vittoria
contro il Toyotama.
– Se siamo
riusciti a sconfiggere quei coglioni da A possiamo già considerarci da AA.
– rincarò il playmaker con un ghigno da Stregatto.
– Vangelo!
– uggiolarono il cecchino e il Rosso.
Seduto
compostamente sul tatami della sala
da pranzo della pensione Chidori, momentaneamente adibita a sala riunioni dello
Shohoku, Akagi stronfiò:
– Vedete di
non montarvi troppo la testa, cretini.
Il Genio lo
gratificò con una dose di sonore pacche sulle spalle:
– Eddai,
Gorillone, rilassati. Lo so che sei contento pure tu. – lo blandì.
Il capitano
seguitò a sminuire la partita vinta, ben sapendo cosa li attendeva l’indomani,
ma non poteva negare a se stesso di essere più che felice. Inoltre aveva
ricevuto una telefonata dall’allenatore Karasawa della Shintai, l’università
con la migliore formazione cestistica del paese, e l’uomo si era personalmente
congratulato con lui per la riuscita dell’incontro di quel giorno. Per Takenori
era stata un’ulteriore conferma del fatto che alla Shintai lo avrebbero accolto
con tutti gli onori una volta uscito dal liceo, di lì a qualche mese.
Anche Rumiko
esultava con moderazione, appoggiata alla cornice della finestra che dava sul
giardino. L’espressione glaciale di Haruko sugli spalti, al palazzetto, le era
rimasta ben impressa in mente e prometteva guai, sempre che significasse che la
Tonna aveva udito ciò che si erano dette lei e Ayako. E c’era l’ombra del
Sannoh a gravare su tutti loro: l’importanza della sfida a venire era pari a
quella di una finale, e la tokyota avrebbe dato qualsiasi cosa perché lo fosse
davvero. Vincere il campionato, e vincerlo combattendo contro i campioni
indiscussi, sarebbe stato un sogno.
– Dovremmo
spostarci nel salottino. Il signor Anzai ha portato un paio di videocassette
con le riprese del torneo dello scorso anno. – suggerì d’un tratto la
manager.
– Sannoh
contro Kainan? – chiese la coach, riscuotendosi.
L’amica assentì e
fece cenno ai ragazzi di alzare le chiappe dal pavimento e seguirle nella
stanza attigua. Rukawa saltò fuori dal nulla, l’occhio sinistro accuratamente
incerottato, e si unì ai compagni con un’espressione che Rumiko non avrebbe
saputo definire se scontrosa o concentrata – o entrambe le cose, com’era
naturale in uno come lui. Lei e la riccia lasciarono la saletta per ultime e
Ayako ne approfittò per bisbigliarle: – Kaede è arrabbiato con te per il
due di picche?
La piccola
diavola esalò un mugolìo d’insofferenza:
– Io mi
preoccupo per il team di Domoto che ci aspetta al varco e tu mi vai a distrarre
con questi altri casini?
– Ragazza
mia, se prima non risolvi i suddetti casini dubito che riuscirai a concentrarti
sul Sonno.
– E che
altro dovrei fare? Rukawa l’ho scaricato. – sibilò Rumiko fermandosi
subito prima della soglia della saletta tv.
L’altra sorrise
con fare materno: – Dovresti parlarne con Sakuragi, no?
La minuta
allenatrice aprì la bocca per ribattere ancora, la richiuse e scrollando il
capo come un cavallo imbizzarrito infilò la porta per andarsi ad accomodare
sulla poltrona accanto a quella del Buddha. Avvertì gli sguardi del Re e del
Volpino posarlesi addosso ma non diede loro soddisfazione, dedicandosi invece allo
schermo nebuloso del grande televisore: Ayako mise una delle cassette, afferrò
il telecomando e l’inquadratura di un campo da basket già gremito di atleti
comparve sul monitor. Dalle tende tirate si riversava morbida la luce rosata
del sole calante.
Trascorsero i
venti minuti del primo tempo, e man mano che i giocatori nel tubo catodico
segnavano canestri su canestri ai danni del Kainan i commenti degli Eroi di
Kanagawa si facevano sempre più sporadici e titubanti; al quarto minuto del
secondo tempo il Sannoh conduceva per 89 a 79, senza lasciare spazi vitali a
Maki e ai suoi, e sul team di Akagi era calato un silenzio di tomba.
– Embeh?
– azzardò Hanamichi notando l’estremo pallore dei compari.
– Si vede
che sei proprio un principiante, tu. – grugnì Miyagi: – Sei l’unico
tra noi a non essere rimasto colpito dall’enorme potenza del Sannoh, guardando
il filmato.
– Non è
tipo da fasciarsi la testa prima di essersela rotta, lui. – chiosò
Hisashi, quasi accasciato contro lo schienale del divano sul quale Ryota, il
rossino e Rukawa erano sprofondati.
Rumiko, benché
intenerita dalla spavalderia incosciente dell’amato, non riuscì a farsi
contagiare da essa: il divario tecnico e di abilità tra i cestisti di Akita e
loro era, o appariva, incolmabile, e di certo non un problema che avrebbero
risolto nell’arco di una notte. Il trio formato dal numero nove, capitano e
playmaker, dal centro con la maglia targata quattordici e dall’asso con il
tredici era una vera macchina da guerra acchiappapunti ed era rimasto invariato
dall’anno precedente, il che peggiorava ulteriormente la situazione.
–
Scusatemi, faccio un salto in bagno. – annunciò frettolosamente,
alzandosi.
La vescica le
implorava in effetti misericordia, e prendersi una pausa dal tremendo
spettacolo dell’imbattibilità del Sannoh Kogyo le avrebbe fatto bene. Tra il
video e i famosi Altri Casini l’aria nella stanza stava per lei diventando
eccessivamente tesa.
Era appena uscita
dalla toilette dell’ingresso canticchiando Don’t
bring me down degli Electric Light Orchestra quando intercettò lo squillo
sfiatato del telefono della reception. Non c’era traccia dei proprietari, lì
intorno, e dopo una decina di trilli la tokyota si decise a prendere la
comunicazione. Magari era Hikoichi del Ryonan con nuove informazioni sul
Sannoh, pensò.
– Ryokan Chidori di Hiroshima, buonasera.
– disse pomposamente nella cornetta.
La persona agli
antipodi del filo trattenne il respiro, quindi rispose: – Rumiko?
Nel riconoscere
la voce la nostra si irrigidì: – Haruko?
– Perché
sei al bancone?
– Non c’era
nessun altro e credevo che fosse Hikoichi. – spiegò la coach, e immediatamente
si sentì stupida: cosa diamine stava a giustificarsi con la Akagi? – Vuoi
tuo fratello? O forse Sakuragi? – domandò in tono brusco senza curarsi di
minimizzare la provocazione. Le era salito tutto insieme il sangue al cervello,
al ricordo di quanto aveva appreso da Hanamichi medesimo il venerdì prima della
partenza, e improvvisamente desiderò un confronto diretto con la rivale.
– Volevo
sapere come stavate, ma visto che hai risposto tu voglio parlare con te.
– Con me.
– ripeté Rumiko a denti stretti.
– C’è
qualcosa che devi dirmi a proposito di Rukawa? – incalzò Haruko, gelida.
L’allenatrice percepì
un brivido di profondo fastidio serpeggiarle lungo la nuca:
– Perché
ultimamente mi chiedete tutti notizie sul conto di Rukawa?
–
Probabilmente perché state attaccati come gemelli siamesi. – soffiò la
sua interlocutrice.
Un primo embolo deflagrò
incazzoso nel cervello in ebollizione della piccola diavola, che dovette fare
ricorso al risicato autocontrollo di cui disponeva per non mettersi a
sbraitare: – E tu, Haruko? C’è qualcosa che devi dirmi a proposito di
Hanamichi? – rilanciò scimmiottandola.
La Akagi esitò un
attimo, palesemente colta in contropiede: – Cosa c’entro io con Sakuragi?
– Sarai
tonta, Haruko, ma non fino a questo punto. – abbaiò Rumiko.
– Non
rigirare la frittata! Sei tu quella che ha baciato Rukawa pur sapendo benissimo
che piace da morire a me. – la freddò la Tonna suonando sorprendentemente
spietata.
Il tono della
nostra si alzò pericolosamente nell’atrio vuoto: – Io non l’ho baciato.
– Ho
sentito Ayako che lo diceva!
– E tu sei
uscita con Hanamichi pur sapendo benissimo
che piace da morire a me.
Haruko vacillò
nuovamente e sembrò perdere parte del proprio mordente: – Cosa?
– Haruko,
dove stracazzo sei adesso? – tagliò corto Rumiko.
– A casa
dei parenti di Fuji.
– A
Hiroshima.
– Sì, a
Hiroshima, ovvio. Perché? – borbottò la Akagi, confusa.
– Dammi
l’indirizzo.
– Non
vorrai venire qui adesso!
– Dammi
l’indirizzo! – tuonò la tokyota strappando un pezzo di carta dal
calendario appeso al muro più vicino e afferrando una penna a caso.
Haruko obbedì,
lei scarabocchiò le indicazioni con mano febbrile e sbatacchiò la cornetta al
suo posto mentre ancora la Tonna blaterava nel telefono. Si affacciò al volo
nella saletta video per ululare una scusa incomprensibile circa la propria
fuga, ignorò lo sconcerto degli amici e galoppò all’esterno dell’albergo in
cerca di un mezzo che la conducesse a destinazione, il foglietto stretto tra le
dita. Individuò una bicicletta dall’aspetto vissuto che qualcuno aveva
parcheggiato senza catena sul ponticello d’accesso alla pensione e le balzò in
sella, allontanandosi a tutta birra nel chiarore flebile del tramonto con un imbarazzante
rumore di ferraglia.
Segnarsi un
indirizzo e non munirsi di una mappa della città era stata una notevole
cazzata, si rimproverò Rumiko al quinto passante placcato per farsi illuminare
sulla strada da prendere.
Era trascorsa una
mezz’ora abbondante e in cielo la striscia dorata lasciata dall’ultimo sole
andava progressivamente assottigliandosi in favore del manto indaco del
crepuscolo; l’orologio da polso della ragazza era prossimo alle ventuno e dalle
finestre aperte delle case giungevano buoni odori di cibo, voci e rintoccare di
stoviglie.
L’ometto gentile
che pazientemente le aveva indicato la via la salutò bonario e la piccola
diavola, ormai prossima alla meta, riprese a pedalare sull’asfalto azzurrino,
sudata e stanca.
Il capitano la
avrebbe fatta tonda, al ritorno, per aver mollato la squadra alla vigilia della
Competizione della Vita (e per aver potenzialmente preso a calci sua sorella,
se le cose fossero finite in vacca) – e Mitsu, Ayako, Ryota e gli altri
cosa avrebbero pensato? Non rammentava nemmeno cosa diamine si era inventata
nell’andarsene, e si augurava che nessuno la denunciasse per aver preso in
prestito la povera bici scassata senza permesso. Maledetta lei e il suo
inesistente sangue freddo, e maledettissima Haruko con il suo tempismo di merda
e l’udito fino!, imprecò tra sé.
Finalmente un
cartelluccio pressoché indistinguibile, da tanto che era mimetizzato sul muro
in ombra di un condominio a due piani, le confermò che aveva raggiunto il chōme designato, e da lì individuare
anche il blocco e il numero civico le fu facile: la rivale era uscita
dall’abitazione e se ne stava immusonita sul marciapiede antistante, gambe
divaricate e pugni sui fianchi. Rumiko frenò, scivolò giù dal sellino e con una
scrollata di capelli tentò di ridarsi una parvenza di superiorità, benché si
sentisse paonazza, in disordine e sull’orlo dell’esplosione.
– Spiegami
cosa c’entro io con Sakuragi e col fatto che tu hai baciato Rukawa. – la
aggredì la Akagi senza badare a cerimonie.
L’allenatrice
emise un ringhio sordo e partì al contrattacco: – Cazzo, Haruko, ci sei
uscita! Sei andata con lui a fare acquisti e sono pronta a scommettere che non
era la prima volta, visto che quel Baffetto o come cazzo si chiama del negozio
di sport crede che tu sia la sua fidanzata! E gli sei stata appiccicata per
l’intera settimana dei Ventimila Tiri, e ci hai ballato quella sera al Dada’s,
e chissà se c’è altro che io non so!
Per la terza
volta in meno di un’ora, Haruko perse di botto la propria inusuale grinta e
batté le lunghe ciglia con sincera perplessità: – Siamo amici. –
opinò semplicemente.
– Anche per
me Kaede è un amico, ma a lui io piaccio. E allo stesso modo tu piaci a
Hanamichi.
Gli occhioni da
cerbiatta della Tonna si sgranarono all’inverosimile e fu il turno di Rumiko di
tentennare: se rivelandole quella nozione fondamentale avesse risvegliato nella
contendente un subitaneo amore nei confronti del Rossino sarebbe stata la fine,
e i due cuculi sarebbero presto convolati a nozze in un turbine rosa di petali
di ciliegio e a lei non sarebbe rimasto altro da fare se non A) meditare
vendetta insieme a Takenori, B) ricadere nell’abbraccio del bel tenebroso o C) darsi
alla macchia con il Porcospino delle Meraviglie.
– Non ne
avevo idea. – disse però Haruko con assoluta calma, rilassandosi pian
piano, e la coach fece altrettanto allentando la presa fino ad allora
spasmodica sul manubrio della bicicletta. Poi la sorella del capitano incrociò
le braccia e sollevò il mento: – Resta il fatto che hai baciato Rukawa,
Rumiko.
– No. Lui
ha baciato me, a Shizuoka, l’ultima sera del ritiro. Io avrei evitato
volentieri. – svelò la nostra in un sospirone. – E oggi l’ho
bloccato prima che bissasse l’impresa e gli ho detto chiaro e tondo che non c’è
storia, perciò non l’ho illuso né niente del genere.
– Cosa che invece ho fatto io con Sakuragi. Intendi
questo?
La tokyota la
fissò, le sopracciglia inarcate con fare eloquente, e Haruko scosse il capo:
– Mi
dispiace. Non mi ero accorta di piacergli, altrimenti avrei evitato anch’io.
– Dai,
Haruko. Fa lo scemo ogni volta che tu sei nei paraggi.
– Fa lo
scemo un po’ sempre, secondo mio fratello. – sorrise la Akagi.
Rumiko ridacchiò
suo malgrado: – Temo che abbia ragione.
– Quindi
non puoi basarti su quello per sostenere che gli piaccio.
– Da quando
lo conosco parla di te di continuo, cheddiamine!
La rivale si fece
seria: – Parlerà forse di me, ma i suoi occhi è te che guardano. –
replicò.
Nella sera
tiepida, tra i brandelli di musica e conversazioni che le finestre spalancate
lasciavano uscire, sotto le pozze aranciate dei lampioni e le sagome nere degli
alberi rigogliosi contro la pallida luminosità del vespro, la Signora dei
Canestri ebbe la sensazione di aver infine compreso appieno il nesso che le era
risultato nebuloso per mesi, la soluzione che Ayako, Hisashi e Ryota medesimi
le avevano illustrato:
– Non è
detto che io non gli piaccia. – quasi esclamò, rimbecillita e speranzosa.
– E se non
ti dichiarerai mai dubito che lo farà lui. – concluse Haruko.
La coach scoppiò
in una risata argentina: – Credevo che sarebbe finita a manate e invece
parlare con te è stata l’idea migliore che ho avuto da un bel po’ di tempo a
questa parte.
Alla parola
“manate” la Tonna diventò bianca come un cencio e incassò il collo tra le
spalle, simile a una civetta che se la sta facendo tra le piume posteriori, e
la piccola diavola si affrettò ad agitarle una mano davanti alla faccia:
– Scherzavo, scherzavo! – la rincuorò. Evitò di aggiungere che avrebbe
riconsiderato l’Opzione Cazzotti, se il Genio la avesse rifiutata in nome di
Haruko, e chiosò con un bofonchiato “allora io vado”.
– Ci
vediamo domani al palazzetto. – la salutò l’altra, ricevendo in risposta
il cigolìo della vecchia bici che si allontanava di gran carriera.
Il dileguossi di Rumiko aveva
destabilizzato gli animi già eccitati degli Eroi di Kanagawa, e il signor Anzai
aveva avuto il suo daffare perché prestassero di nuovo attenzione ai filmati
del Sannoh Kogyo. Tuttavia il ritrovato idillio era durato poco, e nel giro di
un quarto d’ora Akagi, Mitsui, Miyagi e Kogure si erano depressi al punto di
strisciare in giardino con la coda tra le gambe; il rosso ne aveva approfittato
per scappare in bagno e l’unico a rimanere nella sala video, oltre al Buddha,
era stato il Volpino.
Hanamichi non si crucciava
granché per l’imminente scontro che sembrava aver tolto energie e baldanza ai
suoi compagni – avevano paura del Sonno,
gli sciocchi! – eppure non riusciva a togliersi dalla testa la recente
ritrosia dell’amica. Era arrabbiata con lui? Era triste? Era confusa? Era
immersa nei suoi doveri di vice allenatrice? Era colpa del Verginello Artico?
Oppure era lui quello strambo che vedeva segreti e stranezze laddove tutto era
normale, per quanto l’aggettivo mal si addicesse a Rumiko Ishida? Ci rimuginò
sopra nella toilette e continuò a farlo persino nell’assistere a un
sospettosissimo colloquio tra il Ghiacciolo (ancora bendato e malconcio) e
quell’antipatico di Minami del Toyotama, che si era presentato alla pensione
con un misterioso unguento per l’ex avversario: in altri casi il Rossino
avrebbe origliato ogni minima sillaba che il rivale e il Calimero si
scambiavano, ma quella sera a malapena badò al fatto che Rukawa aveva
perentoriamente asserito di puntare a diventare il giocatore numero uno del
Giappone battendo Sawakita del Sonno
l’indomani. Non si curò neppure del quadretto pericolosamente romantico
composto da Ryota e Ayako che passeggiavano fianco a fianco a lume di luna,
scena che in giorni lontani lo avrebbe messo sul chi vive – perché
insomma, se quel tappo del suo migliore amico, il suo Socio Nella Sfiga Con Le
Donne, si fosse fidanzato con l’adorata manager, lui avrebbe perduto la propria
fidata spalla all’interno della squadra. Tuttavia l’arrovellìo che il
comportamento della piccola diavola gli procurava era più forte di tutto il
resto.
Fu dunque con un
buffo mescolume di sollievo e apprensione che la vide ricomparire di lì a
qualche minuto, caracollando sulle ruote di una bicicletta che pareva dovesse
cascare a pezzi da un momento all’altro. D’istinto le corse incontro,
fermandosi al centro del ponticello sul canale che circondava il ryokan, e notò quanto la ragazza fosse
su di giri.
E Rumiko
riappoggiò il mezzo alla balaustra di legno con il cuore che, ne era sicura, le
sarebbe saltato fuori dal petto nel giro di un attimo:
– Hana.
– gorgogliò.
– Rumi, che
cavolo è successo?
Lei inspirò
profondamente: – Ho fatto un salto da Haruko. Avevamo una questione da
risolvere.
– Da
Haruko? Non avrete mica litigato? – si accigliò lui.
– Perché
avremmo dovuto? – svicolò la nostra in tono debole. Non voleva
raccontargli del diverbio, e non voleva che l’argomento del loro dialogo fosse
per l’ennesima volta la Akagi.
– Per via
di quell’imbecille della Volpe, magari? Siete tutti talmente strani,
ultimamente! Lo stronzo mi sfida pure quando non ha minimamente senso e ti sta
alle costole, Ryota mi raccomanda di stare attento perché “le Volpi sono
furbe”, Haruko non ti considera più e tu, – prese fiato, – tu mi
sembri tanto triste e arrabbiata ed eviti sia me che il Volpaccio, e me ne sono
reso conto sì, Rumi, perché mica sono così coglione!
Qualcuno, in un
casa vicina, alzò il volume della radio o di un giradischi e Moonlight shadow di Mike Oldfield riempì
la notte con una puntualità disarmante.
Sorpresa dalla
veemenza del Re e dalla piega che aveva preso il suo monologo, la tokyota sentì
lacrime liberatorie pizzicarle le palpebre e capì che non ci sarebbero stati un
qui e un adesso più perfetti di quel ponte e di quella straordinaria serata
d’agosto per dirgli la verità:
– Sono
innamorata di te. Dalla mattina in cui ci siamo conosciuti al campetto,
Hanamichi Sakuragi, è di te che sono innamorata.
L’espressione che
si dipinse sul viso del Rossino fu impagabile, e indecifrabile nel suo assoluto
stupore. Senza smettere di guardarlo – né lui di guardare lei –
Rumiko gli girò attorno e camminando lentamente all’indietro raggiunse la tettoia
d’ingresso dell’albergo, e soltanto quando l’emozione ebbe la meglio gli diede
infine le spalle e fuggì all’interno. Attraversò stanze e corridoi come un
fulmine, incurante dei proprietari e dei compagni sbigottiti, entrò nella
camera che divideva con Ayako quasi buttando giù lo shōji semichiuso nella foga, si catapultò sulla veranda e
finalmente si fermò, rotolando sul legno fresco, le gambe penzoloni dal bordo.
E rise e pianse
di gusto, la piccola diavola, perché era contenta, scossa, orgogliosa di sé e
inebriata dal coraggio che aveva racimolato per confessargli quanto bene gli
voleva, a Hanamichi. Ed era cotta di lui più che mai, e poco le importava di
sapere subito se la ricambiava o meno: era la prima volta che provava dei
sentimenti tanto forti per qualcuno, ed essere stata in grado di dar loro voce
era un trionfo di per sé.
E il Genio
sedette a lungo sulla spalletta del ponte, le guance in fiamme e il cuore che
martellava e le farfalle nello stomaco, cullato dalle note che il giradischi suonava
in lontananza e dalla brezza che soffiava dal mare.
Tensai’s approved / notes
Ci sono, ci sono,
non vi ho abbandonati!
E non ho nemmeno
dato la precedenza ad altre storie in altri fandom: semplicemente, in questi
mesi ho molti concerti e tutto il resto degli impegni traduttivi/casalinghi/sociali
da assolvere e incastrare tra loro. In tre sere miracolosamente libere ho
buttato giù l’intero capitolo – capitolo che tra l’altro non vedevo l’ora
di scrivere *^*
Adesso tutti
sanno, tutti si sono dichiarati, e mentre il Temibile Sonno incombe all’orizzonte il nostro Rossino dovrà sia condurre la
squadra alla vittoria che prendere la sua decisione...
Purtroppo ho perso
qualcuno per strada, temo, con questi ritardi, e confido di ritrovarvi da qui
al gran finale: siamo a tre atti (epilogo compreso) dalla conclusione!
Grazie ai
numerossissimi lettori, a coloro che serbano la storia tra le preferite/seguite
e a chi ha recensito e recensirà, in particolar modo alle splendide gattabianca
e lory: come sempre, signore, adorovi
:*
Buon divertimento
e alla prossima! _Black