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Autore: Blackmoody    14/01/2015    5 recensioni
Sedici anni, fornita di un aspetto assai grazioso e di una smodata passione per il basket, Rumiko Ishida si ritrova a fare i conti con uno dei clichés più frequenti nella vita di un'adolescente: l'improvviso trasferimento del padre, promosso a direttore bancario in una filiale nella prefettura di Kanagawa. E con tutti i licei dotati di rampanti squadre cestistiche ivi presenti, dove la vanno a iscrivere gli ignari genitori? Sì, ci avete preso: allo Shohoku. Da lì, il resto verrà da sé.
Mia vecchissima storia – leggera, devota e disimpegnata – che (ri)propongo finalmente al pubblico dopo un intensivo restauro: come and get the rookie sensation!
restyling 2O14
Genere: Commedia, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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sedicesimo: she loves you just the way you are.

 

 

 

 

– Così imparano quegli idioti a scrivere che siamo una squadra di classe C!

La voce trionfante di Mitsui accompagnò la grassa risata di Hanamichi e Ryota, che insieme a lui e al resto della squadra festeggiavano la meritatissima vittoria contro il Toyotama.

– Se siamo riusciti a sconfiggere quei coglioni da A possiamo già considerarci da AA. – rincarò il playmaker con un ghigno da Stregatto.

– Vangelo! – uggiolarono il cecchino e il Rosso.

Seduto compostamente sul tatami della sala da pranzo della pensione Chidori, momentaneamente adibita a sala riunioni dello Shohoku, Akagi stronfiò:

– Vedete di non montarvi troppo la testa, cretini.

Il Genio lo gratificò con una dose di sonore pacche sulle spalle:

– Eddai, Gorillone, rilassati. Lo so che sei contento pure tu. – lo blandì.

Il capitano seguitò a sminuire la partita vinta, ben sapendo cosa li attendeva l’indomani, ma non poteva negare a se stesso di essere più che felice. Inoltre aveva ricevuto una telefonata dall’allenatore Karasawa della Shintai, l’università con la migliore formazione cestistica del paese, e l’uomo si era personalmente congratulato con lui per la riuscita dell’incontro di quel giorno. Per Takenori era stata un’ulteriore conferma del fatto che alla Shintai lo avrebbero accolto con tutti gli onori una volta uscito dal liceo, di lì a qualche mese.

Anche Rumiko esultava con moderazione, appoggiata alla cornice della finestra che dava sul giardino. L’espressione glaciale di Haruko sugli spalti, al palazzetto, le era rimasta ben impressa in mente e prometteva guai, sempre che significasse che la Tonna aveva udito ciò che si erano dette lei e Ayako. E c’era l’ombra del Sannoh a gravare su tutti loro: l’importanza della sfida a venire era pari a quella di una finale, e la tokyota avrebbe dato qualsiasi cosa perché lo fosse davvero. Vincere il campionato, e vincerlo combattendo contro i campioni indiscussi, sarebbe stato un sogno.

– Dovremmo spostarci nel salottino. Il signor Anzai ha portato un paio di videocassette con le riprese del torneo dello scorso anno. – suggerì d’un tratto la manager.

– Sannoh contro Kainan? – chiese la coach, riscuotendosi.

L’amica assentì e fece cenno ai ragazzi di alzare le chiappe dal pavimento e seguirle nella stanza attigua. Rukawa saltò fuori dal nulla, l’occhio sinistro accuratamente incerottato, e si unì ai compagni con un’espressione che Rumiko non avrebbe saputo definire se scontrosa o concentrata – o entrambe le cose, com’era naturale in uno come lui. Lei e la riccia lasciarono la saletta per ultime e Ayako ne approfittò per bisbigliarle: – Kaede è arrabbiato con te per il due di picche?

La piccola diavola esalò un mugolìo d’insofferenza:

– Io mi preoccupo per il team di Domoto che ci aspetta al varco e tu mi vai a distrarre con questi altri casini?

– Ragazza mia, se prima non risolvi i suddetti casini dubito che riuscirai a concentrarti sul Sonno.

– E che altro dovrei fare? Rukawa l’ho scaricato. – sibilò Rumiko fermandosi subito prima della soglia della saletta tv.

L’altra sorrise con fare materno: – Dovresti parlarne con Sakuragi, no?

La minuta allenatrice aprì la bocca per ribattere ancora, la richiuse e scrollando il capo come un cavallo imbizzarrito infilò la porta per andarsi ad accomodare sulla poltrona accanto a quella del Buddha. Avvertì gli sguardi del Re e del Volpino posarlesi addosso ma non diede loro soddisfazione, dedicandosi invece allo schermo nebuloso del grande televisore: Ayako mise una delle cassette, afferrò il telecomando e l’inquadratura di un campo da basket già gremito di atleti comparve sul monitor. Dalle tende tirate si riversava morbida la luce rosata del sole calante.

Trascorsero i venti minuti del primo tempo, e man mano che i giocatori nel tubo catodico segnavano canestri su canestri ai danni del Kainan i commenti degli Eroi di Kanagawa si facevano sempre più sporadici e titubanti; al quarto minuto del secondo tempo il Sannoh conduceva per 89 a 79, senza lasciare spazi vitali a Maki e ai suoi, e sul team di Akagi era calato un silenzio di tomba.

– Embeh? – azzardò Hanamichi notando l’estremo pallore dei compari.

– Si vede che sei proprio un principiante, tu. – grugnì Miyagi: – Sei l’unico tra noi a non essere rimasto colpito dall’enorme potenza del Sannoh, guardando il filmato.

– Non è tipo da fasciarsi la testa prima di essersela rotta, lui. – chiosò Hisashi, quasi accasciato contro lo schienale del divano sul quale Ryota, il rossino e Rukawa erano sprofondati.

Rumiko, benché intenerita dalla spavalderia incosciente dell’amato, non riuscì a farsi contagiare da essa: il divario tecnico e di abilità tra i cestisti di Akita e loro era, o appariva, incolmabile, e di certo non un problema che avrebbero risolto nell’arco di una notte. Il trio formato dal numero nove, capitano e playmaker, dal centro con la maglia targata quattordici e dall’asso con il tredici era una vera macchina da guerra acchiappapunti ed era rimasto invariato dall’anno precedente, il che peggiorava ulteriormente la situazione.

– Scusatemi, faccio un salto in bagno. – annunciò frettolosamente, alzandosi.

La vescica le implorava in effetti misericordia, e prendersi una pausa dal tremendo spettacolo dell’imbattibilità del Sannoh Kogyo le avrebbe fatto bene. Tra il video e i famosi Altri Casini l’aria nella stanza stava per lei diventando eccessivamente tesa.

Era appena uscita dalla toilette dell’ingresso canticchiando Don’t bring me down degli Electric Light Orchestra quando intercettò lo squillo sfiatato del telefono della reception. Non c’era traccia dei proprietari, lì intorno, e dopo una decina di trilli la tokyota si decise a prendere la comunicazione. Magari era Hikoichi del Ryonan con nuove informazioni sul Sannoh, pensò.

Ryokan Chidori di Hiroshima, buonasera. – disse pomposamente nella cornetta.

La persona agli antipodi del filo trattenne il respiro, quindi rispose: – Rumiko?

Nel riconoscere la voce la nostra si irrigidì: – Haruko?

– Perché sei al bancone?

– Non c’era nessun altro e credevo che fosse Hikoichi. – spiegò la coach, e immediatamente si sentì stupida: cosa diamine stava a giustificarsi con la Akagi? – Vuoi tuo fratello? O forse Sakuragi? – domandò in tono brusco senza curarsi di minimizzare la provocazione. Le era salito tutto insieme il sangue al cervello, al ricordo di quanto aveva appreso da Hanamichi medesimo il venerdì prima della partenza, e improvvisamente desiderò un confronto diretto con la rivale.

– Volevo sapere come stavate, ma visto che hai risposto tu voglio parlare con te.

– Con me. – ripeté Rumiko a denti stretti.

– C’è qualcosa che devi dirmi a proposito di Rukawa? – incalzò Haruko, gelida.

L’allenatrice percepì un brivido di profondo fastidio serpeggiarle lungo la nuca:

– Perché ultimamente mi chiedete tutti notizie sul conto di Rukawa?

– Probabilmente perché state attaccati come gemelli siamesi. – soffiò la sua interlocutrice.

Un primo embolo deflagrò incazzoso nel cervello in ebollizione della piccola diavola, che dovette fare ricorso al risicato autocontrollo di cui disponeva per non mettersi a sbraitare: – E tu, Haruko? C’è qualcosa che devi dirmi a proposito di Hanamichi? – rilanciò scimmiottandola.

La Akagi esitò un attimo, palesemente colta in contropiede: – Cosa c’entro io con Sakuragi?

– Sarai tonta, Haruko, ma non fino a questo punto. – abbaiò Rumiko.

– Non rigirare la frittata! Sei tu quella che ha baciato Rukawa pur sapendo benissimo che piace da morire a me. – la freddò la Tonna suonando sorprendentemente spietata.

Il tono della nostra si alzò pericolosamente nell’atrio vuoto: – Io non l’ho baciato.

– Ho sentito Ayako che lo diceva!

– E tu sei uscita con Hanamichi pur sapendo benissimo che piace da morire a me.

Haruko vacillò nuovamente e sembrò perdere parte del proprio mordente: – Cosa?

– Haruko, dove stracazzo sei adesso? – tagliò corto Rumiko.

– A casa dei parenti di Fuji.

– A Hiroshima.

– Sì, a Hiroshima, ovvio. Perché? – borbottò la Akagi, confusa.

– Dammi l’indirizzo.

– Non vorrai venire qui adesso!

– Dammi l’indirizzo! – tuonò la tokyota strappando un pezzo di carta dal calendario appeso al muro più vicino e afferrando una penna a caso.

Haruko obbedì, lei scarabocchiò le indicazioni con mano febbrile e sbatacchiò la cornetta al suo posto mentre ancora la Tonna blaterava nel telefono. Si affacciò al volo nella saletta video per ululare una scusa incomprensibile circa la propria fuga, ignorò lo sconcerto degli amici e galoppò all’esterno dell’albergo in cerca di un mezzo che la conducesse a destinazione, il foglietto stretto tra le dita. Individuò una bicicletta dall’aspetto vissuto che qualcuno aveva parcheggiato senza catena sul ponticello d’accesso alla pensione e le balzò in sella, allontanandosi a tutta birra nel chiarore flebile del tramonto con un imbarazzante rumore di ferraglia.

 

 

Segnarsi un indirizzo e non munirsi di una mappa della città era stata una notevole cazzata, si rimproverò Rumiko al quinto passante placcato per farsi illuminare sulla strada da prendere.

Era trascorsa una mezz’ora abbondante e in cielo la striscia dorata lasciata dall’ultimo sole andava progressivamente assottigliandosi in favore del manto indaco del crepuscolo; l’orologio da polso della ragazza era prossimo alle ventuno e dalle finestre aperte delle case giungevano buoni odori di cibo, voci e rintoccare di stoviglie.

L’ometto gentile che pazientemente le aveva indicato la via la salutò bonario e la piccola diavola, ormai prossima alla meta, riprese a pedalare sull’asfalto azzurrino, sudata e stanca.

Il capitano la avrebbe fatta tonda, al ritorno, per aver mollato la squadra alla vigilia della Competizione della Vita (e per aver potenzialmente preso a calci sua sorella, se le cose fossero finite in vacca) – e Mitsu, Ayako, Ryota e gli altri cosa avrebbero pensato? Non rammentava nemmeno cosa diamine si era inventata nell’andarsene, e si augurava che nessuno la denunciasse per aver preso in prestito la povera bici scassata senza permesso. Maledetta lei e il suo inesistente sangue freddo, e maledettissima Haruko con il suo tempismo di merda e l’udito fino!, imprecò tra sé.

Finalmente un cartelluccio pressoché indistinguibile, da tanto che era mimetizzato sul muro in ombra di un condominio a due piani, le confermò che aveva raggiunto il chōme designato, e da lì individuare anche il blocco e il numero civico le fu facile: la rivale era uscita dall’abitazione e se ne stava immusonita sul marciapiede antistante, gambe divaricate e pugni sui fianchi. Rumiko frenò, scivolò giù dal sellino e con una scrollata di capelli tentò di ridarsi una parvenza di superiorità, benché si sentisse paonazza, in disordine e sull’orlo dell’esplosione.

– Spiegami cosa c’entro io con Sakuragi e col fatto che tu hai baciato Rukawa. – la aggredì la Akagi senza badare a cerimonie.

L’allenatrice emise un ringhio sordo e partì al contrattacco: – Cazzo, Haruko, ci sei uscita! Sei andata con lui a fare acquisti e sono pronta a scommettere che non era la prima volta, visto che quel Baffetto o come cazzo si chiama del negozio di sport crede che tu sia la sua fidanzata! E gli sei stata appiccicata per l’intera settimana dei Ventimila Tiri, e ci hai ballato quella sera al Dada’s, e chissà se c’è altro che io non so!

Per la terza volta in meno di un’ora, Haruko perse di botto la propria inusuale grinta e batté le lunghe ciglia con sincera perplessità: – Siamo amici. – opinò semplicemente.

– Anche per me Kaede è un amico, ma a lui io piaccio. E allo stesso modo tu piaci a Hanamichi.

Gli occhioni da cerbiatta della Tonna si sgranarono all’inverosimile e fu il turno di Rumiko di tentennare: se rivelandole quella nozione fondamentale avesse risvegliato nella contendente un subitaneo amore nei confronti del Rossino sarebbe stata la fine, e i due cuculi sarebbero presto convolati a nozze in un turbine rosa di petali di ciliegio e a lei non sarebbe rimasto altro da fare se non A) meditare vendetta insieme a Takenori, B) ricadere nell’abbraccio del bel tenebroso o C) darsi alla macchia con il Porcospino delle Meraviglie.

– Non ne avevo idea. – disse però Haruko con assoluta calma, rilassandosi pian piano, e la coach fece altrettanto allentando la presa fino ad allora spasmodica sul manubrio della bicicletta. Poi la sorella del capitano incrociò le braccia e sollevò il mento: – Resta il fatto che hai baciato Rukawa, Rumiko.

– No. Lui ha baciato me, a Shizuoka, l’ultima sera del ritiro. Io avrei evitato volentieri. – svelò la nostra in un sospirone. – E oggi l’ho bloccato prima che bissasse l’impresa e gli ho detto chiaro e tondo che non c’è storia, perciò non l’ho illuso né niente del genere.

– Cosa che invece ho fatto io con Sakuragi. Intendi questo?                                                 

La tokyota la fissò, le sopracciglia inarcate con fare eloquente, e Haruko scosse il capo:

– Mi dispiace. Non mi ero accorta di piacergli, altrimenti avrei evitato anch’io.

– Dai, Haruko. Fa lo scemo ogni volta che tu sei nei paraggi.

– Fa lo scemo un po’ sempre, secondo mio fratello. – sorrise la Akagi.

Rumiko ridacchiò suo malgrado: – Temo che abbia ragione.

– Quindi non puoi basarti su quello per sostenere che gli piaccio.

– Da quando lo conosco parla di te di continuo, cheddiamine!

La rivale si fece seria: – Parlerà forse di me, ma i suoi occhi è te che guardano. – replicò.

Nella sera tiepida, tra i brandelli di musica e conversazioni che le finestre spalancate lasciavano uscire, sotto le pozze aranciate dei lampioni e le sagome nere degli alberi rigogliosi contro la pallida luminosità del vespro, la Signora dei Canestri ebbe la sensazione di aver infine compreso appieno il nesso che le era risultato nebuloso per mesi, la soluzione che Ayako, Hisashi e Ryota medesimi le avevano illustrato:

– Non è detto che io non gli piaccia. – quasi esclamò, rimbecillita e speranzosa.

– E se non ti dichiarerai mai dubito che lo farà lui. – concluse Haruko.

La coach scoppiò in una risata argentina: – Credevo che sarebbe finita a manate e invece parlare con te è stata l’idea migliore che ho avuto da un bel po’ di tempo a questa parte.

Alla parola “manate” la Tonna diventò bianca come un cencio e incassò il collo tra le spalle, simile a una civetta che se la sta facendo tra le piume posteriori, e la piccola diavola si affrettò ad agitarle una mano davanti alla faccia: – Scherzavo, scherzavo! – la rincuorò. Evitò di aggiungere che avrebbe riconsiderato l’Opzione Cazzotti, se il Genio la avesse rifiutata in nome di Haruko, e chiosò con un bofonchiato “allora io vado”.

– Ci vediamo domani al palazzetto. – la salutò l’altra, ricevendo in risposta il cigolìo della vecchia bici che si allontanava di gran carriera.

 

 

Il dileguossi di Rumiko aveva destabilizzato gli animi già eccitati degli Eroi di Kanagawa, e il signor Anzai aveva avuto il suo daffare perché prestassero di nuovo attenzione ai filmati del Sannoh Kogyo. Tuttavia il ritrovato idillio era durato poco, e nel giro di un quarto d’ora Akagi, Mitsui, Miyagi e Kogure si erano depressi al punto di strisciare in giardino con la coda tra le gambe; il rosso ne aveva approfittato per scappare in bagno e l’unico a rimanere nella sala video, oltre al Buddha, era stato il Volpino.

Hanamichi non si crucciava granché per l’imminente scontro che sembrava aver tolto energie e baldanza ai suoi compagni – avevano paura del Sonno, gli sciocchi! – eppure non riusciva a togliersi dalla testa la recente ritrosia dell’amica. Era arrabbiata con lui? Era triste? Era confusa? Era immersa nei suoi doveri di vice allenatrice? Era colpa del Verginello Artico? Oppure era lui quello strambo che vedeva segreti e stranezze laddove tutto era normale, per quanto l’aggettivo mal si addicesse a Rumiko Ishida? Ci rimuginò sopra nella toilette e continuò a farlo persino nell’assistere a un sospettosissimo colloquio tra il Ghiacciolo (ancora bendato e malconcio) e quell’antipatico di Minami del Toyotama, che si era presentato alla pensione con un misterioso unguento per l’ex avversario: in altri casi il Rossino avrebbe origliato ogni minima sillaba che il rivale e il Calimero si scambiavano, ma quella sera a malapena badò al fatto che Rukawa aveva perentoriamente asserito di puntare a diventare il giocatore numero uno del Giappone battendo Sawakita del Sonno l’indomani. Non si curò neppure del quadretto pericolosamente romantico composto da Ryota e Ayako che passeggiavano fianco a fianco a lume di luna, scena che in giorni lontani lo avrebbe messo sul chi vive – perché insomma, se quel tappo del suo migliore amico, il suo Socio Nella Sfiga Con Le Donne, si fosse fidanzato con l’adorata manager, lui avrebbe perduto la propria fidata spalla all’interno della squadra. Tuttavia l’arrovellìo che il comportamento della piccola diavola gli procurava era più forte di tutto il resto.

Fu dunque con un buffo mescolume di sollievo e apprensione che la vide ricomparire di lì a qualche minuto, caracollando sulle ruote di una bicicletta che pareva dovesse cascare a pezzi da un momento all’altro. D’istinto le corse incontro, fermandosi al centro del ponticello sul canale che circondava il ryokan, e notò quanto la ragazza fosse su di giri.

E Rumiko riappoggiò il mezzo alla balaustra di legno con il cuore che, ne era sicura, le sarebbe saltato fuori dal petto nel giro di un attimo:

– Hana. – gorgogliò.

– Rumi, che cavolo è successo?

Lei inspirò profondamente: – Ho fatto un salto da Haruko. Avevamo una questione da risolvere.

– Da Haruko? Non avrete mica litigato? – si accigliò lui.

– Perché avremmo dovuto? – svicolò la nostra in tono debole. Non voleva raccontargli del diverbio, e non voleva che l’argomento del loro dialogo fosse per l’ennesima volta la Akagi.

– Per via di quell’imbecille della Volpe, magari? Siete tutti talmente strani, ultimamente! Lo stronzo mi sfida pure quando non ha minimamente senso e ti sta alle costole, Ryota mi raccomanda di stare attento perché “le Volpi sono furbe”, Haruko non ti considera più e tu, – prese fiato, – tu mi sembri tanto triste e arrabbiata ed eviti sia me che il Volpaccio, e me ne sono reso conto sì, Rumi, perché mica sono così coglione!

Qualcuno, in un casa vicina, alzò il volume della radio o di un giradischi e Moonlight shadow di Mike Oldfield riempì la notte con una puntualità disarmante.

Sorpresa dalla veemenza del Re e dalla piega che aveva preso il suo monologo, la tokyota sentì lacrime liberatorie pizzicarle le palpebre e capì che non ci sarebbero stati un qui e un adesso più perfetti di quel ponte e di quella straordinaria serata d’agosto per dirgli la verità:

– Sono innamorata di te. Dalla mattina in cui ci siamo conosciuti al campetto, Hanamichi Sakuragi, è di te che sono innamorata.

L’espressione che si dipinse sul viso del Rossino fu impagabile, e indecifrabile nel suo assoluto stupore. Senza smettere di guardarlo – né lui di guardare lei – Rumiko gli girò attorno e camminando lentamente all’indietro raggiunse la tettoia d’ingresso dell’albergo, e soltanto quando l’emozione ebbe la meglio gli diede infine le spalle e fuggì all’interno. Attraversò stanze e corridoi come un fulmine, incurante dei proprietari e dei compagni sbigottiti, entrò nella camera che divideva con Ayako quasi buttando giù lo shōji semichiuso nella foga, si catapultò sulla veranda e finalmente si fermò, rotolando sul legno fresco, le gambe penzoloni dal bordo.

E rise e pianse di gusto, la piccola diavola, perché era contenta, scossa, orgogliosa di sé e inebriata dal coraggio che aveva racimolato per confessargli quanto bene gli voleva, a Hanamichi. Ed era cotta di lui più che mai, e poco le importava di sapere subito se la ricambiava o meno: era la prima volta che provava dei sentimenti tanto forti per qualcuno, ed essere stata in grado di dar loro voce era un trionfo di per sé.

E il Genio sedette a lungo sulla spalletta del ponte, le guance in fiamme e il cuore che martellava e le farfalle nello stomaco, cullato dalle note che il giradischi suonava in lontananza e dalla brezza che soffiava dal mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Ci sono, ci sono, non vi ho abbandonati!

E non ho nemmeno dato la precedenza ad altre storie in altri fandom: semplicemente, in questi mesi ho molti concerti e tutto il resto degli impegni traduttivi/casalinghi/sociali da assolvere e incastrare tra loro. In tre sere miracolosamente libere ho buttato giù l’intero capitolo – capitolo che tra l’altro non vedevo l’ora di scrivere *^*

Adesso tutti sanno, tutti si sono dichiarati, e mentre il Temibile Sonno incombe all’orizzonte il nostro Rossino dovrà sia condurre la squadra alla vittoria che prendere la sua decisione...

 

Purtroppo ho perso qualcuno per strada, temo, con questi ritardi, e confido di ritrovarvi da qui al gran finale: siamo a tre atti (epilogo compreso) dalla conclusione!

Grazie ai numerossissimi lettori, a coloro che serbano la storia tra le preferite/seguite e a chi ha recensito e recensirà, in particolar modo alle splendide gattabianca e lory: come sempre, signore, adorovi :*

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

  
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