Film > Disney
Segui la storia  |       
Autore: Lumos and Nox    14/01/2015    11 recensioni
[Finalmente, le origini di Nerissa e Helios] [AGGIORNATO!]
Cosa succede quando, in una lotta per il proprio Lieto Fine, sia i Buoni che i Cattivi si ritrovano a allevare un loro Prescelto?
Quale dei due porterà la propria fazione alla vittoria?
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Phentesia'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Gli Occhi della Notte




«Che cosa?» Nerissa alzò lo sguardo dal foglietto che teneva in mano, cercando gli occhi dello zio. «Stai scherzando?»
Il Capitano distolse lentamente lo sguarso dal paesaggio nuvoloso che si intravedeva dal finestrino e la fissò alzando le sopracciglia. «Ti sembra che abbia mai voglia di scherzare, mocciosa?»
La Prescelta sogghignò. «Quando viene zia Crudelia, si».
Il volto del pirata si deformò in una smorfia che nascondeva un poco di stanchezza. «Non essere impertinente, marmocchia, e...»
«E fatti gli affari tuoi. Lo so, zio»
«.... e smettila di rovinare i cuscini della carrozza» finì Uncino, seccato. «È di lusso».
Nerissa incrociò le braccia al petto, lasciando cadere il cuscino rosso che aveva già mezzo scucito. «Tanto non servono a nulla. Gli scossoni si sentono lo stesso».
Era vero. La carrozza arrancava a fatica sulla strada che portava dalla Jolly Rogers al Black Castel, complici i numerosi acquazzoni che avevano reso ogni passaggio una specie di continua fanghiglia tappezzata di pozzanghere.
Non che prima fosse granché meglio. Dato che quella dove si trovavano era anche una delle strade preferite di Gaston, non era raro trovare resti delle sue prede un po' sparpagliati ovunque. Ecco perché Uncino preferiva di gran lunga starsene con i piedi sulla sua nave.
Il Capitano si scostò dai suoi pensieri per lanciare un'occhiata annoiata a Nerissa, che stava rileggendo ancora il foglietto ricevuto quella mattina. Il biondo dei suoi capelli era ormai solo un ricordo: le ciocche erano tutte quasi completamente nere e Re Cornelius aveva attribuito quel cambiamento a tutte le Arti Oscure che venivano insegnate alla mocciosa. A quanto pareva, stavano scurendo la sua anima.
Certo, non c'era poi tanto da stupirsi, considerato che trascorreva cinque ore al giorno tra incantesimi, pozioni ed armi tutte rigorosamente oscure. Uncino si sarebbe stupito maggiormente se i capelli le fossero rimasti chiari.
«Io non voglio fare otto ore di lezioni!» dichiarò Nerissa con il broncio, una volta ricompletata la lettura. «Perché cavolo hai scritto insieme a zio Shan Yu e allo sceriffo che...» veloce controllo al foglietto, «..."non devo sottovalutare le capacità di un buon spadaccino"?»
«Magari perché ho notato che ti impegni molto di più nelle lezioni di Magia che con me» sbottò il Capitano, accarezzandosi con un che di minaccioso l'uncino.
«Non è colpa mia se è più divertente! Zia Magò mi insegna a trasmi... traspi... trasfigurarmi in un animale...»
«Si dice "trasformarsi", mocciosa».
«Lo so come si dice! E comunque zio Ade mi insegna a evocare il fuoco e tutte le altre robe, zia Ursula incantesimi acquatici e zio Facilier il voodoo e zio Jafar l'ipsotismo!»
«Ipnotismo. E dici di apprezzare la sua materia, quando non sai nemmeno pronunciarne il nome, mocciosa?»
Nerissa sbuffò irritata, ma subito dopo arricciò le labbra in un sorrisetto che il Capitano reputava decisamente odioso- ma che Spugna diceva essere uguale al suo. «Ma non è che sei... geloso, zio?»
Il pirata si sporse verso di lei. Nerissa non si mosse, pur sentendo sul suo viso l'odore pungente del tabacco. «Vuoi rischiare la morte in battaglia perché non sai tenere in mano una spada? Accomodati».
La Prescelta cercò di non farsi intimidire, ma arrossì leggermente ed abbassò lo sguardo.
Uncino si ritirò su, soddisfatto. Tirò fuori da una tasca interna il suo personale sigaro a due canne, lo accese e ne prese una lunga boccata. Nerissa si stava ancora guardando i piedi, notò vagamente perplesso. Bè, almeno così non lo avrebbe ancora infastidi...
«Vuoi dire che non sono brava?»
Il Capitano soffiò un anello di fumo. «Voglio dire che hai bisogno di allenarti di più, mocciosa. È per questo che stiamo andando su questa dannata carrozza a quel dannato castello».
Nerissa si raddrizzò, afferrando un altro cuscino da martoriare. «Comunque, gli altri zii dicono che sono brava».
«E dicono anche che devi essere perfetta. È per questo che dovrai frequentare altre lezioni».
La Prescelta sbuffò, evitando in velato- ma ovvio- modo di guardarlo per concentrarsi sul cuscino. Il Capitano prese un'altra boccata di fumo e lanciò un'occhiata distratta al paesaggio. Il mare era alle loro spalle da tempo, ormai, è la carrozza inerspicava lentamente tra le colline che intervallavano i Campi della Pena*1, l'enorme pianura a sud del Black Realm. Alla loro destra, un'informe macchia scura, la Foresta Proibita, il Confine Nero- quasi più potente delle barriere magiche- separava il loro reame dal White Realm, oltre a separare anche Uncino da Pan, da quel demonio che...
«Che cos'è quella, zio?» Nerissa si era spostata a ginocchioni vicino alla finestra e osservava la foresta con il naso premuto sul vetro.
Uncino si accigliò. In tutte le volte che erano passati per quella strada- migliaia di volte, Nerissa non si era mai interessata granché al paesaggio, o anche soltanto al guardare fuori, dato che la sua occupazione principale consisteva nel torturare i suoi giocattoli con un coltello, o in alternativa lui, con le sue domande. «La Foresta Proibita» disse noncurante.
La Prescelta inclinò la testa e spostò lo sguardo su di lui. «E perché non ci sono mai stata?»
Lo zio si irrigidì, e Nerissa lo notò, aggrottando ancora più incuriosita le sopracciglia. «Non è ovvio? Perché è proibita, mocciosa».
«E perché lo è?»
Il Capitano sbuffò un altro anello di fumo. «Non è importante. E anche se lo fosse, non ti riguarderebbe».
Nerissa strinse i denti, offesa. Se lei doveva essere perfetta, doveva anche sapere tutto. «Si che è importante! Io voglio...»
«Ti ho mai raccontato di come Pan mi ha staccato una mano e l'ha gettata in pasto al Coccodrillo?»
La Prescelta emise un esagerato verso esasperato. «Tantissimissime volte. Ziooo, io voglio...»
«Forse non mi hai capito. Ho detto che quella foresta. Non. Ti. Deve. Interessare, dannata mocciosa» dichiarò duramente Uncino, incrociando per un attimo il suo sguardo. Forse Nerissa, benché un poco intimorita, avrebbe voluto continuare a lamentarsi e a fare domande, ma in una frazione di secondo lo zio si era lanciato in un lungo e dettagliato resoconto della lotta contro Peter Pan- una specie di tizio volante di cui Nerissa sentiva parlare da tantissimissimo tempo, senza avere però idea di che fine avesse fatto.
Mentre la carrozza svoltava tra il racconto dello zio, la Prescelta continuò a seguire con la coda dell'occhio la foresta, quella macchia scura e misteriosa, sino a quando non si confuse con l'orizzonte, scomparendo.

Nerissa sbuffò sonoramente, affondando la testa nelle braccia sopra il banco nella vaga speranza di addormentarsi e svegliarsi a fine lezione. Quando mesi prima era andata al Black Castel con zio Uncino, nessuno le aveva detto chiaramente che oltre ad aumentare le lezioni di spada, avrebbe davvero iniziato anche delle nuove materie. Forse perché gli zii sapevano che se lo avesse capito, metà castello ne sarebbe uscito in uno stato pietoso.
Alzò appena la testa e desiderò un paraorecchie, mentre osservava sfinita zia Tremaine al pianoforte e Genoveffa al canto. Insieme quelle due causavano più mal di testa di una sparatoria tra i pirati. E perfino Spugna era più intonato.
Nerissa strinse i denti e si tappò forte le orecchie, mentre Genoveffa concludeva la sua performance con un insopportabile acuto, rischiando di mandare in mille pezzi le finestre dell'aula.
Su un tavolino accanto a lei, Lucifero si gettò a terra e sgattaiolò fuori dalla porta.
Genoveffa concluse il suo urlacchio e si inchinò in avanti con esagerazione, rischiando di sbattere la testa sul suo leggio con gli spartiti.
«Ottimo lavoro, bambina» la elogiò Lady Tremaine, facendo scrocchiare le dita. Si alzò, appoggiandosi al suo elaborato bastone da passeggio. «E tu che ne pensi, Nerissa?» chiese, una nota di superiorità ben distinguibile nella voce.
«Degna dello zio Alameda» commentò la Prescelta, senza nemmeno curarsi di alzare la testa dal banco o di nascondere il sarcasmo.
«Ma davvero?» domandò zia Tremaine, alzando un sopracciglio.
«Mamma!» strillò Genoveffa indispettita, le mani sui fianchi. «Mamma sta mentendo! Scommetto che non ha nemmeno ascoltato...».
«Silenzio, bambina. Sto parlando adesso».
Genoveffa gettò all'indietro la testa, offesa, si voltò per sedersi sulla seggiola del pianista, ma calciò il leggio, spaccandosi di netto un tacco. Piombò a terra sul sedere. La sua faccia fu attraversata da una smorfia di dolore, prima che scoppiasse in un lungo pianto assordante. «Mammaaaaa!»
Nerissa ridacchiò spudorata, mentre Lady Tremaine si avvicinava alla figlia, una lieve sfumatura di esasperazione nei tratti duri del viso. «Su, bambina, su... controllati...» disse, dandole qualche lieve pacca sulla spalla e porgendole un fazzoletto.
Genoveffa lo afferrò e si soffiò forte il naso, producendo un barrito da elefante. Si rialzò zoppicando e, sorreggendosi alla madre, sprofondò nella sedia, finendo di asciugarsi le ultime lacrime.
«Povera bambina» mormorò Nerissa, un accenno di ghigno sulle labbra.
«Non pensare che non ti abbia sentita, piccola impertinente!» scattò zia Tremaine. Prese un sospiro profondo e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, l'abito rosso scuro- Nerissa era contenta di indossare una semplice tuta da guerra- che scivolava sul pavimento di pietra.
«Ho acconsentito ad ammetterti alle mie lezioni...»
«Non è che ci sia tanta gente, oltre a me». Nerissa allargò le braccia per indicare tutti i tavoli vuoti ad eccezione del suo.
Il tono della zia si alzò. «... solo sotto insistenza di Ade e Malefica!»
«Certo, hai paurissima di loro».
La vecchia Lady increspò le labbra in una delle sue smorfie più arrabbiate. «Come ti permetti, orribile mocciosa?! Non sei altro che una piccola, inutile, arrogante, piccola impertinente!»
«Scommetto che non ha nemmeno ascoltato nulla della lezione, mamma!» gracchiò Genoveffa dal suo angolino.
«E invece si!» ribattè Nerissa, cercando di fingere al meglio. D'altronde, aveva passato ore ad imparare dai più svariati zii come mentire al meglio.
«In questo caso...» zia Tremaine richiamò l'attenzione sulle sue parole colpendo secca il pavimento con il suo bastone, «Ricorderai anche la mia spiegazione sull'importanza del bon ton. Ripeti le ultime parole che ho detto».
Nerissa si mise più composta ed incrociò con aria di sfida le braccia sul petto. Non ricordava nemmeno che cosa avesse cantato Genoveffa. Attese un istante per dare più importanza alla sua risposta- e per assicurarsi che ne valesse la pena, ma quando riguardava quelle due, farle arrabbiare valeva sempre la pena- e poi parlò. «Le ultime parole che ho detto».
Si scatenò il putiferio.
Lady Tremaine spalancò sia gli occhi che la bocca, e il suo viso si colorò sgradevolmente di chiazze rossastre, mentre Genoveffa interruppe a metà un altro dei suoi barriti. «Mamma! Non ha ascoltato un accidente!»
«Non credere di farla franca, piccola stupida!» tuonò la zia, riprendendosi. Quasi scoppiando per l'ira repressa, ritornò alla sedia del pianoforte, afferrò una piuma dal portapenne lì vicino e uno spartito ed iniziò a scrivere, con la figlia che sghignazzava accanto.
«Se hai l'arroganza di non prestare attenzione e di rispondermi a quel modo, significa che hai troppo tempo libero... ma a tutto si può rimediare, Nerissa. Non sarà più così: ti darò tante di quelle faccende da svolgere che ti diverrà difficile anche solo trovare il tempo per mangiare».
Nerissa strinse i denti, per nulla d'accordo. «Non voglio passare il tempo a pulire il castello!»
Zia Tremaine la squadrò fredda e altezzosa. «Avresti dovuto pensarci prima, piccola impertinente. Ora avrai il privilegio di aiutare Edgard».
«E invece no!»
«E invece si, mocciosetta!» si intromise Genoveffa con una vocetta infantile, a discapito dei suoi venti e passa anni.
«E invece no!»
«E invece si!»
«No!»
«Si!»
«No!»
«Si!»
«Smettetela!» la voce sferzante della Lady le interruppe. Mentre questa si avvicinava di nuovo, Genoveffa fece la linguaccia a Nerissa, che le rispose con una boccaccia, trattenendo a stento qualche altro gesto.
«Qui troverai tutto ciò che dovrai svolgere sotto sorveglianza di Edgard». La Lady le porse il foglietto, che Nerissa osservò disgustata, stringendo i denti.
Ma per chi l'avevano presa? Lei doveva essere perfetta, non una cameriera! Un conto era fare delle vere lezioni, un altro era fare quelle... stupidate lì, che non servivano a nulla! Imparare a cantare! O quella lingua morta del latino! Ma a che diavolo le serviva?
Prima che la zia le desse il foglietto, rotolò giù dal banco e balzò verso la porta. «E invece no!» ripetè sulla porta.
Genoveffa provò a rincorrerla, esortata dalla madre, ma ruzzolò di nuovo a terra.
Con alle spalle le grida delle due che scuotevano il Black Castel, Nerissa corse a fatica per il corridoio- le gambe ancora un poco addormentate per tutte quelle ore seduta, svoltò a sinistra e poi a destra in un altro corridoio, e scivolò nella prima stanzetta che le capitò a tiro, prestando attenzione che non fosse né troppo lontana, né troppo vicina all'aula.
Si chiuse la porta alle spalle e si accasciò sul pavimento.
Non aveva nessunissima intenzione di starsene a lavorare per quella vipera e per le sue lezioni inutili! Però... se gli altri zii lo avessero scoperto, forse si sarebbero arrabbiati, perché anche quella lezione serviva a farla essere perfetta...
Doveva trovare un posto dove nascondersi un poco e aspettare che si calmassero un poco le acque. Ma il Black Castel era fuori discussione, troppi zii ovunque... e la Jolly Rogers era almeno a tre ore di carrozza...
La Prescelta si portò le mani alla testa, premendo come se in quel modo potesse far uscire velocemente un'idea.
Che cosa dicevano sempre zio Gatto e zio Volpe riguardo ai piani di fuga?
Uhm... che era meglio averne sempre uno pronto, nel caso qualche cliente della loro società si fosse rivelato abbastanza sveglio.
Nerissa strinse ancora di più i denti, affondando le unghie nella carne nello sforzo di concentrarsi di più... ma niente.
Non le veniva nulla in mente.
Diede in una sorta di ringhio per la frustrazione, balzò in piedi e gettò a terra una o due corde sopra ad un tavolo lì accanto.
Si bloccò all'improvviso, con la terza corda in mano che scivolava verso il pavimento. Era robusta, come quelle della Jolly Rogers, forse lì veniva usata per legare i condannati.
La strattonò. Era molto robusta e anche forte e abbastanza lunga...
Presa da una strana ispirazione, afferrò le funi che le sembravano più lunghe e le legò insieme- vivere su una nave dopotutto aveva i suoi vantaggi. Certo, il nodo non era perfetto come quelli degli altri pirati, ma era resistente.
Completato il lavoro, osservò attentamente il resto della stanza. Due o tre tavoli e una vecchia sedia con altre corde, illuminate dalla luce che filtrava da due minuscole finestrelle, troppo in alto per arrivarci e troppo piccole per passarci.
Nerissa sbuffò, afferrò come meglio poteva il groviglio di corde e socchiuse a fatica la porta. Alle grida in lontananza di Lady Tremaine, si erano aggiunte quelle degli altri zii, che stavano accorrendo svogliati.
Nerissa aveva poco tempo. Diede un'occhiata a sinistra e poi a destra. Il corridoio sembrava davvero deserto. Uscì, chiuse con un calcietto la porta e arrancò verso quella alla sua sinistra; stava rischiando di avvicinarsi all'aula, ma l'alternativa era rischiare di incontrare qualcuno che si stava dirigendo lì.
Socchiuse la seconda porta, scoprendo finestre più grandi, ma troppo distanti. Strinse i denti per non lasciarsi sfuggire un imprecazione e si fiondò sulla stanza di fronte.
A quanto pareva la porta era chiusa a chiave. Andare più avanti era troppo rischioso-e poi era curiosa, così si ritrovò ad armaneggiare con una forcina in una mano, mentre sull'altro braccio pesavano le corde. Non ci sarebbe dovuto molto tempo per forzarla... stringendo i denti per la concentrazione, si sistemò meglio la corda, mentre le voci degli zii si attuivano. Rilassò un poco le spalle e cercò di scassinarla senza perdere altro tempo. Ogni secondo era prezioso...
La forcina si incrinò e nello stesso istante un rumore secco a destra la fece sobbalzare.
Si girò di scatto, intravedendo un piede sbucare dall'angolo del corridoio.
Con il cuore in gola, fece finalmente scattare la serratura e si tuffò dentro la stanza, chiudendo la porta con un leggero tonfo.
Si appoggiò per un istante alla porta, per poi premere l'occhio sul buco della serratura, continuando a reggere le funi sulla spalla per paura che, cadendo, potessero sentirla.
Ingoiò un'altra imprecazione quando intravide sfrecciarle davanti il mantello inconfondibile dello zio Uncino. Con probabilmente Spugna che gli trotterellava dietro.
Principessa bastada, se l'avesse scoperta...
«... ma che cosa succede, Capitano?»
«Ti ho già detto che non ne ho idea, Spugna. Devo dedurne che non presti attenzione al tuo capitano?»
«Oh, certo che no, Capitano! Ma Voi cosa pensate sia accaduto?»
La risposta di Uncino si perse in lontananza, con i passi dei due. Nerissa si lasciò sfuggire un sospiro sollevato e diede finalmente uno sguardo alla stanza, che si rivelò davvero molto interessante. Sarebbe dovuta ritornarci, quando tutto si sarebbe sistemato. Due semplici librerie polverose, un vecchio tavolino traballante e un paio di poltrone sfaldate erano illuminate dalla luce grigiastra che filtrava da una grande finestra. Della dimensione e dell'altezza giusta.
Nerissa sorrise, gettò la forcina a terra e legò un capo della corda alla gamba di una libreria, sperando che reggesse. Chissà poi perché tenevano chiusa una stanza del genere...
Aprì la finestra e venne investita dal freddo di un venticello, che la fece indietreggiare.
Si coprì il viso con un braccio e strinse i pugni. Un po' di freddo non l'avrebbe fermata! Non voleva mica farsi punire dagli zii! Magari le avrebbero fatto fare sul serio tutte quelle cose inutili di zia Tremaine- tipo spazzare il pavimento o fare una torta di mele fischiettando.
Si avvicinò ancora alla finestre e gettò fuori il resto della fune, che si perse nella nebbia sottostante.
Nerissa si strinse nel suo maglione e si arrampicò a fatica sul davanzale e- nonostante gli zii le ripetessero almeno tre volte al giorno che lei non poteva provare paura, quel brivido che le attraversò la schiena mentre guardava giù sembrava proprio quella sensazione.
Ne valeva davvero la pena? Voleva rischiare davvero così soltanto per aver disobbedito alla vipera?
Forse non era solo quello... Nerissa era stanca di fare otto ore di allenamenti al giorno. Era da mesi che quella storia andava avanti così, con anche quegli stupidissimi corsi di bon ton, e era da mesi che non riusciva nemmeno ad andare a nuotare.
In più lei era grande, aveva da poco dieci anni, dannazione!
Fece un cenno del capo, come ad annuire se stessa, e poi afferrò la corda ruvida a due mani ed iniziò a calarsi giù poggiando i piedi sul muro.
Nerissa credeva di averne passate tante con le lezioni degli zii- dopotutto non era la prima volta che scalava- ma non credeva di aver mai fatto una roba del genere, così...- altra cosa che non poteva provare- dolorosa.
I muscoli delle braccia tiravano come se si stessero per rompere in mille pezzi e la corda le graffiava tutte le mani. Il freddo era così forte da farle lacrimare gli occhi. Le mura di pietra che si susseguivano sempre uguali davanti a lei iniziarono ben presto a farle girare la testa. Cercò di concentrarsi su qualcos'altro.
I puntini gialli sopra di lei non erano gli occhi di mostri che la fissavano, ma soltanto delle luci in prossimità delle finestre. Quando una si accese improvvisamente vicino a lei, per poco non sbatté contro il muro. Una figura in controluce si era appena alzata da una poltrona, si dirigeva verso l'uscita e... sbatteva clamorosamente la testa contro la porta.
Nerissa ghignò. Con ogni probabilità, si trattava di quell'idiota di Gaston, il più insulso di tutti gli abitanti del Black Realm.
Era così comico osservarlo a terra che si massaggiava la testa che...
I pensieri di Nerissa furono stroncati. La sporgenza su cui aveva poggiato il piede franò.
La Prescelta si ritrovò a penzolare nel vuoto, con soltanto le braccia a reggerla.
Gridò con quanto fiato avesse in gola, sperando che qualcuno- anche Gaston!- la sentisse. Ma non successe nulla. Era lì da sola.
Con un gemito strozzato, tentò di riportare i piedi sul muro. Pessima idea. Non c'erano sporgenze abbastanza solide, si sgretolavano e lei rischiava di perdere l'equilibrio e cadere e... e sarebbe morta, sarebbe caduta giù nella nebbia e si sarebbe spappolata a terra.
Nerissa tremava e si scoprì a singhiozzare apertamente ed era strano e stupido, perché lei non aveva mai, mai, mai pianto. E non aveva- non poteva avere- paura.
Prese un respiro tremante, ingoiando un ultimo singhiozzo, e tirò su col naso.
Sentiva come un qualcosa che le stringeva fortissimissimo lo stomaco e la gola, ma se si fosse fermata in quel modo, le braccia avrebbero ceduto e sarebbe...
Doveva rilassarsi e cercare solo di scendere il più velocemete possibile, per andarsene da quel dannato inferno. E ce l'avrebbe fatta, perché lei era perfetta- se gli zii lo dicevano sempre, era per forza vero.
Diede un'altra occhiata alle finestre sopra di lei, cercando quella da cui era fuggita, ma la nebbia stava iniziando a salire verso l'alto e a coprire tutto.
Iniziò a scendere velocissima, con il sangue delle sue mani che macchiava la corda e il rimbombo del suo respiro tra le orecchie. Le mani si staccavano quasi in simultanea e si rese conto troppo tardi che era pericoloso.
Ad un tratto, entrambe non riuscirono ad afferrare ancora la fune.
Nerissa vide come al rallentatore la corda che si allontanava, si allontanava sempre di più, e lei cercava di prenderla, ma... ma non riusciva ad aggrapparsi.
Precipitò verso il sottosuolo, piangendo ed urlando, la gola che quasi si lacerava per lo sforzo.
Stava per morire, sarebbe morta, morta, e la morte faceva paura ed era strano- ne parlava sempre con gli zii- e lei sarebbe morta.
Strizzò gli occhi e aspettò l'impatto, con il fischio dell'aria che le strideva nelle orecchie.

L'accesa partita a cricket tra il Principe Giovanni e la Regina dei Cuori era quasi giunta al termine, con un netto vantaggio di Sua Maestade.
Questa lieta notizia giustificava il suo sorrisone benevolo e l'evidente buon umore di tutte le guardie-carte -nessuna testa sarebbe saltata via quel giorno- nonché del piccolo Re di Cuori, impegnato a cercare, con pochi risultati, di confortare Sir Biss al pensiero della vicinissima sfuriata, compresa di capricci, del Principe.
Quest'ultimo sembrava in completa ansia, mentre si realizzava una perfetta manicure mangiucchiandosi gli artigli. Scommettere l'ultimo specchio regalo di mamma non era poi stata una grande idea.
«È l'ultimo tiro!» strillò accanto a lui Tonto, che per ignote ragioni aveva ottenuto il ruolo d'arbitro. «E tutto va maaale!»
«Parla per te, uccellaccio!» lo ammonì la Regina dei Cuori, per poi alzare trionfalmente la sua mazza-uccello per l'ultimo tiro che le avrebbe regalato la vittoria. Un'ovazione e uno scroscio di applausi la accolse.
Sua Maestade sorrise e si accucciò, indietreggiando sino a sfiorare con il suo regal sedere le mura del castello per prendere una migliore rincorsa.
Posizionò meglio la palla-riccio rosa davanti a sé, bilanciò un poco la mazza e, con la lingua fuori per la concentrazione e un occhio chiuso, si preparò a tirare. Portò indietro la mazza per infondere più potenza possibile, fece per scagliare il colpo e...
Con un urlo acuto, qualcosa- o qualcuno- precipitò giù dalle mura, proprio sopra la Regina, che stramazzò al suolo, in un grovigliastro confuso di gonne, sottogonne e mutandoni.
Prima che Sua Maestade riuscisse a rialzarsi e il resto delle guardie comprendesse la situazione, Nerissa sguciò fuori dal groviglio. Si tastò il corpo, incredula.
«Sono viva!» strillò.
Alle sue spalle, la Regina emerse a fatica dalle gonne, il faccione rosso come non mai e la bocca spalancata. «Tagliatele la testa!» si sgolò, indicandola.
«Ma, mia cara» il Re dei cuori si avvicinò alla moglie con la sua andatura imbarazzata. «Non si può, è... ehm... Nerissa».
«Uhm, è vero» ragionò Sua Maestade, grattandosi la testa. «Tagliate a lui la testa!» gridò di nuovo, indicando una guardia a caso di fronte a lei.
Le altre guardie lo afferarono prontamente, dirigendosi verso la vicina ghigliottina. La Regina, rialzatasi, cercava di godersi al meglio la scena, ma venne infastidita dalle grida di giubilio del Principe Giovanni e della sua corte.
«Che avete da ridere?» urlò, rischiando di cadere nuovamente.
Il Principe si fece avanti, con un sorriso da un orecchio all'altro, accompagnato da Sir Biss e dallo Sceriffo di Notthingam. «Ho vinto! Ho vinto! Ho vinto io!»
«Che diamine stai dicendo?»
«Hai abbandonato la partita gettando a terra la tua mazza, mia cara, perciò ho vinto io!» spiegò con evidente soddisfazione il Re Fasullo d'Inghilterra.
La Regina dei Cuori lo fissò per un momento, interdetta. Poi si riprese. «Tagliategli la testaaaaa!»
Mentre il Re dei Cuori cercava debolmente di fermare la sua amata metà, tutte le guardie-carte abbandonarono la ghigliottina per precipitarsi contro il Principe, che, molto virilmente, scappò a rifugiarsi dietro il suo trono. «Guardie!» ruggì disperato. «A me! Guardie! Difendete il vostro Re!»
Approfittando della battaglia, Nerissa, a furia di spintoni e piccole sfere di fuoco marca zio Ade, se la svignò indisturbata verso le scuderie.
Era molto soddisfatta di come se la fosse cavata, anche se molto andava alla regale cicciosità della zia...
Sgusciando tra i vari giardini del parco, riuscì ad arrivare al suo obiettivo. Prestando attenzione a non farsi beccare, scivolò dentro alle scuderie, venendo accolta da un immediato calore, odore di fieno e nitriti di cavalli.
I vari teschi intagliati sulle pareti le sorridevano allegri e non sembrava esserci nessuno...
«Oh no! Non puoi farmi questo!»
Nerissa si tuffò di lato, precisamente tra il fieno.
Un ringhio, seguito da un vago piagnucolio. «Mi avevano detto che era un compito facile! Oh, non dirmi che non muori dalla voglia di esibirti ad uno splendido spettacolo in onore del Governatore Radcliffe stasera! Chiunque ne sarebbe entusiasta!»
Nerissa gattonò tra la paglia e si sporse da una colonna di un box per guardare.
Wiggins, smunto e nervoso, cercava di convincere nientemeno che Mor'du, legato con più catene possibili ad un enorme colonna di pietra.
In tutta risposta alle preghiere di Wiggins, l'orso ringhiò come non mai-inondando di bava il poveretto- e cercò senza successo di alzarsi per sbranarlo, facendo scricchiolare l'intera scuderia.
Due o tre cavalli nitrirono, scalciando irritati. Nerissa ghignò. Sapeva che Wiggins era un idiota, ma non credeva così tanto. Insomma, nemmeno Gaston si sarebbe avvicinato tanto a Mor'du- o almeno, lo avrebbe fatto solo con cinque o sei armi adeguate.
Wiggins si passò una mano tra i capelli, osservando disgustato lo stato in cui erano ridotti.
«Andiamo, vecchio mio! Ripensaci!»
Nerissa sbuffò. Ma guarda te, se doveva perdere tempo per uno del genere. Mentre il poveretto era impegnato a convincere l'orso più terrificante del Black Realm, la Prescelta scivolò pian piano di box in box.
«Senza dimenticare che è un incarico prestigioso! Sono certo che il Governatore Radcliffe te ne renderà conto! Potrebbe perfino arrivare a...»
SDENG!
Wiggins si accasciò a terra, un bernoccolo enorme che gli spuntava sulla testa, e Nerissa ripose la pala al suo posto. Si asciugò il sudore dalla fronte con una mano- scappare era davvero faticoso!- e dopo aver fatto una linguaccia a Mor'du, che rispose con un sordo ringhio, facendola arretrare, corse alla scuderia numero cinque.
Liberò senza troppe difficoltà il cavallo che era solita usare, montò a fatica dopo il terzo tentativo e, in meno di dieci minuti, spalancò le porte ed uscì finalmente dal Black Castel.

«Credo proprio di non aver afferrato: come sarebbe a dire che è fuggita?» chiese Ade con una calma inquietantemente mortale, osservando i presenti come se si trattassero di un valido esempio di come sprecare il suo tempo.
Davanti a lui, Lady Tremaine cercava di mantenere un'aria più dignitosa possibile, nonostante, accanto a lei, Genoveffa stesse tremando, singhiozzando e tirando su con il naso. Non necessariamente in quest'ordine.
«È fuggita. Ha detto che si era stancata, che non aveva la minima intenzione di svolgere le mansioni che le richiedevo, e se ne è andata».
Genoveffa afferrò la coda di Shere Khan, che passava malauguratamente lì vicino per raggiungere all'altro lato della sala i restanti i felini, e ci si soffiò il naso. La tigre le diede una zampata, disgustato.
«A quanto pare fermarla avrebbe richiesto troppo impegno» commentò con una smorfia Jafar, di fianco ad Ade.
Il dio sembrò ridacchiare. «La cosa è... comica, davvero» dichiarò, alzando lo sguardo sulla matrigna. «Abbiamo perso» vampata di fuoco rosso, «la nostra unica salvezza perché volevi farle fare dei... lavoretti da principessa?!?»
Ade, con un urlo di rabbia, prese definitivamente fuoco.
Lady Tremaine si gettò a terra, mentre il resto dei Malvagi di proteggeva quasi con svogliatezza, ormai abituato agli scatti di rabbia del Dio degli Inferi.
«Perché questa situazione non mi suona nuova?» sospirò Madre Gothel con stanchezza, seduta a destra della sala tra Frollo e Radcliffe.
Mormorii di approvazione.
«Non è possibile che la perdiamo come minimo ogni tre mesi!» borbottò il Comandante Rouke a Clayton, che annuì con l'aria di chi la sapeva lunga, masticando la sua sigaretta.
«Perdonami se ti contraddico, Rouky» riprese la parola Ade. «Ma questa volta ha lasciato il castello e perciò c'è un piccolo dettaglino non del tutto insignificante: qualcuno ha idea di dove sia andata?»
Mentre ognuno cercava di esprimere la propria opinione, calpestando brutalmente quella degli altri- sia in senso letterale che non, Uncino spalancò gli occhi. Immagini e ricordi di una conversazione non molto lontana gli affiorarono nella testa come isole nel mare.
Il viaggio in carrozza di mesi prima.
La Foresta Proibita.

Il cavallo sfrecciava velocissimissimo. Nerissa, appiattita sul dorso, lo spronava di tanto in tanto con il frustino, pur non sapendo in quale direzione volesse esattamente andare.
Per il momento, le bastava allontanarsi il più possibile dal Black Castel e da tutte quelle lezioni.
Ostacolata dai capelli e dalla criniera del cavallo, si voltò a dare un'occhiata. Le ultime torri del castello erano appena visibili, tra le colline.
Strinse la presa sulle briglie, e il cavallo, con un nitrito, diminuì la velocità fino a fermarsi del tutto. La Prescelta cercò di osservare come meglio poteva i dintorni, incupite dalle nuvole scure che si stavano via via sostituendo alla nebbia.
La strada che portava alla Jolly Rogers era alla sua sinistra, sbucava tra due collinette per poi infilarsi in una delle entrate principali del castello. Perciò seguendo quella strada sarebbe arrivata alla nave.
Ma ci avrebbe messo tantissimissimo tempo.
Già dalla scuderia le si era affacciata in mente l'idea di visitare la Foresta Proibita- pensiero che non aveva mai veramente abbandonato da quando zio Uncino le aveva risposto così bruscamente. O meglio, più bruscamente del solito. Doveva esserci una roba fortissimissima dentro quel bosco!
E di sicuro lo zio Uncino e gli altri non gliene parlavano mai soltanto per lasciarla fuori dal divertimento e condannarla alle robe inutili- come la lezione di zia Tremaine!
Girò il cavallo in direzione della strada e lo incitò al galoppo.
«Alla Foresta Proibita, prima che mi scoprano!» sussurrò con un ghigno, cercando di ricacciare via quella morsa allo stomaco e alla gola. La paura arrivava sempre quando lei non ne aveva!

Ad Uncino non era mai piaciuto cavalcare. D'altronde, solitamente si pretende che un pirata rimanga con i piedi ben piantati sull'acqua della sua nave, di certo non sulla groppa di un dannato ronzino a imprecare tra i denti ad ogni singolo sasso.
Ma sono tante le cose che si pretendono a questo mondo.
Ad esempio, soltanto poco prima, il Capitano si era trovato a pretendere- o forse a sperare- che qualcuno proponesse un altro posto, che la mocciosa non fosse andata sul serio nella Foresta Proibita.
Ma per qualche ignota ragione del più avverso fato, nessuno di tutti quei miserabili presenti aveva contestato nulla. Nessuno aveva proposto un luogo più probabile.
Con il risultato che ora era lì, su un dannato cavallo a distruggersi la schiena anche più di quanto avesse fatto Pan, con Spugna dietro, con la ciurma che si mobilitava in massa dalla Jolly Rogers per andare all'altro lago della foresta, con gli altri Malvagi che si preparavano meglio che potevano con tutti i loro incantesimi e armi- anche se alcuni provavano comunque a cercare la marmocchia in altri posti per "sicurezza". La loro, forse.
Compito di Uncino era precedere i Malvagi, che presto- il tempo di riuscire a mettere insieme qualcosa di simile ad un esercito sufficiente ad affrontare quel demone- lo avrebbero raggiunto.
Un altro scossone lo fece sobbalzare. Strinse i denti.
Se la mocciosa non fosse morta, l'avrebbe uccisa lui. Con le sue mani- la sua mano e il suo uncino.
Ma se fosse stato troppo tardi...
Il pensiero della marmocchia, insanguinata e a terra, stranamente non gli portò quella gioia che si aspettava. Incitò ancora e ancora il cavallo.
E finalmente, tra il nero delle nubi della sera, la sagoma più oscura della foresta si delineò lentamente davanti a loro.

Nerissa represse un brivido, scostando malamente un rovo che le si era impigliato nei pantaloni. Siccome la foresta le era sembrata molto fitta, aveva lasciato il cavallo ai suoi margini, con già pronto un incantesimo per convincerlo ad andarsene. Ma non ce ne era stato bisogno, visto che si era catapultato il più lontano possibile, nitrendo come un forsennato.
Bè... tanto meglio. Aveva risparmiato le energie.
Le foglie che calpestava scricchiolavano flebili, levandosi di tanto in tanto al fruscio del vento. Sembrava che questo quasi ululasse, quando si inoltrava negli alberi cavi.
Il freddo iniziava a scivolarle dentro i vestiti e i pochi raggi della luna appena sorta dipingevano tutto di una cupa luce grigiastra, intervallata dai rami neri.
Ogni gracidio di rana rimbombava tutto intorno, come una presenza inquietante, e lo stesso facevano i tristi e lunghi versi dei gufi.
A Nerissa piacevano molto le atmosfere così- gli zii dicevano sempre che erano meravigliose e oscure e perfette. Ma anche se voleva davvero essere rilassata, quelle strette allo stomaco e alla gola continuavano ad esserci e erano davvero fortissime. Forse era colpa delle rane, non era abituata a sentire i loro versi...
Strinse le braccia al petto e si lasciò sfuggire un sospiro- che le uscì tutto tremulo!-, mentre continuava ad inoltrarsi. Non c'erano nemmeno dei mostri in quello stupido posto, ne era sicura.
Ma allora perché agli zii piaceva tanto? Perché la chiamavano "Proibita"?
E perché lei aveva ancora quella bastada di... paura?

«È meglio lasciare qui i cavalli». Uncino smontò elegantemente per poi legare ad un tronco vicino le redini del cavallo, che scalciò irrequieto.
«Non... non possiamo portarli con noi, Capitano?» chiese nervoso Spugna, tocerndosi le tozze mani. «Sapete, nel caso si serva una veloce...» deglutì, «... fuga».
Uncino gli lanciò un'occhiata a metà tra il severo e il disgustato. «Questo è il territorio più fitto. Come avresti intenzione di passarci con i cavalli, Spugna, se a malapena riusciamo ad entrarci noi?»
«Si, Capitano» mormorò sconsolato il mozzo. Scese dal suo asino- l'unica cavalcatura su cui riuscisse a non cadere- e lo legò accanto al cavallo, mentre Uncino controllava le tracce, inginocchiato.
A furia di anni trascorsi inseguendo Pan, indiani e quant'altro, aveva appreso ben più di qualche trucchetto su come rintracciare qualcuno.
Le orme del cavallo della mocciosa si fermavano lì, per poi tornare indietro, ma era sicuro che lei fosse entrata nella Foresta Proibita.
«Che cosa vi fa credere, Capitano, che la Prescelta abbia proseguito nel bosco?»
Era da molto che il pirata non udiva quella voce così gelida. Si voltò, mascherando al meglio il suo stupore.
Malefica si era appena materializzata a pochi passi da loro, un'espressione di distaccata superiorità sul viso orgoglioso. Il lungo mantello frusciava se ogni suo passo, mentre al suo scettro era appollaiato Diablo.
«Ade e Jafar mi hanno da poco informata dell'accaduto» continuò la Regina di Tutti i Mali, incurante degli inchini tutti svolazzi dei due pirati. «Sembra che siate stati proprio voi, Capitano, ad attirare l'attenzione della mocciosa sulla foresta».
Gli occhi della strega rivelavano un luccichio pericoloso.
«Non è esatto, Vostra Signoria: Nerissa ha notato da sola la foresta mentre, mesi fa, ci dirigevamo al Black Castel. E ora, con tutto il rispetto, dobbiamo inoltrarci immantinentemente nella selva, prima che si riveli essere troppo tardi. Gli altri dovrebbero arrivare presto con i rinforzi e...»
«Con tutto il rispetto, Capitano».
Uncino, già avviatosi, si bloccò.
«Non verrà nessun rinforzo a supportarvi».
Il pirata si voltò di scatto, pregando di aver frainteso. «Come, prego?»
Malefica arricciò appena gli angoli della bocca. «Avete inteso perfettamente, Capitano. Non so quale sia normalmente il Vostro riguardo rispetto ai Vostri pirati, ma sappiate che io non ho intenzione di rischiare gran parte delle forze del Black Realm a causa di un vostro errore. Era vostro dovere assicurarVi che la Prescelta non pensasse più alla Foresta, come anche d'altronde Lady Tremaine doveva avere più attenzione nella scelta degli argomenti da trattare nelle sue lezioni. Non è una sciocca principessina, diamine».
Il pirata fissò a bocca aperta Malefica, incrociando il suo sguardo altero. Decise di cedere. «Ritenetelo pure un mio errore, Vostra Signoria. Ma ora si tratta della vita di Nerissa. Della nostra dannata opportunità di salvezza! Abbiamo bisogno di rinforzi! Quella dannata mocciosa ne ha bisogno!»
«Se si tratta di una missione tanto pericolosa, farete bene a riportare al Black Castel quella mocciosa, Capitan Uncino» replicò gelida come non mai la Signora di Tutti i Mali. Gli diede le spalle con uno svolazza del mantello. «E ora, se volete scusarmi, devo occuparmi di Lady Tremaine».
Come era arrivata, la strega sparì in una fiammata nera, lasciando dietro di sé un innaturale silenzio.
Uncino rimase a fissare il punto dove era sparita la Malvagia, senza saper spiegarsi quell'improvviso sbigottimento. Ad ogni battaglia... ad ogni maledetta battaglia con Pan aveva sempre avuto un'ottima strategia. Anche se spesso veniva stravolta ed erano necessari degli accorgimenti, ad ogni battaglia lui... lui aveva tutto sotto controllo. Pan sarebbe arrivato da quella parte, sarebbe incappato in quella trappola, le palle di cannone sarebbero state in posizione ad attendere i Bambini Sperduti, la ciurma si sarebbe divisa in tre principali battaglioni, di cui uno sarebbe fuoriuscito da sottocoperta per attaccare i nemici quando meno se lo fossero aspettati e lui avrebbe ucciso Pan, infilando la sua spada fino all'orlo nel suo sangue da demone; se invece Pan fosse capitato da quell'altra parte, si sarebbe attuato il piano d'azione basato sull'uso delle armi da fuoco, approfittando della particolare inclinazione della nave e nella battaglia lui avrebbe ingaggiato un duello contro Pan e lo avrebbe ucciso, e avrebbe gettato la sua testa al Coccodrillo...
La strategia era una delle poche e vere costanti nella vita di un pirata. E ora lui, Uncino, il Terrore dei Sette Mari, il Pirata più temuto del Black Realm, lui... lui non ne aveva nessuno.
Erano in completa balìa degli eventi e del nemico, senza alcuna speranza di...
«Capitano?» provò debolmente Spugna, il cappello stretto tra le mani. «Che facciamo, Capitano?»
Uncino si voltò ancora e fissò la Foresta Proibita come se mai l'avesse vista davanti a sé. «Andiamo, Spugna».

Era da almeno mezzora che avanzavano nella foresta, avvolti dal classico odore di freddo e fango. Il Capitano aveva sguainato la spada, come Spugna il suo pugnale, e teneva l'uncino pronto per squarciare. Normalmente, il suo corpo sarebbe scattato al minimo segnale del nemico, i sensi tesi e il corpo impaziente di finirla ma allo stesso tempo appagato per l'attesa- era abituato, Uncino, alla calma prima della tempesta.
Ma in condizioni normali avrebbe avuto un piano, dei rinforzi. Non una stuola di accuse che, proprio come Pan, svolazzavano tra la sua testa.
Un pirata era abituato ad essere accusato. Era uno dei svantaggi così poco rilevanti, che nessuno mai lo considerava un vero e proprio lato negativo. Se si aveva la malaugurata sorte di capitare ad un processo, schiere di accuse di pirateria, furto, omicidio, abbordaggio, ammutinamento, tradimento alla Corona, alla patria e alla fede, incendio colposo, minacce e sobbillazione di rivolta erano solo le principali.
Ma dopotutto sotto quelle accuse si nascondeva sempre la verità. Non si era pirati per nulla. Le accuse di Malefica erano diverse. E non riusciva davvero a capire, Uncino, perché lo tormentassero tanto.
Anche se fossero state vere, che cosa sarebbe cambiato? Era naturale che un pirata come lui non si preoccupasse di nulla, se non del proprio interesse. Ma allora perché diamine...
«Capitano! Avete... avete sentito anche voi?» domandò Spugna con il fiato corto, appena dietro di lui.
Uncino tese le orecchie, poi aggrottò le sopracciglia. «Che diamine hai bevuto, Spugna? Non sento nient...»
Un grido terribile, talmente profondo da sembrare uscire dalla terra, squarciò la notte, riecheggiando nei loro cuori.
Il Capitano sollevò l'uncino, illuminato dalla luce cupa della notte. «Preparati a combattere».
E all'improvviso tutto nella mente di Uncino si confuse tra ricordi e sogni si battaglie lontane, contro Peter, contro la Marina Inglese, contro nemici invisibili nei sobborghi di Tortuga. Una malinconica litania, resuscitata da chissà quale angolo del suo passato, ripercosse la sua mente, mentre la sua spada si abbatteva contro qualcosa.
Uncino sbatté le palpebre. Aveva infilzato la spada nel tronco di un albero. La sfilò malamente, stringendo i denti. Spugna lo fissò per un attimo con qualcosa negli occhi e sulle labbra, per poi riprendere a cercare il nemico.
Il silenzio calò ancora, con un che di inesorabile.
«Sembra che se ne sia andato, Capitano» mormorò il mozzo. Aveva appena terminato la frase che altre risate terrificanti invasero la foresta, subito seguite da un urlo atterrito. Un urlo di una voce più infantile.
La marmocchia.
I due pirati si lanciarono in direzione delle grida- uno cercando quasi disperatamente di rimanere attaccato al presente. Erano molti i pensieri che affollavano la sua mente. Il suo corpo si muoveva come seguendo un copione, con movimenti che si frapponevano a quelli dei tempi passati.
Corsero fino a perdere il fiato, calpestando le foglie secche e saltando alberi marci, il fiato e le urla come rimbombo nelle loro orecchie.
Lapidi e tombe di un bianco spettrale li accolsero in quello che sembrava un cimitero.
Un qualcosa strappò Uncino dal passato. Nerissa era poco più avanti di loro, a terra fra la polvere.
E su di lei svettava il peggior spirito Malvagio che nessun aveva mai osato sfidare, fuori controllo perfino per le forze del Male.
Il Cavaliere Senza Testa era lì, e esigeva il suo tributo. Con le carni di Nerissa.
Sollevò la spada, che riluceva ancora del sangue delle sue vittime, e la brandì dal suo cavallo contro la Prescelta. Le risate del demone gelavano il cuore.
Uncino avrebbe voluto fare qualcosa. Era lui il Capitano. Ma restò immobile, come congelato sul posto, incapace di anche solo distogliere lo sguardo.
Forse la forza della dispersione portò Spugna ad avere più coraggio di lui. Il mozzo partì all'attacco, iniziando ad urlare e ad agitare il suo cappello per attirare l'attenzione del Cavaliere. «Qui! Venite qui, bel... uh, signore!»
Uncino si riscosse e imitò il mozzo. «Prova ad inseguirci, orrenda creatura!» urlò, per poi afferrare una pietra e lanciarla contro il Cavaliere. Il sasso cadde giusto dentro il suo collo mozzato e forse per questo- o per il fatto che due teste di pirati tutto sommato valevano più di una di una mocciosa- il demone si girò. Impennò il cavallo e si lanciò con una risata di gioia maligna al loro inseguimento.
I due pirati iniziarono a correre e Uncino capì presto che il loro unico vantaggio consisteva nelle lapidi, di ostacolo al cavallo del Cavaliere.
Nonostante ciò, le sue urla fameliche risuonavano sempre alle loro spalle, vicinissime, e il Capitano, pur avendo lì con lui tutte le sue altre battaglie, si ritrovò a temere di essere ucciso ad ogni singolo passo, mentre si inerspicava tra le tombe.
Spugna lo affiancava, ansimando. «Il ponte, Capitano!»
Uncino annuì, il fiato del cavallo maledetto che gli si insinuava nel collo.
Oltrepassate il ponte e il suo potere cesserà: sarete salvi!
Il ponte era lì, dopo la collina, sotto di loro. Riluceva come un'ancora di salvezza.
Il Capitano afferrò Nerissa che si era avvicinata loro in lacrime. La spada del Cavaliere e le sue risate sembravano essere sempre alle loro spalle, appena dietro, ad un respiro dalle loro teste, ma lui non si voltò a guardare.
La spada gli faceva pesare tutto il braccio, le gambe sfrecciavano avanti quasi di loro pura volontà. E nella sua testa riaffiorava ancora quella litania, a cui si aggiungevano sprazzi delle canzoncine cantate quando si parlava del Cavaliere.
Ma doveva concentrarsi. Era in gioco la loro vita.
Strinse i denti. Precipitarono giù per la collina, la morte che incombeva su di loro.
«Presto!» gridò Nerissa agitandosi, mentre la sciabola del Cavaliere sfoltiva le piume del cappello del Capitano.
Con un balzo, arrivarono accanto al ponte e vi si scagliarono dentro. I loro passi sulle tavole marce si persero nelle grida del demone.
A pochi passi dalla salvezza, Uncino, il cuore che ricominciava a battere, si voltò, per assicurarsi che il Cavaliere non li stesse più inseguendo.
Spugna li stava raggiungendo, paonazzo, con la sua andatura goffa. Il Capitano gli fece cenno di sbrigarsi mentre si avvicinava sempre più all'uscita del ponte.
Il mozzo annuì, già con il piede sul primo gradino del ponte. Ma all'improvviso inciampò in una tavola, cadendo a terra.
Il Cavaliere si affrettò a raggiungerlo, brandendo la spada e ridendo forte come non mai.
No!
Uncino corse indietro, la spada pronta e Nerissa tra le braccia, ma il suo sguardo incrociò quello di Spugna.
I suoi occhi parlavano, parlavano davvero.
Dicevano molto, dicevano paura, dicevano pietà, dicevano ammirazione, dicevano di andarsene.
Il Capitano si bloccò, incerto.
Il tempo sembrò accelerare. La spada del Cavaliere vibrò nell'aria.
Suono di carne lacerata.
Un lago di sangue dove poco prima si trovava Spugna.
Uncino cadde a terra, stringendo tra le braccia Nerissa, che urlava, calciava e si dimenava e piangeva, piangeva, piangeva come se fosse ritornata piccola.
Le grida del Cavaliere squarciarono per un'ultima volta l'aria, mentre si piegava ad estrarre la testa dal corpo.
La alzò in aria, come un trofeo.
Apriva la bocca, la testa di Spugna tranciata dal collo, là artigliata tra le dita; brillavano gli occhi a metà vivi e sembravano ancora cercare la luce, ancora contenere brandelli della sua anima.

«Ho piacere nel notare che siate tornati, Capitano» fu l'accoglienza di Malefica, una volta che uscirono dall'altra parte del bosco. I suoi occhi non indugiarono sui loro vestiti a brandelli, sul fango o sulle loro espressioni.
Nerissa, ancora in braccio ad Uncino, aveva lo sguardo perso, gli occhi rossi e stravolti, priva di ogni energia.
Il Capitano provava tante cose, quasi come tutto ciò che sembravano dire gli occhi di Spugna. Credeva che sarebbe stato inglobato nel flusso continuo di ricordi e sogni di altri morti, di altri persi, e invece rimaneva ancorato alla realtà. E non voleva.
Di tanto in tanto, si guardava l'altra mano, il Capitano, perché gli pareva da un po' di averla persa. Era lì, era lì, ma non la sentiva.
«Non siamo tornati tutti».
Credeva di averlo solo pensato e invece lo diceva e la sua voce sembrava così roca e impastata. E Malefica lo guardava e non vi era nulla nei suoi occhi.
«Il prezzo di un Vostro errore, Capitano».
E tutto lo avvolse e fu come rivedere ancora e ancora gli occhi di Spugna su di lui, con quella malinconica litania che gli piegava la testa. Uncino sentì appena ciò che la Signora di Tutti i Mali disse poi.
«Potete ritirarVi. Voi e i Vostri servigi non sono più richiesti». Malefica osservò con disgusto il sorgere del sole.
Uncino si accucciò e depose a terra Nerissa, che mantenne quello sguardo perso, meno vivo di quello di Spugna.
Faceva male, più di Pan.
«Mi dispiace».
Era un sussurro che si univa appena, che probabilmente Malefica non aveva nemmeno colto, e forse nemmeno la stessa Nerissa.
Uncino non sapeva perché lo aveva detto, il significato di quelle parole, né sapeva se la Prescelta le avesse sentire e avesse voluto dire qualcosa. Malefica si avvicinò, le artigliò una spalla e, prima di andarsene, guardò di nuovo il Capitano. E il vuoto orgoglioso nei suoi occhi sembrava solo Odio.
«Spero vi siate goduti i Vostri ultimi istanti con lei. Vi sarà proibito d'ora in poi rivederla».
Una fiammata nera lasciò solo il Capitano.
All'improvviso, il silenzio calò completamente attorno a lui, perfino nelle litanie della sua testa. Rimbombavano in lui dolori senza un suono, un male profondo dalla forma di occhi, centinaia di occhi.
Una piccola lacrima, un gesto del corpo da tempo sostituto da scatti di rabbia, scivolò fino al mento del Capitano.
Occhi che gli dicevano di andarsene.


N.d.A
Good Afternoon, my dears! *sta studiando inglese* Eccomi con il –si spera- attesissimo quinto capitol! Spero vi sia piaciuto, è il mio capitolo in assoluto più lungo (12 pagine word! *-*). Ci tengo poi a ringraziare quei cuccioli che hanno recensito lo scorso capitolo. Purtroppo è un periodo impegnativo, ma vedrò di rispondervi il prima possibile!
Tornando a noi, ecco le eventuali note:
*1: Campi della Pena: nella mitologia greca costituiscono le eterne punizioni per le anime peggiori. Non so, mi sembrava appropriato che Ade nominasse così qualche luogo a caso del Black Realm.
La citazione riguardante la morte di Spugna è stata riadattata su un frammento latino di un'opera dell'autore romano Ennio.
Spero che il capitolo sia venuto bene, è il primo personaggio che uccido. Per non parlare del fatto che, per poter descrivere l’atmosfera del capitolo, ho dovuto riguardarmi tantissimissime volte (per dirla alla Nerissa) la Leggenda della Valle Addormentata. Paura!
Ah, probabilmente già oggi pubblicherò una one-shot su un… “Malvagio” un poco trascurato. E prossimamente altre su Uncino. Mi è dispiaciuto non aver potuto inserire Helios, ma sarebbe diventato decisamente troooopo lungo.
Grazie in anticipo a chiunque leggerà/recensirà.
Baci
Nox
  
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Disney / Vai alla pagina dell'autore: Lumos and Nox