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Autore: LilithJow    14/01/2015    3 recensioni
«Non posso credere che tu mi abbia colpito». Skye avrebbe voluto urlare quella frase, ma tutto ciò che uscì fuori dalla sua bocca fu un lieve sussurro.
Ward si lasciò scappare un sorriso velato. «Beh, tu mi hai sparato» disse, con tutta calma. «Per tre volte, a voler essere precisi. Immagino che le persone siano sempre piene di sorprese».
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grant Ward, Skye
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Maybe we'll be lovers, maybe someday'
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"someday you'll understand (and you will come to me)".
Unmoved.
________________________


La sua pelle bruciava ancora.
Le dita sottili di Skye sfioravano appena la propria guancia, tracciando velatamente i contorni dei segni rossi che su di essa si erano dipinti.
Bruciavano come avrebbe fatto una vera ferita aperta, eppure era stato soltanto uno schiaffo, qualcosa che avrebbe dovuto sopportare facilmente dopo i duri allenamenti intrapresi con May.
E invece no.
Dopo aver subito quel colpo, era rimasta semplicemente immobile, con la testa bassa e gli occhi fissi sul pavimento, incapace di fare nulla se non toccare a stento il punto danneggiato.
Per un attimo, probabilmente, si scordò anche di respirare.
Forse il suo inconscio aveva deciso di paralizzarla come se ciò potesse essere una giusta punizione: in fondo, Skye sapeva di averlo meritato quello schiaffo.
Una parte di lei non troppo nascosta stava urlando in quel preciso istante nella sua mente e, a causa di ciò, la ragazza, nonostante fossero trascorsi più di trenta secondi, non osò sollevare il capo e incrociare i suoi occhi.
Non ne aveva il coraggio.
Non aveva la forza per incastonare il proprio sguardo al suo, anche perché era stato già abbastanza doloroso farlo una volta, prima che quello accadesse.
Non l'aveva mai visto con quell'espressione stampata in faccia.
In realtà, non aveva mai creduto che proprio lui potesse guardarla con tale espressione.
Ma doveva aspettarselo, no?
Avrebbe proprio dovuto aspettarselo.


 

Skye prese un respiro profondo che durò così tanto da rischiare di farle esplodere i polmoni. Quando chissà quale istinto la portò ad alzare gli occhi, Ward la stava fissando col capo appena piegato di lato, la mascella serrata e i pugni stretti lungo i fianchi.
E ancora la sua faccia impassibile.

«Non posso credere che tu mi abbia colpito». Skye avrebbe voluto urlare quella frase, ma tutto ciò che uscì fuori dalla sua bocca fu un lieve sussurro.
Ward si lasciò scappare un sorriso velato. «Beh, tu mi hai sparato» disse, con tutta calma. «Per tre volte, a voler essere precisi. Immagino che le persone siano sempre piene di sorprese».

La ragazza si morse piano il labbro inferiore. Le sue parole avevano appena dato voce a ciò che già urlava la propria coscienza. E sì, proprio per quel motivo si era meritata quello schiaffo.
Si era meritata di esser ferita in quel modo soprattutto perché, dopo averlo spezzato, aveva avuto il coraggio di presentarsi alla sua porta – successivamente ad una scrupolosa ricerca – e implorare per il suo aiuto.
Era patetico.
Era molto più che patetico.
Sì, si meritava di più di uno schiaffo.

«Mi dispiace» mormorò Skye. Fu l'unica cosa che le venne in mente da dire, seppur passò davvero poco prima che se ne pentisse e desiderasse sprofondare in un oblio nero.
Ward, d'altra parte, non poté fare a meno di accennare una risata, quasi sull'orlo dell'isterismo. «Fai sul serio?» esclamò.

«Io...» la ragazza soffocò. «Non lo so. Non so cosa mi sta succedendo e...».

«Sì, e a me non interessa».

Il modo in cui lui stroncò la propria frase fece tremare Skye. C'era durezza nella sua voce, astio. Le stava parlando esattamente come faceva con qualsiasi altro agente dello S.H.I.E.L.D.. Le stava parlando come se fosse un'estranea, una qualunque.
E lui non l'aveva mai fatto.

'Io non spero per me, spero per te'.

Skye ricordava bene quelle parole, ricordava ogni singola cosa che Ward le aveva detto, ma la persona che aveva davanti non sarebbe mai stata capace di pronunciarle.

«Vuoi farmi capire che non sei disposto ad aiutarmi?» singhiozzò lei.

Ward scosse di poco la testa. «L'ultima volta che ho cercato di aiutarti per me non è finita esattamente bene, per cui...».

«Cosa posso dirti oltre al fatto che mi dispiace?». Skye allargò le braccia, esasperata. I suoi occhi, forse senza volerlo, si erano fatti lucidi.

«Nulla, Skye. Qualsiasi cosa tu dica, ormai, non può risolvere nulla».

«Perché?».

«Perché ci siamo già passati». L'uomo abbassò lo sguardo per una frazione di secondo e soltanto in quel momento Skye si concesse il lusso di osservare e analizzare bene i suoi tratti.
Nonostante i capelli più corti e la barba incolta, sembrava ancora lo stesso Specialista dalla faccia volutamente imbronciata che aveva incontrato per la prima volta in quella che pareva essere un'altra vita.
Notò solo allora quella cicatrice che spiccava sulla sua tempia destra, quel segno che non sarebbe mai sparito, così come non lo avrebbero fatto quelli che spuntavano dalla maniche della sua giacca di pelle nera su entrambi i polsi.

E quei segni erano lì a causa sua.

«Tu sei qui, ora, e mi stai implorando di aiutarti a fare chissà cosa» continuò Ward «mi userai, mi spremerai finché non avrai ottenuto tutte le informazioni che ti servono e poi, subito dopo, mi getterai via perché non sono più utile ai tuoi scopi. Ma non è così che funziona, Skye. Sono stanco di farla funzionare in questo modo perché io ci ho provato davvero ad essere migliore, a pensare e ad agire nel modo più corretto, anche se non ne sono capace, non del tutto. E a volte, forse... A volte, forse, ho addirittura peggiorato la situazione, ma il punto è che da parte tua non ho mai avuto niente. Né un minimo gesto, né un solo cenno, soltanto un muro addosso al quale ho sbattuto ripetutamente. E quando hai premuto il grilletto, ho capito che non ne vale la pena. Qualsiasi cosa io faccia, per te, non sarà mai abbastanza. Potrei salvarti da una granata, potrei impedirti di essere investita da un treno o tirarti su mentre stai cadendo in un burrone; ciò nonostante, penseresti ancora che io sia un mostro e mi chiameresti assassino. Quindi che senso ha? Perché dovrei continuare a provarci se a te nemmeno importa?».

Skye ascoltò attentamente il suo discorso, sebbene ad ogni sua frase corrispondesse un ago conficcato dritto nel cuore. Inconsciamente, aveva sempre adorato il fatto che lui la venerasse, che fosse pronto a sacrificarsi per lei in qualunque istante. Quello lo aveva capito chiunque e Skye non era da meno. Spinta da una vena egoista, era sicura che ciò non sarebbe mai cambiato, che nonostante le mille torture che gli aveva inflitto, gli inganni, le bugie, il dolore, che nonostante quei tre maledetti proiettili, Ward ci sarebbe sempre stato.

E invece si era sbagliata.

Si era sbagliata e lui le stava buttando addosso quell'errore nel modo peggiore possibile.

«Perché mi ami». Tale risposta le venne spontanea. Forse stava seguendo troppo il proprio istinto, ma non poté impedirlo. In fondo, poi, quella era la verità, no?
Ward rimase per un istante in silenzio, fissandola negli occhi, mentre i suoi erano spenti, lontani, incupiti. «L'amore ha senso solo se ad un certo punto viene ricambiato e tu...». Fece una breve pausa, sospirando. «Tu non lo farai mai».

«Questo non è vero».

«Lo dici soltanto per ottenere il mio aiuto, come sempre. Conosco la tecnica, non ci casco più».

«Non c'è nessuna tecnica, Ward, non... Non sarei qui, altrimenti».

«No, ti dico perché sei qui: allo S.H.I.E.L.D. non hanno risposte, non quelle che vorresti. Il fatto che tu sia diversa è difficile da accettare per loro e hai notato come hanno iniziato a trattarti in modo diverso dal solito. Sto andando bene? Posso continuare?».

«Non è così».

«Allora dimmi tu il vero motivo».

Skye serrò la mascella. Avrebbe voluto smantellare ogni ragione che lui aveva appena costruito, ma non ne era in grado perché non vi era niente di erroneo.
Era esattamente ciò che era successo, solo che non aveva il coraggio di dirlo ad alta voce né di ammetterlo a se stessa.

«E' come dico io, Skye, oppure no?».

La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi così forte da rischiare di farsi sanguinare i palmi. Non sapeva come replicare e scelse di non pronunciare le prime frasi che le vennero in mente giusto per non rendere quella situazione ancora più pesante.
Purtroppo per lei, tuttavia, gli istinti erano ardui da placare, di qualunque natura essi fossero. Per tal motivo nemmeno si accorse di come il proprio corpo si era mosso e proteso verso Ward fino ad andarci a sbattere contro e a legarsi al suo.
La bocca di Skye si incastonò perfettamente a quella di Ward come se esse si fossero cercate per secoli senza mai trovarsi e lo avessero fatto in quel momento. Ci fu un bacio avido, pregno di disperazione, di desiderio, di amarezza, di lacrime, di urla.
Skye afferrò la sua maglietta proprio all'altezza del cuore; la tirò con tutta la forza che possedeva, mentre lui faceva la stessa cosa coi suoi capelli all'altezza della nuca.
E giunse quel dolore fisico che fu addirittura piacevole da sopportare: unghie conficcate nella carne, denti che tagliavano le labbra e respiri affannosi.
Quel dolore che Skye desiderava con tutta se stessa.
Quel dolore in cui bramava di annegare.
Quello stesso dolore a cui Ward pose fine nel momento in cui si distaccò da lei poco delicatamente, facendo un passo indietro e lasciandola a corto di fiato e con la bocca in fiamme.

«Penso dovresti andartene» sentenziò l'uomo.

Skye si lasciò scappare un gemito. «Non mandarmi via» biascicò.

«Ti hanno insegnato a non stare con le persone cattive, no?» replicò lui. «E ora mi sembri abbastanza forte da poterti guardare le spalle da sola».

«Per favore, Ward».

Skye non ottenne nulla. Ward le fece cenno di dirigersi verso la porta, ma lei rimase immobile.
Una lacrima le scese lungo una guancia. «Per favore, fammi restare» implorò ancora. «Per favore, ti... Ti prego».

Quella volta fu lei ad andare a sbattere contro uno spesso muro. Ward non si piegò alle sue parole, né si spezzò al suo pianto.

«Addio, Skye» sussurrò, guidandola fino a fuori di quella stanza di motel e chiudendo immediatamente la porta.
Skye si ritrovò di fronte ad essa, mentre l'aria gelida iniziava a colpirla in viso. «Ward...» mormorò con un fil di voce, per nulla certa che potesse ancora esser sentita. «Ward, ti prego. Ti prego, aiutami. Ti prego».
Non smise di chiamarlo, non smise di pronunciare il suo nome, non smise di sperare che lui riaprisse quella porta e la accogliesse nelle proprie braccia così che insieme potessero cercare di cancellare ogni torto reciproco che si erano fatti.
Tuttavia, nulla di tutto ciò accadde.
Skye rimase appoggiata con la fronte e un palmo della mano contro quella fredda porta blu, mentre Ward, dall'altra parte, faceva la stessa identica cosa quasi come fosse il riflesso della ragazza. Ma non osò toccare il pomello e eliminare l'ostacolo che impediva loro di riunirsi e ricominciare.
Non fu questione d'orgoglio, fu soltanto voglia di evitare di sbattere di nuovo contro quel muro invalicabile.

  
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