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Autore: Belarus    14/01/2015    5 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates; OC; Charlotte Linlin|Big Mom{citata}.
Note: Le mie ultime parole famose erano: “aggiornerò prima che arrivi il 2015!” ovviamente però non ci sono riuscita. Non mi dilungo sul fatto che i miei problemi persistono e persisteranno, né tantomeno sulla guerriglia che si è scatenata nella mia città e di cui la tv immagino non faccia che parlare, ma andrò oltre e proseguirò nella mia opera, pensando magari di poter allietare qualcuno con questo aggiornamento. È un capitolo piuttosto attivo, Law e Kidd si danno da fare con quello che padre Oda gli ha dato e nel frattempo Aya rischia ripetutamente di farsi uccidere, contrarre matrimonio e via discorrendo. Ci sono parecchi personaggi nuovi, motivo per cui vi raccomando di leggere le note a piè di pagina e di non farvi cogliere troppo dal panico, spiegherò tutto e prometto che sarò chiara. Doveva in realtà includere un’altra scena, quella di Shizaru al G-5 (ovviamente quello che ho tolto ora lo metterò nel prossimo), ma ho preferito tagliare e pubblicare almeno questo o i tempi si sarebbero allungati inevitabilmente, spero possiate perdonarmi.
Ringrazio quelle sante lettrici che mi stanno onorando con ben cinque recensioni per aggiornamento e quei tanti che ancora si aggiungono invogliandomi a continuare! È bello per me sapere che vi siete affezionato e appassionati a questa storia, il mio lavoro viene in qualche modo ricambiato di tutte le fatiche! Merci!
Alla prossima, si spera presto!






CAPITOLO XXXXIX






Un letto a baldacchino, lenzuola che profumavano di fiori, vasi di piante verdissime, un tavolo da colazione con ogni genere di dolce immaginabile, tende che svolazzavano, uno scrittoio, maschere cesellate alle pareti al posto dei quadri, animali impagliati, tappeti sfrangiati, un lampadario a forma di voliera e una vasca da bagno incassata nel pavimento.
Muta e immobile, ancora seduta tra le coperte bianche con un vestito che non le era mai appartenuto, Aya ripercorse per l’ennesima volta il perimetro di quell’improponibile camera con lo sguardo sentendo la morsa nel suo petto serrarsi ancora sino a farle pizzicare gli occhi per le lacrime.
Da quando si era svegliata non aveva fatto altro che guardarsi attorno con disperazione pregando che tutto svanisse come in un incubo. Aveva aperto e chiuso gli occhi più volte nel tentativo di cancellare quella visione, si era rannicchiata sotto le coperte e persino data pizzicotti, ma nulla era cambiato e lei era rimasta immobile, come congelata, troppo scoraggiata anche per controllare cosa ci fosse oltre le tende.
Shizaru, quel marine con la faccia da scimmia che l’aveva perseguitata insieme ai suoi fratelli, le aveva detto che prima o poi il Governo avrebbe saputo che si trovava con Kidd e che avrebbe fatto di tutto pur di recuperarla. Non aveva ignorato quell’avvertimento, ma si era convinta che non sarebbe certo accaduto nel giro di qualche giorno, aveva pensato di avere più tempo, di poter andare per mare ancora un altro po’ e adesso temeva con tutta se stessa di aver fatto male i conti. Quel luogo non si trovava di certo a Marijoa ed era pur vero che non c’era alcuna catena a trattenerla, tuttavia non era improbabile che il Governo l’avesse chiusa in una delle sue basi con un trattamento di favore in memoria del sangue che continuava a scorrerle nelle vene.
Rannicchiò le gambe al petto serrando i denti attorno al labbro arrossato e poggiò la testa sulle ginocchia.
Non voleva che finisse a quel modo, non voleva rimanere in una stanza piena di lusso pacchiano attendendo che qualcuno venisse a prenderla per portarla davanti ai Cinque Astri o chissà quale corte di giustizia, non voleva vedere il Grande Blu da una finestra finchè non fosse venuta la sua ora. Voleva andare via, essere libera di fare ciò che più le piaceva e vedere il mondo che le era stato negato.
Cacciò indietro le lacrime che premevano per uscire, stirando le gambe tra le lenzuola in una serie di movimenti inutili pur di riprendere il controllo e solo dopo che il groppo alla gola si fu in parte sciolto, decise di mettere i piedi a terra e andare a vedere. Le balze del vestito le scivolarono addosso gonfiandosi come una meringa e le parve quasi di sentire la voce di sua sorella Hana, mentre le dava – giustamente persino a detta di Aya – del pasticcino malriuscito. Incassò le spalle in un sospiro, decidendo che non fosse il caso di soffermarsi proprio su sciocchezze di quel genere e mosse appena un passo, prima che un’altra voce attirasse la sua attenzione spingendola a girarsi verso la porta chiusa alle sue spalle. I passi e la voce divennero sempre più vicini, sino a rendere buio lo spiraglio sotto la maniglia e benché non avesse capito cosa stesse dicendo l’uomo che lo stava oscurando, le sue gambe si mossero d’istinto.
Fuggire in quel momento non era proprio una scelta saggia, chiunque stesse per entrare si sarebbe accorto della sua mancanza dando l’allarme all’istante, ma se quella era davvero una base della Marina c’era il rischio che scoprendola sveglia la portassero in qualche altro posto dove la fuga le sarebbe risultata impossibile o peggio, direttamente a rispondere dei presunti crimini che aveva commesso.
Sgusciò tra le tende imponendosi di non distrarsi con osservazioni inutili e percorse il terrazzo soleggiato, ignorando l’ennesimo tavolo apparecchiato per chissà quale pranzo scese la stretta scala che lo interrompeva in un angolo della balconata e si precipitò giù quasi saltando i gradini. Diede una veloce occhiata alla strada lastricata di giallo che serpeggiava sotto il palazzo da cui era appena scappata e ai dintorni sperando di non scontrarsi con qualche marines e riprese subito a correre, inoltrandosi scalza lungo il sentiero ombreggiato che si snodava all’interno del giardino. Dovette tuttavia arrestarsi quasi subito quando una donna le si parò davanti, squadrandola con un’occhiata gelida che le mise addosso una pessima sensazione.
«Dove andavi così di corsa?» la sentì chiedere dopo un attimo di silenzio, mentre posava una mano sul fianco scoperto dal vestito bianco.
La fissò ammutolita senza sapere davvero come rispondere, cercando nella sua figura qualcosa che potesse indicarle chi fosse o anche solo dargliene un’idea, ma l’unica cosa su cui riuscì a concentrare la propria attenzione fu il serpente tatuato che le copriva la pelle del fianco spalancando le fauci attorno all’ombelico.
«Lavori per il Governo mondiale?» domandò di colpo, sollevando gli occhi per guardarle il volto impassibile.
«Il Governo?! Ti sembro una che seguirebbe gli ordini di quei tipi? Sto con il Capitano Pilar, io.» chiarì con un ghigno di superiorità, avvicinandosi di un passo.
«Chi?» sputò fuori interdetta, soffocando il sospiro di sollievo per essere scampata alla Marina.
Era felice di aver evitato un problema enorme come quello, ma si sentiva piuttosto confusa, non aveva la benché minima idea di dove si trovasse in quel momento né tantomeno di chi fosse il tipo che era stato nominato da quella sconosciuta. All’altra il suo dubbio tuttavia non piacque affatto e ad Aya bastò appena uno sguardo per capire di aver detto la frase sbagliata alla persona sbagliata.
Cercando di aumentare la distanza che le separava mosse d’istinto un passo indietro, proprio mentre la donna le si scagliava contro con un’espressione peggiore di quella che le aveva mostrato pochi istanti prima. La intravide sfiorare il lembo di pelle oltre il serpente tatuato ad una tale velocità da essere certa che non ne sarebbe scaturito nulla di buono e sollevò le braccia, bloccando con l’unica mossa che le venisse in mente l’incedere della lama sul suo collo e il tentativo di gettarla sulla terra secca. Trattenne il respiro per un secondo sentendo la punta del coltello graffiarle la gola e sgranò gli occhi chiari, fissando in silenzio l’altra, mentre alcune delle sue ciocche nere le sfioravano le guance.
«Sbuchi dal nulla, gli fai l’occhiolino, ti metti in mezzo e lui ti dà la stanza più bella del suo palazzo, quando io dormo al piano terra! Mi dai sui nervi e quelli che lo fanno di solito non arrivano al giorno dopo.» sibilò furiosa, fulminandola con le iridi violacee più e più volte.
Ad Aya per poco non sfuggì un verso sconvolto e per un attimo si chiese seriamente se non avesse battuto la testa da qualche parte la notte precedente, sognando magari di star vivendo tutto quel caos.
«Non ho mai fatto l’occhiolino a nessuno, te l’assicuro!» garantì sconcertata scuotendo i riccioli rossi.
Non le sarebbe mai venuto in mente di ammiccare ad un uomo, non era da lei fare certe cose per attirare l’attenzione, specie quel genere di attenzione.
L’altra però non parve nuovamente soddisfatta dalla sua risposta e la pressione della lama sul collo aumentò in fretta, obbligando Aya a stringere i denti e retrocedere ancora di un passo.
«Malineli non la starai spaventando spero.» tonò di colpo dietro di lei una voce identica a quella da cui era scappata e la donna allontanò immediatamente il coltello, facendolo sparire oltre il serpente sul fianco.
«Certo che no, siamo già amiche!» mentì entusiasta, sistemando abito e capelli in un solo colpo di mano.
Aya si volse indietro senza accennare ad abbassare le mani, curiosa di scoprire chi fosse riuscito a calmare quella donna con una tale velocità.
Era un uomo dalla carnagione scura, alto probabilmente una ventina di centimetri più di lei. I capelli legati in una coda dovevano essere stati intrecciati sin dalla radice, ma a causa della fascia porpora che gli copriva parte del capo era difficile dire se quella fosse la verità. Indossava degli orridi pantaloni a righe color kaki a cui era legato un sacchetto pieno di chissà cosa e una camicia con panciotto che Aya non si sarebbe meravigliata di trovare nell’armadio di un nobile pomposo. Malgrado il suo aspetto non fosse esattamente dei più comuni, c’era qualcosa in lui che lo rendeva appena intercettabile tra il verde del giardino.
«Ne sono lieto, adesso vai via però.» ordinò, accennando col capo al sentiero.
Malineli annuì senza troppe remore, avvicinandosi con falsa ingenuità all’orecchio di Aya prima di muoversi.
«Sta attenta a quello che fai principessina o la tua testa finisce come ornamento nei vasi.» bisbigliò con una smorfia, fulminandola con lo sguardo un’ultima volta per poi sparire in fretta tra gli alberi del giardino.
Rimase immobile a guardare il punto oltre cui si era dileguata con espressione seria, certa che semmai gliene avesse dato l’opportunità non si sarebbe risparmiata dal fare ciò che aveva promesso.
«Scusala, delle volte è eccessiva nelle sue reazioni e temo anche che si sia un po’ ingelosita, ma le passerà presto vedrai, non c’è nulla di cui preoccuparsi.» la rassicurò l’uomo, facendosi più vicino.
Definirla “eccessiva nelle reazioni” per Aya era piuttosto eufemistico e dubitava fortemente che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi dato che in meno di qualche minuto aveva provato a staccarle la testa e aveva persino badato a comunicarglielo andandosene, ma convinta che non fosse il caso di discutere certi dettagli con gente di cui non sapeva nulla e da cui potenzialmente era voluta scappare, annuì silenziosa, studiando con un’occhiata prolungata l’uomo che le stava innanzi e che ormai sorrideva squadrandola da capo a piedi come fosse stata un fenomeno ottico dovuto ai raggi che filtravano tra le foglie degli alberi del giardino.
«Pensare che avevo già stabilito di tornare a cercarti in fondo al mare una volta risolto quell’intoppo e invece eccoti qui di fronte a me! Non sai quanto sia felice di rivederti così presto!» sbottò elettrizzato, spingendola a sollevare un sopracciglio.
Avrebbe volentieri domandato perché qualcuno dovesse cercarla proprio in fondo al Grande Blu, ma cominciava a credere che fosse meglio non indagare riguardo le stranezze che uscivano di bocca a quella gente e preferì piuttosto soffermarsi su altro. Quel tipo dimostrava una certa confidenza nei suoi confronti, sembrava quasi che si fossero già visti in passato.
«Ci conosciamo?» chiese confusa, mentre l’altro esplodeva in una mezza risata abbassandosi su di lei.
«Non bene quanto vorrei!» trillò mostrando i denti perfettamente bianchi e Aya non potè fare a meno di rifilargli un’occhiataccia smorzando il suo entusiasmo.
Di pazienza ne aveva da vendere e stando sulla nave di Kidd si era abituata anche a frasi ben peggiori, ma un conto era che a rivolgergliele fosse l’equipaggio un altro era che a farlo fosse un perfetto sconosciuto.
«Hai ragione, perdonami, non dovrei correre tanto! Non so neanche il tuo nome ancora.» si corresse subito, raddolcendo nuovamente il tono nel rimettersi ritto.
«Aya.» comunicò piatta senza staccargli gli occhi di dosso, sentendo uno strano odore di cioccolata circondarla.
C’era qualcosa in quell’uomo che la metteva a disagio e più lo guardava più ne aveva la sicurezza, anche se non riusciva proprio a capire di cosa si trattasse. Aveva l’impressione che fingesse una compostezza non sua e le era persino parso di vedere una strana ombra offuscargli lo sguardo dopo il suo tacito rimprovero.
«È un nome incantevole scricciolo.» si complimentò, strappandole un sospiro rassegnato.
Il suo nome doveva avere qualcosa che non andava davvero se così tante persone si rifiutavano di pronunciarlo, preferendo affibbiarle nomignoli più o meno gradevoli.
«Grazie… il vostro?» lo interrogò in un respiro pesante.
«Nau El Pilar, per te solo Nau o in qualsiasi altro modo tu voglia chiamarmi.» si presentò, abbozzando un cenno del capo intrecciato come deferenza.
Le tornarono di colpo in mente le parole pronunciate pochi minuti prima da Malineli e si ritrovò a sgranare appena gli occhi: quell’uomo era il tipo cui presumibilmente lei avrebbe ammiccato chissà dove e chissà quando.
Per la prima volta da quando vi si era imbattuta distolse lo sguardo chiaro per posarlo sui propri piedi, mordicchiandosi dubbiosa per qualche secondo il labbro.
Era certa di non conoscere quella gente, la sua memoria non li avrebbe rimossi se vi avesse avuto a che fare, eppure loro parevano convinti di star parlando con la persona giusta forse per colpa di un qualche equivoco.
«Sai, quando Akala ti ha ripescata dall’acqua non riuscivo a crederci! Non potevo pensare che i nostri destini si fossero finalmente ricongiunti in un momento come quello! D'altronde però siamo legati da un filo indissolubile, no?!» continuò a ciarlare Nau, superandola di qualche passo per osservare pensieroso le cime verdi da cui pendevano enormi semi scuri.
Se Ko-sama non le avesse insegnato a non essere mai sgarbata, probabilmente avrebbe risposto che no, non c’era né ci sarebbe mai stato alcun filo indissolubile a legare i loro destini, ma sfortunatamente anni e anni di disciplina a Marijoa le rendevano innaturali simili scortesie e poteva quasi trovare una giustificazione se pensava che di certo era vittima di un errore.
«Mi spiace, ma io non conosco nessuno di voi, penso mi abbiate scambiata per qualcun’altra.» spiegò con un sorriso di cortesia, spingendo l’altro a guardarla.
Non sapeva come né perché fosse accaduto, ma si trovava in quel luogo sconosciuto per caso e se quella gente non aveva intenzione di farle del male per conto del Governo o chissà chi altro era del tutto intenzionata a riprendere di corsa la propria strada e scoprire che fine avesse fatto Kidd con la sua ciurma.
Nau la fissò in silenzio per qualche secondo e Aya non poté fare a meno di rivolgergli un’alzata di spalle e un nuovo sorriso pensando che per chiunque sarebbe stata una situazione imbarazzante, ma a dispetto di quanto avrebbe potuto aspettarsi a quel semplice gesto di cortesia l’altro scoppiò in una fragorosa risata causando scompiglio tra i poveri uccelli appollaiati tra i rami.
«Sei anche spiritosa! Non potevo chiedere di meglio!» sghignazzò con il petto che sobbalzava sotto la camicia, scuotendo il capo con un divertimento tale da lasciarla sbigottita.
«Non era una battuta.» puntualizzò con un filo di voce, non facendo altro che aumentare la risata di Nau.
«Meravigliosa, semplicemente meravigliosa!» applaudì con le lacrime agli occhi, mentre Aya sospirava quasi rassegnata.
«Saresti così gentile da smettere di ridere e spiegarmi dove ci siamo già visti?» domandò paziente, spingendo l’altro a sollevare le mani in un gesto di falsa resa.
«E va bene, dato che il mio scricciolo non lo ricorda… le rinfrescherò la memoria!» cantilenò volutamente accondiscendente, rivolgendole un sorriso complice che le mise più confusione di prima.
«Ci siamo incontrati sull’isola degli uomini-pesce, tu scendevi da una splendida scala piena di conchiglie e io ti venivo in contro! Dal momento stesso in cui i nostri occhi si sono incrociati ho capito che eravamo fatti l’uno per l’altra!» raccontò tutto d’un fiato, mentre ad ogni parola lei muoveva un passo indietro.
Per dei secondi interminabili, con lo sguardo dell’altro puntato addosso, Aya ebbe l’impressione che parlare con il Governo sarebbe stato di gran lunga più facile o quantomeno comprensibile.
Il soggiorno sull’isola degli uomini-pesce era ancora vivido nella sua memoria, ricordava alla perfezione il giro che aveva fatto sul fishbus, le radici dell’albero Eve visibili dalla foresta del mare, il Poignée Griffe parlante, le bandiere di Charlotte Linlin che venivano affisse ovunque e tutto il resto, ma di quel Nau che le veniva in contro non si ricordava proprio. Il Regno del Palazzo del Drago era ricoperto di conchiglie dalla punta degli edifici alla sabbia sul fondo della bolla che lo conteneva e di scale lì Aya ne aveva scese più di un paio andando in giro, identificare quella di cui quel tipo stava parlando e per di più cercare nella folla che aveva incontrato il suo volto era un’impresa che persino a lei sarebbe risultata impossibile. Semmai si erano davvero incontrati per un effimero istante su una scala di quell’isola Aya era certa di non aver pensato che fossero fatti l’uno per l’altra.
«… ah.» sputò fuori per niente convinta dopo un po’.
«Sfortunatamente è stato un incontro fugace per colpa di quel biondo che ti scortava e capisco che tu sia ancora stordita dall’orribile notte trascorsa! Se avessi saputo che eri a bordo sarei venuto a prenderti personalmente invece di mandare i miei uomini a fare il lavoro.» insistette Nau, prendendo per convincente l’unico verso che lei fosse riuscita a emettere dopo quel racconto smielato.
Seppur confusa dal caos che continuava a riversarsi nella sua mente da quando aveva aperto gli occhi e che come ultimo elemento del quadro aveva un uomo biondo che l’aveva scortata sull’isola degli uomini-pesce – fatto improbabile dato che lì era andata con Kidd e che mai nessuno della sua ciurma si sarebbe spinto a farle da scorta neanche da ubriaco – Aya non mancò d’intercettare la confessione riguardo la notte trascorsa.
«Sei stato tu? È colpa tua?» lo interrogò improvvisamente rianimata, sgranando gli occhi chiari.
A quella domanda Nau ridusse il proprio sorriso ad una smorfia pensierosa, scuotendo il capo intrecciato in un mormorio di versetti indistinti prima di annuire.
«Temo di sì purtroppo, ho dato io l’ordine ad Akala, ma non è il caso di rovinare il nostro ricongiungimento con simili storie! Quindi adesso andiamo a palazzo e troviamo delle scarpe per te!» confessò di fretta, troncando la questione allontanadosi di qualche passo lungo il sentiero del giardino da cui era arrivato.
Aya fissò ammutolita lo spazio dinanzi a sé, sentendo la morsa attorno al suo petto serrarsi nuovamente in un misto di rabbia e paura.
«Su scricciolo, non essere timida, seguimi.» la incitò, attendendola con un nuovo sorriso sul volto scuro.
Una parte di lei avrebbe volentieri voluto togliergli quel sorriso viscido dalla bocca e prenderlo a calci per ripagarlo della notte trascorsa, ma dopo quella confessione la mente aveva ripreso vigore ed era sicura che non sarebbe stata in grado di togliere di mezzo l’uomo che aveva affondato la nave di Kidd.
Si costrinse a trarre un profondo respiro per calmarsi e soffocare la frustrazione, decidendo velocemente che la cosa migliore da fare fosse assecondare quel tipo e attendere il momento adatto per andare via da quel posto.
Kidd, come i suoi uomini, era capace di badare a se stesso senza problemi e ci sarebbe voluto molto più di un bagno in mare e qualche pianta assassina per toglierlo di mezzo, stare in pena per lui era del tutto inutile. Doveva concentrarsi piuttosto su se stessa e tirarsi fuori dai guai con le proprie forze, perché di certo nessuno si sarebbe preso la briga di farlo al suo posto.



«Ci guardano…» mormorò Shachi con il viso rannicchiato nel bavero della divisa e Law non si spese neanche nell’aprire gli occhi per assodare quell’evidenza.
Sentiva i loro sguardi puntati addosso da quando aveva varcato la soglia di quella bettola e sapeva perfettamente che ognuno dei presenti, fatto eccezione per i suoi uomini, era pronto a tentate il proprio momento di gloria mandando all’altro mondo o consegnandolo al Governo perché lo spedisse su un patibolo a dilettare idioti che credevano nella giustizia.
«Mi sembra che tu avessi detto che dovevamo farci notare.» gli ricordò Penguin con una smorfia stanca.
«Intendevo dalla Marina, dai giornali, per non farci mettere in ombra dagli altri… questo è una specie di covo di cacciatori di taglie, non c’entra nulla con quello di cui parlavo!» precisò vagamente piccato, lanciando un’occhiata di traverso agli uomini seduti poco distante da loro.
Dentro l’edificio erano in sei se non si contava l’oste ed erano tutti armati. Nulla di cui Law dovesse o potesse preoccuparsi, pistole che producevano più fumo e chiasso di feriti, un coltellaccio che avrebbe avuto meno effetto sulla sua carotide del più rovinato dei suoi bisturi e un paio di spadoni che magari davano a quegli uomini l’impressione di essere più virili di quanto non sarebbero mai stati. Non c’era niente che lo allarmasse, né lì dentro né all’esterno, ma preferiva che quella gente lo scoprisse da sola, magari rendendo quel gioco più divertente di quanto non fosse già.
«Senchō.» chiamò Bepo, quando uno degli uomini si fu alzato alle sue spalle, avvicinandosi con passo cauto.
«Lo so, lascialo fare, voi pensate a quelli di fuori.» ordinò calmo, facendo scivolare con distrazione una mano sulla nodachi abbandonata sulla spalla.
Per Trafalgar era come osservare un branco di topi scivolare sulle trappole piene di formaggio con l’illusione che tutte avessero il medesimo meccanismo. Alla fine finivano tutti stecchiti, uno dopo l’altro.
«Room.» sussurrò flemmatico, aprendo appena una palpebra quando il cacciatore di taglie fu a pochi metri dalla sua schiena.
«Vivrò di rendita per il resto dei miei giorni con la tua testa!» lo sentì urlare con l’impeto di chi ha già il sapore della vittoria sulla lingua e lasciò che la kikoku ancora nel fodero scivolasse giù dal suo braccio colpendole le gambe dell’altro.
Colto alla sprovvista, il cacciatore di taglie perse l’equilibrio rischiando di crollargli addosso, ma la punta della spada tornò velocemente a sollevarsi agganciandolo per la cintura dei pantaloni quando il cerchio della sua room aveva già inglobato parte della taverna e la sua ciurma faceva già piazza pulita all’esterno. Lo issò sopra il cappello maculato senza il minimo sforzo, aiutato dal potere del suo frutto ormai attivo e permise che ricadesse di schiena sul tavolo dinnanzi a sé, sfoderando la lama solo per tranciargli via la testa e poggiarla accanto al bicchiere vuoto che minuti prima gli aveva mollato l’oste prendendo una finta ordinazione.
«Temo di non poter dire lo stesso per la tua di testa, ma vedremo comunque di accordarci.» sibilò sarcastico, roteando il cranio sbiancato verso di se.
L’uomo aprì e richiuse la bocca emettendo a fatica un rantolo dolorante e soltanto dopo che i suoi occhi si furono staccati da Law, ancora seduto sulla propria sedia, per fissare la macabra composizione formata dal suo collo ormai attaccato alla superficie del tavolo cacciò fuori un urlo disperato.
«C-che hai fatto, che hai fatto?! Me l’hai tagliata! M-mi, mi hai ucciso!» balbettò sconvolto, morsicando le parole con gli occhi lucidi.
«Se l’avessi fatto non staresti parlando.» gli fece notare con un certo divertimento, tornando a poggiare le spalle sullo schienale della seduta e la nodachi sul bordo del tavolo.
«Demonio! Che cosa mi hai fatto?!» strepitò l’altro agitando la zazzera, mentre il suo corpo rimaneva inerme a causa del trauma appena subito.
«Ti ho decapitato, è piuttosto evidente.» sottolineò con un respiro pesante, augurandosi che quel tipo non cominciasse a frignare bagnandogli i jeans.
«Rimettimi a posto! Che tu sia maledetto mostro! Riattaccamela subito!» ringhiò in urlo e dal volto di Trafalgar scomparve ogni briciolo di tolleranza o divertimento.
Odiava sentirsi rivolgere quel tono, specie se a farlo era qualcuno che si permetteva persino di dargli del mostro. Aveva smesso da anni di obbedire a direttive superiori e non era intenzionato a far cambiare le cose nel proprio futuro, che la situazione lo richiedesse o no. Era lui a mettere le trappole per i topi e non avrebbe permesso che uno solo di loro tentasse di mordergli un dito.
«Non credo ti convenga darmi ordini in questo momento.» consigliò nefasto, afferrando il coltello che l’uomo aveva tentato di usare contro di lui per poggiarglielo sullo zigomo e fare pressione.
Non era come brandire un bisturi, ma se si sapeva come usarlo poteva anche tornare utile.
«No, no, fermo, ti supplico, fermo! Mi spiace, mi spiace, sono agitato, mi hai tagliato la testa diamine! Capiscimi! Mi spiace, non volevo offenderti davvero!» assicurò in fretta, esibendo una smorfia simile a un sorriso.
«Volevi uccidermi.» gli rammentò serio, non cambiando in nulla la propria espressione.
«È il mio lavoro, non ho niente contro di te...» confessò preso in contropiede, lanciando occhiate veloci all’arma puntata sotto il suo bulbo oculare.
Trafalgar lo fissò per qualche secondo senza allontanare il coltello, incerto se trovare quell’ammissione patetica o irritante per la totale mancanza di sangue freddo da parte del cacciatore di taglie e solo dopo che Bepo ebbe scaraventato con un calcio l’oste armato di fucile, si convinse a fare ciò per cui si era recato in quel luogo.
«Mi aiuterai o metterò un’altra parte del tuo corpo a farti compagnia qui accanto.» minacciò glaciale e senza mezzi termini, abbandonando il coltello accanto al suo collo.
Il cacciatore di taglie annuì immediatamente traendo un profondo sospiro di sollievo nel vedersi al riparo almeno da quell’arma e Law riassorbì la room, lasciando che i corpi fluttuanti alle sue spalle cadessero al suolo con dei tonfi.
«Mi servono delle indicazioni.» comunicò, mentre Bepo tornava ad accostarglisi insieme agli altri.
«Indicazioni, io? Non sono un navigatore, faccio il cacciatore di taglie…» sputò fuori l’uomo, interrompendolo prima ancora che avesse terminato il proprio discorso.
«Sto cercando un posto che non è segnato nelle carte e sono sicuro che tu sappia come farmici arrivare.» chiarì paziente, piegando il capo, mentre Penguin alle sue spalle non riusciva a trattenere un verso scocciato nel sentirsi sminuito nel proprio ruolo.
«Quale posto?» chiese l’altro confuso.
«Shinkiro.» mormorò con un filo di voce e non potè fare a meno di notare come l’uomo s’irrigidì.
Non era esattamente un luogo di villeggiatura quello su cui era intenzionato ad andare, ma era l’unico luogo in cui avrebbe potuto scoprire con certezza se gli Smiles erano davvero ciò che aveva immaginato nel silenzio del proprio sottomarino. Trovarlo sarebbe stata un’impresa e cavarsela altrettanto, per certe cose però valeva la pena di rischiare e non poteva permettersi di ignorare l’unica traccia che aveva tra le mani.



«Sono davvero belli.» osservò, distraendosi per un secondo dalla propria recita per stare con il naso in su ad ammirare i pergolati di pietra rossa che correvano lungo tutti i giardini, permettendo a piante e alberi di crescere in terrazze larghe come campi per miglia e miglia.
A Marijoa molti nobili costruivano intorno alle proprie ville giardini con ogni genere di particolarità proveniente dal Grande Blu e Aya stessa ne aveva potuto godere, esplorandoli da cima a fondo sin da bambina fingendo che si trattasse di foreste in cui vivere avventure. Aveva visto aiuole di fiori carnivori, frutteti che mutavano dal giorno alla notte, prati maculati e cedri millenari, ma nessuno aveva mai avuto quell’aspetto. Tutti erano offuscati da un disordine calcolato dai giardinieri che se ne prendevano cura e volenti o no, finivano inevitabilmente per somigliare l’uno all’altro. Quello che cresceva senza barriere attorno al palazzo in cui si era svegliata invece era una vera foresta, con pergolati e sentieri che vi si perdessero dentro insieme a coloro che si occupavano del suo mantenimento. Era una chiazza verde dai meandri sconosciuti e che a detta di Nau possedeva persino angoli inespolarati.
«Li ho fatti costruire anni fa per raggiungere le piantagioni di Llanos, tutta quell’arsura non faceva bene agli alberi di cacao e mi faceva sudare terribilmente.» borbottò, affondando la mano all’interno del sacchetto appeso alla sua cintura per prendere una manciata di chicchi da sgranocchiare.
«È distante da qui?» indagò con falsa indifferenza, mentre un angolo del sentiero cominciava a curvarsi, permettendole d’intravedere il profilo scosceso che aveva l’isola in quel punto.
«Llanos? Non tanto, è il villaggio in cui vivono quelli che lavorano a palazzo insieme alle loro famiglie, ma non c’è nulla da vedere lì è solo terra bruciata dal sole.» assicurò con un gesto veloce della mano, svoltando per risalire la scala che li avrebbe ricondotti all’interno dell’edificio.
Avrebbe preferito che ci fosse un porto in quel luogo e che la popolazione non fosse composta da aiutanti di quel tipo, ma era comunque una buona notizia per lei. Una volta in fuga avrebbe potuto raggiungere Llanos e sperare di trovare un mezzo che potesse portarla lontana da lì o avrebbe preso la strada delle piantagioni sino a che il Grande Blu non fosse stato nuovamente alla sua portata. Il suo piano non era certo dei più elaborati, ne era consapevole, ma il quadro della situazione non le era particolarmente chiaro e con quello che sapeva era il massimo che chiunque avrebbe potuto fare al suo posto.
«Quella donna, Malineli, ha detto che il palazzo è tuo.» ciarlò sovrappensiero, trattenendosi qualche istante dal seguirlo per girarsi a studiare il giardino alle sue spalle.
Aveva nuovamente l’impressione che qualcosa o qualcuno la stesse guardando dal fitto degli alberi, un po’ com’era accaduto a Kunashiri o qualunque altro fosse il nome della prima isola nello Shinsekai su cui si era ritrovata. Lì non era andata molto bene, per poco non aveva rischiato di finire nello stomaco di un maiale coniglio e il solo ricordo la metteva in allerta in quel momento.
«Di chi altri dovrebbe essere scricciolo? Sono io il re.» chiarì con una certa ovvietà Nau, fermandosi in cima alla scalinata per aspettarla.
Sentendosi i suoi occhi addosso Aya fu costretta a staccare i propri dal punto su cui si era concentrata e riprendere la scalata per raggiungerlo.
«Re di cosa?» chiese distratta una volta che gli fu accanto.
«Di quest’isola e di quei tre atolli laggiù. Lo sono da prima che questa città venisse costruita, ho deciso io dove sarebbe andato tutto: fontane, archi, giardini, case e villaggi. Prima che diventassi ciò che sono, c’erano solo campi aridi in cui la terra si spaccava e foreste che divoravano i bambini se si avvicinavano troppo, ma io ho messo ordine.» vantò greve, dopo averle indicato con un cenno del capo la striscia visibile di costa.
Lo fissò muta e impassibile, mentre una parte della pelle del collo e della mascella di Nau si bombava in scaglie assumendo una strana colorazione verdastra e la sensazione di disagio provata sino ad allora si acuì di colpo, serrandole lo stomaco in una morsa benché fosse stata una questione di pochi istanti.
Quell’uomo aveva qualcosa che non andava e il fatto che blaterasse di stravolgimenti compiuti in nome dell’ordine per Aya non era che una conferma. Non sapeva quale fosse l’aspetto di quell’isola prima che Nau si spacciasse per re né se i bambini vivessero nel terrore di venir divorati dai mostri nascosti nella foresta o se i loro genitori patissero la fame, ma quella parola sino ad allora non le aveva mai portato qualcosa di buono.
«Pilar, Signorina Aya.» li interruppe di colpo una voce dal fondo della sala che si apriva davanti a loro, troncando il flusso dei suoi pensieri.
Sentendo il proprio nome spostò d’istinto le iridi ambrate dal viso di Nau, scoprendo un altro uomo sconosciuto poco distante rimanere immobile al centro della sala con le braccia serrate dietro la schiena e un accenno di sorriso di cortesia sulle labbra sottili.
«Scricciolo questo è Akala, il mio secondo in comando.» lo presentò l’altro, cancellando dal volto scuro l’espressione seria che l’aveva messa in guardia.
Persino da quella distanza Aya si accorse che doveva essere più alto del proprio capitano di almeno una spanna. Era piuttosto slanciato – fatto che il kitone da monaco indossato non faceva che evidenziare –, con capelli lisci e di un bluastro irreale che stridevano profondamente con la sua apparenza di guida spirituale. Lo aveva sentito tirare in questione spesso da quando Nau l’aveva scovata in giardino e da quanto era riuscita ad apprendere era lui l’esecutore di ciò che era accaduto a lei e alla ciurma di Kidd la notte precedente. Non sapeva come facesse a conoscere il suo nome né come avesse fatto a mettere al tappeto una Supernova da trecento milioni senza neanche mostrarsi, ma qualcosa in lui le suscitò la medesima sensazione provata pochi istanti prima nel sentirsi osservata.
«È un piacere.» recitò rigida, abbozzando l’insopportabile ossequio che le avevano inculcato a Marijoa.
«Anche per me, spero possiate perdonarmi per quell’incidente di ieri sera, non era mia intenzione.» si scusò, imitando la deferenza con più successo di Aya stessa.
«Immagino di no.» ribatté ambigua, sorridendo con uno slancio da manuale di cui si complimentò mentalmente.
Non era mai stata una persona intollerante e le era capitato più di una volta di perdonare persino i suoi genitori quando viveva ancora nella villa, ma non le sarebbe mai passato per la testa di far finta di nulla con quella gente. Avevano affondato la nave di Kidd, rischiato di annegarlo insieme a Killer, Wire e tutta la ciurma, senza contare poi il fatto che l’avessero rivoltata come un calzino, sballottata sott’acqua e bloccata lontano da tutti. Riteneva di avere un buon cuore in fondo, ma se ne avesse avuto la capacità li avrebbe persino presi a sberle.
«Qual è il problema? Perché sei venuto ad interromperci?» s’informò Nau, interferendo nello scambio d’occhiate tra Aya e il proprio vice.
«Un pescatore dice di aver sentito del frastuono venire da Barrabas.» comunicò dopo averle sorriso un’ultima volta, spostando la propria attenzione sul capitano.
«Frastuono?» ripeté in una smorfia, mentre Aya si chiedeva cosa o dove fosse questo Barrabas.
«Esplosioni forse, non ne è sicuro. Non si è avvicinato, ha preferito avvisarci.» raccontò con un’alzata di spalle, strappando all’altro un sorriso.
«La mia gente chiede sempre aiuto, si fidano di me scricciolo.» evidenziò smagliante, mostrandole la fila di denti perfettamente bianchi forse nella speranza di colpirla.
«Sei il loro re, è ovvio che ti chiedano aiuto, ma se ci sono problemi dovresti andare a controllare, no? È questo che fare un buon re per i propri sudditi.» suggerì immediatamente cogliendo l’opportunità per liberarsi del controllo di quei due e tentare di andar via, raggiungendo le piantagioni.
«Non è meravigliosa?! Già si preoccupa per me!» ridacchiò entusiasta Nau, girandosi ad osservare l’espressione del proprio vice che annuì garbato.
«Hai ragione, avviserò personalmente Masa affinché se ne occupi, tu aspettami qui. Akala, vieni.» abboccò subito, muovendosi verso il fondo della sala per andare chissà dove a sbrigare la questione.
Aya annuì sorridente accennando una veloce alzata di mano in segno di saluto ad entrambi e rimase immobile al proprio posto, attendendo pazientemente che entrambi avessero attraversato la stanza aperta sul giardino per poi superare la soglia dell’unica porta presente, sparendo dietro di essa con un suono di passi che pian piano di affievoliva. Ascoltò con attenzione le loro chiacchiere ovattate dalla distanza che aumentava e si guardò attorno, cercando in ogni angolo una presenza qualsiasi che potesse insospettirla.
Era già andata via una volta e il risultato non era stato dei migliori, quella volta non aveva alcuna voglia di sbagliare incappando in qualche altro squilibrato. Doveva allontanarsi il più in fretta possibile approfittando della mancanza di Nau e raggiungere un luogo sicuro da cui cercare Kidd e gli altri.
Si mordicchiò il labbro per dei secondi interminabili, ascoltando con tutta l’attenzione di cui fosse capace le voci che riempivano il corridoio oltre la porta e una volta stabilito che nessuna di esse parlasse di lei o le fosse nota, si mosse verso la scalinata da cui era arrivata poco prima. Riuscì appena ad attraversare quei pochi metri e scendere un gradino, prima di posare gli occhi su un’altra figura, ferma ai piedi della scalinata con un sorriso del tutto diverso da quello mostratole da coloro che aveva incontrato sino a quel momento.
«Sapevo di non essermi sbagliato, ho riconosciuto la voce.» assicurò, guardandola dal basso della propria posizione.
«… Yoshi!» sbottò incredula, riconoscendolo malgrado fossero trascorsi parecchi mesi dall’isola di Karinko e lui avesse l’aspetto dolorante di quei giorni.



«Andate a cercare gli altri e liberateli.» diresse prontamente Wire con il consueto tono debole, rigirando il tridente appena recuperato nel pavimento di rena e pietra nerastra per controllare che non fosse incrinato.
«Ehi! Liberate anche noi, non lasciateci qua dentro!» lo richiamò uno degli uomini ancora rinchiusi nelle celle umide, abbozzando una smorfia che forse avrebbe dovuto invogliarlo a fare ciò che chiedeva.
«Ci ammazzeranno come animali se non ci fate uscire!» strepitò qualcun altro dalla parte opposta dello spiazzo, senza che Kidd riuscisse a capire chi fosse stato a parlare.
Si era svegliato solo da qualche minuto e i suoi nervi erano già oltre la soglia di tolleranza – quella di vera tolleranza, perché già durante una giornata pacifica tendeva ad arrabbiarsi con mezzo mondo –. Aveva aperto gli occhi in una grotta chiusa da sbarre di ferro, con un collare al collo e un piede legato alla parete impregnata di salsedine dopo aver perso i sensi per colpa di uno schifoso ammasso di erba che per di più gli aveva annegato mezzo equipaggio, oltre che affondato la nave. Non aveva impiegato neanche cinque secondi per togliersi di dosso quella ferraglia e uscire fuori, ma aveva perso molto più tempo per capire dove avessero cacciato Killer e recuperare gli altri. Fatto quello, con la tempia che già pulsava, si era reso conto per l’ennesima volta che quella donna fastidiosa mancava all’appello e la cosa in quell’occasione gli puzzava.
Spariva sempre senza preavviso e a lui importava poco di dove si andasse a cacciare, la notte precedente però l’aveva vista andare sul fondo appena prima di lui e lì attorno in quel momento non c’era. Avrebbe volentieri fatto finta di nulla come d’abitudine, ma i suoi uomini erano tutti chiusi dentro quella fossa, non c’erano altre vie d’uscita da quel posto se non dall’alto e malgrado la sapesse capace di tutto pur di scorrazzare a piede libero, dubitava fortemente che avesse scalato una parete come quella a mani nude.
Sbuffò un ringhio scocciato, decidendo che se era sopravvissuta agli animali dell’isola che si erano lasciati alle spalle di certo non poteva essere morta annegata e si ripromise di farle una strigliata quando se la sarebbe trovata davanti, giusto per farle passare la voglia di fare l’eroina con lui.
Non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno per cavarsela, indipendentemente dall’occasione e il fatto che fosse con le braccia serrate al petto a guardare le pareti di quella prigione rudimentale ne era l’ennesima prova.
«Chi è stato a chiuderci in questa fossa?» domandò a voce alta, attirando l’attenzione degli altri prigionieri.
«La ciurma di Pilar, Akala vi ha buttati dentro a notte fonda! Adesso facci uscire però amico!» spiegò subito uno di loro, picchiando la testa lercia contro il ferro, quasi a volersi protendere verso la libertà.
Kidd non si volse neanche a guardarlo, mentre una delle sbarre che erano state della sua cella fendeva l’aria per raggiungerlo e aprirgli un foro in pieno stomaco, bloccandolo in un angolo agonizzante e in una pozza di sangue.
«Non sono amico tuo.» gracchiò disgustato dalla supplica, prima che Heat potesse parlare.
«Abbiamo già sentito questo nome Capitano, da quel tipo sull’isola degli uomini-pesce.» ricordò sovrappensiero, fermandosi con una gamba su un gradone delle scale che separavano le celle dallo spiazzo a cielo aperto.
Kidd non dovette scavare troppo nella propria memoria per capire di chi stesse parlando l’ufficiale. Quel tipo a pois non era stato un grande avversario, anzi, si era tolto di mezzo quasi in lacrime come una ragazzina, grazie a lui però Kidd aveva cominciato a pregustare il divertimento della sfida con gli Imperatori nel Nuovo Mondo.
Non aveva ancora stabilito come muoversi contro Big Mom ed era consapevole che mettersi contro un Imperatore non era una faccenda da prendere sotto gamba, ma se la sorte o quel Pilar aveva deciso al suo posto andando a cercarlo personalmente non poteva certo tirarsi indietro.
«Mi hanno messo in una prigione con un buco al posto del tetto.» constatò con un ghigno, sollevando la zazzera rossa per dare un’occhiata al cerchio di cielo visibile dal fondo di quella fossa.
«È una trappola, volevano che uscissimo.» notò con ovvietà Killer a qualche metro di distanza.
Era evidente che fosse una trappola per idioti quella. Non esistevano prigioni dove le sbarre erano l’unico ostacolo alla libertà, c’erano sempre secondini, guardie, cancelli da superare, trappole, lo sapevano persino i bambini. Se l’ideatore di un carcere si prendeva la briga di non chiudere il tetto e lasciare una via di fuga ad eventuali detenuti, voleva dire che fuori c’era qualcosa di peggio della prigione stessa, che era sicuro di non perdere nessun condannato.
«Facciamoli contenti allora. Glielo farò come regalo prima di mandarli all’altro mondo.» sogghignò stuzzicato, percependo il clangore del metallo accumulato in quel luogo raggiungerlo velocemente.
«Chi è che vorresti mandare all’altro mondo bestione?» domandò una voce divertita, mentre sul bordo del precipizio sopra la sua testa compariva una sagoma scura.
Sollevò il capo quasi in maniera meccanica, scorrendo velocemente i trenta metri e più di parete rocciosa con lo sguardo, ritrovandosi tuttavia a faticare un po’ a causa del sole nel distinguere chi dalla cima avesse avuto la brillante idea di rivolgerglisi a quel modo.
«Quello è Masa Vane, il custode! Lasciate perdere, tornate qua! Ha mangiato un frutto del diavolo!» bisbigliò terrorizzato un altro prigioniero, rintanandosi insieme agli altri contro le pareti delle celle.
Il fatto che avesse mangiato uno di quei frutti per Kidd era irrelevante quanto il conoscerne il nome, quello che tuttavia lo incuriosiva era sapere che l’avessero messo a guardia di una prigione dove tecnicamente avrebbe dovuto stare lui con la sua ciurma.
Non poteva avere più di dodici o tredici anni e probabilmente se si fossero trovati uno accanto all’altro Kidd l’avrebbe scoperto alto poco più del suo ginocchio. La zazzera verde spiccava scomposta sotto delle cuffie da musica ricoperte di un improponibile peluria del medesimo porpora della maglia e la coda colorata di chissà quale bestia gli penzolava sulla spalla legata ad una ciocca di capelli ormai liscia. Se ne stava con le mani in tasca e una sigaretta spenta in bocca, accovacciato sul baratro che li divideva a fissarlo con un sorrisetto di denti d’oro.
«Hanno davvero messo te a controllare questo posto moccioso?» chiese sprezzante, prima che l’altro potesse calciare con indifferenza una pietruzza verso il fondo della fossa in cui Kidd si trovava.
«Sono qui per controllare che tu e la tua ciurma d’incapaci vi comportiate come si deve. Pilar non vuole che la gente dell’isola venga infastidita dalla vostra brutta presenza prima dell’esecuzione pubblica, quindi adesso torna nella tua cuccia prima che ti metta di nuovo il collare bestione.» confermò con un’occhiata di superiorità che gli cancellò all’istante il ghigno dalle labbra scure.
Non c’era una sola parola in ciò che gli era appena stato detto che Kidd trovasse tollerabile, specie in quella situazione di per sé noiosa e dopo una notte che aveva minacciato di fargli sputare il fegato per la rabbia.
«Ascoltatelo, non fatelo arrabbiare! Tornate in cella!» consigliò uno dei prigionieri, facendo loro cenno di avvicinarsi alle celle spalancate da cui erano evasi.
«Sentito cosa dicono i tuoi nuovi amici? Torna dentro.» insistette serio Vane, dall’alto della propria posizione prima che Kidd potesse far scrocchiare il collo.
«Non ne ho alcuna intenzione moccioso.» assicurò greve, mentre ai suoi piedi sbarre di metallo e catene si animavano con sibili simili a quelli delle lame di Killer ormai pronte all’uso.
Che fosse un grassone con il vestito a pois o un poppante con le cuffie alle orecchie a lui poco importava, non faceva discriminazioni se la sua soglia di tolleranza veniva superata e sfortunatamente per quel Vane, la soglia in questione era stata superata già quando il sole non era ancora sorto.
«Peggio per te allora. Eri stato avvertito!» minacciò l’altro con un’alzata di spalle, gettandosi nel vuoto con le braccia spalancate verso le pareti di roccia che li circondavano.
Nessuno della sua ciurma si prese la briga di muovere un muscolo, mentre il custode della prigione precipitava verso di loro e a Kidd bastò una mezza occhiata per capire che l’altro si era lanciato esattamente sopra di lui. Ogni singolo pezzo di metallo dei dintorni volò nella sua direzione, creando un tetto capace di ripararlo dall’impatto ormai imminente e si ritrovò inevitabilmente a pensare che se quel ragazzino non fosse stato in grado di evitarlo, probabilmente ci sarebbe morto sfracellato sopra. Contro ogni sua aspettativa però, Vane atterrò senza alcuna difficoltà, accovacciandosi immediatamente sulle due sbarre che fungevano da piedistallo.
«Sounding Board!» cantilenò con il suo sorriso dorato, battendoci ritmicamente le mani sopra.
Non ebbe né il tempo di rimproverarsi per aver commesso una tale cazzata né quello per sentire Killer richiamarlo all’attenzione. Un suono insostenibile si propagò all’istante da Vane rimbombando all’interno del metallo in un eco continuo che lo obbligò a chiudere gli occhi per il fastidio. Le orecchie parvero chiudersi e spaccarsi nel giro di pochi secondi e un ringhio furente gli sgorgò dalla gola senza controllo, l’eco aumentò ad ogni colpo dell’altro sul metallo e Kidd fu costretto presto a rilasciarlo pur di avere un minimo di sollievo da quel trambusto.
«Te le stacco quelle cazzo di mani.» lo avvertì, riaprendo gli occhi proprio quando Vane poggiava nuovamente i piedi a terra.
Lo avrebbe strozzato come aveva fatto con quel tipo sull’isola degli uomini-pesce, gli avrebbe fatto un collare tutto suo per mandarlo all’altro mondo e poi sarebbe uscito da quella fottuta buca. Non prima.


































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Note dell’autrice:
Ce ne sono un bel po’ questa volta, ma non temete, non mi dilungherò più del dovuto. Sono comprensiva anch’io sotto sotto…

- Filo del destino: Chiunque abbia un’infarinatura di cultura giapponese sa di cosa sto parlando e a cosa faceva riferimento Nau parlando ad Aya, ma spiegherò comunque per quelli che ne sono all’oscuro o non sanno tutta la storia. In Giappone si dice romanticamente che due persone innamorate sono legate per il mignolo da un filo rosso (Unmei no akai ito), che le rende com’è ovvio anime gemelle. La tradizione vuole però che non sempre i due innamorati riescano a sbrogliare la matassa dei fili e quindi non sempre si riesca ad essere felici con la persona che si ama davvero. Questi fili vengono annodati dagli dei alle anime dei nascituri, motivo per cui, quando si viene al mondo si è già destinati a qualcuno. Fluff… fluff… fluff…
- Incontro: La descrizione di questo incontro è stata difficile da scrivere per me, lo ammetto. Ridevo come una matta ogni volta che lo immaginavo e ho impiegato quasi un’ora per riuscire a smettere e andare avanti, ma va beh. Vi starete chiedendo o vi sarete ovviamente e giustamente convinti che Nau sia matto, sappiate però che non lo è… almeno non del tutto. Lui e Aya si sono davvero visti ed è andato tutto secondo descrizione, solo che Aya non l’ha notato e di conseguenza non c’è stato alcun colpo di fulmine. È successo sull’isola degli uomini-pesce, quando lei ritorna dal giro sul fishbus e incontra Killer o il biondo che le faceva da scorta come dice Pilar e se non ve ne state ricordando, beh prestate attenzione a quello che scrivo. Non finirò mai di ripetervelo.
- Shinkiro: In Giapponese vuol dire “Miraggio” e anche questa non è una mia invenzione, anche se non appartiene al mondo di Oda. Non vi dico cos’è o dov’è perché voglio che sia una sorpresa e mi piace lasciarvi un po’ di suspence.
- Cedri millenari: Sono alberi citati in una puntata filler di One Piece e che nascono solo sull’isola Otto-Nove. Vivono per millenni, da qui il nome e dalla loro corteccia si ricava la carta millenaria. Una sofisticheria da Nobili mondiali che costa sessanta milioni di berry a foglio.
- Llanos: Nella storia si tratta di piantagioni aride in cui la vita è piuttosto difficile e dove Nau ha relegato il villaggio dei servitori di palazzo. Nella realtà invece si tratta di pianure sconfinate dal clima torrido che si estendono tra Colombia e Venezuela.
- Barrabas: È una parola della cultura spagnola che generalmente vuole indicare il “diavolo”, ma è anche una contrazione di “barra” e “bisa” che indica un altro elemento di questa cultura che fu trasmesso agli aztechi durante la colonizzazione spagnola del Sud America e che sta per “Bocca abbissata”. Secondo la tradizione era una voragine del terreno, al centro dell’Oceano, dove venivano inghiottite le navi.
- Masa Vane: Fa parte della ciurma di Pilar come avete capito e si occupa di controllare la prigione in cui lui rinchiude coloro che non gli vanno esattamente a genio. Il suo nome deriva da uno dei tanti pirati della tradizione, ma il frutto che ha mangiato scaturisce da una fortuita congiunzione mentale tra me e un altro fan di OP mio amico – che tra l’altro si è occupato anche disegnare Aya –. Si tratta del frutto Echo Echo, motivo per cui si spiega perché l’attacco rivolto a Kidd non sia altro che la traduzione inglese di “Cassa di risonanza”.
- Yoshi: In Giapponese significa “Uomo riconoscente” e nel prossimo capitolo capirete da cosa deriva il suo e perché conosca Aya, anche se l’ho già detto nel capitolo facendo riferimento all’isola di Karinko.




  
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