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Autore: edwill    15/01/2015    3 recensioni
Ci sono momenti che cambiano la nostra ma mentre li stavamo non avevamo idea di quello che davvero avrebbero significato.
In questa storia tutto cambia nel flipper impazzito di una voce che corre tra un no e un sì.
Troppe vite sul filo di una stessa scelta, per pensare a una felicità sola.
E così in un'oscurità di dubbi è meglio vivere per un'unica certezza.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Tu lo sapevi'
 
Non era una domanda.
 
Ancora prima di distinguere il tratto fermo del tono di voce, sentii il suo sguardo su di me.
 
Eppure non si era neanche girato a guardarmi.
 
E' così Harry.
 
Ti appoggia lo sguardo addosso con una tale leggerezza che non ti accorgi neanche con quanta profondità ti sia entrato sotto la pelle.
 
E' per questo che quando vuole ferirti, te lo toglie, e ti lascia un freddo inconsolabile.
 
Nelle voci affrettate di chi cercava di negare, di giustificarmi, di convincerlo, di calmarlo,
a testa bassa e con un filo di voce, lui mi aveva già punito.
 
Nello stesso istante in cui aveva capito che io sapessi già cosa gli avevano appena detto, aveva messo insieme i frammenti degli ultimi giorni in cui mi guardava e cercava in me, senza chiedere.
 
Perché anche questo fa, sta in silenzio e mette insieme le parole nascoste degli altri.
 
E poi,
chiede.
 
Solo per rimettere insieme i pezzi.
Ma qui la frase era piuttosto chiara.
Non c'era bisogno di chiedere nulla.
 
'La situazione è andata troppo oltre.
Uno dei due deve confondere le idee.
 
E abbiamo pensato che Louis potrebbe iniziare a farsi vedere con un'accompagnatrice fissa'

 
Tutto d'un fiato.
 
E non importa quanta gente ci fosse ancora nella stanza, da quel momento in poi c'eravamo solo io e lui.
 
Da quel momento, in un silenzio infinito, lui metteva insieme i pezzi delle mie frasi a metà dell'ultima settimana.
 
I mal di testa appena sveglio.
 
Lo sguardo inquieto allo squillo del telefono.
 
Le risposte non date a domande semplici.
Gli occhi a fissarmi davanti allo specchio.

L'acqua lasciata a bollire troppo a lungo.
I sorrisi finti alle battute di sempre.
 
Tutto Louis William Tomlinson in un rewind isterico nella testa di Harold Edward Styles.
 
Ad alternarsi a troppo.oltre.confondere.accompagnatrice.fissa.
 
Tutto in uno sguardo che non meritavo neanche, non quanto il parquet di uno degli uffici della Modest Managment.
 
E lo sapevo solo io dove fosse.
 
Quanto ci avrebbe messo a parlare.
 
E che quando l'avrebbe fatto -davvero- il giorno avrebbe avuto già un'altra luce.
 
E saremmo stati già molto lontano da quel momento.
 
'Grazie'
 
E' tutto quello gli sentirono dire prima che stringesse la maniglia e si chiudesse la porta alle spalle.
 
E la follia di quella parola sarebbe bastata a chiunque per capire quale follia gli turbinava dentro.
 
Che senso ha?
 
Grazie?
Perché?
 
Per avergli tolto la libertà di essere se stesso?
Per avergli imposto di negare ciò che è davvero?
Per avere in una frase sola cercato di farlo sentire sbagliato?
 
Per aver sporcato in un'intenzione quanto di più bello e puro e giusto pensasse di avere nella vita?
 
E io so leggerlo.
 
Sono capace davvero.
Mi ha insegnato lui a farlo.
 
Sapevo quanto c'era in quel suo grazie.
 
In quella sua educazione che è insieme timidezza e paura e intimità e coraggio.

Fatta non di apparenza ma di esigenza.

Di una coerenza antica e una grazia mai ostentata.

Lui  che è capace di dire un grazie per dimostrare di amarmi anche mentre mi stava odiando con tutta la forza che metteva nello stringere una maniglia.
 
So che voltare le spalle a tutti dopo quella parola era un gesto simile alle lacrime che non avrebbe versato.
 
Era in bilico.
 
Tra ciò che aveva capito e ciò che ancora non sapeva.
 
Tra ciò che pretendevano che diventasse e ciò che aveva giurato di non essere mai.
 
E poi c'ero io.
 
A  corrergli dietro come se potessi o volessi raggiungerlo davvero quando camminava così.
 
Io che un grazie non l'avrei detto mai.
 
Io che ancora prima che finissero di parlare aveva già detto no.
 
Per entrambi.
 
Che non mi sarei prestato a quella pagliacciata e che nessuno avrebbe costretto lui a farlo.
Solo poco prima di capire che se l'avessero chiesto a lui prima che a me, l'avrebbero distrutto.
 
E gliel'avevo dato io il permesso di amarmi, di guardarmi, di sorridermi e toccarmi.
Gliel'avevo aperta io l'anima e l'avevo costretto a fidarsi di quello che eravamo.
 
E se ci fossi stato solo io,
avrei continuato a urlare.
Ma non mi era permesso.
 
Ogni volta, la voce del no si fermava in gola in uno schiaffo di condiscendenza.
 
Avevo paura per me.
Avevo paura per lui.
 
Perché se quello che dicevano fosse stato vero, avrei rischiato l'esistenza di altre persone.
 
E allora dissi quel sì.
 
Per me.
Per lui.
 
Per tutti.

A voce sottile.
A testa bassa.
 
Eppure lungo il corridoio accanto al vetro perfettamente trasparente di un posto così ambizioso da voler nascondere nella luce tutte le sue ombre, mentre cercavo di stargli dietro, sentivo il riverbero insistente del sole di mezzogiorno sbattermi contro come un errore, troppo forte e chiaro per i miei sensi di colpa.
 
E lo vedevo davanti a me, non abbastanza vicino da sentire me che lo chiamavo con una voce svuotata di coraggio, ma sufficientemente a fuoco da riconoscere il passo furioso di chi ha smesso di pensare ma non ha ancora la forza di esplodere.
 
Avrei iniziato a correre se non mi fossi accorto di avere in tasca le chiavi della macchina.
 
Che avrebbe dovuto aspettarmi.
 
Comunque.
Una beffa.
 
Quella mattina aveva guidato lui.
 
'Sei troppo distratto.
Non vorrai uccidermi'

 
Ma poi le chiavi le aveva lanciate a me.
 
La giacca lasciata in macchina e i jeans troppo stretti.
 
I dettagli insignificanti che delimitano e decidono i contorni di vite intere.
 
Volevo che si calmasse e invece lui non era ancora esploso.
 
Forse quello che mi faceva più paura era che non sapevo quando l'avrebbe fatto.
 
'Dammi le chiavi.'
'Sei troppo fuori.'

 
'E' meglio che guidi io.
Non vorrai uccidermi'

 
Me le sfilò dalle mani senza guardarmi neanche.
 
Il mio mondo ricominciò a muoversi solo quando lo vidi fermo in macchina ad aspettare che entrassi.
 
Fissava le sue mani sul volante e si mosse solo quando legai la cintura.
 
Ma anche mentre guidava sembrava un oggetto inanimato che si muove per forza di inerzia.
 
Eravamo all'ultimo semaforo, un isolato da casa, ma come avevo immaginato non saremmo usciti da quell'auto nello stesso modo ci eravamo entrati.
 
Fissava ancora il volante, forse per tutto il tragitto aveva tenuto il discorso fisso sullo stesso punto.
 
'Sai già chi sarà?'
 
Aveva in mente quella domanda dal parcheggio della Modest.
 
Il resto erano solo pezzi da rimettere insieme e sapeva farlo da solo.
 
E se mi avesse rivolto la parola appena entrati in macchina gli avrei risposto con un fiume di parole,
cose senza senso, giustificazioni miste a ragioni assurde, chiarimenti insignificanti e inutili.
 
E invece aveva aspettato tutto quel tempo perché anche io capissi che al resto ci era già arrivato da solo.
 
Al rewind dei miei no, di tutto quello che c'era stato nella mia testa prima del mio sì.
 
Quello che lui non avrebbe avuto la forza di dire.
Quello che gli sarebbe rimasto in gola uccidendolo.
 
'Sai già chi è?'
 
Una piccola correzione verbale.
Marcava i contorni di una realtà.
 
A ribadire che era già arrivato allo stesso momento in cui ero io.
 
Era solo quello che voleva sapere.
 
Quello che non sapeva ancora.
 
'No'
 
E sarebbe bastato.
Ma poi straparlai.
 
'Magari me la faranno scegliere.
Ma che differenza vuoi che faccia.
Tanto è solo apparenza, è finzione'

 
La sua smorfia sottile e il sorriso storto dissero più di un insulto.
 
Più stava zitto e più avevo paura di quando avrebbe parlato davvero.
 
'E ti sei chiesto come mai se una cosa non cambia nulla allora è così necessaria?'
 
La cosa che mi faceva incazzare di più di Harry quando litigavamo, era che tirava fuori quella frase secca, bastarda, ragionata e disgraziatamente vera.
 
E con quella distruggeva interi miei discorsi.
 
Io che dicevo tutto e niente e finivo per incazzarmi anche con me stesso.
Solo che mentre stai litigando aggiungi parole o urli di più e io urlavo di più.
E a volte, sbattendo qualche porta e gridando al momento giusto vincevo io.
 
Ora però non stavamo litigando.
 
Ora ero solo io che cercavo di tenere gli argini di tutta la ragione che non mi avrebbe mai rinfacciato e proprio per questo mi avrebbe consumato strato per strato.
 
Quando capì che il mio silenzio era una resa incondizionata e tirò giù le spalle ancora aggrappate al volante -nel frattempo eravamo arrivati a casa- slegò la cintura, uscì, mi lanciò le chiavi e si avvicinò alla porta d'ingresso.
 
Solo che non era finita.
 
Io lo sapevo,
lui ancora no.
 
E io non volevo portare quella discussione anche in casa.
 
'C'è un'altra cosa'
 
Stava cercando di aprire la porta.
Gli riconobbi la risata dalla schiena.
Quella risata tirata e stretta nei denti.
 
Persino l'ironia nello scatto della mandibola.
 
E non ebbe neanche la forza di girarsi, aspettò.
 
'Non hanno fatto in tempo a spiegarti, sei uscito di fretta.
Da oggi dovremmo evitare certe affettuosità durante le interviste, le esibizioni e sui social'

 
Non reagì neanche.
 
Aprì e scomparve in casa.
 
Mi fermai qualche minuto fuori, come se il mio corpo stesse assimilando una verità che il suo silenzio aveva capito in una frazione di secondo e riassunto nell'unica frase di senso compiuto che aveva detto da mezzogiorno a ora.
 
Era già cambiato tutto.
 
Quel mio no morto nella gola.
Un sì lasciato andare per paura.
 
Ed era già cambiato tutto.
 
E non solo agli occhi del mondo.
 
Ci misi tutta la sera a metabolizzarlo.
Nei suoi passi che tornavano normali.
 
Nei gesti che si ricoloravano di noi, di ciò che ci eravamo già perdonati senza ancora averlo sofferto.
In quella sua capacità di vedermi l'amore nei gesti sgraziati e nell'istintività di proteggerlo senza ragione.
 
Riconobbi la normalità nella leggerezza con cui ricominciò a posarmi addosso il suo sguardo.
Quello che io prendevo con avidità, che mi riempiva e riscaldava, per quando sarebbe tornato il freddo.
 
E sarebbe tornato.
 
Il freddo.
 
 
Perché qualcosa era cambiato.
 
E col tempo sarebbe cambiato tutto.
 
Ma una cosa non sarebbe cambiata mai.
E questo al mondo doveva essere chiaro.
 
Come la luce su una vetrata esposta al sole di mezzogiorno.
 
 
Always in my heart @Harry_Styles . Yours sincerely, Louis




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