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Autore: teabox    15/01/2015    7 recensioni
Per Tom doveva essere solo una serata di beneficenza, l'ennesimo evento a cui partecipare perché gli era stato chiesto e perché non aveva potuto rifiutare. Per lei, invece, la questione era vagamente più complicata. Entrambi, comunque, erano ben lontani dal sapere o immaginare che il caso avesse in mente un piano tutto suo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: per le più che gentili Lovelyblueness, DivergenteTrasversale, kikka_67 e IsaMor, che con i loro commenti mi hanno fatto pensare che forse potevo provare a mettere giù un altro pezzo della storia che ho in testa.

E un milione di grazie a chi ha letto/sta leggendo la prima parte!

Se per caso siete inciampati in questa storia senza essere inciampati nell’altra, ho messo un mini-riassunto per inquadrare tutto.

Di nuovo grazie mille e, spero, buona lettura (in 3 capitoli).

 

Disclaimer: ovviamente tutto quello che segue è un lavoro di fantasia (difettosa).

 

Cosa? Che?: Olive è una ladra - almeno in qualche misura. Tom ha avuto il piacere/dispiacere di conoscerla una strana notte, sul suo balcone, intenta a cercare di intrufolarsi in quello della sua vicina di casa. Da lì sono seguite chiacchiere assurde, da cui Tom è tutto sommato uscito vincitore, ed Olive si è trovata costretta a dover rimandare il colpo. Ma - se non altro - è tornata a casa con il suo numero di telefono (!).

 


Lady Burke-Roche credeva nello Spiritismo, amava sottolineare almeno una parola in ogni frase che pronunciava e riteneva che il verde fosse un colore che le donasse particolarmente.

In altre parole, era il genere di persona a cui Olive non si sarebbe interessata in special modo, se non fosse stato che Lady Burke-Roche possedeva anche due Rothko e un Mondrian appesi alle pareti della sua abitazione e un sistema d’allarme che rispecchiava la risoluzione di mantenere la situazione esattamente com’era. 

 

Ma - come Lady Burke-Roche aveva detto ad M una settimana prima - “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. 

Che, in generale, era una regola a cui anche Olive si atteneva abbastanza scrupolosamente e, parallelamente, la ragione per cui quella sera si trovava nell’affollata sala da ballo della villa di Lady Burke-Roche, avvolta in un abito da sera che non le offriva molte possibilità di movimento, impegnata a memorizzare possibili entrate, uscite, telecamere, punti deboli e punti forti della stanza. 

 

L’ultima volta che le era stato assegnato un lavoro del genere era stato anni prima, quando un collezionista privato di Berlino aveva contattato M per mettere alla prova un impianto di sicurezza che gli avevano assicurato fosse impenetrabile, ma che - come aveva scoperto tre ore dopo che Olive si era messa a lavoro - in realtà non era poi così inaccessibile. 

Quella era stata anche la sera in cui M le aveva passato un assegno con lusinghiero numero di zeri e le aveva chiesto se potesse essere interessata ad occuparsi di casi che necessitavano un approccio “più creativo” - come aveva detto M. 

«Creativo?», le aveva chiesto Olive a quel tempo.

«Esattamente.»

«Pensavo che essere pagati per giocare a guardia e ladri fosse già abbastanza creativo.» M aveva alzato un sopracciglio ed Olive aveva scosso le spalle. «Quello che voglio dire è che certo, abbiamo una clientela importante che ci paga per mettere alla prova i loro impianti di sicurezza. Abbiamo contratti in triplice copia, assicurazioni che coprono quasi tutto e quello che facciamo è legale. Ma, alla fin fine, il mio lavoro si riduce a superare sistemi d’allarme, scassinare casseforti e uscirne con qualcosa senza essere presa. Tutto per la gioia di dimostrare ai nostri clienti che la loro idea di sicurezza è in realtà un concetto molto elusivo.»

 

M era rimasta in silenzio per un attimo di più, prima di accennare un sorriso. «Non è certo qualcosa che la mia agenzia pubblicizza, Olive, ma si dà il caso che ogni tanto ci raggiungano alcune richieste in cui il tuo “senza essere presa” diventa di vitale importanza. In cui il punto non è davvero mettere alla prova un impianto di sicurezza, quanto piuttosto uscire con qualcosa.»

Per un lungo istante Olive era rimasta senza parole, il cervello troppo occupato ad assimilare quello che le era stato detto e, anche di più, quello che non le era stato detto. Si era poi schiarita la voce. «Davvero», aveva quindi risposto. 

Forse con più interesse di quanto sarebbe stato reputato saggio.

 

E ora, perché aveva commesso un errore sei mesi prima - di cui, per inciso, non era nemmeno poi così colpevole - era stata rimandata a tempo indeterminato a prendersi cura dei “furti controllati”, come li definiva lei, dei quali Lady Burke-Roche era solo l’ultima di una lunga serie noiosa.

«Non è per l’errore di per sé», le aveva detto M con un tono che, se non si fosse trattato del suo capo, Olive avrebbe considerato materno. «E’ perché temo che tu stia diventando un po’ troppo sicura di te stessa. Hai talento, Olive, ma fai in modo che questo talento non ti faccia dare per scontate certe cose.»

Olive non aveva risposto. Sapeva che con tutta probabilità si meritava quelle parole, ma non per quello era più facile ammetterlo.

 

*

 

Nel frattempo, quella stessa sera ma dall’altra parte della sala da ballo di Lady Burke-Roche, Tom Hiddleston stava osservando uno dei due Rothko con un’espressione che sperava fosse di appropriata concentrazione e rapimento.

In realtà non aveva la più pallida idea di cosa l’autore avesse voluto trasmettere, né cosa quei rettangoli sfocati di colore dovessero simboleggiare. 

Fece un discreto passo indietro, allontanandosi dal piccolo drappello di persone che sembravano a loro agio con termini come “espressionismo astratto”. 

La sala era piena di voci e bicchieri di cristallo che tintinnavano uno contro l’altro, ma per quanto attirasse gli sguardi incuriositi di più di una persona, fu abbastanza facile per Tom navigare tra i corpi e le parole, con un flûte di champagne in una mano e un sorriso sulle labbra che diceva “mi piacerebbe fermarmi a chiacchierare, ma purtroppo proprio non posso”.

Che era una bugia, ma in fondo lo sapeva solo lui. 

E comunque era solo l’inizio della serata e gli invitati stavano ancora cercando di pretendere di essere lì esclusivamente per l’evento di beneficenza che Lady Burke-Roche aveva organizzato, e non piuttosto per vedere ed essere visti. Tom stesso, in fondo, era lì solo perché Philip - Lord Burke - glielo aveva chiesto come favore personale.

 

Tom salì velocemente una scalinata che portava ad una galleria sovrastante la sala da ballo - il posto ideale per allontanarsi per qualche istante dalla confusione sottostante e respirare - e chiuse gli occhi per un attimo.

Li riaprì, poi, con qualche esitazione, facendo scorrere lo sguardo sulle persone che riempivano la sala da ballo. Sembrava un infinito movimento di voci e corpi, dove nessuno però sembrava davvero prestare attenzione a quello che veniva detto o a chi andava e chi veniva.

 

Forse fu per quello che fu così facile notarla. Era l’unica che non stava parlando, non si muoveva ed era da sola, accostata ad una delle pareti della sala, gli occhi fissi su qualcosa di fronte a lei. 

Il Mondrian, indovinò Tom seguendo il suo sguardo. O forse la telecamera sopra il dipinto.

Si trovò a sorridere, nonostante tutto, e riportò gli occhi su di lei.

Perché doveva essere lei.

La prima ed ultima volta in cui l’aveva incontrata - in circostanze decisamente bizzarre - risaliva ad una notte di qualche mese prima. La mattina successiva si era svegliato quasi convinto che si fosse trattato di un sogno assurdo, ma il messaggio che le aveva mandato dal cellulare era stata la prova dell’esatto contrario. Era sembrato del tutto logico, quella notte, farle avere il suo numero di telefono, ma giustificava la cosa come un momento di temporanea follia dovuto alla mancanza di sonno e al Jack Daniels. 

Del resto, si era poi fermato a riflettere Tom, molte delle sue azioni quella notte erano sembrate sul momento perfettamente logiche, quando francamente mancavano del tutto di raziocinio. Non chiamare la polizia. Parlare con il suo capo. Lasciarla andare via. 

Di nuovo, mancanza di sonno e Jack Daniels. Pessima combinazione.

 

Ed ora era lì. Nell’ultimo posto in cui si sarebbe mai immaginato di incontrarla. 

Non che avesse davvero dedicato molto tempo a fantasticare scenari in cui le loro strade si incrociavano di nuovo - era piuttosto la sua mente che alcune notti veniva assalita da flash involontari delle sue labbra e dei suoi occhi. 

 

Avrebbe potuto raggiungerla in poco più di un attimo - meno di un minuto per scendere la scalinata, due per muoversi tra la folla, un secondo di esitazione prima di attirare la sua attenzione - invece decise di rimanere nella galleria ed osservarla per qualche momento di più.

C’era qualcosa nascosto nei lineamenti del suo viso, una certa quantità di noia o forse disagio. Ogni tanto staccava lo sguardo dalla parete, quasi di controvoglia, per spostarlo velocemente sul resto della sala. Se Tom avesse dovuto indovinare, avrebbe detto che distoglieva gli occhi dal dipinto solo per non attirare attenzione, pretendendo invece di essere in attesa di qualcuno.

Per quanto l’abito da sera le donasse molto - Tom non aveva potuto evitare di fare scorrere lo sguardo sulla sua figura - aveva anche l’aria di chi non era del tutto certa di aver scelto il capo giusto. Dubbio quanto meno ridicolo, perché non poteva esserle sfuggito come attirasse le occhiate discrete di più di un uomo. 

Ma, ripensandoci, tutto sommato c’era una forte possibilità che davvero non se ne fosse accorta. Sembrava, in fondo, avere occhi solo per il quadro.

 

Fu quando qualcuno la urtò per sbaglio, sbilanciandola per un momento e allungandosi quindi in scuse che lei non sembrava ritenere necessarie, che Tom dovette rivalutare la sua supposizione.

L’aveva vista chiudere gli occhi e inclinare appena la testa verso l’alto. Aveva poi inspirato profondamente, espirato lentamente e rilassato le spalle.

Poi, quando aveva riaperto gli occhi, lo sguardo di lei si era inevitabilmente fissato in quello di Tom.

E innegabile, una nota di panico le era comparsa sul viso.

Tom non trovò niente di meglio da fare che alzare il flûte di champagne che teneva ancora in mano e accennarle un sorriso.

Cercò, poi, per qualche istante la parola che meglio avrebbe descritto la reazione di lei.

Gli venne in mente solo “snobbare”.

 

*

 

Tra l’attimo in cui aveva riaperto gli occhi e quello in cui aveva riconosciuto Tom, c’era stato un istante - perfetto e lucido - in cui Olive non aveva pensato assolutamente a nulla.

Durò solo una frazione di secondo, prima che la mente venisse inondata da pensieri e campanelli d’allarme. 

Era Tom? Per l’amor del cielo, certo che era Tom.

Cosa ci faceva lì? Per quale motivo non doveva esserci, in fondo la sala era piena di gente più o meno nota.

M lo aveva saputo fin dall’inizio? Che fosse un modo di metterla alla prova? Ma la lista degli invitati non era stata resa pubblica. D’altra parte, M aveva una particolare abilità per venire a conoscenza di particolari e dettagli che nessun altro sembrava essere capace di scoprire.

 

Olive distolse lo sguardo da Tom e dal suo mezzo sorriso - perché le sorrideva? - e cercò velocemente un’idea, fermandosi senza perdere tempo sulla prima che le venne in mente. 

Lanciò uno sguardo veloce alla galleria assicurandosi che Tom fosse ancora lì, quindi puntò gli occhi su di un angolo lontano della sala, alzò un braccio e con il sorriso più gioioso che riuscì a far comparire sulle sue labbra, accennò un saluto vivace a nessuno in particolare.

Quel piccolo trucco, per quanto sciocco, sembrò fare il suo effetto. Tom istintivamente si girò per vedere chi Olive avesse salutato e lei si trovò con l’occasione perfetta per scivolare velocemente via. 

O, almeno, “velocemente” quanto gli invitati e l’abito che indossava le permettevano. Che, notò Olive con una certa irritazione, non era velocemente abbastanza per i suoi gusti. 

 

*

 

Si era trasformata, pensò Tom. 

Aveva visto qualcuno dall’altra parte della sala e si era lanciata in un saluto caloroso - qualcosa di appena meccanico nel sorriso, forse - e improvvisamente Tom si era trovato a seguire il suo sguardo per scoprire chi meritasse la sua attenzione e un interesse così evidente. Nessuno però sembrava aver risposto al suo gesto. 

E quando tornò con lo sguardo nel punto in cui lei si era trovata fino ad un attimo prima - e in cui non c’era più - Tom capì esattamente perché.

 

No, no, no, no, no, cantilenò nella sua testa, diviso tra il divertimento per l’assurdità della situazione e il fastidio di essere cascato in un trucco così elementare. 

Si sporse dalla galleria e fece scorrere velocemente lo sguardo sugli invitati, ma il flusso quasi costante di persone che si spostavano da un gruppo all’altro non rendeva facile trovare una persona specifica che si stesse muovendo.

A tradirla, se non altro, fu la velocità. In un mare di persone che sembravano non aver nessuna fretta di arrivare da un angolo ad un altro della sala, non ci volle molto prima che l’attenzione di Tom fosse catturata dall’unica persona che sembrava muoversi come se non avesse un attimo da perdere. 

Tom sorrise, una nota appena ferina agli angoli della bocca. 

 

Lasciò la galleria scendendo la scalinata velocemente, il flûte di champagne abbandonato sul vassoio del primo cameriere che aveva incrociato. 

Se c’era qualcosa che apprezzava era un po’ di sana competizione. E sei lei pensava che potesse scivolare via così semplicemente, si sbagliava di grosso.

Ed era - inoltre - anche sul punto di scoprire quanto Tom fosse bravo ad attraversare una sala piena di gente senza farsi rallentare da nessuno. In un’altra vita, forse, sarebbe stato un ottimo giocatore di basket, ma in quella vita era un attore ad una serata di beneficenza che da moderatamente noiosa si era improvvisamente trasformata in interessante. 

E se per mantenere lo stato delle cose si trovava costretto a dover rincorrere una ladra, allora che dire. Da come la vedeva lui, aggiungeva solo divertimento al divertimento.

 

*

 

Olive contava mentalmente i passi che la separavano dall’uscita verso cui si stava dirigendo - che non era esattamente un’uscita, ma piuttosto l’ingresso del giardino all’italiana di Lady Burke-Roche. Ma se trovare un posto sicuro dove ragionare sulla situazione e decidere il da farsi significava immergersi nell’aria fredda della sera con un vestito che era stato pensato per climi decisamente più miti, che così fosse. 

 

Aveva ancora meno di un centinaio di passi, non di più. Non aveva osato guardarsi alle spalle, ma avrebbe potuto giurare che Tom la stava seguendo. Se lo sentiva.

O forse non se lo sentiva, ma piuttosto se lo immaginava. Sembrava il tipo di persona da fare una cosa del genere. 

Ridicolo.

Era ormai arrivata - a solo un attimo dall’entrare sulla terrazza che si apriva sul giardino - quando percepì, più che vedere, qualcuno passarle velocemente accanto. Si fermò di colpo, evitando di finire contro Tom. 

Gli rivolse, sperò, uno sguardo annoiato. 

E lui rise.

 

*

 

Con il tempo Tom si sarebbe dimenticato di alcune cose, ma in qualche modo il ricordo di quel momento sarebbe sempre rimasto presente. 

 

Non gli era sfuggito come l’avesse fermata esattamente sulla soglia che divideva la sala da ballo e la terrazza, parte di lei nella luce e parte di lei nell’oscurità. Come se quel demimonde che Tom aveva sempre ritenuto esistere solo nei libri e nei film - ma che era invece reale e di cui lei faceva parte - avesse deciso per un attimo di diventare ancora più evidente e risplendere un istante in lei, cogliendola nel mezzo e mostrandola a Tom.

 

Non gli era nemmeno sfuggito come si fosse costretto a nascondere le mani nelle tasche dei pantaloni, un gesto necessario dettato dal sospetto che se le avesse lasciare libere di fare, probabilmente si sarebbero chiuse sui polsi di lei per assicurarsi che non sfuggisse di nuovo.

 

C’era, dunque, la forte possibilità che Tom fosse sul punto di cacciarsi in un grosso guaio.

E tuttavia, era sua opinione che non ci fosse guaio che meritava davvero di essere evitato, quando si presentava fasciato in un abito grazioso, con un viso altrettanto grazioso e una personalità interessante.

Quindi perché no.

 

*

 

«Guarda, guarda. Cos’è tutta questa fretta di allontanarsi senza nemmeno salutare?», domandò Tom con un sorriso, secondo Olive, un po’ troppo divertito. «Si potrebbe pensare che stai scappando. O forse non sei tanto interessata alle serate di beneficenza quanto, piuttosto, alle espressioni artistiche di alcuni autori celebri.»

Olive gli rispose con un’occhiata che voleva intendere “taci”, ma apparentemente Tom non sapeva leggere gli sguardi ammonitori.

«Rothko? Mondrian?», chiese infatti con finta innocenza.

Olive, più irritata del necessario, lo prese per un braccio e trascinò entrambi nella terrazza. «Cosa stai cercando di fare, Tom?»

Lui si piegò appena verso di lei. «Felice di sapere che la politica del “nessun nome” è stata messa da parte. Per quanto riguarda la tua domanda, invece, non sto cercando di fare nulla.»

«Allora cosa vuoi?», domandò lei a denti stretti.

«Quello che voglio, tanto per cominciare, è un saluto.»

«Addio?»

Tom le rivolse un sorriso asciutto. «Molto divertente.»

 

Olive inspirò, raccogliendo tutta la pazienza di cui era capace. «Prima che tu ti senta pervaso da un forte spirito civico e decida di chiamare la polizia o chissà chi, forse è il caso che tu sappia che Lady Burke sa che sono qui.»

Tom non disse nulla, ma la guardò con una nota di incredulità.

«Più o meno», aggiunse allora Olive con riluttanza. «Quello che voglio dire è che non c’è nulla di… non appropriato nella mia presenza qui, stasera.»

Tom fece un passo indietro e, senza chiederle se le andasse bene o se ritenesse la cosa opportuna, s’incamminò verso l’ingresso del giardino. «Che peccato. Devo dire che la tua parte “non appropriata” è interessante.»

Olive alzò gli occhi al cielo, ma si trovò comunque a seguirlo. Lo raggiunse sul limitare della scalinata che univa la terrazza al giardino e lì, con una naturalezza che lei trovò quanto meno sconcertante, Tom le offrì il braccio per aiutarla a scendere i gradini. 

Olive esitò un istante, incapace di evitare uno sguardo perplesso. Sospirò, quindi, ed ancora incerta si appoggiò a Tom.

 

«Non so nemmeno perché te lo voglio dire», disse poi, dopo un attimo di prolungato silenzio, «ma devi sapere che M è la titolare di una rispettabilissima agenzia che controlla e mette alla prova sistemi di sicurezza di musei, gallerie private e residenze. Forse i suoi metodi possono sembrare…singolari», lanciò un’occhiata veloce a Tom, «ma se lo sono, è solo perché ci assicuriamo che quando ci viene affidato un sistema, tutti i casi possibili vengano esplorati.»

«Davvero», replicò Tom senza sbilanciarsi, ma pur sempre con un accenno di giustificabile sospetto. 

«Ogni tanto - raramente - M accetta alcuni incarichi…»

«Particolari?», offrì Tom.

«Particolari, sì. Ma M è sempre più che scrupolosa e prima di prendere uno di questi lavori, si assicura al di là di qualsiasi dubbio che la richiesta sia legittima, e non si tratti invece solo di un caso di avidità.»

Tom rimase in silenzio per qualche momento, prima di rispondere. «Quindi stasera sei qui per mettere alla prova il sistema d’allarme di Lady Burke?»

«Più o meno. Stavo cercando di farmi un’idea della casa e dell’impianto in preparazione al test. Per questo Lady Burke sa e non sa che sono qui. M l’ha avvisata - o, meglio, ha avvisato la sua assistente personale - che uno dei suoi agenti sarebbe venuto, ma sarebbe rimasto in incognito. Cerchiamo di mantenere lo scenario il più realistico possibile. In fondo, la maggior parte delle volte quando un ladro ti entra in casa, non sai chi, come e quando.»

Tom rise. «Effettivamente così non avrebbe molto senso.»

 

Olive si fermò e gli rivolse un veloce sorriso di circostanza. «Bene. E ora che sai come stanno le cose, sono costretta a lasciarti. Capirai che per quanto sia sempre piacevole scambiare un paio di parole educate, ho impegni precedenti di una certa importanza.»

Tom si lasciò sfuggire una risata davanti al suo modo strano di parlare e a quel tono di assurda formalità. 

Olive ci aveva contato. Approfittò dell’attimo di distrazione di Tom per sfilare il braccio e voltarsi, diretta con passo veloce verso la terrazza. 

Non che potesse seminarlo - anche avesse voluto, non ci sarebbe stato modo - ma quanto meno non era più così vicina a lui e alla sua distraente presenza.

In altre parole, era di nuovo libera di pensare normalmente. 

O almeno fino a quando Tom la prese per un polso e la costrinse a fermarsi.

Si voltò a guardarlo allibita. Sul serio, pensò, di nuovo?

 

*

 

“Questi mortali, signore, che sciocchi!” esclamava Puck nel Sogno di una notte di mezza estate e Tom non poteva fare altro che concordare. Bastava che guardasse a se stesso.

 

Lei gli era sfuggita per un attimo e lui, senza riflettere, l’aveva raggiunta e afferrata. 

«Che stai facendo?», domandò lei più infastidita che sorpresa.

Tom abbassò lo sguardo sulla sua mano chiusa sul polso di lei. «Non ne sono del tutto sicuro.»

«Beh, allora ci troviamo in un impasse, temo, perché io non so cosa vuoi e tu non sai cosa stai facendo.»

«A dire il vero so cosa voglio», replicò Tom lentamente.

Per un momento una nota di disagio comparve sul volto di lei, ma venne velocemente cancellata da un che di irritato. «Vorresti condividere questo interessante pezzo di conoscenza anche con me, allora?»

Tom la guardò per un attimo, cercando di stabilire se quello che stava per dirle l’avrebbe stupita di più o indispettita di più. «Mezz’ora.»

Lei lasciò passere un istante. «Scusa, cosa?»

«Mezz’ora con te. Qui, stasera. Voglio vedere quello che fai e come lo fai.»

Passò un altro istante. «Stai ovviamente scherzando.»

«No.»

«Perché?»

«Perché non sto scherzando?», chiese Tom pretendendo di non aver capito la domanda.

«No, perché vuoi questa mezz’ora.»

Lui alzò appena le spalle, prendendo tempo. Non poteva certo dirle quello che gli era passato per la testa - è una scusa. Un’occasione per starti accanto ancora un po’. C’è qualcosa in te - e sperare che lei capisse e non fraintendesse. «Nel caso in futuro mi venga offerto il ruolo di un ladro. Prendila come un’esperienza formativa.»

Lei lo guardò stringendo appena gli occhi. «Non so che idee ti sei fatto riguardo a quello che faccio, Tom, ma non c’è nulla da vedere. Osservo, cerco di memorizzare informazioni, faccio discretamente alcune domande. Fine. Nulla di fantastico, niente da imparare.»

Tom rispose con una scrollata di spalle, una specie di “lascia che sia io a decidere” non messo a parole.

Lei lo osservò, soppesando qualcosa senza far affiorare nulla sul viso. «Mezz’ora», disse infine cautamente.

«Mezz’ora.»

«E dopo io vado per la mia strada e tu per la tua.»

Tom trattenne un sorriso. «Corretto.»

Lei lo fissò per un momento di più, prima di sospirare e scuotere appena la testa. «Non posso credere che sto veramente accettando la tua richiesta, ma va bene.» Alzò un dito per fermare Tom. «Ma se ti dico di fare qualcosa, la fai. E se ti dico di non fare qualcosa, non lo fai. Intesi?»

Tom rise. «Intesi.»

 

*

 

La prima cosa che Olive aveva capito era che non potevi camminare accanto a Tom Hiddleston e sperare di passare inosservata. Che, francamente, era una scocciatura quando dovevi passare inosservata. O, quanto meno, essere notata il meno possibile. 

Ma, quasi come per osmosi, l’attenzione che Tom inevitabilmente catturava - e catturava per primo - poco dopo passava su di lei. 

“Tom Hiddleston. Oh, con qualcuno”, sembravano pensare le persone che li notavano. 

 

Olive, inoltre, sospettava che non aiutasse il fatto che Tom le sorridesse troppo, le sussurrasse troppo spesso commenti ridicoli su questa o quella persona e che, in generale, sembrasse troppo a suo agio al suo fianco.

Olive aveva cercato di lanciargli un paio di sguardi di rimprovero, ma Tom si era già dimostrato poco capace nella sottile arte di leggere le occhiate femminili e sembrava non aver colto nulla. O forse aveva semplicemente deciso di ignorarla - che era, in fondo, una possibilità.

 

Ma il punto era che Olive aveva un lavoro da fare quella sera, e non poteva permettere che Tom Hiddleston - o il suo allarmante entusiasmo - mandasse all’aria tutto. 

Lo prese quindi per un gomito e lo guidò lungo una delle pareti della sala da ballo, fermando entrambi davanti al Mondrian. 

Forse stava solo diventando paranoica, ma le sembrava che il resto delle persone in quella stanza stessero sussurrando alle loro spalle. Olive valutò per un attimo la situazione.

«Tom?», sussurrò dopo un momento.

Lui si voltò a guardarla. 

«Vuoi solo guardare o vorresti essere utile?»

Un piccolo sorriso comparve sulle sue labbra. «Cosa vuoi che faccia?»

Lei esitò solo un istante, prima di spostarsi di fronte a Tom. «Metti le mani in tasca», lo istruì sottovoce, «e qualsiasi cosa faccia, tu rimani fermo così come sei.»

Tom la guardò perplesso, ma qualsiasi cosa avesse voluto dire o domandare rimase nella sua testa, perché Olive si appoggiò lentamente al suo petto, una mano su una delle spalle di Tom e l’altra scivolata sul collo. 

Tom s’irrigidì appena e trattenne per un attimo il respiro.

«Per l’amor del cielo, rilassati», gli sussurrò lei con una nota infastidita nella voce. «Se preferisci, sentiti libero di chiudere gli occhi e pensare che io sia qualcun altro.»

«Non essere ridicola», rispose lui secco. «Vorrei solo sapere cosa stai facendo.»

«Devi sapere», replicò lei spostando la mano dalla spalla di Tom alla scollatura dell’abito da sera, «che da qui si ha un’ottima visuale dell’intera sala.» 

«E quindi?»

Dalla scollatura Olive estrasse un piccolo oggetto di metallo, delle dimensioni di una penna USB, solo un po’ più sottile. «E quindi», rispose spostando appena la testa per poter guardare Tom in viso, «è il posto ideale per fare qualche fotografia.»

Gli fece vedere la minuscola macchina fotografica che teneva in mano, ma Tom sembrò non farci caso, distratto piuttosto da qualcosa sul viso di Olive.

«Cosa c’è?», domandò lei perplessa.

Tom scostò la testa con un piccolo movimento impacciato. Si schiarì la voce. «Niente. Ma ancora non capisco il senso di tutto questo.»

Olive tornò a guardare al di là delle spalle di Tom. «Lo sapevi che diversi studi hanno dimostrato che la maggior parte delle persone tende a spostare lo sguardo da manifestazioni pubbliche di affetto?» Alzò discretamente la macchina fotografica di modo che il piccolo obiettivo spuntasse cautamente al di sopra della spalla di Tom. «Quindi chiama a raccolta la tua abilità recitativa e manifestiamo pubblicamente un po’ di affetto. Loro non guardano, io sono libera di fotografare la sala senza far sorgere sospetti.»

 

Per più di qualche istante Tom rimase stranamente in silenzio, ma Olive se ne accorse solo dopo aver scattato diverse foto, quando lui inclinò la testa su di lei per sussurrarle nell’orecchio.

«Ho le mani in tasca.»

Olive sorrise continuando discretamente a prendere scatti. «Ne sono al corrente.»

«Non pensi che possa sembrare strano che non ti voglia nemmeno toccare?»

Olive si bloccò stringendo un po’ di più la macchina fotografica. Era ovviamente fuori discussione dirgli perché aveva voluto che mettesse le mani in tasca. E a d’ogni modo, probabilmente non sarebbe nemmeno riuscita a mettere a parole la preoccupante sensazione che se Tom l’avesse toccata - le sue mani sulla schiena, l’intimità di quel gesto - lei non sarebbe stata capace di concentrarsi abbastanza. Il sottile sospetto che avrebbe trovato troppo invitante il suo abbraccio. 

 

Si schiarì la voce e cercò un tono leggero. «Pazienza. Che pensino quello che preferiscono pensare. Io ho fatto.»

Infilò di nuovo la macchina fotografica nella scollatura e si allontanò da Tom cercando di sorridergli in maniera naturale. L’espressione tremò solo per un istante, quando vide qualcosa nel volto di lui che la fece sentire improvvisamente nervosa. Improvvisamente a corto di respiro. Improvvisamente quattordicenne. 

Tom l’aveva guardata per un momento con una strana intensità che sembrava parlare di frustrazione e desiderio. 

Ma non poteva essere. 

Non poteva essere davvero.

  
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