"I'm a little sick"


Teresa Lisbon non ama il telefono. Lo ritiene semplicemente uno strumento con cui dare o ricevere telegrafiche comunicazioni di lavoro. O, al massimo, il mezzo con cui avere notizie dei suoi fratelli e mandare loro un saluto sbrigativo. Ha sempre pensato che altri, inquietanti, usi di quell’infernale scatoletta rappresentino solo una perdita di tempo. E lei, da stakanovista poliziotta in carriera, di tempo ne ha poco.
Eppure deve ammettere che parlare al telefono con Jane non le dispiace affatto. Forse perché adora parlare con Jane in generale, a prescindere dalle reciproche coordinate spaziali e dalla (in questo caso) provvidenziale presenza di cornetta e microfono. In effetti, le rare volte in cui il mentalista non è al suo fianco, si ritrova a chiamarlo più spesso di quanto vorrebbe. Forse perché le manca.
Come adesso.
Sì, deve proprio riconsiderare quella sua innata, e sciocca, antipatia: che geniale invenzione quella del cellulare!
Gli ha appena telefonato per raccontargli di come l’ultimo interrogatorio sia stato un buco nell’acqua. In realtà aveva solo voglia di sentire la sua voce: piuttosto roca per via del raffreddore, ma non per questo meno piacevole. Anzi.
Lui, ovviamente, ha già un piano per trovare l’assassino ed estorcergli una confessione. Ma aggiunge subito  che c’è un problema. E quando Jane dice che c’è un problema, le cose non si mettono bene.
«Sono un po’ malato. Non sono sicuro di potercela fare», sussurra Patrick, quasi scusandosi. È dispiaciuto. Maledetta influenza! Come le aveva accennato in mattinata, preferiva di gran lunga stare all’FBI con lei che a casa, tutto solo e febbricitante. Il vecchio Jane avrebbe approfittato della breve e inaspettata vacanza, ma adesso sa fin troppo bene che è vacanza ogni minuto trascorso con Lisbon.
«Quindi cosa facciamo?». A lei viene spontaneo chiedergli la prossima mossa, ma non lo fa né per dipendenza né per abitudine; lui lo sa e non può che rallegrarsene. Ora sono una coppia, oltre che un ottimo team. Finalmente risolvono i casi davvero insieme.
Per il mentalista la soluzione è semplice: «Puoi farlo tu», azzarda come fosse la proposta più scontata del mondo. Lisbon ha assistito mille volte a quel suo solito show in cui si finge sensitivo. È in gamba e intelligente, se la caverà alla grande.
«Non ho idea di cosa stai per dire, ma sono quasi certa che dirò di no», preannuncia lei, diffidente. Dopotutto Jane è sempre Jane, e i suoi trucchetti di solito navigano al limite dell’illegalità.
«Perché non vieni qui all’airstream e ti spiego tutto?», sussurra Patrick, abbassando ulteriormente un  tono di voce già piuttosto basso.
«Perché non puoi dirmelo adesso?», lo stuzzica la poliziotta, accennando il suo famoso broncio.
«Perché vorrei vederti». È bello poterle dire liberamente quello che gli passa per la testa. Gli manca ed è così semplice ammetterlo.
Lisbon arrossisce e abbassa lo sguardo per la sorpresa. Non è roba di tutti i giorni questa dolce espansività di Jane, anche se, ultimamente, entrambi stanno migliorando.
«E speravo che mi avresti portato una minestra», aggiunge Jane, per provocarla. Già si immagina il colorito purpureo delle guance di Teresa, gli dispiace solo non essere al suo fianco per prenderla in giro e ammirarla di sottecchi. «Pomodori o fagioli, per favore», insiste.
Lisbon sorride.
Sì, stare al telefono con Patrick le piace.
Vederlo, però, le piace anche di più.
Corre all’airstream.