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Autore: J85    22/11/2008    15 recensioni
Roberto è un ragazzo degli anni '80 come tanti. Il fatto è che vive ai giorni nostri.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“I came from the 80s”

 

 

 

Turn around, look at what you see.
In her face, the mirror of your dreams.
Make believe I'm everywhere, living in your eyes.
Written on the pages is the answer to a never ending story
.

 

Era sempre un piacere risvegliarsi con quelle note.

Il ragazzo stirò per bene più muscoli possibili del suo corpo, tendendo le braccia ben in alto e con le dita delle mani intrecciate tra loro. Rilassò nuovamente il fisico ed osservò per qualche istante il soffitto della sua camera da letto. Era proprio l’ora di alzarsi.

Con ben poca fluidità nei movimenti, riuscì a sedersi al margine del letto e, una volta che le sue pupille si furono riabituate alla luce che traspariva dalle tapparelle chiuse della sua camera, diede un’occhiata a tutta la stanza che lo circondava. Era la sua realtà: sulle pareti attaccati poster rispettivamente di Samantha Fox, con scritto a caratteri cubitali rossi l’invitante “Touch me”, buona parte del cast della quarta stagione di “Saranno famosi”, la migliore secondo il ragazzo, ed una giovane Sophie Marceau direttamente dalla pellicola “Il tempo delle mele”. Sospeso sopra una scrivania, stranamente ben ordinata, vi era uno scaffale con sopra, schierata al gran completo, la collezione del manga “Capitan Tsubasa”, conosciuta meglio in Italia come “Holly e Benji”. Se da un lato i manga poggiavano con sicurezza verso l’armadio dei vestiti, dall’altro, a fare buona guardia ai preziosi volumetti, vi erano un minaccioso Hulk Hogan, ovviamente formato ridotto  e con una salda presa in “bearhug”, e una riproduzione fedele del Grande Mazinga alta 82 cm. Sulla scrivania, quella stranamente ordinata, vi si poteva trovare, oltre alla presenza di rito di qualche libro scolastico, anche una delle prime versioni della console manuale “Game Boy”, con dentro inserita la cartuccia del videogame “Tetris”, una scatola dei “Crystal ball”, un cubo di Rubik, chiaramente con nemmeno una faccia dello stesso colore, ed un peluche di E.T. l’extraterrestre, con dito e petto colorati di rosso. Il giovane sedeva sopra la coperta di marchio “Teenage Mutant Ninja Turtles”, o “Tartarughe Ninja”, che nel tal caso davano dimostrazione delle loro straordinarie doti atletiche mentre, su uno degli apici di una gamba del letto, trovava il suo posto un cappello caratterizzato da simil treccine rasta e con davanti la foto del fuoriclasse olandese Ruud Gullit. Infine, in un angolo della stanza, era gettato un pisolone. A proposito, rischiavo quasi di dimenticarlo, il ragazzo si chiamava Roberto Ripoli.

“Roberto… Roberto, sei sveglio? Scendi che è pronta la colazione!” una voce femminile cercava la giusta comunicazione dal piano inferiore.

“Sì, arrivo mamma!” una volta risposto, Roberto si strusciò il palmo della mano sinistra sopra gli occhi, per cercare di ridestarsi completamente, ed infine si alzò in piedi, anche se un po’ traballante.

 

“Ciao, cucciolo” una graziosa signora sulla quarantina lo accolse con un dolce sorriso in cucina.

“Buongiorno, mamma” rispose al saluto il giovane, ancora molto assonnato.

Una volta seduto a tavola, portò a sé una scatola di cereali Kellog's, i suoi preferiti.

“Roby, sei sicuro di voler fare colazione con quegli affari? Se vuoi ti preparo un po’ di caffèlatte?” gli chiese quasi preoccupata la madre.

“No mamma, lo sai che mi va bene così” le rispose il figlio, mentre aveva appena terminato di spargere i cereali dentro la sua ciotola, preparandosi ad affogarli nel latte.

“Giornata dura, oggi a scuola?” domandò la donna, cercando di coinvolgere l’assente figlio in un progetto di conversazione.

“No, normale” rispose brevemente Roberto mentre stava terminando rapidamente la sua porzione di cereali.

Per un po’ fu il silenzio a farla da padrone, con la sola voce del presentatore del telegiornale mattutino che elencava le principali notizie del programma, poi il ragazzo si alzò per tornare di sopra in camera sua.

“Ah, Roby…” lo richiamò la donna, interrompendo la lenta marcia del giovane “vestiti per bene, ok?”

Dopo qualche attimo di piena immobilità Roberto rispose “Certo, mamma”.

La madre, però, non era per niente convinta della sincerità del suo unico figlio.

 

La prima tappa post colazione per Roby fu il bagno.

Mentre stava eseguendo la pulizia dei propri denti, il ragazzo per qualche secondo si squadrò allo specchio. Aveva 16 anni, un fisico normale per un giovane uomo della sua età, il viso ben rasato, gli occhi castani ereditati da sua madre ma, soprattutto, il suo personale vanto, una quantitativamente enorme chioma di capelli castano chiaro, quasi addirittura biondi, che gli incorniciava perfettamente il viso. Uno come tanti.

Una volta uscito dal WC, era il turno di uno dei momenti più solenni di ogni mattina: la scelta del vestiario quotidiano.

Sorvolando su mutande e calzini, come pantaloni un classico paio di jeans con il caratteristico colore grigio chiaro, scarpe da ginnastica della Roos, ma, cosa più importante, era da scegliere la giusta maglia. Nonostante le ultime dichiarazioni che aveva rilasciato a sua madre, quello era un giorno speciale. Non tanto per la mattinata scolastica, ma per gli avvenimenti che si dovevano svolgere il pomeriggio. Quindi ci voleva una maglia importante e la scelta ricadde sulla sua maglietta preferita.

Di base era una classica fruit bianca, leggera e ben cucita, era la scritta davanti che l’elevava al prestigioso rango di maglietta speciale. La frase era in inglese e si componeva di tre parole: “I”, il soggetto, un cuore rosso nella sua classica forma artistica, ed infine la parola “80S”, che per Roberto era fondamentale.

 

Prese al volo il giubbotto e lo zaino Invicta giallo fosforescente e scese di volata le scale, in fondo difficilmente l’autobus avrebbe aspettato i suoi comodi.

“Ciao mamma, io vado!” salutò ancora più rapidamente delle sue gambe.

“Va bene, cucciolo, a dopo!” provò a tenergli il ritmo la mamma che poi, una volta che la porta d’ingresso fu violentemente sbattuta, commentò tra sé e sé “Oh misericordia! Ha ripreso la maglia speciale…” mettendosi una mano sulla fronte, presa dallo sconforto.

Nel mentre, il ragazzo stava raggiungendo la propria meta a grandi falcate, ed intanto cercava di sistemarsi per bene il giubbotto e lo zaino sopra di esso. L’impresa risultava alquanto semplice per ogni suo coetaneo, la difficoltà risiedeva proprio nel giubbotto che Roberto indossava. Infatti era caratterizzato dalla presenza delle spalline!

E non era certo facile tenerci ben salde sopra di esse le cinghie dello zaino.

Infine, come tocco di classe finale, Roberto estrasse dalla tasca esterna del suddetto indumento un paio di occhiali da sole con montatura in pura plastica.

 

Arrivato alla fermata, ormai del tutto noncurante degli sguardi che la gente gli rivolgeva per quel suo particolare look, si mise in attesa del suo autobus. Qualcuno gli si avvicinò.

“Scusa, hai per caso da accendere?” gli chiese un individuo poco più grande di lui.

“No, mi dispiace amico… anche perché Mr. T non me lo permetterebbe di certo!” gli rispose con un sorriso il giovane.

L’altro, che di certo non aveva compreso appieno la battuta di Roberto, si defilò senza chiedere chiarimenti.

“Ciao Rob! Oddio! Ma stai ancora conciato così?!” a fare questo esplicito commento fu una ragazza, dai capelli neri lunghi poco più in giù delle spalle e gli occhi, leggermente truccati, del medesimo colore.

“Ciao pupa! Anche tu sei uno schianto!” ricambiò il saluto Roberto.

“Ahah… piuttosto, Rob, ti ricordi di oggi pomeriggio? Ci devi assolutamente essere!” gli ricordò la ragazza, il cui nome era Beatrice, afferrando il suo braccio destro.

“Ma sì Bea, stai tranquilla, ci sarò! E poi, se anche ritardassi un attimo, ti chiamerò al cellulare da qualche cabina telefonica per farti sapere dove sono…” gli spiegò sbrigativamente il ragazzo.

“Ma dai, Rob! È da una vita che hanno tolto le cabine dalla città! Ma perché non ti decidi a comprarti un cellulare! Certe volte sei proprio uno…” ma il rumore dello sportello dell’autobus che si apriva censurò la pesante ingiuria rivolta al nostro protagonista dalla sua amica.

 

Durante il tragitto verso l’istituto scolastico, Roberto si stava quasi per riaddormentare profondamente con la testa appoggiata al finestrino del mezzo, mentre ascoltava il suo fidato walkman bianco e nero, mentre invece gli altri ragazzi  nell’autobus utilizzavano per la medesima funzione i propri i-pod personali.

 

We're flying high
We're watching the world pass us by
Never want to come down
Never want to put my feet back down
On the ground”

 

 

Accanto a lui sedeva ovviamente Beatrice, che ogni tanto si voltava verso di lui per controllare che non superasse eccessivamente la fase rem.

Mentre lo osservava, la giovane donna ricordava il momento esatto in cui il suo migliore amico aveva abbracciato completamente questo nuovo stile di vita.

Entrambi avevano ancora quattordici anni ed erano a casa di Roberto che guardavano la televisione. Lei, speranzosa in qualche attenzione particolare rivolta nei suoi confronti da parte dell’amico,  magari qualche bacio o addirittura maliziose palpatine, a maggior ragione per l'assenza dei genitori del ragazzo. Forse anche Roberto aveva grosso modo gli stessi pensieri, ma poi la sua attenzione fu letteralmente rapita.

Si trattava di qualche documentario o roba simile, Beatrice poi non si ricordava nemmeno il canale su cui veniva trasmesso. L’argomento erano niente meno che gli anni ’80. Lo speciale durò quasi tre ore e svariava in vari ambiti generali come: musica, cinema, televisione, moda, sport, politica ecc…

Roberto non staccò gli occhi dall’apparecchio televisivo nemmeno in occasione delle pubblicità, mentre Beatrice passò uno dei più noiosi pomeriggi della sua giovane vita. Da allora Roberto cercò d’informarsi il più profondamente possibile su quel decennio che in un attimo gli era parso tanto splendido e speciale. Ed appunto ciò ebbe molta influenza nel suo stile di vita, insomma anche Roberto aveva avuto un suo cellulare ed un suo i-pod prima di allora.

Poi, tutti questi pensieri della ragazza, furono bruscamente interrotti dalla frenata dell’autobus, che si fermò proprio davanti alla loro scuola superiore. Lo stesso Roberto si ridestò pienamente, battendo la testa contro il sedile procurandogli, nel contempo, la caduta degli occhiali da sole.

 

Anche durante il tragitto dalla fermata dell’autobus alla scuola superiore, la ragazza tentò nuovamente di far tornare il suo fedele amico sulla retta via.

“Ma è possibile che tu voglia continuare a seguire questo inutile stile di vita?” gli chiese con voce seccata.

“Sai com’è, Bea: I came from the 80s!” fu la risposta del ragazzo.

 

Una volta entrati in classe i due, che condividevano anche i due banchi adiacenti l’uno all’altro, furono assaliti dalle tre migliori amiche di Beatrice: Alessandra, Sabrina e Stefania. Queste ricordavano alla ragazza, praticamente in coro, il saggio di danza che quel pomeriggio l’avrebbe vista protagonista.

“Immagino che oggi ci saranno anche loro tre…” constatò quasi sconsolato Roberto.

“Certo! E come potrebbero mancare, sono le mie migliori amiche!” gli rispose sorridente lei.

“A proposito, che canzone utilizzerai? “Maniac” giusto?” gli chiese con fare interrogativo il ragazzo.

A quella domanda Bea sbottò “Rob, ma è possibile che a volte sei così scemo? Ti ho già spiegato quattromila volte che si tratta di un saggio di danza classica! Con che criterio posso utilizzare il ritmo della canzone di “Flashdance”? Ma tanto che te lo rispiego a fare… e togliti quel ridicolo giubbotto che sembri Ufo Robot…” gli ordinò mentre si sedeva ed apriva la sua cartella.

L’altro obbedì al comando senza fiatare e, quando si andò a risedere accanto all’amica, l’atmosfera di rabbia si stemperò via via.

“Allora Rob sei pronto per il tema?” cambiò definitivamente il discorso Beatrice.

“hmm hmm” mugolò Roberto muovendo la testa in modo verticale poi, come ripresosi da uno stato catatonico dovuto ai pensieri che nel mentre seguiva nella sua testa, reagì “Che cosa stai dicendo, Bea?” in puro stile “arnoldiano”.

 

Le tre ore utilizzabili per il compito passarono davvero troppo rapidamente e Roberto, dopo un iniziale attacco di panico, era riuscito alla fine a tirar giù un accettabile tema.

Ed era giunto il momento della ricreazione, Roberto tirò fuori dalla tasca dello zaino un pacchetto di Ringo al cacao cercando di riprende gli zuccheri consumati per la prova appena terminata.

“Senti un po’, Rob, ma per quanto ancora continuerai con questa farsa?” gli chiesa Beatrice mentre sorseggiava un bicchierino di caffè preso dalla macchinetta poco fuori la classe.

“Quale farsa?” le domandò sorpreso Roberto.

“Ma come quale farsa? Questo vivere in puro stile anni ’80…” s’infervorò nuovamente la ragazza.

“E perché mai dovrei cambiarlo?” le chiese, guardandola dritto negli occhi scuri.

“Ma dai, Rob! Non ti rendi conto di quanto sei ridicolo? Ma non potresti comportarti come qualsiasi ragazzo della tua età?” gli urlò contro l’amica.

“Per poi fare cosa? Vestirmi sempre alla moda? Scaricare suonerie per il cellulare? Cercare di farmi più ragazze possibili?...” ed in questo caso anche la voce di Roberto aveva assunto toni più duri.

“Ma non dico questo, solo essere un po’ più… normale… insomma, possibile che tu non abbia un sogno per il tuo futuro?” ribatté sempre più seccata lei.

“Il mio sogno non è nel futuro. Il mio sogno… è nel passato” fu la risposta del ragazzo.

A quel punto, notando la determinazione negli occhi dell’amico, la ragazza uscì dalla stanza per fare un breve giro fuori e distendere i suoi nervi.

 

Al suono della campanella che preannunciava la fine della ricreazione, Beatrice tornò in classe e dedicò a Roberto un lieve ma dolce sorriso, gesto che annunciava che, nonostante tutto, nulla era cambiato nel rapporto fra di loro.

Dopo aver ricambiato con una strizzatina d'occhio, Roberto le chiese “Senti, Bea, ma ora c’è piscina giusto?”.

“Sì, perché?” domandò incuriosita la giovane.

“Bene! Due ore di completo relax!” le rispose il ragazzo, stiracchiandosi un po’.

“Non fai piscina?” constatò l’amica.

“No… ci metto troppo ad asciugarmi i capelli…” fu la risposta ironica di Roberto.

La ragazza emise una breve risatina.

Dopo un attimo di silenzio, Roberto riprese “A proposito… hai portato il…” ma al giovane non fu concesso di terminare la frase.

“No, Roberto, non ho portato il bikini tigrato! Ma come te lo devo dire che, oltre a non averlo, non mi comprerò mai un simile costume!” rispose secca e decisa Beatrice.

 

Come da previsione, Roberto passò quelle due ore in completo relax. Relax dato anche dal fatto che la sesta ed ultima ora era completamente libera, vista l’assenza della professoressa d’inglese.

I due ragazzi stavano dunque uscendo prima da scuola, visto che quel pomeriggio era particolarmente importante ed impegnativo per i due, quando s’imbatterono in un gruppo di persone che, disposte in cerchio, facevano d’arena ad altri due giovani che se le stavano dando di santa ragione.

“Che idioti! Ma perché nessuno li ferma? E perché non ci provi te, Rob?” scoccò la frecciatina Bea, squadrando l’amico.

“Cosa?!” esclamò lui, voltandosi preoccupato verso di lei “e te pensi che, visto che sono “speciale”, come dici te,  posso trasformarmi così, parimpampu, in un attimo e diventare un Guerriero della Notte?!”.

“Dai Rob, scherzavo! Non ti si può proprio dire nulla contro…” gli rivelò infine la ragazza, dandogli una lieve spinta e sorridendogli dolcemente.

Infine i due si allontanarono dalla zona, per evitare anche che gli venissero rivolte contro attenzioni sgradite.

 

“Oddio, sono talmente tesa per oggi!” ruppe il silenzio Beatrice.

“Ma no tranquilla, andrà tutto bene. E poi non sei una delle migliori del corso?” cercò di tranquillizzarla Roberto.

“Sì, però questo è il primo spettacolo che facciamo” insistette la ragazza.

“Tranquilla, sarà una passeggiata” proseguì il ragazzo.

“Speriamo, Rob… ci tengo così tanto a proseguire nella danza classica!” rivelò con aria sognante lei.

“Don’t stop believin’” aggiunse in perfetto inglese lui.

“Infatti” confermò Beatrice, anche se rimaneva il dubbio che avesse tradotto correttamente la frase di Roberto.

“Invece io spero un giorno di trovare una bella De Lorean DMC-12, come quella di “Ritorno al futuro”, e poter tornare indietro nei mitici anni ’80!” si esaltò il giovane.

“Ancora con questa storia, Rob! Ma è possibile che non pensi ad altro? Perché invece non ti trovi una bella ragazza con cui uscire?” cercò il cambio radicale di discorso la ragazza.

“Una ragazza tipo Sabrina di “È quasi magia Johnny?”” propose Roberto.

“Va beh, lasciamo stare…” rinunciò definitivamente al suo intento Beatrice.

I due, camminando con i propri sogni, erano finalmente arrivati davanti alla casa del ragazzo.

“Ciao, Rob, ad oggi! E ricordati: se non ti fai vedere, giuro che te ne faccio pentire a vita!” lo minacciò l’amica, con sguardo serio e dito indirizzato al collo come fosse un coltello, pronto a tagliargli la gola.

“Credo proprio che mi conviene darti ascolto” accettò la proposta dell’amica.

Poi, mentre Beatrice proseguiva il suo percorso diretta verso le sue mura domestiche e l’altro si avviava all’entrata, quest’ultimo richiamò l’attenzione della ragazza “Ehi, Bea!”

Lei chiaramente si voltò.

“Perché, quando devi fare la tua entrata per l’esibizione, non entri così!” e detto questo Roberto simulò, anche discretamente, la classica camminata del Moonwalker.

Beatrice, stanca di dover riprendere il ragazzo per le sue libere reinterpretazioni della danza classica, decise in parte di assecondarlo per una volta “Ci penserò su, Rob. Ciao a dopo!”

 

 

Il pranzo fu consumato velocemente da Roberto, come faceva di rado, e poi si ritirò subito nella sua camera da letto. Quel primo pomeriggio, era incredibilmente teso, quasi come se toccasse a lui a danzare sulle punte, invece che alla sua splendida amica Beatrice. Per un po’ provò a seguire le avventure dell’agente Poncharello in “Chips” alla tv, ma non ci fu nulla da fare. Allora percorse con lo sguardo da cima a fondo la sua stanza. Tutti quei cimeli provenienti quasi esclusivamente da un preciso decennio del millennio passato. Forse aveva ragione Bea, lui era davvero un po’ particolare.

Scrutò l’orologio: erano le tre in punto. Il saggio sarebbe iniziato un’ora dopo, però aveva un po’ di strada da fare prima di raggiungere il palazzetto dove si svolgeva lo spettacolo. Decise di partire.

Ma quasi varcata completamente la porta della camera, il ragazzo tornò per un attimo indietro ed afferrò rapidamente un oggetto di forma rettangolare che si trovava sopra la sua scrivania.

 

Percorsi un po’ di metri, il ragazzo era sempre più pensieroso, con tante riflessioni che gli turbinavano violentemente dentro la testa.

Pensieri come: “Certo che se ero il protagonista di “Rainbow Island” a quest’ora ero già arrivato da tempo. Un arcobaleno e via!” oppure “e se mi mettessi a correre… di certo arriverei sicuramente prima. Ma che dico? Mica sono T. J. Hooker…” ed ancora “appena ho diciotto anni mi compro subito una macchina, magari come la Supercar! E se poi si rivela essere un Transfomer?”.

Continuando ad occupare il tempo con questi ragionamenti, il ragazzo era infine arrivato a destinazione. C’era solo da attraversare una strada ed il palazzetto era di fronte a lui che lo attendeva, con attaccato sul muro dell’entrata in bella vista il poster promozionale dello show.

Il giovane fece un forte respiro e disse “Speriamo almeno che Bea sia una delle prime ad esibirsi…” mentre era sceso dal marciapiede e stava iniziando ad attraversare sulle strisce pedonali.

 

It's the final countdown...

We're heading for Venus and still we stand tall
Cause maybe they've seen us and welcome us all
With so many light years to go and things to be found
I'm sure that we'll all miss her so

 

Le note che uscivano dal lettore CD invadevano l’intero abitacolo della macchina. L'uomo alla guida della vettura aveva ben altri pensieri in testa. Era in ritardo per il lavoro, la sua ragazza lo aveva nuovamente lasciato perché non riusciva a smettere con la droga e, proprio quella mattina, aveva trovato un graffio sullo sportello dell’auto. Di certo i suoi pensieri non potevano essere gli anni ’80 o un saggio di danza classica. Nulla poteva fermarlo. Tantomeno un giovane ragazzo che attraversava la strada.

La macchina non provò quasi nemmeno a scansarsi o a frenare, il corpo fu preso in pieno. Roberto tracciò tre cerchi in aria prima di ricadere sul duro asfalto. Tanti quanti ce ne vogliono per scrivere il numero 80.

 

Beatrice continuava i suoi esercizi di riscaldamento, dando ogni tanto un’occhiata se dagli spogliatoi riusciva ad identificare Roberto tra il pubblico sugli spalti.

“Se oggi quel bastardo non si presenta, non gliela perdonerò mai!” pensava mentre, nello stesso tempo, ripassava i passi della sua perfomance.

“Nervosa?” le chiese una sua collega.

“No, va tutto bene” rispose lei poco convinta.

Ma l’atmosfera dentro tutto il palazzetto stava cambiando. C’era agitazione. Lo si percepiva pienamente nell’aria. E non era certo dato dalla buona riuscita o meno dell’evento.

Mentre stava dando l’ennesima occhiata sugli spalti, Beatrice vide subito che parecchia gente stava lasciando il palazzetto dello sport. Qualcosa non stava andando bene. Si decise ad aprire completamente la porta degli spogliatoi, noncurante dello stato di presentabilità che potevano avere le sue compagne di danza, e cominciò a chiedere ai presenti “Cosa sta succedendo?” con sempre più insistenza.

Una delle sue amiche le si avvicinò e le disse “Dicono che è stato investito un ragazzo fuori dal palazzetto!”.

“È uno vestito in maniera strana…” udirono le due ragazze da una voce maschile imprecisata.

Il mondo attorno a Beatrice, una volta ascoltata quella frase, per un attimo si bloccò. Poi ripartì e la stessa Beatrice ripartì con esso. Spintonò via la sua amica e andò contro la marea umana che si accalcava verso l’uscita della struttura. Il suo tutù bianco si sgualciva e si strappava sempre più ad ogni contatto che la ragazza aveva contro qualsiasi figura umana che gli capitava. Poi finalmente uscì.

Nella strada trovò moltissime persone, tutte disposte in cerchio davanti ad un punto preciso della via. Come erano quegli studenti all’uscita dalla scuola.

Anche in questo caso non fu facile per la ragazza farsi largo per identificare chi era la vittima dell’incidente. Poi lo vide.

Roberto era disteso con la schiena appoggiata all’asfalto della strada. Era proprio lui. Con la sua maglietta preferita, il suo solito giubbotto con le spalline e gli occhiali da sole qualche metro più in là. Il suo viso era sereno. La bocca stava quasi sorridendo e gli occhi erano sognanti come lei sempre li ricordava. Sembrava quasi che la stesse aspettando. Poi il rivolo di sangue che gli scendeva sulla parte destra del mento la riportò all'odiata realtà.

“Rob…” sussurrò appena prima di accasciarsi su di lui per stringerlo forte a sé.

Tale azione, però, le fu impedita da un uomo che la bloccò, dicendole “Signorina si fermi! Non è prudente muoverlo ora!”.

Le lacrime pungevano agli angoli degli occhi e Beatrice non aveva nessuna intenzione di trattenerle.

“Rob… Rob… Rob… Rob… Rob…” tra i singhiozzi della tristezza le uniche parole che uscivano dalla sua bocca erano queste.

Nel frattempo sia la polizia che e l’ambulanza erano sopraggiunte sul luogo. Anche se era evidente che per il povero ragazzo non c’era più niente da fare.

Le amiche di Beatrice tirarono su la ragazza, che fissava costantemente il volto di Roberto, ora attorniato dal personale medico. Intanto la polizia stava portando il conducente incriminato alla loro vettura. Beatrice lo vide. Solo una cosa si meritava quella persona.

Uno sputo della ragazza raggiunse in pieno volto l’uomo che non ebbe alcuna reazione, come non la ebbero i tutori dell’ordine che lo scortavano in quel momento.

 

Dopo istanti che sembrarono secoli anche il corpo di Roberto fu rimosso e caricato sull’ambulanza, che lasciò il luogo dell’accaduto a sirene spente. Beatrice fu portata negli spogliatoi dove aveva la sua roba. Lo spettacolo era stato definitivamente annullato.

Il volto della ragazza era ora inespressivo, con il solo battere delle palpebre ad identificarlo come un viso vivente. Le sue guance tonde erano rese lucide dal passaggio di tante lacrime. Le sue amiche le erano tutte attorno nell’attesa di una sua sperata reazione. Il suo tutù, oltre ad essersi sgualcito e strappato in più punti, ora era anche macchiato di sangue. Il sangue del suo migliore amico.

D’un tratto la ragazza prese in mano il suo cellulare, che era riposto dentro la sua borsa tra i suoi vestiti, e notò subito lo schermo illuminato dell’apparecchio che la informava di un nuovo messaggio arrivato. La giovane aprì l’sms, che proveniva da un numero non presente nella sua rubrica, e lesse:

 

“Ciao Bea, sono uscito ora da casa, Ci vediamo tra poco. Roberto”

 

 

 

FINE

 

  
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