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Autore: lulubellula    16/01/2015    5 recensioni
OutlawQueen
Regina si ritrova catapultata in un luogo sconosciuto dopo Neverland, qualcosa non è andato come avrebbe dovuto, è sola, stanca e ferita.
Sola con la sua coscienza, si ritroverà a fare un bilancio della sua vita, delle sue scelte e delle sue azioni, in un luogo in cui, dimenticare chi è stata non può farle che bene.
Un nuovo inizio, una nuova vita e anche un nuovo amore.
Alla ricerca della felicità e del lieto fine che ha sempre rincorso e che ora si merita.
"Robin si fermò un istante ad osservarla, i suoi occhi si soffermarono su di lei, pur non conoscendola, pur non sapendo chi lei fosse in realtà, non poté far a meno di restare stregato da lei, dalla sua figura sottile, da quel lampo di luce e di dolore che aveva colto quando lei si era voltata, qualche istante prima che perdesse i sensi".
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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   Finding true love

Fire

 
L’alba arrivò in un battito di ciglia e con essa il momento di fare ritorno a casa.
Robin e Regina rimontarono a cavallo e si avviarono verso l’accampamento dei Merry Men a parecchie miglia di distanza dal lago di Nostos. A differenza del viaggio di andata, disperato e angosciante, quello di ritorno aveva dei toni del tutto diversi, era più rilassato e quieto; se fosse stato un colore sarebbe stato un tono pastello, se fosse stato un paesaggio sarebbe stato un mare calmo e senza onde al tramonto, quando il rosso e l’arancione si mescolano al viola del cielo e vanno a gettarsi nello specchio d’acqua sottostante.
Regina si stringeva forte al busto dell’uomo, la sua testa appoggiata sulla schiena di Robin, quasi a volersi sentire il più vicina possibile a lui, quasi a percepire il bisogno di avere qualcuno che la proteggesse; anche una donna forte e indipendente come lei avvertiva di tanto in tanto il bisogno di qualcuno che si occupasse di lei.
Aveva un tono dolce e un retrogusto amaro quel momento per lei: divisa tra due opposti desideri, da un lato ritornare da suo figlio a Storybrooke, dall’altro trascorrere del tempo con Robin Hood.
Non voleva lasciarsi scappare l’occasione di essere felice con lui, non di nuovo, non dopo trent’anni di scappatoie e fughe magiche, non dopo essere andata e tornata dall’inferno buio e profondo della magia nera, della solitudine.
I suoi occhi si offuscarono per qualche istante, soffocati da calde e profonde lacrime argentee.
Il vento le schiaffeggiava il volto con la sua asprezza, il tutto acuito dalla velocità del destriero di Robin che procedeva spedito lungo le brughiere, le vallate, attraversando rigagnoli d’acqua e calpestando rovi e sterpi bruciacchiati dal sole e asciugati dall’azione di Eolo.
Si fermarono dopo qualche ora, l’accampamento era ancora piuttosto lontano, il cavallo ancora spossato per il viaggio d’andata e non era il caso di chiedergli un ulteriore sforzo.
“Sembra un buon punto per accamparsi, no?” domandò la donna, non esperta di campeggio e soste impreviste nelle vallate confinanti con la foresta di Sherwood.
Robin, preoccupato, scosse la testa.
“Non proprio, Milady, ma dobbiamo far riposare Goblin e farlo bere” disse, accarezzando il manto bianco del suo ronzino.
Regina lo guardò con aria interrogativa e preoccupata.
“Rischiamo un’imboscata o qualcosa del genere? Siamo solo in due, non penso che sia il caso di rischiare di farci catturare. La mia magia è ancora instabile, non so come né perché ma pare che non funzioni a dovere in questo luogo”.
Sulla fronte dell’uomo, aggrottata per la preoccupazione e i troppi pensieri che gli balenavano per la mente in quell’istante, si formarono delle giovani rughe, acuite dalla stanchezza e dagli avvenimenti degli ultimi giorni che l’avevano fatto invecchiare per lo sgomento, lo spavento, l’angoscia provata all’idea di perderla.
“Attenderemo qualche minuto e poi ci incammineremo a piedi con Goblin, dobbiamo assolutamente trovare un riparo per la notte ed è fondamentale trovarlo ora che è presto, c’è luce e nessuno percorre queste vie deserte, queste vie tanto amate dai briganti”.
“Anche voi siete briganti in un certo senso”.
Robin sorrise di fronte all’ingenuità di Regina.
“Ci sono briganti e briganti, mio amore. C’è chi ruba ai ricchi per dare ai poveri e chi ruba e uccide per arricchire se stesso. C’è un bella differenza, madame”.
Regina sorrise, l’accento affettuoso con quale Robin aveva pronunciato quel ‘mio amore’ la faceva sentire protetta, amata, fiduciosa.
“Andiamo a cercare insieme un riparo, cibo e legna per riscaldarci stanotte”.
Si apprestarono a camminare alla ricerca di un luogo sicuro, ma sembrava che in quella valle piana e avara di vegetazione, tutto fosse alla mercé di tutti, facilmente avvistabile a miglia di distanza.
“Dovrebbero esserci delle caverne disabitate da qualche parte, lì potremmo ripararci e sfamarci per poi ripartire domattina” la informò fiducioso.
Lei annuì e sorrise debolmente, avrebbe voluto poter fare maggior affidamento sulle sue arti magiche, ma dubitava che avrebbero potuto aiutarla in quel frangente e poi era sin troppo conscia del fatto che il Principe John l’avrebbe intercettata.
Era un perfetto idiota, ma purtroppo sapeva il fatto suo quando si trattava di arti magiche, era pur sempre stato allievo per qualche tempo di Cora.
Sua madre.
Le venne da rabbrividire all’idea, probabilmente l’avrebbe uccisa con le sue mani se l’avesse vista vagabondare per quelle lande senza importanza con Robin Hood.
Era pur sempre un principe, il principe dei ladri però.
Avrebbe ucciso entrambi, anzi avrebbe strappato il cuore a lui e obbligato lei a sposarsi con quel fantoccio senza fegato di John.
Inorridì al solo pensiero di quell’uomo odioso e insolente.
“Cosa ti turba, Regina? A me puoi dirlo. Insomma, so che non ci conosciamo ancora bene, ma io, tu, noi … penso che ci sia qualcosa di speciale tra noi due”.
La donna pose il suo indice sulle labbra dell’uomo a sfiorargliele con delicatezza.
“Non agitarti, Robin, era solo pensierosa, non preoccuparti. Vedo che sembri piuttosto confuso e non dovresti. Ci siamo baciati, è vero, ma era una situazione disperata, io stavo morendo e tu forse ti sei lasciato prendere dal rimorso e dal panico – abbassò lo sguardo e arrossì – insomma, non sei obbligato, lo capisco se ora non ti senti a tuo agio con questa cosa, non devi sentirti in dovere nei miei confronti …”.
Lui la fissò perplesso e poi colse la paura e il timore nelle sue parole.
“Shhh, io non sto ritrattando nulla e non ho paura, ti ho salvata perché era la cosa giusta da fare e ti ho baciata perché era ciò che volevo e sentivo nel mio cuore. Non è stato sbagliato e lo rifarei un milione di volte, non mi pento di nulla e spero che lo stesso valga per te”.
Lei si voltò un istante e riprese fiato, fece un respiro profondo e cercò di trattenere una lacrima, una sola, calda, chiara, che, suo malgrado, le sfuggì lo stesso.
“Regina” disse quasi in un sussurro, ponendole un braccio sulla sua spalla.
La asciugò con un rapido movimento delle dita e si voltò.
“Sì. Nemmeno io mi pento di nulla”.
“Allora perché piangi?” le domandò preoccupato, un’espressione dolce e solidale dipinta sul volto.
Lottava contro l’impulso irrefrenabile di abbracciarla, di stringerla forte a sé sino ad inebriarsi del profumo della sua pelle e accarezzare i suoi capelli color dell’ebano.
“Ho paura, voglio dire, sono felice, ma ho paura. Non ho mai pensato che potesse succedere, non dopo Daniel. Mia madre lo ha ucciso davanti ai miei occhi, gli ha strappato il cuore dal petto e lo ha ridotto in polvere perché, secondo lei, lui non era abbastanza. Lo amavo con tutta me stessa e lei me lo ha portato via e ho giurato che non sarebbe più successo!” disse prima di iniziare a piangere, lacrime trasparenti a scorrerle lungo il viso.
“Sarebbe successo, cosa?” domandò piano l’uomo.
“Questo, il nostro bacio, Robin. Ho avuto altri uomini dopo di lui, ma non ho mai amato nessuno. Ora ho paura, paura di tutto, che possa succederti qualcosa, che ti possano portare via da me, che tu decida di andartene …”.
Smise di parlare, la voce rotta dai singhiozzi.
Robin vinse il timore iniziale e la strinse forte a sé.
“Non me ne andrò Regina, non mi accadrà nulla di brutto e non mi farò uccidere. Io non ti lascerei mai sola, sei con me da pochi giorni, ma una cosa la so: non vorrei mai che qualcosa o qualcuno ci separasse”.
Regina non sapeva come reagire, come rispondere alle sue parole franche e sincere, si avvicinò a lui e lo baciò piano, un bacio breve e dolce prima di separare nuovamente le loro labbra.
Lui le sorrise e si incamminarono insieme alla ricerca di un posto dove passare la notte successiva, un luogo che fosse meno esposto a possibili attacchi e che non li allontanasse troppo dalla via del ritorno.
Ben presto il caldo e l’assenza di alberi o arbusti sotto ai quali sostare e riposarsi si fecero sentire.
“Conosco un villaggio a una manciata di miglia da qui, è un po’ fuori dalla via maestra, ma almeno potremmo riposarci, fare provviste per il ritorno e lasciare riposare Goblin per qualche ora. Credi che sia una buona idea, Regina?”.
“Sei tu l’esperto di queste zone sperdute, Robin, mi fido di te. Sappi solo che se dovesse accaderci qualcosa di spiacevole, non mi resterà che fartela pagare”.
Robin sorrise a metà tra il divertito e il preoccupato.
“Posso sapere di che morte morirò, Vostra Maestà?”.
“Ovviamente no, mi toglieresti tutto il gusto di vederti soffrire”.
Passarono diversi minuti prima dell’arrivo al villaggio, minuti nei quali parlarono, flirtarono e si presero scherzosamente in giro anche se in modo composto, i pericoli e le insidie che quella valle desolata poteva nascondere erano dietro l’angolo.
Erano solo in tre: un ladro gentiluomo dalla mira infallibile, una ex regina cattiva e un ronzino dal manto biancastro, non esattamente un terzetto che avrebbe suscitato timore e paura, anche se erano ben lungi dall’essere degli sprovveduti sempliciotti.
Il villaggio si mostrò ai loro occhi ben prima di poter essere raggiunto, nuvole rossastre e il fumo proveniente dalle casupole in fiamme mettevano ben in evidenza che lo scenario che si sarebbe presentato dinnanzi ai loro occhi sarebbe stato devastante.
Ben poco prudentemente, Robin iniziò a correre, sapeva che si sarebbe trovato dinnanzi uno spettacolo orribile ed era ben conscio di chi fosse il colpevole di tale scempio.
Il Principe John.
Regina lo seguì, dimenticandosi di legare Goblin ad un albero.
Il cavallo, spaventato per le fiamme, fuggì più veloce della luce, lasciandoli senza provviste, acqua, quella coperta che, seppur misera e usurata, era pur sempre meglio di niente di notte, quando faceva freddo.
“Robin!” gridò, dimentica del fatto che potessero esserci guardie reali ancora nei paraggi.
L’uomo era inginocchiato a terra, il volto tra le mani, sembrava così giovane e al tempo stesso così vecchio, era immobile, spezzato, come se non avesse più le forze per rialzarsi in piedi e proseguire oltre.
Regina si avvicinò a lui e, messasi in ginocchio a sua volta, lo abbracciò forte e pianse con lui, in silenzio, per quello che parve ad entrambi essere un’eternità.
“John, Regina, quell’uomo, non dobbiamo vendicare queste persone! Ha sterminato un villaggio intero!” disse a denti stretti, il dolore era così forte che si morse la lingua per non mettersi a gridare.
Le case erano ridotte a brandelli, erano perlopiù casupole di mattoni cotti al sole, legno, paglia e fango mescolati insieme, si erano accesi come torce ed erano bruciati in fretta.
“Devono averli attaccati di notte, nel sonno, mentre donne, uomini, bambini e vecchi dormivano profondamente. Non hanno fatto in tempo nemmeno ad accorgersene”.
“Non ci sono sopravvissuti? Hai già controllato?” chiese lei a voce così bassa che a malapena lui riuscì ad udirla.
“Non ne ho avuto il coraggio”.
La donna si rialzò in piedi, in equilibrio incerto e gli tese la mano.
“Andiamo insieme, ci faremo forza a vicenda”.
L’uomo si rialzò in piedi e iniziò a camminare con fare incerto, le fiamme in certe casupole erano altissime e di pozzi non c’era alcuna traccia.
Provarono a spegnerle come poterono, con quello che capitava, coperte, stracci, terra, sassi, ma loro erano in due e i focolai troppi.
Tentarono di chiamare le persone, di vedere se ci fosse qualche superstite ma non ebbero risposte.
Solo qualche minuto dopo, Regina tirò un lembo della manica della casacca di Robin incredula.
L’uomo si voltò in risposta e tutto quello che la donna riuscì a fare fu indicare una figura poco lontana rispetto a loro.
Era una bambina, tutt’al più avrebbe potuto avere cinque o sei anni.
Aveva una cascata di capelli color cioccolato legati maldestramente in due trecce che le ricadevano sulle spalle e due occhi azzurri tristi e spenti.
Stringeva al petto una bambolina di saggina e indossava delle vesti bruciacchiate.
E quando guardò la donna negli occhi a lei parve di specchiarsi in una se stessa fanciullina, stesso volto, stessi capelli, solo il colore delle iridi era differente.
L’uomo non poté fare a meno di restare sotto shock allo stesso modo, forse perché quell’unica sopravvissuta era la copia perfetta della donna che amava o quasi, tranne gli occhi, perché quelli erano in tutto e per tutto identici ai suoi.
   
 
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