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Autore: Serenity11    22/11/2008    2 recensioni
Ecco una semplice vicenda di una ragazza di città stanca e vittima del cosiddetto "male di vivere".
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.Le lacrime di una fenice

Maledetta monotonia

Così come non fossi mai esistita, così come fossi un fantasma qualunque della società urbana americana passavo quelle giornate silente in quel mare di pecorelle smarrite.

In quel flusso quotidiano vi era sempre un cosiddetto chaos.

Chaos nei treni, nelle vie, nelle scuole, nelle poste, nelle università, nei giardini, nei supermercati….e così via.

Dappertutto.

Ed ovunque c’era il chaos c’era sempre una fila.

Accesi una sigaretta e la portai fra le labbra, poco dopo sbuffai rumorosamente la vampata che già si mescolava con quell’acre odore di smog, mentre posteggiavo la mia Volvo celestina nuova di zecca. La lezione era iniziata. Mi sistemai il ciuffo.

Ma faceva sempre schifo. Ogni capello andava per le sue.

Ci rinunciai e scesi.

Gettai il mozzicone, che schiacciai con il tacchetto delle mie ballerine a punta rotonda di velluto rosso.Ero abbastanza sexy in effetti.Il mio vestitino con fiorellini neri e rossi era abbastanza scollato.Non me ne preoccupai.

Mentre mettevo l’allarme un ragazzino aveva appena calpestato qualcosa, erba umida?

No.

Il profumino non lo confutava.

Continuai la mia passeggiata. Lasciavo sempre una schiera di ammiratori e dei fischiettini fastidiosi tipo ragazzo in calore, voglioso di scopare.

Mi morsi il labbro piu’ volte, onde evitare stragi sul marciapiede di Via Routs, pressocchè quasi arrivati alla mia lezione.

Volsi lo sguardo in alto.

Pessima scelta.

Il grigiore nuovoloso preannunciava che vi sarebbe stato nel tardo pomeriggio un temporale.

Eppure IO avevo qualcosa. Piu’ di quel grigiore.

Piu’ di quei maledetti e insulsi adolescenti.

Piu’ di quella maledetta ma amata Boston.

Male di vivere?

Forse.

Lo avevano chiamato così i scrittori del Novecento.

Pirandello. Svevo.

E quanti altri?

Io,questa sensazione, la definivo con un elemento.

Una parola?Monotonia.

Quella giornata era una delle tante mattinate monotone di quei tanti giorni monotoni dove ti svegli e non noti la purezza della vita che si staglia davanti a te giorno per giorno, ora dopo ora e così via.

Eppure è lì.

Ti bussa sulla corteccia[(cerebrale )= alias il tuo cervello] e ti grida: < /FONT>

-…Ma che stai facendo?Che fai?Io(la vita) scorro e tu non fai NIENTE!NIENTE DI NIENTE.!”

A questo punto tu cosa fai?Ti eclissi…-

Non curante di ciò, ti appisoli nel tuo dolce far niente, perché sai che in fondo il tuo tempo si è fermato. Infatti, la clessidra ha smesso di sciupare il grumolo di sabbia (i tuoi anni, o al meglio dire i miei anni)che scorreva nella tua carne, nei tessuti capillari del tuo corpo esile.

Il mio flusso di pensieri era ben oltre la lezione di Musica che si stava svolgendo.

Dolci melodie, arpeggi e battiti di mani danzavano all’unisono.

Le corde, tese al massimo, riempivano quella sala delle sue emozioni, dei suoi amori, delle sue passioni e …note.

Rosalie suonava con grazia, accompagnata dal docente.

Una bellissima ragazza bionda, quella delle favole, insomma.

Quelle troppo perfette.

Lui,invece non lo era affatto.

Un tipo poco curato.

Si vedeva che gli anni lo avevano sciupato.

Occhialini sulla punta di quel naso lungo e “appuntito”,fastidioso.

Il suo corpo esile come una palma d’estate.

Insomma, un semplice rammolito.

Per così dire.

Eppure le sue mani erano bellissime.

Tutto gli si poteva contestare.

Gli occhi affossati.

La boccuccia piccolina.

Quel maledetto naso.

Ma non le mani.

Quelle erano perfette!

Perfette per suonare uno strumento.

Affusolate, non troppo lunghe. Unghia piccole,arrotondate e limate al punto giusto.

Correvano tra i tasti del piano, accompagnando quel turbino di note, emesse da quelle sibilanti corde, stanche e vogliose di una pausa.

Avrei voluto tanto essere una di quelle corde.

Così avrei potuto sopprimere quelle sensazioni che provavo.

Inspirai l’aria che sapeva di menta.

Il bagnoschiuma di qualcuna che si era scordata della quantità e delle varie essenze cui esso si mescolava.

I boccoli le cascavano sulle sue spalle.

I colpi dell’archetto rituffavano quei boccoli all’unisono.

E via di nuovo.

Un altro accordo.

Dolcemente rannicchiata tra le ultime file, sfogliavo con le dita rosee le pagine della mia agenda dalla rilegatura vellutata di un colore rossiccio ormai stinto.

C’erano vari spartiti sbiaditi.

In fondo alle ultime pagine. Neanche li notai.

Che noia, non ne posso piu’

Sbuffai. Ormai sembravo una locomotiva.

Nota bassa,nota bassa e nota alta.

Stazione di monotonia e poi …LO STUPORE.

La rivincita del piano sul violino.

Era una continua lotta.

Chissà chi avrebbe vinto?!!!

I miei capelli ricci erano svogliatamente raggruppati in un elastico che diceva “ti prego, basta non ne posso piu’”.Eppure era l’unico che avevo. Non mi interessava di aver preso da mia padre o da mia madre quel colore. Ero così punto e basta. Stanca, di sentire sempre le solite cose.

Ricordo che molte volte mi facevano sempre le solite frasi fatte; “guardate, ha lo stesso naso di suo padre!....ha la stessa corporatura della madre…ha lo stesso mento della zia Margherita…si..quella che è la sorella del fratello di una mia cognata”.

O al meglio dire; le solite Discussioni inutili.

Monotonia.

Era questa la parola magichina.

La parola cui ruotava ogni cosa.

E quella maledetta vita.

Di città, ovvio.

La vita monotona si ha quando non vi sono pericoli che possano alterare le nostre percezioni.

Non avrebbe detto la medesima cosa, sicuramente il selvaggio australiano che corre con la lancia in mano per scempiare la creatura che costituirà il suo pasto, per quanto unico che sia.

Ero stanca di quella maledetta monotonia.

Del dolce far niente

Di vivere come una pecora.

In uno Stato dove non si sa neanche chi è al potere, chi dice questo, chi dice quello..che bilancio economico si ha nel proprio paese(perché è una questione di rilevante importanza sapere la valuta della propria borsa europea. Come la pasta con i broccoletti di Bruxelles!Che te ne frega, sono sempre broccoletti!)

Monotonia

Monotonia.

Monotonia.

Potevo farci una canzone.

Una cosa era certa.

Il titolo sarebbe stato Maledetta Monotonia.

  
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