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Autore: tiny_little_bee    17/01/2015    1 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Cronache_del_ghiaccio_e_del_fuoco]
[http://it.wikipedia.org/wiki/Cronache_del_ghiaccio_e_del_fuoco]Finalmente, dopo anni, Arya ha trovato la sua pace a Braavos, e aspetta di ritornare a Grande Inverno e riunirsi al suo branco, o ciò che ne resta. Un giorno, dopo molto tempo, ritrova proprio a Braavos la sua felicità, il ragazzo che aspettava da molti anni.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Arya si trovava a Braavos ormai da diversi anni. Quella città libera le era entrata nel sangue, era diventata parte di lei. Forse perché l’aveva salvata dalla spirale di violenza e tradimenti che erano i Sette Regni.
Aveva affinato le tecniche di combattimento, era diventata una spadaccina formidabile, quasi come il suo primo maestro ad Approdo del re. Le faceva male ricordare in che modo quell’uomo era morto, salvandola dagli aguzzini di “re” Jeoffrey. Quell’idiota, pallone gonfiato, usurpatore al trono che di diritto era di Gendry. Altro che Stannis. Lui era stato riconosciuto dalla cittadella figlio di Robert Baratheon, seppure frutto di un adulterio, e per questo aveva diritto a pretendere il trono molto di più del fratello del defunto re. Però, alla fine, né Stannis né Gendry avevano avuto il Trono di Spade, no. Dal continente orientale una forza animalesca aveva spazzato via intere guarnigioni ed eserciti. I draghi erano tornati, e con loro Daenerys Targaryen, Nata dalla Tempesta, regina degli Andali e dei Primi Uomini, Madre dei Draghi, e altri vari nomi a seguire. Arya non era dispiaciuta di quella situazione, tuttavia. Sentiva che era giusto che la Khaleesi prendesse il suo posto al governo del continente occidentale come decine di generazioni Targaryen prima di lei. Da quando Daenerys era salita al potere c’era stato un periodo di pace e severità, di forte moralità, e lei era stata subito amata dall’intero popolino della capitale, e, in seguito, perfino al nord era stata apprezzata come regina.
Finalmente Arya viveva in pace nella sua città preferita. Ancora un poco di tempo e sarebbe tornata a Grande Inverno, avrebbe ritrovato il suo branco e sarebbe di nuovo stata felice, completa. Sentiva ogni giorno il dolore per la perdita di suo padre, sua madre, e Robb. Il lord protettore del Nord che era stato brutalmente assassinato insieme alla madre sotto il tetto e l’ospitalità del lord del Guado. Ma gli antichi dei erano stati impietosi con quel lord fasullo: tutte le sue mogli e le sue “splendide” figlie e nipoti erano state decimate da un’epidemia fulminante, che, infine, colpì anche lui. Quell’insulto all’onore dei lord aveva visto perire la sua intera stirpe prima di andare via anche lui. Almeno, Arya si rallegrava, sulla faccia del mondo era scomparsa una verruca, una di quelle che rovina tutto ciò che ha accanto.
Arya era molto apprezzata a Braavos. Era diventata anche molto ricca, partendo solamente da quella moneta di ferro.
Valar morghulis. Valar dohaeris.
La sua Ago non l’abbandonava mai; proprio con quel piccolo fioretto aveva iniziato l’apprendimento delle danze orientali. Col tempo, la sua bravura aumentava, così come le sue ricchezze. Infine, un anno prima, era riuscita a comprare una favolosa villa con vista sul mare. Oltre all’arte della spada, aveva acquisito conoscenze diplomatiche e amorose. Per caso, il secondo anno di permanenza a Braavos, aveva bussato per chiedere asilo per la notte nell’accademia delle adepte di Irogenia di Lys. Quando se ne rese conto era già stesa in un letto, ad ascoltare i rumori delle neoadepte, nelle stanze adiacenti alla sua, che si esercitavano con le tecniche che avevano imparato durante la mattina. Dopo un paio di giorni in cui le maestre dell’ordine non la pressarono per farla andare via, lei si abituò al tenore di vita delle ragazze, e ripagò la loro ospitalità aiutandole nei lavori del mantenimento della casa. Col tempo, in tre mesi circa di permanenza, imparò anche lei un paio di trucchi dell'arte dell'amore erotico.
Ormai era una donna matura, aveva vent’anni, e da quando era partita era molto cambiata. Ora comprendeva che una donna, per dimostrarsi forte, non aveva bisogno di un’armatura, come Brienne di Tarth. Sapeva che a lei, in quel luogo magnifico, non serviva. Le sue ricchezze le permettevano di vivere abbastanza agiatamente, coprirsi di morbide sete a perfino avere una cameriera personale. In realtà era una specie di schiava, ma lei non la trattava come tale e odiava, perfino, quella parola. Per lei, quella giovane donna non era affatto una sua proprietà: la trattava con rispetto, le chiedeva gentilmente di eseguire le mansioni che le erano affidate, la chiamava per nome, la faceva vivere con lei. Aveva fatto in modo di farsi amare, con quella ragazza, all’inizio un po’ diffidente nei suoi confronti. Si era fatta ben volere da molti, in città, e, oltre che per i soldi, il suo prestigio era accresciuto dalla stima nei suoi riguardi che perfino i più grandi mercanti della città le riservavano.
Era diventata una bellissima giovane donna. I suoi tratti nordici, duri, quasi spietati, erano molto apprezzati nella città libera, e i suoi setosi capelli bruni erano il suo punto di forza, abbinati a quei penetranti occhi grigi. Quegli occhi parlavano da soli. Lasciavano intendere un mondo di sofferenza, che si celava dietro le vesti di una donna forte e coraggiosa. Tormentosi vortici di dolore si muovevano sotto le ciglia folte e brune, e tutti rimanevano incantati da quel contrasto così evidente tra ciò che appariva e ciò che provava. Nessuno la conosceva per chi era.
Lei era Arya Stark di Grande Inverno. La quarta figlia di Ned Stark, discendente diretta dei Primi Uomini, fedele agli antichi dei. Eppure tutti la conoscevano per Arya, la ragazza venuta su dal nulla, come accadeva spesso in oriente, che tirava di spada e conosceva l’arte dell’amore. Era anche una brava mercante, ad essere sinceri; possedeva una grande nave che salpava regolarmente carica dal porto di Braavos per attraccare ad Approdo del Re. La sua ricchezza veniva anche da quei carichi di tesori orientali ed esotici che partivano verso il continente occidentale.
La sua vita passava tranquilla, mentre lei aspettava il momento propizio per tornare nel Nord, per andare a trovare il lord comandante Jon Snow alla Barriera. Trascorreva i suoi giorni sbrigando faccende in città, al porto, passeggiando per le strade ed i mercati.
Proprio una di quelle passeggiate cambiò radicalmente il suo umore e anche, forse un poco, la sua vita.
Non erano moltissime le acciaierie di Braavos, e lei conosceva i loro proprietari di persona, dovendo equipaggiarsi per le sue gare di spadaccini. Eppure un giorno, passando davanti ad una delle sue preferite, notò un particolare insolito e assolutamente incredibile. Visibile dall’esterno, ma non esposto tra le merci, un elmo di ferro placcato svettava su un tavolo della bottega, semi sommerso da utensili vari e grembiuli di cuoio. Un elmo a lei molto familiare.
Decise di entrare nella bottega, sperando di trovare il proprietario di quell’elmo chino sulla fucina, intento a fabbricare spade lunghe a due mani e ad aggiustare armature ammaccate, come lo ricordava lei.
Entrando, l’odore penetrante di metallo le entrò nelle narici, mentre l’adrenalina cresceva nel suo corpo. Quasi tremava dall’emozione. Si avvicinò, aggirò un’incudine e seguì il rumore battente. Con sua grande delusione, l’uomo che lavorava l’acciaio era il solito fabbro, alto, scuro e con un poco di pancia che faceva capolino da dietro il grembiule. Una sorta di tristezza s’impossessò di lei, che era sicura dell'identità del proprietario di quell’elmo.
Sospendendo il lavoro, il fabbro lasciò i ferri del mestiere e si tolse i guanti.
-Mia signora- fece un inchino, per quanto lusinghiero, piuttosto buffo da parte sua. Lo faceva ogni volta, e ogni volta ad Arya sembrava un orso che tentava di toccarsi le zampe posteriori piegandosi in due. La faceva sempre sorridere, ma quel giorno il suo viso era più tirato del solito.
-Salve, amico mio. Sono entrata per chiederti di quell’elmo. Lo voglio comprare.- disse lei senza mezzi termini. Il suo tono lasciava intendere che non si sarebbe arresa facilmente, che avrebbe ottenuto quello che voleva. L’aveva acquisito col tempo, dopo aver trovato di nuovo la sicurezza del denaro, perchè era un tono che, chi era povero, non poteva permettersi. Era piuttosto efficace, quando si parlava di affari, essere sicuri di sé.
-Mia signora sono mortificato, ma temo che quell’elmo non sia in vendita.- disse lui torcendo tra le dita muscolose quei guanti logori e usurati. Il volto tradiva il rammarico e la preoccupazione di perdere una cliente.-Non è una mia opera, mia signora, ma se lo desidera davvero gliene posso fabbricare una copia. È davvero un bel pezzo di ferro, vero? Glielo potrei placcare in oro, se preferisce, e vi potrei incastonare dentro dei rubini, proprio dove si trovano gli occhi dell’animale. Così è davvero inadatto ad una proprietaria come lei, a mio parere, ma se mi permetterà di riprodurlo per lei, sono sicuro che sarà la spadaccina più invidiata di tutti i continenti.- tentò di migliorare la situazione, allettandola con promesse di fama e gloria in tutto il mondo, così come faceva ogni volta che non poteva darle ciò che voleva. Non aveva ancora capito che ad Arya tutti quei complimenti non servivano.
-Dì a quello che l’ha forgiato che lo voglio, così com'è. Che me lo porti questa sera alla mia villa, senza discutere. Sai dove si trova.- posò due monete d’oro sull’incudine e, senza aspettare risposta, voltò le spalle al fabbro allibito e si allontanò con passo sicuro.
Tornò di corsa a casa sua, facendosi preparare un bagno rilassante. Voleva essere al meglio, per quella sera. Voleva che lui fosse piacevolmente stupito di come la piccola Arya, quel piccolo scricciolo, fosse diventata una vera donna. La sua cameriera l’aiutò a prepararsi e intrise i suoi capelli e la sua pelle di oli profumati. Preparò la sua camera per l’occasione, accendendo il fuoco e sistemando dei cuscini vicino il camino. Sarebbe andato tutto secondo i piani, lo sapeva. Doveva andare tutto secondo i piani. Era troppo tempo che non lo vedeva, doveva stupirlo. Scioccarlo. Rapirlo.
Quando lui arrivò, Arya aveva dato ordine alla cameriera di lasciarlo entrare e poi andare via per il resto della notte. Lui sembrò stordito da tutto quel lusso e dall’assurdità della situazione in cui si era cacciato per quell’elmo. Entrò titubante nelle stanze private della padrona di casa, invitato e sospinto dalla cameriera. Volgendo gli occhi blu verso la donna che sedeva di fronte al caminetto, sommersa di sete e cuscini, non poté che ammirare la voluttuosità delle sue forme, coperte di stoffa ma invitanti come se fossero state nude. Rimase imbambolato ad osservare quella creatura magnifica, a studiare quella sua pelle pallida, così esotica per lui che, ormai, conosceva soltanto ragazze dalla pelle dorata del continente orientale. Quella pelle gli ricordava qualcosa. Si riscosse dai suoi pensieri quando si rese conto degli occhi grigi che lo studiavano divertiti. Anche quegli occhi grigi gli ricordavano qualcosa.
-Mia signora- fece un leggero inchino, come quello che aveva fatto ad Arya Stark dopo aver scoperto che non era affatto quello che voleva sembrare. Un sorriso affiorò sulle labbra della donna, mentre ancora lo scrutava.
-Sei qui per l’elmo, tu credi, vero?- domandò la seduttrice con voce vellutata. Il fabbro annuì, ancora attonito di fronte a tanta bellezza, e lei continuò.
-Peccato che io non voglia affatto il tuo elmo, Gendry. Non più di quanto lo volessi ai tempi dell’originale.- sospirò, tornando ad osservare il fuoco scoppiettante. A quel punto, Gendry non poté che essere confuso. Che ne sapeva lei dell’originale?
-Come sapete che non è questo l’originale?- domandò titubante, dimenticandosi il “Mia signora”. C’era qualcosa di strano in quella donna. Era più giovane di lui, eppure sembrava così esperta e sapiente. Le ricordava inspiegabilmente qualcuno.
-Mi offendi, così, Gendry. Vuoi dire che non ti ricordi di me?- volse i penetranti occhi grigi verso il fabbro, un sorrisetto malizioso che le aleggiava sulle labbra.-E pensare che sarei potuta essere la tua famiglia, o almeno credevo di poterlo essere.- disse, un’ombra le oscurò per un istante lo sguardo, e le ciglia nere di nuovo si abbassarono a proteggere il mondo dal male che la tormentava.
-Chi siete, mia signora?- domandò allora Gendry avvicinandosi inconsciamente alla donna, non potendo credere a ciò che gli diceva la sua mente. Non poteva essere lei. Impossibile.
-Ancora non ricordi, Gendry? Eppure siamo scappati da Harrenal insieme. E considerato che non posso essere Frittella…- iniziò lei, volgendo nuovamente lo sguardo verso il ragazzone che stava in piedi, ancora sulla soglia della stanza, reggendo tra le mani quell’elmo placcato a forma di testa di toro.
-Arya…- sussurrò sbarrando gli occhi stupito. Ci era riuscita. Arya l’aveva scioccato.-Non è possibile.- continuò lui.
-Beh, è possibile invece. Io sono Arya Stark, di Grande Inverno, e tu sei Gendry, il bastardo di Re Robert, quello che ha fatto uccidere sia John Arryn che mio padre, entrambi primi cavalieri del re. Ma non ti biasimo affatto per questo, non temere.
-Arya.- ripetè Gendry, ancora sotto shock. Lei decise di alzarsi, facendo scivolare a terra tutte le sete con cui si era coperta fino a quell’istante, lasciando alla mercé dello sguardo affamato del ragazzo dai capelli bruni e gli occhi blu ogni centimetro della sua pelle. Gli si avvicinò, prendendogli l’elmo dalle mani e posandolo sul tavolino poco distante. Si avvicinò ancora, appoggiandosi al corpo muscoloso del ragazzo, ormai diventato un uomo. Gendry aveva aspettato così tanto quel momento. Quasi ogni notte Arya gli compariva in sogno, facendolo soffrire. Adesso finalmente l’aveva nelle  braccia, tra le sue braccia, dopo anni di tormentosa solitudine. Sapeva che non avrebbe mai dovuto andarsene via, abbandonarla per seguire la fratellanza senza vessilli, ma allora aveva creduto che non avrebbero avuto alcun futuro e nessuna speranza. Adesso invece la stringeva forte, per paura di lasciarla di nuovo andare via. Ripeté ancora il suo nome, interrotto dalle labbra di Arya che, invadenti, gli avvolgevano le sue.
-Sono stata troppo tempo senza di te, e tu senza di me. Tutto ciò che voglio, ora, è averti dentro di me. Riguadagnare il tempo perso, ormai andato. Averti vicino…- mentre parlava, Gendry lasciava le sue mani avvolgerla e massaggiarla sensualmente, le labbra muoversi sul suo collo, leccandole la gola, e le sue dite infine trovare il suo punto più intimo e delicato, stimolarlo leggere, lasciandola senza fiato, interrompendo il suo discorso- …vicino, Gendry.
Fecero l’amore fino all’alba, insaziabili l’uno dell’altra, sentendosi finalmente completi della propria perfetta metà mancante. Finalmente, dopo anni, dopo viaggi ed errori, si sentivano felici.
   
 
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