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Autore: Theredcrest    17/01/2015    4 recensioni
Il Varco è aperto. L'Inquisizione, formata dalle menti più brillanti del Thedas, combatte per liberare il mondo da un nemico che potrebbe rivelarsi impossibile da sconfiggere. Eppure, la speranza è ancora viva, riposta nelle mani dell'Inquisitore, dei suoi compagni e consiglieri. Ognuno di loro con le proprie esperienze. Ognuno con le proprie ferite.
Il Comandante Cullen è uno di loro. Segnato dal passato e dagli errori che lo tormentano, si concentra sull'Inquisizione per porvi rimedio e ritrovare una pace che non conosce da molti anni. Ma potrà mai farlo?
Attenzione: il testo contiene spoiler sulla trama del videogioco.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Controllarono i morti e cercarono di dare un aspetto degno a quelli messi meno peggio, per quanto potessero col tempo che stringeva e li spingeva a proseguire. Cullen trovò una spada lunga ben affilata che scambiò con quella ornamentale in suo possesso e Kassandre si armò di un pugnale di semplice fattura, mentre Dorian intascò alcune foglie di radice elfica dai corpi e dalla bisaccia del cuoco, buone da masticare per lenire il dolore di eventuali ferite. Ovunque attorno a loro, i segni della lotta mostravano agli occhi del Comandante che gli elfi avevano reagito ai loro assalitori con la stessa velocità con la quale erano stati attaccati, sebbene questo non li avesse salvati da una fine violenta: ogni cadavere che fosse stato lasciato intatto era armato e quanto ai pezzi... alcuni tenevano ancora gli archi stretti tra le dita ormai morte. Una volta fatto ciò che ritenevano quantomeno necessario, si incamminarono per l'unico percorso possibile che li avrebbe portati al giardino interno, possibilmente luogo di una trappola ai danni dell'Inquisitore.
Cullen e Dorian si guardavano attorno con circospezione mentre Kassandre, col bastone stretto in mano, camminava con apparente tranquillità in mezzo a loro. L'eventualità di un'imboscata ad ogni stanza si faceva sempre più reale mano a mano si avvicinavano al luogo designato, ma a parte un gatto dall'aria costosa che li mise in allerta non trovarono nessun'altra sorpresa ad attenderli. Dorian riempì il silenzio per un po' con le sue considerazioni sull'architettura Orlesiana, divertendoli con commenti caustici e frecciatine ai nobili, ma ben presto anche quella conversazione si perse.
Fu poco prima di arrivare al giardino che Cullen iniziò a considerare tutta quella calma alquanto innaturale. Anche nelle stanze inusate di un enorme palazzo che fungeva da residenza estiva, considerò, il fermento non si fermava mai: i Venatori potevano anche aver eliminato la maggior parte degli elfi nelle sale della servitù, ma c'erano ancora molti camerieri e inservienti che facevano spola tra la festa e il resto dell'enorme tenuta per portare agli invitati tutto il necessario, fosse un foulard dimenticato nella carrozza o un anello perso nei cortili anteriori. Non dubitava fossero sacrificabili per i loro avversari, così come qualsiasi uomo o donna sulla loro strada a prescindere dall'importanza, ma se questi ultimi erano furbi almeno un decimo di quanto sembravano dovevano anche sapere che eliminarli avrebbe comportato ben più di qualche disagio alla festa: sarebbe stato difficile non accorgersi che le tavole imbandite non venivano più rifornite, che le bottiglie vuote rimanevano tali e che nessuno più si occupava di desideri e capricci nobiliari. Questo, senza contare come molti ospiti arrivassero da lontano e alloggiassero da qualche parte nel palazzo, il chè rendeva indispensabile la preparazione delle stanze per la notte. "Chi vorrebbe mai far andare il Conte o la Contessa di turno a letto in una camera polverosa e fredda?" si chiese, sarcastico.
I suoi sospetti furono confermati quando, fatto un passo nel porticato di un immenso giardino senza porte, i suoi occhi incrociarono una figura inginocchiata in mezzo all'erba. Svelto, Cullen fermò l'avanzare dei suoi compagni: li prese entrambi per un braccio e li fece indietreggiare con forza fino a girare l'angolo del muro più vicino, in modo da avere una copertura.
«Cullen, ma che-»
«Silenzio.» Il Comandante interruppe bruscamente la protesta di Kassandre, guardando lei e Dorian. «E' un'imboscata. C'è un uomo in mezzo al giardino, probabilmente legato. Lo stanno usando come esca per attirarci nel punto più sfavorevole» spiegò loro in un sussurro. Non aveva visto chiaramente se l'uomo fosse davvero legato oppure no, ma aveva il tipico presentimento del soldato che di solito non lo tradiva. «Se è come penso, saranno disposti sotto il portico dove gli sarà più facile accerchiarci. Se ci buttiamo in mezzo siamo morti.»
Kassandre lo guardò incredula, poi si sporse appena dal muro per osservare la figura in lontananza, facilmente confondibile con una statua qualunque nel tenue bagliore del giardino.
Anche Dorian curiosò con prudenza oltre il muro e quando tornò al suo posto non mostrava più la solita aria di disinteresse. Sembrava piuttosto preoccupato. Cullen sentì l'Inquisitore prendere un lungo respiro e trattenerlo, tornando a lui.
«Quale sarebbe la tua idea?» gli chiese. Scosse il capo, incerto.
«Se ci fosse Varric, potremmo usarlo come elemento di sorpresa. Ma essendo solo noi tre... due maghi e un combattente...» il giovane si arrovellò veloce, una mano alla guancia e i pensieri che si rincorrevano frenetici nella testa. «Non posso lasciarvi andare avanti.» Cullen la fissò negli occhi. «Andrò io.»
«Cosa?» gli esclamò contro Kassandre. Cercò di non farsi scalfire dalla sua espressione allibita. «Hai intenzione di suicidarti? Non puoi andare lì e semplicemente lasciare che ti ammazzino! Se è vero quello che dici-»
«Kassandre, potremmo...» si intromise Dorian, ma lei lo ignorò completamente con un gesto stizzito.
«-allora potrebbero esserci decine di persone pronte a gettarsi su di te. Vuoi farti piantare una freccia in petto? No, non se ne parla!»
Vedere con quanto impeto l'Inquisitore avesse reagito alla sua idea lo fece sorridere. Ricordava ancora la sua rabbia davanti al massacro del cortile, il modo in cui aveva dovuto bloccarla dal gettarsi contro il responsabile, che era uguale a quello con cui stava scartando ogni possibilità andasse da solo a fronteggiare qualsiasi cosa fosse nel giardino. Lo ricordava almeno quanto la promessa che si era fatto ad Haven: non le avrebbe lasciato correre lo stesso rischio contro un pericolo ignoto, con la possibilità che proprio lei, tra tutti, potesse morire per una stupidaggine. Già una volta non le aveva impedito di affrontare Corypheus da sola, e si sarebbe preso volentieri a schiaffi per quello: non c'era giorno che passasse senza pensare a cosa sarebbe successo, se la fortuna le fosse stata avversa. Permetterglielo la seconda? Nemmeno se fosse passata sul suo cadavere.
«Sono il Comandante delle tue forze armate. Me la caverò.» Cullen incrociò le braccia in un gesto definitivo. Era un semplice guerriero dopotutto, non un mago. Rimpiangeva i caduti, ma non era in grado di salvarli ad un passo dalla morte come lei e Dorian potevano fare. Se si trattava di mettere il suo destino nelle mani di qualcuno, benchè avesse sempre preferito contare solo su sè stesso, allora lo avrebbe volentieri affidato a loro. «E nel frattempo, potrete sempre coprirmi con i vostri incantesimi.»
«Mi fa piacere notare che qualcuno se ne sia accorto» commentò Dorian, probabilmente riferendosi a ciò che aveva tentato di suggerire all'Inquisitore. Lei gli scoccò un'occhiataccia, mentre lui proseguiva.
«Qua sarete al riparo da arcieri e maghi, nel caso ce ne fossero. Dovessero avvicinarsi a voi, cercherò di abbatterli» concluse brevemente. Calò il cappuccio sulla fronte e fece per voltarsi e andarsene, ma Kassandre gli afferrò un polso e lo strattonò, trattenendolo, i lineamenti del volto contratti dalla paura.
«Cullen, ascoltami, è troppo pericoloso. Possiamo aspettare, cercare Blackwall o Varric e...»
«...e rischiare di sacrificare l'Imperatrice?» Il Comandante sbuffò, senza reagire alla presa. «Non ho intenzione di vedere un regnante che cade, almeno quanto un'Inquisitore morto. E sono l'unico tra di noi che sa combattere propriamente.»
«Potrei ordinarti di restare» mormorò lei, senza troppa convinzione.
«Potresti, ma dubito lo farai. Corypheus vuole l'Imperatrice morta. E se succedesse...» lei sapeva cos'era avvenuto nel futuro di Alexius, più di ogni altro.
L'Inquisitore mantenne la presa per altri lunghi secondi, le nocche bianche, ma alla fine si decise a lasciarlo lentamente. La vide abbassare lo sguardo al pavimento e immaginò come si dovesse sentire impotente in quel momento, incapace di impedirgli di fare quello che doveva semplicemente perchè non era la cosa giusta: un sentimento che non gli era nuovo e che comprendeva appieno ogni volta che doveva mandare i suoi soldati in battaglia, ragazzi e padri e madri uniti per una causa comune più alta di una qualsiasi marcia sacra o scaramuccia territoriale.
«Se non facciamo noi la cosa giusta, nessun'altro la farà.» Le disse ciò che si costringeva a ripetersi ogni volta che contava morti e feriti dai rapporti, sperando la consolasse più di quanto non facesse con lui. Poi le afferrò la mano, stringendola brevemente nella propria. «Vedrai, non succederà niente.»
«E' quello che dice sempre anche Cassandra.» L'Inquisitore sorrise mesta, ingoiando un groppo amaro. «Vai.»
In silenzio si voltò, osservando con la coda dell'occhio Dorian posarle una mano sulla spalla e condurla al riparo. Il Comandante si assicurò di avere il cappuccio ben calato a nascondergli il volto e, imitando il ghigno derisorio che aveva visto fare al capo dei folli Venatori, con passo spedito si diresse al centro del giardino.
Incredibilmente, non trovò nessuno attenderlo come aveva pensato all'inizio, guardando alla posizione del prigioniero vicino al quale stava sostando, in attesa. Non era riuscito ad anticipare la strategia del nemico forse, ma in quanto all'uomo aveva azzeccato in pieno: il poveretto, piegato sulle ginocchia e ansante, era stato legato coi polsi incrociati e le caviglie a quello che sembrava un palo piantato profondamente nel terreno. A guardarne le vesti l'uomo sembrava un mercenario di tutto rispetto, un veterano considerata l'età: aveva tentato di comunicare con lui, ma il Comandante l'aveva deliberatamente ignorato per mantenere la sua facciata da affiliato dei Venatori. Finalmente, dopo un paio di minuti, una sagoma munita di bastone apparve all'altra estremità del giardino avvicinandosi lentamente. Cullen fece un cenno di riverenza verso di essa, non sapendo bene come comportarsi, e quando si fu avvicinata abbastanza si limitò ad ascoltare.
«Devon» lo salutò l'altro. Probabilmente l'aveva scambiato per il Venatori ucciso, di cui si stava sforzando di ricordarne le espressioni e la voce. «Avete già incontrato l'Inquisitore?»
Cullen annuì, cercando di camuffare quel tono provocatorio che aveva sentito all'altro. «Si, l'abbiamo incontrata coi suoi compagni.»
«E...?» gli chiese l'altro. «L'avete uccisa?» L'uomo coperto da una lunga tunica scura si tolse il cappuccio con sollievo, rivelando dei corti capelli brizzolati e occhi che brillavano dal desiderio di sapere. Si chiese se non fosse troppo preso da quello per notare che la sua voce e quella di "Devon" non combaciavano che alla lontana.
«No» scosse la testa lui «E' scappata, ma uno dei suoi è morto. Un tizio biondo in uniforme.» Riferirsi a sè stesso in terza persona gli sembrò talmente assurdo da fargli temere nemmeno l'individuo davanti a lui ci avrebbe creduto. «Gliel'ho presa» aggiunse con un ghigno feroce.
L'uomo sospirò, disapprovando. Probabilmente Devon si prendeva molto spesso dei trofei, e da quel poco che l'aveva conosciuto non avrebbe avuto dubbi in proposito.
«Il Comandante Rutherford? Molto bene. Peccato per lei, ma l'avevamo programmato.»
"Una doppia imboscata, quindi" appurò tra sé e sé il giovane, continuando ad ascoltare.
«Adesso a che punto è? Il massacro della servitù doveva servire a spingerla nella nostra direzione.»
«Sta arrivando» rispose stando al gioco. «Da sola, con un altro mago.» Non capì il gesto stizzito col bastone, nè il borbottare dell'uomo che prese a fare il giro del prigioniero, torvo. Si fermò solo quando vennero interrotti da una voce femminile che proveniva da un terrazzino, qualche metro più in alto.
«Laevus, allora? Non posso attendere ancora molto.» Era la Contessa Florianne, colei che aveva invitato a ballare l'Inquisitore e che le aveva detto di raggiungerla nel cortile. Cullen si lasciò sfuggire una smorfia di disgusto nei suoi confronti. «La stupida elfa di Celene potrebbe accorgersi di tutto, e Gaspard si starà chiedendo dove siano gli uomini che ha mandato. L'Inquisitore sta arrivando?»
«Si, mia signora» le rispose Laevus con almeno tanto disgusto quanto ne aveva mostrato lui. Evidentemente solo agli orlesiani piaceva giocare al più viscido. «Stavamo giusto terminando gli ultimi preparativi.»
«Molto bene. Sbrigatevi, o mi si scioglierà il trucco.» Non avrebbe dovuto, ma fu quasi sinceramente divertito davanti al ringhio di protesta dell'uomo che rese la sua risposta più rauca del normale.
«Si, mia signora.» Florianne rimase a guardare dall'alto la scena, sventagliandosi di tanto in tanto con guanti mentre Laevus tornava a lui. «Gli altri che erano con te?»
«Morti» rispose secco, fingendo una smorfia di delusione.
«Allora servirà qualcuno ad aiutarti.»
Generalmente, la prontezza del Comandante gli avrebbe permesso di capire in anticipo le intenzioni dell'uomo, sicuramente un mago, e reagire di conseguenza. In quel caso, gli era passata per la mente l'idea di tirare fuori la spada fintanto erano soli ed eliminarlo di conseguenza, e non aveva dubbi l'avrebbe fatto se solo fosse stato nei propri panni. Purtroppo, inscenare di essere non solo un'altra persona, ma addirittura il proprio nemico, rendeva questa eventualità molto più difficile del previsto: aveva atteso troppo e se avesse reagito così sotto il naso della Contessa ora, come minimo quella sarebbe fuggita per darsi alla macchia o addirittura avrebbe tentato di eliminare subito Celene, senza badare troppo ai sotterfugi. Oltre a questo, sempre in quei panni stava venendo a conoscenza di piani e strategie riservate ai fedeli di Corypheus: come rinunciare ad una simile opportunità?
Solo quando Laevus estrasse dalla cintura un minuscolo stiletto incidendosi il palmo, intuì cosa volesse fare davanti ai suoi occhi. Il sangue colò dalla mano aperta e toccò terrà, e l'uomo battè il bastone sul suolo per tre volte: l'erba si illuminò del bagliore rosso del terriccio che si apriva tutt'attorno a lui, vomitando liquida lava finchè diversi demoni dell'ira non ebbero preso corpo. Dopo di essi, un'ultima voragine si aprì, di un tenue bagliore violetto. L'essere che ne uscì aveva sembianze di donna, con capelli di fuoco fatuo e la pelle di un delicato color lavanda. Seminuda, si stiracchiò come richiamata da un lungo sonno, e si passò la mano sul seno prorompente, le gambe coperte da un lungo velo simile a chiffon.
Con orrore, Cullen la squadrò da capo a piedi smettendo di respirare. Era un demone del Desiderio come tanti altri, pensò deglutendo, e proprio come gli tutti gli altri della sua specie non faceva altro che riflettere semplicemente i pensieri di chi lo guardava.
Era un demone del Desiderio, certo. Ma i suoi occhi non vedevano altri che lei.

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«Drass!» Il giovane templare batté più volte alla porta con foga, ogni tanto gettandosi occhiate ai lati. La paura e la fretta si mescolavano nel suo stomaco provocandogli un'intensa nausea dopo tutto quello che aveva visto. Era riuscito ad abbattere alcuni demoni dell'Ira fuggendo nei corridoi ma da lontano, durante la corsa, nelle sue orecchie risuonavano ancora le grida dei suoi compagni più valorosi. Il senso di colpa gli attanagliò l'animo per un momento, ma lo spinse via con la stessa fretta col quale continuò a bussare. Doveva recuperare Drass.
«Drass!» batté di nuovo, ancora più forte, pestando il guanto d'arme contro il legno che tremava ad ogni colpo. «Per il Creatore, apri!» Si appoggiò alla porta e levandosi l'elmo, mise l'orecchio sulla superficie. Percepii alcuni mormorii distinti, e la voce attutita del suo amico.
«Drass, apri, dannazione!» stava indietreggiando per preparare una spallata e tentare così di buttare giù la porta quando il rumore di una toppa che girava lo fermò. Uno schiocco secco della serratura e con un cigolio vide l'uscio aprirsi lentamente. Drass era lì davanti a lui, ma i suoi occhi erano distanti e velati, il volto solitamente contratto in una qualche smorfia per la prima volta rilassato in un'espressione che non gli aveva mai visto prima.
«Drass, per il Creatore! Sei vivo!» Cullen lasciò cadere l'elmo per terra e corse da lui. «Dobbiamo andarcene di qua, subito! Uldred ha corrotto i maghi, ci sono demoni ovunque nella torre! Gli altri stanno cercando di arginarli ma non c'è molto tempo, se non interveniamo...»
«Tesoro, chi è alla porta?» Drass sorrise e si voltò, lasciando intravedere alle sue spalle una figura che di donna aveva solo le forme. Lunghi capelli di fuoco fatuo le crepitavano attorno due corna ricurve, e veli semitrasparenti le coprivano i seni e le gambe. Bellissima e allo stesso tempo terribile, una visione traditrice e pericolosa. Non appena la vide, il templare fece un balzo indietro, la mano sul pomolo della spada.
«E' solo Cullen, cara, non ti preoccupare» sentì rispondere Drass con tenerezza. «Dev'essere passato a trovarci per vedere i bambini.»
«Ultimamente molti passano a vederli» La voce innaturalmente sdoppiata del demone gli rispose, suadente. «Credi potresti portarli a prepararsi per la notte, caro, mentre lo accolgo?»
«Drass, non la ascoltare! Non è chi credi che sia!» esclamò Cullen, ma l'amico non sembrò ascoltarlo minimamente, forse neanche sentirlo. Lo guardò, allibito, portare in camera dei figli immaginari, un braccio sollevato come per tenerne uno in braccio e una mano estesa come ad afferrarne un altro, mentre semplicemente faceva il giro della stanza e si metteva in un angolo fuori dalla sua vista. Era rimasto talmente scioccato da non riuscire a reagire, ma ora, mentre il demone si avvicinava alla porta, estrasse la spada e gliela puntò contro.
«Immonda creatura, lascialo andare!» gli ringhiò contro, portando avanti la mano tremante che impugnava la spada, incapace di restare ferma.
«E privarlo di una vita felice? Della moglie e dei figli che sognava di avere?»
«Sciocchezze» Cullen sapeva che non avrebbe dovuto parlarle affatto, ma non riuscì a frenare la lingua, nè a muovere le gambe contro di lei. «Drass è sempre stato fedele all'Ordine...»
«Un Ordine che gli impediva di crescere una famiglia» gli appuntò il demone con tutta calma. «Che l'avrebbe lasciato vuoto e aspro una volta che i suoi anni fossero finiti.»
«No» agitò la spada avanzando di un mezzo passo, scuotendo la testa, una stilla di disperazione nella voce. «No, non gli avrebbero fatto questo, mai.»
«Vieni all'interno, allora. Vedrai con i tuoi occhi.»
«E farmi abbindolare da te, mostro? In modo che tu possa avvincere la mia mente come hai fatto con lui?» Il demone piegò la testa, sembrando quasi... incuriosito da lui.
«Se preferisci uccidermi, sappi che è legato alla mia vita. Se io morirò, il tuo amico lo farà con me.»
«E se anche non lo facessi, cosa cambierebbe?»
«Dipende da cosa sei disposto ad offrire.» La creatura esalò un sospiro, e Cullen abbassò di pochi centimetri la spada.
«Parla.» Con la torre piena di demoni, i suoi compagni morti e un amico soggiogato, ormai cosa gli sarebbe costato stare a sentire? Alla peggio, e dotato della sicurezza data dalla giovinezza, avrebbe potuto attaccare. Drass sarebbe morto, ma così anche il demone.
«Potresti lasciarlo con me. Mi nutrirò di lui ed eventualmente morirà, ma sarà una morte felice. Penserà di aver vissuto una vita piena, di andarsene circondato dall'affetto dei cari.»
«Tantovale ucciderti» commentò Cullen, con astio.
«Oppure» alzò il dito il demone, interrompendolo «Potrei restituirtelo, a condizione di essere lasciata libera. Non mi rivedresti mai più, nè ti seguirei, nè tormenterei lui o te.»
«Non lui o me, ma altri si, vero?» ringhiò Cullen in sua direzione. «Altri uomini e donne soggiogati dal tuo potere, dalle tue ambizioni.»
«Io non ho ambizione. Sono solo Desiderio» gli rispose la creatura. «E ho avverato quello del tuo compare, sconosciuto a lui stesso. Vorresti negare come sia felice ora? Guardalo.» Il demone si fece da parte, aprendo ulteriormente la porta per permettergli di vedere oltre le sue spalle, in quell'angolo della stanza in cui Drass si era sistemato su uno sgabello, intento a raccontare qualcosa all'aria. Il templare si sforzò di non spostare gli occhi dalla creatura che aveva davanti, ma non ci riuscì. Ne seguì la linea della mano, la direzione, fino a vedere il volto sereno di Drass che sussurrava parole piegato sul proprio letto, a quelli che pensava fossero i propri figli. L'armatura gli stonava addosso, come se indossare improvvisamente i panni del marito e del padre affetuoso, anche se solo per finzione indotta, l'avesse completamente trasformato.
«Illusioni» scosse la testa Cullen, una smorfia e la fronte corrugata «Potrà essere felice, ma è solo finzione.»
«Cos'è la felicità se non la realizzazione di un desiderio?» gli chiese il demone, le fiamme violette che le lambivano la testa e le spalle. «E se pure quella realizzazione fosse finzione, cosa importerebbe? A lui sembra vera, e ciò gli basta.»
«Ma io so che non lo è» tornò ad alzarle la spada contro «e che ti nutrirai di lui a morte. Se non di lui, di altre persone innocenti.» Il demone intuì il gesto, ma non sembrò curarsene particolarmente.
«Morirà. Lo ricordi?»
«Si, lo ricordo.»
«Ed è questo il tuo desiderio?»
«No, ma è la cosa giusta.»
«Non ti comprendo, umano.»
«Non puoi farlo.» Cullen strinse la spada più forte nella mano, gettando l'altra in avanti. Il palmo iniziò ad emanare un lieve bagliore azzurro che si diffuse sulle pietre del muro e sulla porta, illuminando anche la creatura. La vide indietreggiare di un passo ed esitò, solo per un istante. «Vallo a chiamare» le ordinò afflitto, la voce appesantita dal dispiacere. «Digli che sarete sempre insieme.»
Poi, il bagliore ingoiò tutto.
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«Cullen!» la voce di Dorian gli arrivò alle orecchie lontana, come da miglia di distanza. «Fermati!»
Il Comandante guardava distante, gli occhi vacui persi in un passato remoto rivelati dal cappuccio caduto all'indietro. Il presente sembrava solo una vaga presenza che aleggiava come nebbia, le figure che gli giravano attorno irreali, inconsistenti e bagnate di luce azzurra. Non sentiva e non vedeva altri che Drass e il demone. Le loro grida rieccheggiavano nelle sue orecchie, ancora e ancora, rincorrendosi senza mai fermarsi.
«Cullen, se non la pianti ci farai ammazzare!» venne scosso avanti e indietro, più volte, e la bobina del presente sembrò riprendere lentamente a girare. «Cullen!»
Un pugno in faccia lo aiutò a risvegliarsi improvvisamente, facendolo piombare di nuovo nella realtà. Il Comandante ormai aveva imparato ad incassare e certamente il colpo era meno forte di quelli di Cassandra, ma si portò ugualmente una mano alla guancia con un gemito, l'altra ancora rivolta in avanti dove l'aveva lasciata. Il bagliore azzurro che emanava iniziò a diradarsi, e il giovane accusò una fatica fin troppo familiare.
«Che-?» ebbe appena il tempo di chiedere, prima che Dorian lo scansasse iniziando a mulinare il bastone.
«Che cosa succede?» gli rispose con sarcasmo. «Hai ammazzato qualche demone e quasi anche noi, col tuo dissolvi magia. Ti venisse ancora voglia di fare il templare, potresti evitarlo con attorno dei maghi
«Io non ho...» cercò di protestare, ma poi si guardò attorno e notò Kassandre con un braccio alzato, la punta del bastone che riluceva di bianco. Il suo viso concentrato era imperlato di sudore, la bocca piegata come se lo sforzo fosse eccessivo: stava mantenendo attorno a loro e al prigioniero una barriera di protezione, che sfarfallava ad ogni colpo dei demoni rimasti intenti a cercare di sfondarla. Il demone del Desiderio era svanito, e Laevus era morto ai suoi piedi, riverso sul fianco.
«Invece hai! Eccome se hai!» lo rimbottò il mago, caricando il bastone di gelida energia elementale. «E se l'Inquisitore non fosse stata abbastanza lontana da mantenere la barriera mentre ti prendevo a pugni, probabilmente adesso saremmo tutti morti. Kassandre!» si rivolse d'un tratto alla ragazza. «Ora!»
Nel momento in cui la barriera scomparve, l'Inquisitore cadde in ginocchio e Dorian lanciò un potente incantesimo ambientale che bloccò le creature, già pronte a gettarsi addosso a loro, in un'esplosione di freddo. I loro corpi di lava rovente frigolarono per un momento prima di trasformarsi in ghiaccio, e il mago si adoperò subito per mandare in frantumi due di esse facendo roteare il bastone. Cullen, estratta la spada, frantumò le altre con potenti colpi a due mani riducendo le ultime ad un'accozzaglia di frammenti gelati. Subito dopo fu dall'Inquisitore, mentre Dorian liberava il prigioniero.
«Mi dispiace.» Cullen si levò i guanti e le si mise davanti, cercando di guardarla in volto e individuare un danno qualsiasi. Era stanco, lordo di sangue e i morsi dell'astinenza erano tornati a farsi sentire, ma non se ne curò quando la sentì respirare affannosamente davanti a lui. Le tolse i capelli dal volto, spingendoglieli dietro l'orecchio. «Mi dispiace, io non intendevo... sei ferita?»
Lei scosse la testa portandosi una mano al petto, e il Comandante le mise le mani sulle spalle cercando di calmarla. Tremava, e il senso di colpa lo avvinse di nuovo: non aveva idea di quale sforzo avesse dovuto sopportare per mantenere la loro protezione, mentre lui dissipava la magia nell'area, ma doveva essere stato estenuante per l'Inquisitore.
«Va tutto bene» ansimò lei. «Dobbiamo... Florianne è scappata dentro, ucciderà l'Imperatrice se non la fermiamo.» Cullen le asciugò il viso sudato, poi le porse un braccio per aiutarla a rialzarsi, scacciando indietro la debolezza per la mancanza di lyrium.
«Dopo questo, abbiamo abbastanza prove per sbarazzarci di lei» la rassicurò, sollevandola e tenendola salda al proprio fianco fino a quando non riguadagnò l'equilibrio. Dorian nel frattempo si era avvicinato col prigioniero appresso.
«E anche un testimone» sorrise sornione, mentre l'uomo accanto, toccandosi i polsi stretti a lungo nella corda a guardare i segni, li salutava con un cenno.
«Vi aiuterò contro Florianne, e anche contro Gaspard se lo vorrete. Quel bastardo ci ha mandati qui come esca. Bell'uomo d'onore» commentò aspro, sputando a terra.
«Eravate in più uomini?» gli chiese Kassandre.
«Si, Inquisitore. Ma gli altri sono morti contro i demoni di Laevus, quando siamo arrivati. Gaspard ci aveva mandate ad aiutare la sorella, qualsiasi cosa stesse architettando.»
«Quindi non sapeva cosa avesse in mente?» gli chiese Cullen. L'uomo scosse la testa.
«No, non credo.»
«Questo non cambia le cose» commentò Dorian. «Per mandare aiuto alla sorella, doveva sapere che stava organizzando qualcosa ai danni di Celene. I demoni sono solo un... effetto collaterale.»
«E' comunque alto tradimento» annuì il Comandante, interpretando le parole del mago. Kassandre si rivolse di nuovo al mercenario.
«Saresti disposto a raccontare tutto questo davanti alla corte e all'Imperatrice?»
«Ovviamente, se mi verrà garantita la protezione da qualsiasi ritorsione del Duca.»
«Questo non è un problema» gli sorrise lei, volpina. «Quant'è la tua paga?»
«Una sovrana al mese, mia Signora. Ma se si tratta della mia vita, sono disposto ad accettare anche la metà.»
«Molto bene» acconsentì Kassandre, lanciando un'occhiata discreta al Comandante e a Dorian. «Sei assunto nell'Inquisizione. Ti pagheremo cinquanta argenti, ma con vitto e alloggio assicurati. Può andare?»
«E' più di quanto sperassi, mia Signora» concordò l'uomo, facendo un leggero inchino. «Il mio nome è Iren.»
«Inquisitore, non è una scelta... affrettata?» Cullen cercò di darsi un certo tono, nonostante non fosse molto concorde sull'assumere gente con la velocità di uno schiocco di dita. Ne avevano bisogno, su questo non c'erano dubbi, ma la sua diffidenza naturale si scontrava apertamente con la prontezza col quale l'Inquisitore si fidava di molti. Era un consigliere proprio per questo. Kassandre, intuendolo, si affrettò a spegnere la sua vaga protesta.
«I nostri uomini migliori li abbiamo trovati così» gli rispose ammicando. Dorian soffocò una risatina mentre l'incarnato pallido del Comandante che si faceva improvvisamente più roseo. «Venite, non abbiamo tempo da perdere. Iren, hai voglia di menare le mani?» Il mercenario annuì vigorosamente, scrocchiandosi le nocche. «Allora seguici» aggiunse, mettendosi in cammino verso il palazzo.

«Grazie al Creatore, siete tornati!» Josephine li raggiunse sulla porta del salone, non appena rientrati. L'ambasciatrice aveva una fretta del diavolo e incurante delle solite maniere, scostò malamente la gente sulla sua strada pur di raggiungerli, l'angoscia stampata in faccia. «L'Imperatrice sta per iniziare il suo discorso. Cosa dobbiamo fare?» Kassandre e Cullen si scambiarono un lungo sguardo, prima quest'ultimo rispondesse.
«La Duchessa Florianne è l'assassino. Josephine, informa Leliana e tutti i nostri agenti, non lasciate che si avvicini a Celene. Chiama Varric.» Guardò l'uomo che era con loro. «Iren?»
«Si?» Il mercenario si mise sull'attenti. Josephine gli l'anciò uno sguardo confuso, ma non li interruppe.
«Se l'Inquisitore è d'accordo, prenderai il posto di Blackwall. E' meglio lasciare qualcuno a protezione del Re.» Kassandre non ebbe da commentare, annuì soltanto. «Io avviserò i soldati. Saremo pronti ad attaccare ad un tuo cenno, Inquisitore.»
«Carissimi ospiti, vorrei richiamare la vostra cortese attenzione» sentirono il paggio, in lontananza, intento a introdurre l'Imperatrice. «Sua Maestà Imperiale desidera rivolgersi alla corte!»
«Andiamo.» L'Inquisitore si avviò nella sala, scostando diversi nobili nel tentativo di avvicinarsi coi compagni quanto più alla sommità delle scale, lì dove sarebbe apparsa Celene. Cullen la guardò allontanarsi prima di passare in rassegna i soldati nella sala dando ordine di attendere il suo comando. Nel mentre, Varric gli passò accanto sfrecciando e si andò ad unire agli altri, e l'Imperatrice fece finalmente la sua comparsa avanzando sulla ringhiera delle scale.
«Dame e Signori, come nazione piangiamo la scomparsa dei nostri figli e delle nostre figlie, di fratelli e sorelle, amici e amanti reclamati dalla guerra. Il cielo è aperto, la nostra Divina è morta e molti temono che la fine di tutte le cose sia vicina.» Celene si fermò ad osservare gli sguardi riverenti dei nobili puntati tutti su di lei e proseguì. «Orlais dev'essere un bastione, un muro dietro cui tutto il Thedas possa prendere riparo. Così com'è stato per centinaia di anni e così come rimarrà per sempre!» Alzò in alto le mani e gli applausi fiorirono. L'Imperatrice sorrise leggiadra, in modo così evidente che Cullen potè notarla anche da lontano, mentre finiva di avvisare i soldati. Ne scelse quattro e silenziosamente si infiltrarono tra i nobili come ulteriore misura di sicurezza alle guardie già presenti, restando comunque a buona distanza dall'Inquisitore e i suoi uomini.
«Questo» continuò Celene, acquietando la folla «non sarebbe stato possibile senza l'aiuto di molti. Mia cara cugina, vieni avanti.» Florianne avanzò in fretta al fianco dell'Imperatrice, ma non abbastanza.
«Duchessa, non un passo di più!» Kassandre si fece spazio tra la gente, puntandole il bastone contro. Cullen alzò la mano e con un cenno i suoi uomini, posizionati attorno al perimetro, intervenirono sulle scale e raggiunsero in fretta Florianne, fermandola per poco. Quando gli giunse il primo gemito, il Comandante capì cosa la Duchesse avesse fatto: uno dei suoi si accasciò a terra mentre la reale passava alla mattanza di un altro dei suoi fedeli soldati, scatenandogli dentro un'ira profonda e ferale. Quella non era una grande battaglia dov'era scontato molti cadessero contro le spade degli avversari, avendo comunque una fine dignitosa, onorevole; no, quelle erano persone massacrate per i capricci di una nobile delirante che aveva venduto la sua lealtà al peggior nemico tra tutti. Nel tempo in cui il Comandante avanzò in formazione con la sua scorta, la Duchessa ne aveva già feriti altri due.
«Ora! Per Corypheus, uccideteli tutti!» ordinò lei, correndo via verso il balcone alle sue spalle. L'Inquisitore si arrampicò velocemente per le scale inseguendola e correndole dietro, urlando.
«Cullen! Proteggi la gente!»
«Si, Inquisitore!»
Contemporaneamente Cullen sentì il sibilo di alcune spade estratte e il rantolio di un uomo accanto a lui. Un giullare di corte, uno dei tanti a palazzo, aveva piantato un pugnale nel fianco dell'uomo: il Comandante estrasse la spada e in un battito di ciglia gli fece volare la testa, inondando di sangue scuro il pavimento fino ad ora intonso della sala. Un altro cercò di attaccarli alle spalle, attacco parato egregiamente da una delle sue reclute che lo trafisse nei polmoni: un calciò ben assestato e anche il secondo giullare cadde a terra. Il terzo e il quarto li attaccarono ai lati senza molta convinzione, tentando subito dopo di darsi alla fuga: Cullen fermò quello più vicino calandogli con la spada sulla schiena, un fendente che lacerò la leggera maglia e mandò a terra l'avversario. L'altro giullare, che aveva stordito un suo uomo, si lanciò verso il Comandante facendo in tempo a ferirlo solo superficialmente alla spalla mentre lui si scansava: gli altri due soldati pensarono al resto e il nemico emise la sua ultima risata, trasformata in un grido d'agonia, mentre entrambe le spade calavano sui fianchi dangoli una morte rapida e dolorosa.
Con un accenno di stanchezza, Cullen si guardò attorno, una mano all'arma e l'altra alla ferita che bruciava senza procurargli più del fastidio: nessun nobile o servo - a voler escludere i giullari traditori - era stato toccato, avendo avuto la cortezza di indietreggiare dal luogo dello scontro. Erano tutti salvi tranne il soldato a terra ai suoi piedi e quelli sulle scale: li raggiunse, ma si rese conto che ormai non c'era più nulla da fare.
Da fuori, oltre il balcone da cui la Duchessa era fuggita, gli arrivò il rumore di una battaglia furiosa: ordinò alla sua scorta di rimanere a controllare la sala e corse fuori, pronto ad aiutare i compagni. Fece appena in tempo a giungere nel giardino sottostante, decorato da una grande fontana al centro, prima di sentire l'acuto grido della Duchessa: l'Inquisitore la stava tenendo per i capelli con una rabbia che non le aveva mai visto addosso.
«Dimmi perchè non ti dovrei trasformare in un surgelato!» Kassandre la strattonò violentemente, piantandole un piede su una gamba per poter fare più trazione mentre Cullen guardava la scena incapace di muovere un muscolo, esattamente come Dorian, Varric e Iren. «Hai massacrato gli elfi della servitù, innocenti! I miei uomini, col solo compito di proteggere quelli come te! Dimmelo!»
«Valevano il sacrificio» le rispose Florianne, cercando di mantenere un sorriso derisorio sulle labbra tra un grido e l'altro. «Volete uccidermi? Allora fate di me ciò che volete, Araldo. Dimostrate a tutti la compassione del Creatore.».
«Ti piacerebbe, vero?» ringhiò Kassandre. «Se ti uccidessi non sconteresti più alcuna pena per le tue azioni, ma non sarà così.» La gettò in avanti con tanta forza che Florianne cadde faccia a terra con un gemito. Il piede dell'Inquisitore la raggiunse di nuovo sulla schiena, poggiandovisi e impedendole qualsiasi fuga. «Sarò io a giudicarti. E il verdetto non sarà clemente.» La toccò con la punta del bastone e una scarica elettrica nata dal nulla attraversò la Duchessa, che svenne riversa al suolo. L'Inquisitore le levò il piede dalla schiena, lo sguardo inespressivo rivolto al corpo inerte.
«Varric, puoi legarla in modo non possa muoversi? Magari incaprettarla?»
«E devi chiedermelo?» rispose il nano con un sorriso ironico, mettendosi subito al lavoro. Iren rimase con lui, mentre Dorian seguì Kassandre. Iniziarono a rientrare, lei tenendosi al bastone, e poco prima sparissero oltre la soglia Cullen seppe che gli aveva rivolto uno sguardo dal basso, totalmente privo di ogni colore.

Mentre gli aspiranti al trono dell'impero nella figura di Gaspard e Celene, accompagnata da Briala, decidevano il da farsi con l'Inquisitore in una delle sale private, il Comandante rimase a rimurginare su ciò che aveva visto durante la serata, poggiato ad uno dei molti tavoli della sala e con un bicchiere di vino in mano. Ancora inseguito da nobili desiderosi di titoli e matrimoni al suo rientro, aveva finito per scacciarli seccamente, troppo preso dall'unica cosa di cui veramente gli importasse, se si escludevano i suoi soldati e l'amico Alistair.
Ripensò all'Inquisitore, lo sguardo spento con cui l'aveva osservato un attimo prima di sparire oltre l'entrata: persino nel suo momento peggiore non l'aveva mai vista così, furiosa tanto da cadere nell'apatia. La questione degli elfi, lo rammentava, l'aveva scioccata profondamente, provocandole un disgusto che condivideva pienamente nei confronti dei Venatori e dei loro atti folli. Ma dopo la sua meravigliosa uscita da templare, pensò con sarcasmo, e nel momento in cui avevano toccato i suoi soldati, i suoi uomini, sembrava la cosa avesse raggiunto dimensioni tali da diventare insopportabile per lei.
Ricordava d'aver provato qualcosa di molto simile coi suoi trascorsi a Redcliffe e Kirkwall, davanti alla stupidità dei maghi e alla furia inumana di Meredith, resa pazza dalla spada di lyrium rosso che si era fatta creare dall'idolo sottratto a Bartrand, fratello di Varric. Ricordava con chiarezza, ad un certo punto, come le cose si fossero messe talmente male col passare degli anni da non fargli provare null'altro che intorpidimento. Era bastato seguire gli ordini, fare il proprio lavoro e proseguire semplicemente la vita, meccanicamente, proprio come un golem, aspettando tutto avesse fine. In un modo o nell'altro, a quel tempo, era sicuro di non avere speranze: sarebbe stato falciato da decine di maghi arrabbiati contro il sistema oppure sarebbe caduto onorando i propri voti, o ancora per la spada e la diffidenza di Meredith. Questo fino a quando non era arrivato Hawke, armato di tutte le buone intenzioni del mondo e convinto di poter fare qualcosa di utile della magia, di non essere solo l'eretico ribelle che l'Alto-Comandante descriveva. Un dannato testardo sarcastico che, a forza di tenergli testa con battutine saccenti, gli aveva aperto gradualmente gli occhi sulla realtà che lo circondava.
Forse, si disse silenziosamente sorseggiando dal bicchiere, anche l'Inquisitore si era intorpidito dopo aver visto la brutalità del gioco orlesiano e aver provato sulla propria pelle cos'era in grado di fare anche lui, un suo consigliere e sperava, almeno un amico. Si chiese, pieno di dubbi, se dovesse scusarsi con lei e sopratutto se lei avrebbe accettato di perdonarlo dopo averle fatto - come minimo - rammentare ciò che doveva aver vissuto alle Bianche Spire. E per un momento, un solo e unico attimo, si chiese anche se non sarebbe stato meglio rassegnarsi una volta per tutte alla sete e tornare a prendere il lyrium.
Fortunatamente si scosse da quel pensiero in fretta, richiamato dai passi di Alistair che si avvicinava lentamente. Lontano, la voce del paggio dichiarò che l'Imperatrice Celene era stata eletta a furor di popolo, o almeno così tutti pensavano. Solo lui, a parte l'Inquisitore e Leliana, sapeva che le informazioni raccolte erano state poco gentilmente usate per minacciare sia Celene, sia Briala che Gaspard, costringendoli a collaborare su ordine dell'Inquisizione.
«Come va la serata?» gli chiese il Re, preoccupato. Cullen rispose con un lungo sospiro, scolando tutto ciò che gli era rimasto nel bicchiere.
«Dopo quello che è successo, non poteva andare peggio. Un tentato assassinio, una Duchessa al servizio di Corypheus, i Venatori e gli elfi... la nobiltà è sconcertata.»
«Non solo quella, vedo.» Alistair gli lanciò uno sguardo indagatore, poi si avvicinò, togliendogli il contenitore vuoto di mano e sostituendolo col suo pieno fino all'orlo. «Guardandoti in faccia, sembrerebbe che ti sia passato ogni entusiasmo.»
«Tu non hai visto come mi ha guardato» il Comandante si portò una mano alla faccia. «Ho fatto la cosa peggiore che potessi mai fare, e lei... sono sicuro che lei mi disprezzi, adesso.» Buttò giù metà del vino con una smorfia, il sapore aspro che gli riempiva la bocca.
«Gliel'hai almeno chiesto?» domandò Alistair, poggiando un gomito al tavolo per poter conversare con lui in santa pace senza che i passanti allungassero le orecchie. Aveva quell'aria di disapprovazione che lo faceva sentire tremendamente stupido, nonostante avessero un minimo di differenza d'età e Cullen fosse, di fatto, di un anno o due più vecchio del Re. Il giovane scosse la testa. «Ecco, vedi? Non puoi saperlo, e finchè non andrai a parlarle...»
«Ho... non dovrei, ma temo che lei...»
«Senti, qualsiasi timore tu abbia, prendilo, accartoccialo e gettalo altrove, intesi?» Il Comandante osservò sorpreso l'espressione improvvisamente seria del Re. «Non potrai mai sapere cosa le passava in testa, è una donna! Magari per te era disprezzo, e invece lei stava pensando alla stanchezza, o ad un comodo letto, o che le tartine del tavolo fanno proprio schifo. Mi capisci?»
Cullen non disse niente, ma lo guardò con un'espressione al limite dello scetticismo.
«Le tartine del tavolo fanno davvero schifo, non sto scherzando.» Alistair gli prese il bicchiere dalla mano e fece fuori l'ultimo goccio.
«Hey!» protestò Cullen.
«Insomma, valle a parlare.»
Proprio in quel momento lil cermioniere alla porta principale battè il bastone a terra per tre volte. Nessuno si aspettava l'arrivo di un ospite tanto in ritardo al ballo, ben oltre i limiti della decenza orlesiana, e fu per questo che molte teste si voltarono, totalmente dimentiche delle parole del paggio che si zittì a sua volta. Trepidante, la gente attese il nome di chi aveva osato tanto.
«Sua Altezza Reale l'Eroe del Ferelden, la Regina Rachel Cousland di Highever!»
Indignazione e stupore attraversarono la sala da ballo, gli sguardi increduli della maggior parte della gente che lasciavano pensare fosse uno scherzo architettato da qualche nobile oltraggioso e troppo burlone. Cullen non riuscì a reggere la mascella, quando le porte della stanza si spalancarono e dal fondo emerse una figura zoppicante, pallida e intenta a reggersi un braccio ferito al gomito. L'armatura era, persino da quella distanza, indubbiamente di fattura fereldiana, fatta di pelle dura conciata e borchiata; ai suoi fianchi dondolavano due pugnali lunghi di semplice fattura, e a tracolla una bisaccia ricolma oscillava lentamente.
Il silenzio calò sulle labbra di ogni presente. Il Comandante non potè fare a meno di guardare quella donna - quell'ombra di donna - trascinarsi passo dopo passo fino al centro, dove gli invitati fecero spazio senza che nemmeno uno scalpiccio di scarpe si sollevasse. Solo il lento rintocco degli stivali che aveva addosso risuonava, e riempiva lo spazio come fosse più pesante di mille parole. Quando la guardò in faccia, ora che era più vicina, quasi stentò a riconoscerla. Lei sollevò lo sguardo prima su di lui, poi su Leliana, pietrificata alla sua visione, poi sul Re. Al suo fianco, il suono cristallino di un bicchiere lasciato cadere a terra si sollevò fragoroso e inaspettato.
«Rachel!»
D'un tratto tutto quanto sembrò riguadagnare un movimento e un volume. L'Eroe si accasciò per terra e i bisbigli delle persone si alzarono mentre Alistair si precipitava dalla donna a stento riconoscibile, e dietro di lui il Comandante. Si piegarono in ginocchio, ognuno ai due lati, e poco dopo arrivò l'Inquisitore col bastone in mano, la magia che già diffondeva il suo lieve bagliore dai palmi. Mentre loro la assistevano, Kassandre esitò un momento, vedendola. Subito dopo iniziò a curarle le ferite più evidenti, anche se dall'aspetto quelle forse erano il meno.
«Che il Creatore mi assista...» mormorò Cullen, alzando lo sguardo. In quell'attimo dall'entrata entrò un corvo, che planando in malo modo si posò poco lontano da loro. Un secondo, e riprese le sue sembianze originali: il Comandante riconobbe il mago, la faccia imbrattata di rosso e una mano al naso. Leliana, dopo momenti di stordimento, si lanciò da lui.
Tornò a fatica con gli occhi puntati all'amico e alla sua consorte che ricordava splendere di vita propria, molti anni prima. Ingoiò un groppo duro e amaro, mentre Alistair si affannava su di lei cercando disperatamente di ottenere l'attenzione della donna, che lo osservava senza dire una parola: la sua pelle era bianca come un cencio e un intrico venoso e scuro le copriva gli arti, il collo e le guance, gli occhi velati da una patina che sembrava cataratta.
«A-alistair...» dopo molti secondi, finalmente quelle labbra tese e screpolate si aprirono. Kassandre viaggiò con le mani sul corpo, e iniziò a curarle una grossa ferita al fianco mentre il Re le prendeva il viso tra le mani, senza accorgersi delle lacrime amare che gli colavano dagli occhi.
«Rachel, perchè? Non dovevi andare- avresti potuto... avresti potuto avvertirmi. Sarei venuto con te.» Lei gli cercò una mano, stringendogliela.
«Mi dispiace» esalò a fatica. «Mi dispiace per quel litigio...»
«No, non fa niente. Non importa. Per il Creatore, come ti sei ridotta... sono stato uno stupido, è colpa mia.»
«Teagan...»
«Teagan se ne può andare al diavolo!» rispose con rabbia Alistair, tirando su col naso. «Non gli lascerò decidere di nuovo della nostra vita, non m'importa se avremo un erede, oppure no.»
«Non potevo lasciartelo fare di nuovo» gli sorrise debolmente lei, spostando la mano dalla sua alla bisaccia a tracolla. «La Chiamata... ho trovato un modo.»
Cullen sentì il singhiozzare di Leliana perfino a metri di distanza e nonostante fosse ovattato. Si stava sforzando di occuparsi di Elmer, ma era chiaro che li stava ascoltando, nascondendo come poteva i suoi sentimenti. L'unica che sembrava proseguire il suo lavoro senza alcun tentennamento era Kassandre, che stava faticando nel cercare di curarla al meglio. In quel momento, stava facendo a pezzi la sua uniforme per farne delle bende.
Rachel rovistò nella bisaccia e ne estrasse a fatica una fiala, lanciando un'occhiata incerta all'oggetto. La porse verso Alistair con la mano che tremava, ricoperta di sporco, fango e sangue.
«P-prendila» si sforzò, spingendola verso di lui. «Ci darà altri anni... una possibilità.»
«No, tesoro, non... come l'hai ottenuta? Se è una cura...»
La donna scosse violentemente la testa.
«Prendila» ringhiò disperata.
«Se è una cura, devi usarla. Ne hai più bisogno tu di me.»
«Io... ce la farò» le lacrime le spezzarono la voce. «Tu devi... guidare i Custodi» gli disse con voce fievole. Alistair scosse la testa, posò la fiala accanto a sè e si abbassò ad abbracciarla, tirandola a sè. Sembrava tutt'altro che un Re, in quel momento. Sembrava, pensò Cullen, l'uomo più fragile del mondo, spezzato da dentro.
«Amore mio...» Alistair le stava baciando una guancia, assaggiando le lacrime che si rincorrevano sulla sua pelle, quando qualcosa cambiò nella sua espressione. All'iniziò fu confusione, poi sgomento. «Rachel?» lo sentì chiamarla. Non ricevendo risposta la scosse, e il capo della donna scivolò mollemente di lato. «Rachel!»
Nè lui, nè Cullen sapevano cosa fare. Passarono degli istanti, tentando di realizzare cosa stava accadendo, quando fu Kassandre a reagire.
«Spostatevi!» esclamò in loro direzione. La guardarono senza capire mentre lei tirava il corpo per le gambe alla meglio, cercando di toglierlo dalla presa di Alistair. «Spostatevi, maledizione!» ruggì una seconda volta. Alistair rimase dov'era, stordito, e fu il Comandante ad agire stavolta, risvegliandosi dal momentaneo torpore per mettergli la fiala in mano e allontanarlo velocemente.
«Cullen, tienilo lontano!»
«Rachel!» protestò il Re, cercando di tornare da lei. Lo tenne indietro usando quanta più delicatezza possibile, mentre Kassandre mollava a terra il bastone. La vide sprigionare elettricità dalle mani, sottili saette violacee che si contraevano tra i suoi palmi sollevati davanti agli occhi.
«Alistair, l'Inquisitore sa quello che fa» tentò di rassicurare l'amico ormai nel panico. «Molti maghi sono anche cerusici esperti, lasciala...»
Kassandre scagliò le mani sul torace dell'Eroe e la scarica le fece contrarre i muscoli, facendo inarcare il corpo a diretto contatto col potere. Dovette puntare i piedi per trattenere il Re che si stava dimenando come mai, mentre l'Inquisitore procedeva nuovamente a caricare l'energia tra le mani, concentrata, con la fronte imperlata di sudore.
«Dorian!» la sentì chiamare, e il mago giunse poco dopo al suo fianco. Parlottarono brevemente e spostatosi dall'altro lato, anche Dorian impose le mani richiamando la pura energia, usando un incantesimo che esercitava sul campo di battaglia per evitare i compagni cadessero, mantenendoli in vita sul precario filo di una lama.
«Rachel! Cullen, lasciami, io-» Un'altra scarica si abbattè sul corpo dell'Eroe, che stavolta sembrò rianimarsi. L'Inquisitore controllò se il cuore le batteva e si assicurò che il respiro fosse regolare, prima di rivolgersi stancamente al mago.
«Te ne puoi occupare tu? Magari puoi...» Dorian le sorrise in una di quelle rare dimostrazioni di sincerità, e annuì.
«Tranquilla. Vai.»
«Grazie» lo ringraziò, iniziando a fasciare strettamente il fianco di Rachel con le bende ricavate dalla sua uniforme. Quando ebbe finito, si rivolse a Cullen. «Puoi lasciarlo, adesso.»
Con un moto di gratitudine il Comandante lasciò Alistair, che si precipitò di nuovo dalla sua regina. In tutto quel tempo, non un mormorio si era sollevato dalla sala. Riprese il respiro, giurando a sè stesso che mai più avrebbe vissuto un'altra serata del genere. Dopo alcuni minuti il Re, asciugandosi il viso, si rivolse all'Imperatrice rimasta a guardare senza parole durante tutto quel tempo, alzandosi da terra con la fiala stretta in mano.
«Sua Altezza Reale, ho il suo consenso per fare un annuncio?» Celene annuì.
«Qualsiasi cosa vogliate dire sarà ben accetta» gli permise con un gesto, facendogli cenno di raggiungerla sulle scale per essere meglio ascoltato. Alistair semplicemente si diresse sotto di esse, e lì si fermò dov'erano stati presentati loro e l'Inquisizione. Il Comandante lo vide prendere un lungo respiro, e quando parlò si accorse della fermezza che per la prima volta permeava le sue parole.
«Constatando l'inabilità dell'Eroe del Ferelden a guidare l'Ordine e i fatti appena avvenuti...» esitò solo un momento «...che sia riferito ai quattro angoli dei regni che in qualità di secondo Custode più anziano, sostituirò l'Eroe prendendo il suo momentaneo posto come Comandante dei Custodi Grigi. Da oggi Ser Teagan Guerrin siederà sul trono in mia vece, fino a quando la legittima portatrice di questo titolo non sarà in grado di fare ritorno al suo dovere. Così il Re del Ferelden ha deciso.»
«E così verrà fatto» acconsentì Celene, applaudendolo dall'alto. In breve, seguirono gli applausi degli altri invitati, e poco dopo intervennero dei curatori a portar via Rachel sotto le ultime direttive dell'Inquisitore. Dorian seguì la barella e a lui si unì il Re, sotto gli sguardi meravigliati di tutti.
Per addolcire i fatti concitati della serata, fu ordinato all'orchestra di suonare fino a notte fonda, e che la festa continuasse senza indecisioni. Per sfuggire al chiacchiericcio della gente Cullen fuggì in disparte, la mente intorbidita da quanto aveva visto: Rachel non gli sembrava affetta da nessuna malattia di cui fosse a conoscenza, ma non poteva nemmeno dire con certezza quello che sospettava. Semplicemente, tenne tutto per sè, osservando svogliatamente gli altri ospiti volteggiare di nuovo nella sala da ballo, e questo gli ricordò una cosa. Chiedendo agli altri invitati, cercò l'Inquisitore, trovandola infine su uno dei balconi. Morrigan gli si defilò accanto allontanandosi, avendo probabilmente finito una conversazione di qualche tipo con lei, ma non le diede preso. Kassandre era piegata sul parapetto di pietra, le mani incrociate. Guardava il paesaggio di Halamshiral ma, intuì il Comandante, senza grande entusiasmo.
«Eccoti. Ti stavano cercando tutti.» Le si avvicinò con un tono sommesso, non volendo disturbarla. Se gli avesse detto di fare dietrofront, non avrebbe esitato un attimo: comprendeva il bisogno di stare in solitudine dopo tutti gli eventi di quella notte. Tuttavia, l'Inquisitore non lo mandò via come aveva pensato, e lui la raggiunse al fianco. «Per ora è tutto tranquillo. Stai bene?» Lei si portò una mano alla guancia segnata dalla cicatrice, tentennando e poi rivolgendogli un sorriso amaro.
«Sono solo a pezzi. E' stata una serata... estenuante» gli rispose, sottraendosi al suo sguardo. Gli occhi di Kassandre erano puntati al parapetto di pietra come non volesse guardarlo.
«Lo è stata per tutti, ma adesso è finita.» Esitò, prima di aggiungere dell'altro trattenendo il timore. «Kassandre, mi dispiace per quello che è successo nel giardino...» avrebbe continuato, quando lei lo guardò, l'ironia in viso.
«Stai scherzando, vero? Capisco perchè l'hai fatto. E' stato semplicemente...» la vide tirarsi indietro i capelli «...improvviso. Tutto qua.» Le vide di nuovo quello sguardo, per un secondo. Vuoto, inerte. Anche se sembrava lei volesse chiudere lì la conversazione, tornando ai paesaggi della città, volle ugualmente provarci.
«So che è sciocco, ma stasera era preoccupato per te.» Osò metterle la mano sulla spalla e lei fece per raggiungerla con la sua, lasciandola però ricadere. Il Comandante lanciò una breve occhiata alla sala, da cui arrivava la musica dell'orchestra, e poi le sorrise. «Un'occasione simile potrebbe non capitarmi ancora, perciò... devo chiederlo.» Si alzò dal parapetto e seguito dal suo sguardo, le fece un breve inchino, porgendole la mano. «Potete concedermi questo ballo, mia signora?»
Il sorriso meravigliato di Kassandre le colorò le guance di rosso, facendogli sperare di aver abbattuto almeno per un momento quella sensazione di distanza che sembrava essere sorta tra di loro. L'Inquisitore gli diede la mano.
«Certo. Credevo non ti piacesse ballare.» La trasse a sè con delicatezza, provando un brivido nel sentire l'altra sua mano poggiarglisi sulla spalla. Cullen portò l'altra al fianco femminile, per la prima volta davvero sicuro di voler ballare, nonostante si fosse sempre considerato pessimo.
«Per te, ci proverò.»
La condusse, e lei lo lasciò fare seguendolo, muovendosi con lui e non badando ai suoi piccoli sbagli. Quando ebbero finito e le fece fare l'ultimo giro tenendole in alto una mano, Kassandre l'abbracciò. Cullen, inizialmente sorpreso, dopo pochi attimi la strinse a sua volta.
Se avesse potuto, sarebbe rimasto così per l'eternità.


Decimo capitolo, sfornato con grande fatica dato mi tengono d'occhio costantemente °-° questa settimana sfuggire agli impegni per scrivere è stato semplicemente impossibile, sarò arrivata a neanche un quarto del prossimo capitolo (visto quando è stato lungo questo, direi che lo tenevo in conto xD) e quindi vi anticipo subito che al posto dei soliti cinque giorni, per il prossimo capitolo ve ne farò attendere sette - così da recuperare un minimo durante i festivi e tornare ad essere regolare coi tempi. Non mi rincorrerete coi forconi, vero? *sbatte le lunghe ciglia puccettose*
Detto questo, siamo arrivati ad un capitolo lungo e molto, molto concentrato, pieno di fatti e di tanti avvenimenti che accadono uno dopo l'altro. Immagino che alla fine della lettura capirete chiaramente quali sono i miei piani (per ora!): come avevo già anticipato, detestavo l'idea che Alistair rimanesse a castello a fare un ciufolo e ho combinato un modo per tenerlo ben saldo all'Inquisizione fondendo le parti che lo vedono da Re e da Custode. La parte con la Warden non è stata facile da scrivere, anche perchè temevo - e temo - di scadere troppo nel piagnisteo... ho cercato di fare del mio meglio per non rendere l'entrata e la piccola "scoperta" ridicola e spero di aver fatto un buon lavoro, così come nello scostarmi tanto apertamente dal gioco in queste determinate parti.
Parlando di Cullen, ho voluto inserire un altro scorcio che i giocatori di Origins ricorderanno bene e che per me, ai tempi del gioco, è stato un dilemma morale piuttosto pesante da affrontare. E' anche un modo per confrontare il giovane ragazzo di allora con l'uomo che è diventato, e che sono trattati molto bene in Inquisition - vedere com'è cresciuto il personaggio ad anni di distanza, parlando tanto di Cullen ma anche di Alistair, è una delle cose che preferisco osservare. Infine, finalmente il nostro baldo eroe ha avuto il suo ballo! E senza pestare nessun piede <3
Come sempre, se volete tirarmi ovetti di cioccolata (sono a dietaaaaaa ç__ç), dolci, granatine, commenti, oppure gufetti di ceramica o armi improvvisate (più gradite, almeno non penso al cibo xD) è tutto ben accetto. Se mi tirate anche lo scudo di Cassandra e la sua spada sono anche più contenta, almeno non picchia più il povero Cullen (che tanto viene menato a suon di ceffoni), oltre a fornirmi il materiale per portare Cassandra a fine anno (no, non sono una cosplayer, e no, di solito non faccio queste cose, ma... accidenti, la tentazione c'è tutta xD). Bando alle ciance, spero la lettura sia stata piacevole. Al prossimo capitolo!
 

  
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