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Autore: _thekill_    17/01/2015    1 recensioni
Un terribile conflitto sta per abbattersi tra il regno di Menfest e quello di Vahalon. Un conflitto che sarà destinato a durare... a meno che Arandel non riesca a trovare una soluzione... Dolore, rabbia, amore e magia si uniscono per difendere l'unica cosa per cui valga davvero la pena di lottare. La libertà!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arandel era seduta sul tetto del castello di Menfest, la sua città, con la spada al fianco. Era mattina e il sole si era levato da poco risplendendo sul fiume che scorreva a valle e sulle case d’oro e d’argento. Questi due colori significavano l’alleanza tra umani e elfi che da tempo si era formata. A sud del castello un magnifico palazzo di marmo bianco e argento con le sue torri altissime cominciava a comparire oltre la coltre di nebbia che il re elfico Barahir faceva sorgere la notte con un incantesimo di protezione. Arandel tornò a guardare in basso e notò che alcuni contadini e artigiani già iniziavano ad aprire le loro botteghe. Le piaceva stare li, in solitudine, a pensare e ad osservare la vita sotto di se che iniziava a muoversi alle prime luci dell’alba. Verso le dieci i bambini uscivano dalle proprie case e iniziavano a correre per le stradine di Menfest ridendo a squarciagola e giocando con dei bastoncini di legno a mo’ di spada. Poi udì il rumore degli zoccoli di un cavallo al galoppo, si sporse oltre il tetto reggendosi con una mano a un appiglio nel muro e vide suo fratello Harwin con la divisa da caccia uscire dai cancelli col suo destriero nero. In quel momento qualcuno dietro di se disse “angard”, tese la mano sulla spada e si voltò di scatto mandando un fendente sulla spada dell’avversario che si scoprì essere il suo migliore amico Arim. Con lui duellavano tutti i giorni per tenersi allenati e a volte si divertivano a cogliersi di sorpresa. Continuarono a volteggiare sul tetto lanciandosi fendenti, stoccate e rovesci e pian piano iniziarono a scendere arrivando nell’atrio del castello dove il re Edgar stava conversando con il messaggero. Poco mancò che Arim non ci andasse a finire addosso e mormorando “mi perdoni sire” finì in strada seguito a ruota da Arandel. In strada i passanti si scansavano per paura di essere colpiti da una delle loro lame e i bambini gridavano chi il nome di Arim e chi il nome di Arandel. Arrivati vicino al fiume Arandel sentì dietro di se dei passi e con i riflessi di una pantera di girò e colpì la spada del fratello che era tornato dalla caccia e si era unito a loro. Con un affondo fece volar via la spada di Harwin e dopo un attimo di esitazione da parte di Arim colto alla sprovvista disarmò anche lui buttandolo nel fiume. Posò la spada nel suo fodero e guardò Arim negli occhi: “mai esitare”. Dopo di che riprese la strada per tornare al castello ma in lontananza vide un cavallo galoppare verso i cancelli e fermarsi davanti a lei. Era suo cugino Darren, capo del loro esercito. Era partito cinque mesi prima per andare ad esplorare il deserto ad est e vederselo ricomparire davanti la riempì di gioia.
“Darren, cosa hai trovato nel deserto oltre alla sabbia?”, gli chiese. Prima che lui partisse lei e il padre avevano cercato di dissuaderlo dal fare un viaggio inutile dicendogli che nel deserto non avrebbe trovato altro che la sabbia.
“Non puoi neanche immaginarlo cugina”, disse con un sorriso sulle labbra. Chiamò Harwin ed entrarono. Il re appena lo vide gli andò incontro abbracciandolo e lo fece sedere intorno al tavolo nella sala del trono ordinando di far portare del tè.
“Darren, raccontaci tutto”
“Si zio”. E cominciò. “quando arrivai all’inizio del Deserto era notte fonda e quel poco che si riusciva a vedere era grazie alla luna che brillava con ardore nel cielo notturno. Trovai una piccola radura con un albero e riposai li tutta la notte. La mattina all’alba proseguii e camminai per giorni e giorni. Ero giunto allo stremo e iniziavo a credere che voi aveste ragione a dirmi che nel deserto non esiste altro che la sabbia, ma proprio quando stavo per abbandonare tutto e tornare indietro vidi un bagliore in lontananza. Allora continuai preso da una nuova speranza ma anche con il timore che il caldo mi avesse arrecato qualche allucinazione. Man mano che camminavo il bagliore diventava sempre più forte fin quando mi trovai di fronte delle mura altissime protette da un cancello ugualmente alto interamente fatto di bronzo e d’argento. Bussai e la sentinella mi aprii una porta ai lati del cancello. Mi fece qualche domanda che però non ricordo perché svenni per il troppo caldo. Quando mi svegliai ero su un letto che più morbidi non ne avevo mai sentiti con una coperta di foglie tessute tra loro e delle meravigliose mura tutto intorno. Delle donne mi fecero ristabilire con degli infusi. Camminavo per quelle enormi sale e per quei corridoi e mi resi conto che si trattava di un castello la cui magnificenza andava oltre i miei limiti. Andai a sbattere contro qualcuno che indossava un morbido mantello di seta blu scuro. Alzai gli occhi e mi trovai di fronte un elfo, il re elfico di quel posto bellissimo. Per vari giorni pranzammo e cenammo insieme e io feci amicizia con suo figlio, il principe Aaron. Mi chiese del mio regno e gli parlai di voi. Li tutti gli abitanti erano elfi, elfi che passavano tutti il giorno nelle biblioteche o nell’arena, elfi che dipingevano, che ballavano, che si arrampicavano fin sulle alture delle montagne del loro regno. Era meraviglioso. Ma poi dovetti partire e tornare qui con la promessa che un giorno ci saremmo rivisti”. Mentre raccontava Arandel si chiese come fosse possibile che esistesse una così grande bellezza come Darren la raccontava e in lei nacque il rimpianto di non essere andata con lui.
“Elfi dici? Pensavo che gli unici elfi che esistessero ormai fossero solo quelli che convivono con noi nel nostro territorio”, disse il re incredulo
“Lo pensavo anche io zio”, rispose Darren
“Vedo che avete scoperto l’esistenza dei miei fratelli”, disse una voce dal fondo della stanza. Tutti si voltarono e videro il re Barahir con sua moglie Elvethia e sua figlia Elbereth avanzare nella sala. Era la prima volta che la figlia si faceva vedere. Aveva la stessa età di Arandel, 17 anni ed era più piccola di Harwin di due. Era una bellissima ragazza, capelli biondissimi come quelli del padre e occhi neri come la notte come quelli della madre. Indossava un abito color blu scuro che risaltava i suoi lineamenti elfici. I suoi occhi si posarono su Harwin e quelli di lui su Elbereth.
“Re Barahir, che onore avere qui sua figlia oggi”, disse Edgar
“Piacere di conoscervi sire”, esordì Elbereth con voce soave.
“Barahir, io e mia moglie dobbiamo parlarti”, disse in tono grave Barahir
“Andiamo nel mio studio”, dopodiché si ritirarono e lasciarono Elbereth con Harwin e Arandel. Harwin si alzò e baciò la mano all’Elfa: “Piacere di conoscerla principessa, io sono Harwin e lei è mia sorella Arandel”.
“Piacere mio”, disse chinando il capo.
Quando i sovrani uscirono dallo studio avevano in faccia un’espressione greve e quando gli elfi se ne andarono tutti tornarono nelle proprie stanze. Arandel, seduta sul suo letto fissava la sua spada e si chiedeva cosa mai fosse successo di tanto grave. Man mano che passavano i giorni si rendeva conto che il padre usciva sempre meno spesso dal suo studio e non voleva essere disturbato. Qualche volta saltò anche la cena. Harwin invece, al suo contrario sembrava non preoccuparsene affatto. Gironzolava per la città insieme a Elbereth facendo ingelosire tutte le ragazze che speravano di poter fare un giro con lui. Arandel si sorprese vedendo quante pretendenti avesse suo fratello, non che non fosse normale, era un bel ragazzo e i suoi capelli neri gli stavano a pennello. Lei non aveva mai avuto tanti corteggiatori o almeno non avevano avuto il coraggio di avvicinarsi. Sapevano che non gli avrebbe fatto del male ma tutti, eccetto la sua famiglia e Arim, avevano un certo timore. Era considerata uno dei migliori guerrieri del regno ed era conosciuta per la sua testardaggine e il suo orgoglio. Giravano strane voci su di lei ma Arandel non se ne curava, pensava che fossero esagerati. Gli abitanti di Menfest, però, si sentivano al sicuro con lei. Un pomeriggio, mentre stava passeggiando ai bordi del fiume, senti gli zoccoli di un cavallo che galoppava ad una velocità quasi sovrumana. Si nascose dietro un albero pensando che fosse Harwin e magari di fargli uno scherzo, ma quello che apparve non era il destriero nero di suo fratello, ma un cavallo bianco con sopra qualcuno con un mantello scuro che non assomigliava affatto ad Harwin.
   
 
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