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Autore: Kei_Saiyu    22/11/2008    9 recensioni
Non poteva vederlo, né toccarlo, ma lo sentiva; non con le orecchie, ma con la mente.
«Dimmi Naruto, ti piacciono i vampiri?»
E quella voce gli metteva i brividi, con quel tono sensuale dal sottofondo derisorio, tanto da invogliarlo a tirargli un pugno.
Non lo fece, ma rispose.
«Non molto. Perché?»
Ed era un risata sarcastica e lievemente sadica quella che uscì dalle labbra invisibili dell’altro.
«Umph, così…»

Citazione dal testo.
Dediche: A rekichan, lo sa lei perchè. E a Rei-murai.
Partecipante al contest sull'800 indetto da nidaime83 e coordinato alla fine da _ayachan_ XD
Genere: Dark, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Nick autore: Kei_Saiyu
Titolo:
The Prey and the Hunter (La Preda e il Cacciatore)
Genere:
Sovrannaturale; Introspettivo; Dark.
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
Shonen-ai; AU; One-shot.
Fascia di anni scelta:
Inizi ottocento.

Trama:

Due occhi carmini lo fissarono gelandolo sul posto.

Un brivido freddo gli attraversò la schiena.

Gli occhi, leggermente vacui, si spalancarono.

Poi, buio.

Ed una voce.

«Reca obbedienza.»


Note dell’autore:
©Kishimoto. Non sono personaggi realmente esistenti o esistiti; sono maggiorenni; questa storia non è stata scritta a scopo di lucro ma solo per puro divertimento.

Non ho scelto una data precisa, ma se vogliamo essere pignoli, si svolge nel 1812. Il perché? Perché mi piace come numero XD. Ok, sto sclerando.

Il pairing come scelto è SasuNaru.

Credo sia tutto, non lo so, ma faccio che sia così XD. Ah, altra cosina per la fascia degli anni: nonostante non abbia precisato lo spazio temporale in cui si svolge la storia, è facilmente intuibile dall’ambientazione che ho scelto.

Dattebayo.

Note Post-Contest: Nonostante il risultato non mi soddisfi per nulla - tuttavia voglio leggere le altre fanfiction partecipanti, per vedere se la mia meritava effettivamente quel posto -, ringrazio nidaime93 e _ayachan_ per i giudizi.

Congratulazioni alle altre partecipanti e alle podiste!

Dediche: A rekichan.

Perché ieri sera ha tentato di tirarmi su il morale dopo i risultati.

Perché le è piaciuta.

Perché è stata lei a darmi la notizia in un colpo secco, anche se ci stavo per rimanere secca XD.

Perché concorda con me che dopo tante fyccine su questo andazzo – nonostante ce ne siano alcune molto belle -, questa merita.

Perché sicuramente si sorbirà le mie fisime mentali sul: “non valgo nulla come autrice”.

E per tanti motivi ancora che non elencherò, ma che lei sa.

E la dedico anche a Rei-murai, che ieri sera tentava pure lei di tirarmi su di morale.

Perché è una buona amica.

Perché mi andava di dedicargliela e prima o poi le farò una bella fic solo per lei, magari Nejikiba XD.

Grazie ragazze, vi voglio bene.

 

 

The Prey and the Hunter.

 

Non poteva vederlo, né toccarlo, ma lo sentiva; non con le orecchie, ma con la mente.

«Dimmi Naruto, ti piacciono i vampiri?»

E quella voce gli metteva i brividi, con quel tono sensuale dal sottofondo derisorio, tanto da invogliarlo a tirargli un pugno.

Non lo fece, ma rispose.

«Non molto. Perché?»

Ed era un risata sarcastica e lievemente sadica quella che uscì dalle labbra invisibili dell’altro.

«Umph, così…»

 

Si trascinava faticosamente lungo il muro sporco di una via secondaria; ad illuminare il suo cammino, solo una splendida quanto terrificante luna rossa, che donava ai suoi capelli biondo sporco un  riflesso vermiglio.

L’aria era fetida, tanto da procurargli forti eccessi di tosse, eppure continuava a camminare, nella speranza di trovare qualcosa da mangiare per terra o magari qualche moneta per poter comprare, il mattino dopo, un misero tozzo di pane, ma niente.

Non trovava assolutamente nulla per quella stradina e stava male.

Erano giorni - non sapeva quanti per l’esattezza - che non toccava cibo, neanche un dannato pezzo di formaggio ammuffito e stava cedendo, ma non voleva morire lì, in quel vicolo lercio e maleodorante e allora non rimaneva altro che continuare quella disperata ricerca, con le lacrime di disperazione che premevano per uscire.

Si chiese quanto sarebbe stato facile lasciarsi scivolare dolcemente a terra e addormentarsi, con la consapevolezza che non ci sarebbe stato più alcun risveglio.

Si insultò più volte e stretti i denti proseguì; troppo attaccato alla vita per arrendersi.

Il rumore degli zoccoli di un cavallo lo distrassero momentaneamente, rendendolo conscio di una presenza umana poco lontano.

Senza nemmeno accorgersene si mise a correre, usando quelle poche forze che gli erano rimaste nelle magre gambe.

Non sapeva cosa voleva fare, ma in quei pochi secondi passati per giungere all’inizio della strada principale, aveva vagliato le possibili proposte.

Aveva pensato di derubare il signore, poiché le uniche donne che gironzolavano a quell’ora di notte erano le prostitute, ma non gli piaceva molto come idea.

Non aveva mai rubato, nemmeno quando a soli due anni si era trovato da solo in mezzo alla strada, senza nessuno che si prendesse cura di lui.

Per sua fortuna, a salvarlo allora da una fine alquanto terribile, c’era stato un vecchio vagabondo che lo aveva preso con sé, aiutandolo a sopravvivere in quella realtà che nessun bambino dovrebbe mai conoscere.

Gli aveva insegnato a leggere e a scrivere; a come procurarsi del cibo facendo qua e là dei lavoretti umili e dividendo con lui quello che riusciva a racimolare durante le escursioni notturne, ma mai gli aveva detto di rubare, nemmeno nei periodi più neri.

Dieci anni dopo morì anche lui e si trovò a dover sopravvivere da solo.

Ancora una volta.

Nel ripensare a quel vecchio, vagliò anche la possibilità di elemosinare.

Non che lo attraesse molto, troppo orgoglioso per abbassarsi a tanto, ma fra le due, preferiva chiedere pietà.

Quando notò la carrozza, non seppe se sorridere o meno, ma attese. Aspettò  che il mezzo fosse abbastanza distante da consentire al cocchiere di fermarsi in tempo e allora gli si gettò davanti a braccia spalancate, pronto ad attendere la morte se l’uomo non si fosse fermato o a chiedere l’elemosina, in caso contrario.

Con il cuore in tumulto, vide i cavalli fermarsi imbizzarriti a pochi passi da lui e il ragazzo alla guida guardarlo infastidito; non se ne preoccupò.

Sentì indistintamente una voce all’interno della carrozza chiedere cosa succedeva.

Un brivido freddo di terrore gli percorse la schiena. Non gli badò.

E fu un errore.

Senza attendere la risposta del cocchiere, prese fiato e parlò ad alta voce, riuscendo, miracolosamente, a non farla tremare e gli venne da ridere nel pensare che le sue parole suonavano di tutto fuorché di preghiera.

«Signore, se avete un cuore nobile come sembra essere la vostra carrozza, vi chiedo umilmente di aiutarmi. Sono solo un ragazzo affamato e non voglio né farvi del male né disturbarvi, ma se mi poteste aiutare dandomi qualcosa con cui mangiare, ve ne sarei grato a vita. E giuro che vi restituirei tutto ciò che vorrete darmi.»

Una risata leggera si sparse dall’interno dell’abitacolo.

Con lentezza, il ragazzo vide la portiera aprirsi e da essa ne uscì un giovane uomo vestito in maniera piuttosto sobria, eppure stranamente elegante nel suo impeccabile smoking dal taglio classico.

Quando i suoi occhi incontrarono quelli dello sconosciuto, ebbe un brivido.

Non sapeva dire se di paura o di eccitazione, forse di entrambi, ma una cosa era certa: guardando quelle iridi d’ossidiana, aveva avuto l’impressione di cadere nel profondo delle tenebre più nere.

Eppure non ebbe paura.

Si sentì scrutato, ma non abbassò mai lo sguardo. Non lo chinò nemmeno nel rendersi conto che quei miseri stracci logori, di un assurdo arancione smorto, coprivano ben poco del suo scarno corpo.

Impettito, lo fissò a sua volta, come a dimostrargli che non si sarebbe mai piegato a nulla, nemmeno mentre chiedeva l’elemosina.

E non sapeva perché aveva così tanto bisogno di dimostrarsi forte in quel frangente.

Era come se ardesse dalla voglia di dimostrargli qualcosa.

Ma cosa, non sapeva.

Nel vedere lo sconosciuto sorridere lievemente, ebbe l’impressione che la sua sfrontatezza gli piaceva e quando sentì la risposta alla sua “preghiera”, ebbe quasi l’impressione di svenire dalla gioia.

Per una volta, una sola, aveva fatto la cosa giusta.

«Or dunque espressi i Vostri desideri, potrei avere l’ardire d’invitarVi per cena?»

E quella frase venne seguita da un perfetto inchino inglese, con tanto di portiera aperta e di mano guantata indicante l’entrata dell’apparentemente calda carrozza.

Senza farselo ripetere due volte, eseguì un impacciato inchino - rosso in volto dalla timidezza - in segno di riconoscenza ed entrò, seguito immediatamente dall’altro.

Una volta che la carrozza fu partita, sentì nuovamente la voce del giovane chiedergli qualcosa di lui e non ebbe vergogna a rispondere, nemmeno nel raccontargli che viveva di stenti per la strada a ben sedici anni.

«Il mio nome è Sasuke Uchiha e Voi, come vi chiamate?»

«Naruto, signore. Vi ringrazio per aver accolto la mia richiesta, anche se non mi sarei mai aspettato una simile offerta.»

Sasuke abbozzò un sorrisetto, evitando di rispondere ma facendo alcune brevi domande sulla sua vita.

Durante il viaggio, Naruto parlò molto di sé e delle cose che amava, ma nel chiedere qualcosa lui, raramente otteneva risposta.

Riuscì a sapere solo che proveniva da una nobile casata di origine giapponese, che si trovava a Londra per studiare le arti mediche, che era un conte e che aveva vent’anni.

Nulla più, nulla meno.

Finito il racconto sulla propria insulsa esistenza, ci fu solo un commento dell’Uchiha che lo incuriosì, ma data la troppa fame lasciò correre.

«Dunque, nessuno vi cerca?»

«Esattamente. Sono solo e non ho mai avuto nessuno oltre al mio maestro, oramai defunto da quattro anni, che mi conosceva bene. Perché?»

«Umph, così. Tralasciando, siamo quasi arrivati.»

Scostando la tenda nera che copriva la visuale esterna, vide che stavano attraversando una specie di immenso bosco, ma l’oscurità era tale che non si vedeva nulla.

Si chiese brevemente come fosse possibile che esistesse un posto del genere nel cuore di Londra e specialmente perché era tanto buio, visto che prima c’era una grande luna a illuminare tutto, ma lasciò perdere con un’alzata di spalle.

Si volse nuovamente verso l’Uchiha, deciso a chiedere dove erano, ma si stupì nel notare che la luce era svanita anche all’interno del mezzo e che non vedeva assolutamente nulla.

Nel sentire la sua voce, ebbe un sussulto.

Stranamente, non riusciva a capire da dove provenisse e la cosa gli dava fastidio.

Non poteva vederlo, né toccarlo, ma lo sentiva; non con le orecchie, ma con la mente.

«Dimmi Naruto, ti piacciono i vampiri?»

E quella voce gli metteva i brividi, con quel tono sensuale dal sottofondo derisorio, tanto da invogliarlo a tirargli un pugno.

Non lo fece, ma rispose.

«Non molto. Perché?»

Ed era un risata sarcastica e lievemente sadica quella che uscì dalle labbra invisibili dell’altro.

«Umph, così…»

Dopo quel breve quanto strano colloquio, la carrozza si fermò ed il cocchiere aprì la portiera per farli scendere.

Quando alzò lo sguardo verso la proprietà di Sasuke, vide un grande castello in perfetto stile gotico.

Nell’entrare, si chiese nuovamente come potesse esistere una tale abitazione, ma ancora si lasciò ad un’alzata di spalle; d’altronde, non aveva mai visitato del tutto la città, quindi non poteva che credere che erano in un posto che non aveva ancora visto.

Notò con la coda dell’occhio Sasuke che parlava a due cameriere, dando direttive su qualcosa che non riusciva a sentire.

Ciò che lo colpì, fu lo sguardo duro e ferito che gli rivolse una delle due, quella coi capelli rosa e gli occhi verdi.

La collega, una biondina dagli occhi blu, si limitò a non guardarlo neanche in volto.

In breve, lo sguardo penetrante dell’Uchiha si posò su di lui e si sentì così piccolo e diverso in confronto, che si strinse inconsciamente nella sua logora veste, non notando nemmeno che il giovane era passato nuovamente a dargli del Voi.

«Bene, prima di cena vi consiglio di fare un bagno caldo. Vi darò degli abiti più puliti. Il pasto verrà servito alle ventitré in punto. Ora andate.»

Le due iniziarono ad incamminarsi verso il piano superiore e le seguì.

Ammirò affascinato le scale in legno, probabilmente frassino, rifinite con un tocco di oro giallo sul corrimano e rivestite da un elegante tappeto rosso.

Si guardò intorno curioso, fissando i vari quadri raffiguranti personaggi a lui sconosciuti, ma che incutevano un certo timore.

Notò, piuttosto casualmente, che quella casa era sì bellissima, ma come morta.

Non sentiva niente provenire da essa, nemmeno la minima impressione che fosse abitata, nonostante l’ordine e la pulizia che vi albergava.

Quella casa, sapeva di chiuso. E di morte.

Le ragazze si fermarono indicando una porta in mogano.

Supponeva fosse il bagno e indovinò.

Entrando, non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere.

Tutta la stanza, immensa oltretutto, era in ceramica purissima, con intarsiature d’orate raffigurante lo stemma della casata: un ventaglio con la parte superiore rossa e quella inferiore bianca.

Sfiorò con mano tremante il rubinetto, anch’esso sembrava pregiato e non osava quasi toccarlo, per paura di romperlo o di sporcarlo.

Quando si decise ad aprire l’acqua, fu sul punto di esultare; non solo non aveva combinato danni, ma poteva addirittura farsi un bagno come si deve!

Si spogliò velocemente. Nell’immergersi in quell’acqua cristallina, tirò un sospiro soddisfatto.

Dopo essersi concesso alcuni minuti per assaporare quel tepore, iniziò a lavarsi, strofinando per bene il corpo fino a renderlo nuovamente piacente.

Una volta finito, si asciugò in fretta e fece per rimettersi i vestiti logori, ma voltandosi verso il portasciugamano, si accorse che c’erano altri abiti al posto dei suoi.

Si chiese come fosse possibile che li avessero scambiati, ma risolse il tutto liquidandolo con un:
«Si vede che ero talmente rilassato da non aver sentito le ragazze entrare…»

Il pensiero che qualcuno lo avesse visto nudo lo fece arrossire, ma quando prese i nuovi abiti fra le mani, ogni altro pensiero svanì.

Seta.

Ciò che stava toccando era seta purissima, così liscia al tatto da rendere la sensazione inspiegabile.

Gli abiti erano composti da un pantalone nero - che gli calzava a pennello -, da una camicia bianca a maniche lunghe con rifiniture in pizzo e da una giacca rosso sangue con le code e dai bottoni d’oro.

Rimase affascinato da tanta bellezza e nel rimirarsi allo specchio sorrise compiaciuto, notando che vestito così stava veramente bene.

Mise anche le scarpe nero lucido coordinate; si diresse nuovamente al piano inferiore, nonostante l’immensa voglia di gironzolare per la casa e vedere le innumerevoli camere, ma quando giunse nell’atrio, vide che ancora nulla era pronto e di Sasuke neanche l’ombra.

Decise di ispezionare le sale al piano terra, finendo in salone.

Nel vederlo rimase a bocca aperta. Se il bagno era stupendo, questo lo era molto di più.

Un elegante divano di pelle nera lo invitava a sdraiarsi, mentre la poltrona in stoffa rossa - posta al fianco del camino – sembrava chiedergli di accomodarsi.

Il pavimento in parquet scricchiolava leggermente sotto i suoi piedi, ma ciò che lo attrasse, fu un ritratto di donna.

Posto sulla parete sopra il camino, quella donna sembrava guardarlo con una dolcezza tale da farlo commuovere.

L’ammirò imprimendosi nella mente quella splendida immagine.

Gli occhi a mandorla brillanti d’amore, il sorriso gentile, le gote rosee - in contrasto con la pelle alabastrina -, il naso piccolo, i lunghi capelli neri sciolti, il collo niveo, il vestito pervinca.

Non aveva parole per esprimere tale beltà; poteva dire che era magnifica, ma suonava così riduttivo!

Rimase ad ammirarla a lungo, fino a che un suono di pianoforte lo distrasse.

Si voltò incuriosito verso la parte più ombrosa della sala e vide, seduto sul classico sgabello, Sasuke Uchiha che suonava.

Non sapeva cosa stesse suonando, ma la musica era ipnotizzante.

Si avvicinò lentamente verso lo strumento, notando i particolari che lo caratterizzavano.

Aveva già visto i pianoforti, quando per lavoro era costretto a pulirli, ma mai ne aveva visto uno così bello.

Sprigionava energia e maestosità. O forse era solo perché a suonarlo era quel giovane conte?

Non lo sapeva. E preferì non chiederselo.

Ammirò la struttura del pianoforte a code nero lucido; le piccole intarsiature sparse in giro e ammirò le dita nivee di Sasuke che suonavano.

Si scoprì a guardare il volto rilassato in un sorriso dolce, gli occhi socchiusi e le labbra leggermente aperte. Il respiro che accelerava a seconda del tempo delle note.

A guardarlo, sembrava che stesse facendo l’amore con una persona.

Si sentì rapito.

Inconsciamente si mise a cantare. Non aveva un testo da seguire e più che un canto vero e proprio, seguiva le note con le corde vocali.

Ed era strano che la sua voce suonasse piacevole al suo stesso orecchio, eppure era così.

Stava semplicemente accompagnando le note.

Quando la musica finì, gli sembrò di essersi svegliato da uno strano sogno.

Sentì il piccolo applauso del padrone di casa e non poté fare a meno di arrossire nel fissare quello sguardo compiaciuto e bramoso.

Si passò una mano fra i capelli puliti, riscoprendo dopo tanto la loro morbidezza.

Preso com’era a tentare di non abbassare lo sguardo - non sarebbe stato da lui d’altronde – non sentì la cameriera entrare nella sale, ma sentì benissimo il tono ostile nel rivolgersi a lui.

«Se il Signore vuole seguirmi, la cena è servita.»

La guardò allontanarsi con passo svelto, come se lo volesse seminare, mentre gli lanciava un’ultima occhiata torva; immaginava benissimo il perché di quello sguardo ostico, la gente lo additava solo come un poveraccio, un poco di buono, un orfanello, e faceva sempre, dannatamente, male.

Nel notare il lampo di tristezza attraversare le iridi cerulee, Sasuke gli si affiancò afferrandolo per un braccio, sospingendolo così verso la cucina; si appuntò mentalmente di punire la ragazza.

Non gli piacevano le prede tristi, le preferiva impaurite o sfrontate, ma non tristi.

Giunti alla sala da pranzo, Naruto aprì la bocca in un muto singulto.

Non era certo l’arredamento classico a sorprenderlo, ma l’immensa tavola imbandita di ogni delizia.

Osservò con l’acquolina in bocca quella che si presentava come semplice zuppa di pomodoro, a seguire tacchino con patate, pasticcio di carne, trota arrosto, salmone e infiniti dessert, il tutto coordinato da una bottiglia di vino rosso e una di vino bianco.

Pensò con un lieve moto di tristezza, che tutto quel ben di Dio avrebbe sfamato minimo una ventina di ragazzi come lui.

Nel sedersi, si rese anche conto che c’erano tante posate, troppe per i suoi gusti e che era apparecchiato solo per uno.

Decise di sorvolare su quel piccolo dettaglio, ma rimaneva il problema di come cibarsi.

Per il primo non ebbe molti dubbi, essendo una zuppa andava presa certamente con il cucchiaio - rigorosamente d’argento come il resto delle posate -, ma per gli altri pasti?

Con fare maldestro iniziò a bere la zuppa, cercando almeno di non fare rumore; ma che si poteva pretendere? Era pur sempre un poveraccio e non sapeva le buone maniere, fosse per lui, avrebbe preso il piatto e si sarebbe messo a bere direttamente attaccato alla stoviglia.

Afferrò il tovagliolo al suo fianco, allacciandoselo sul colletto come un bavaglino; non voleva sporcare quegli abiti così belli e fu un bene che se lo mise.

A fine primo, il tovagliolo da color panna qual’era, era diventato rosso.

Con Sasuke che gli suggeriva quale delle varie forchette usare, iniziò a mangiare di gusto - pur rendendosi ridicolo con la sua goffaggine - e bevendo per la prima volta un vino così buono.

Finita la cena, esplose in un sospiro di piacere infinito. Stava molto meglio con la pancia piena!

Lo sguardo disgustato e scettico delle cameriere che portavano via i piatti, rigorosamente vuoti, lo rattristò per un momento, ma decise di non pensarci ora che stava così bene.

Si volse verso Sasuke ricordandosi solo in quel momento che l’altro non aveva mangiato.

Ingenuamente, chiese il perché.

«Come mai Voi non avete toccato cibo?»

Il giovane conte sorrise mellifluo, conscio che era arrivato il momento di godersi la sua cena.

Con indolenza si alzò portandosi alle spalle del biondo. Poggiate le mani sulle spalle del ragazzo, si abbassò verso l’orecchio destro di Naruto, sussurrandogli con volta lentezza la risposta.

«Oh, ma io mangerò a breve, sto solo aspettando che la mia cena sia abbastanza in forze da farmi divertire…»

Un brivido freddo percorse la schiena di Naruto.

Si voltò di scatto fissando le iridi rosse di Sasuke, chiedendosi se era una sua allucinazione o se le aveva sempre avute di quel colore.

Nel vedere il sorriso distorcersi in un piccolo ghigno, istintivamente si volse a cercare la servitù, ma le parole dell’altro lo gelarono all’istante.

«Non ci sono, sanno che è giunta l’ora che io mangi.»

Balzò in piedi di scatto, rovesciando a terra il bicchiere colmo di vino; con gli occhi sgranati, indietreggiò fino a toccare lo spigolo del tavolo col sedere.

«C-che significa?»

Sasuke si avvicinò ulteriormente per farlo salire sopra il mobilio, chiudendogli così ogni via di fuga col suo corpo, oltre che a rendere l’espressione del ragazzo più piacevole alla sua vista.

Prese a parlare con quel suo tono basso e derisorio, alimentando la paura nell’altro con un pizzico di malizia neanche velata.

«Semplicemente, ti avevo invitato per cena, non a cena. Umph, stai calmo, ti farà male solo all’inizio, dopo vedrai che sarà piacevole…»

Naruto iniziò a boccheggiare timoroso; più vedeva il volto del conte avvicinarsi, più aveva voglia di scappare. Chiuse gli occhi con forza, non volendo vedere ciò che gli avrebbe fatto, ma nella sua mente un pensiero lo martellava:

«Sei così debole?»

Sentì vagamente le mani di Sasuke slacciargli la giacca e il colletto della camicia.

Tremò e ancora quella domanda lo invase:

«Sei così debole?»

Le dita affusolate erano fredde al contatto con la sua pelle bollente; gli venne da chiedersi quando si era tolto i guanti… Lasciò correre, poiché la sua mente pareva aver preso il sadico gusto nel porre quel maledetto interrogativo:

«Sei così debole?»

Due labbra gelide si posarono sul suo collo; la lingua lambì parte della cute, come per ammorbidirla; nel momento in cui sentì i denti raschiarlo leggermente, aprì gli occhi e spinse via il giovane.

Quando si riformò il pensiero, seppe con sicurezza cosa rispondere.

«Sei così debole?»

«No!»

Sasuke ghignò; infine la preda aveva deciso di tirare fuori gli artigli e i denti.

Peccato che anche il cacciatore aveva i suoi di denti.

Si ricompose con calma, guardando il respiro affannato del ragazzo mentre tentava di mettersi in un’alquanto discutibile posizione di difesa.

Lo vide tentare un nuovo attacco, che si limitò a deviare per farlo finire addosso al muro.

Non tentò nemmeno di bloccarlo, ma ne approfittò per palpargli il sedere. Al gridolino indignato della vittima, rispose con una lieve accenno di risata. Sadica, ma pur sempre risata.

Ampliò maggiormente il ghigno nel notare che Naruto non aveva affatto intenzione di arrendersi.

Ci sarebbe stato da divertirsi.

Si leccò le labbra alla prospettiva che quegli occhi ardenti di vita sarebbero stati suoi.

Lasciò che Naruto - il volto arrossato e gli occhi lucidi d’orgoglio -, lo attaccasse ancora e ancora, sennonché decise di farsi finalmente colpire, giusto per dargli la mera illusione di potersi liberare di lui.

Ed era pugno dritto sulla guancia quello che arrivò a Sasuke e Naruto sorrise soddisfatto.

Capì che qualcosa non andava quando notò che stava ghignando – per quanto potesse, visto che aveva ancora il suo pugno sulla guancia.

Guardò attonito gli occhi rossi pregni di bramosia e di derisione, ma non fece in tempo a dire nulla che si sentì voltare, in modo tale da dargli le spalle, e torcere il braccio destro dietro la schiena.

E la risata di quel conte s’insinuò nella sua mente, tanto da renderlo sordo ad ogni altro suono.

Questa volta Sasuke non si sprecò nemmeno a giocare - non ne aveva voglia e in più aveva fame -, spostò la giacca e la camicia per avere un accesso migliore e con la mano libera afferrò il mento dell’altro, spostandolo verso sinistra; l’unica cosa che gli disse, a pochi centimetri di distanza dalla giugulare, fu sussurrato con tono greve e cupo, senza tralasciare quella nota strascicata di derisorio divertimento.

«Urla pure se vuoi, nessuno correrà in tuo aiuto; sono miei schiavi e ben presto, lo sarai anche tu.»

La risposta di Naruto fu sibilata a denti stretti, poco prima che Sasuke affondasse i canini nel suo collo ambrato.

«Piuttosto mi ammazzo!»

Un gridolino sfuggì alla labbra della povera vittima, ma non ne fece un secondo; forse perché troppo orgoglioso, o forse perché il dolore iniziale era già passato lasciando al suo posto solo uno strano piacere ed un senso di torpore improvviso.

Si fece buio.

Non vedeva.

Che avesse chiuso, inconsciamente, le palpebre?

Sentiva.

Il rumore del succhiare incessante; il bruciare del sangue nelle vene;

la vita che lasciava il suo corpo.

Gli parve anche di sentire l’odore del sangue, ma era impossibile; era inodore.

Era insensibile al tatto.

Perché non sentiva più il suo braccio dolere per la posizione scomoda?

Perché non avvertiva le dita gelide del conte toccarlo?

Se lo chiese ancora e ancora, fino a che la testa non gli girò vorticosamente e tutto divenne oscuro.

Era quello l’oblio della morte?

Era giunta dunque la sua fine?

 

Quando riaprì gli occhi, si trovò in un letto sconosciuto, ma profumava di lavanda.

Le lenzuola erano di un bel bianco pulito e fresche - o era la sua pelle ad essere bollente?

Si guardò attorno posando una mano sulla fronte; scottava.

Si rimise sdraiato con uno sbuffo seccato.

Cercò di ricordare qualcosa che non fosse il suo nome o quello di Sasuke, ma con ben pochi risultati.

Un movimento nell’ombra della stanza lo riscosse, spingendolo a sporgersi dal letto per vedere cos’era.

 

Due occhi carmini lo fissarono gelandolo sul posto.

Un brivido freddo gli attraversò la schiena.

Gli occhi, leggermente vacui, si spalancarono.

Poi, buio.

Ed una voce.

«Reca obbedienza.»

 

Quando riaprì gli occhi, si trovò in un letto sconosciuto, ma profumava di vaniglia.

Le lenzuola erano di un bell’azzurro pastello e calde - o era la sua pelle ad essere fredda?

Si guardò attorno posando una mano sulla fronte, fresca.

Si rimise sdraiato con uno sbuffo seccato.

Cercò di ricordare qualcosa che non fosse il nome di Sasuke, ma con ben pochi risultati.

Un movimento nell’ombra della stanza lo riscosse, spingendolo a sporgersi dal letto per vedere cos’era.

 

Due occhi carmini lo fissarono gelandolo sul posto.

Un brivido caldo gli attraversò la schiena.

Gli occhi, quasi totalmente vacui e trasparenti, si spalancarono.

Poi, il buio.

Ed una voce.

«Reca obbedienza.»

 

Quando riaprì gli occhi, si trovò in un letto sconosciuto, ma profumava di belladonna.

Le lenzuola erano di un bel rosso sangue, ma non avvertiva né se erano fredde, né se erano calde - o era la sua pelle a non essere né fredda né calda?

Si guardò attorno posando una mano sulla fronte, come per abitudine e non per necessità.

Si mise a sedere aspettando paziente.

La testa era completamente vuota; non aveva pensieri di sorta, tranne uno strano e vago sentore che mancava qualcosa.

Alzò le spalle incurante, deciso ad attendere.

Un movimento nell’ombra della stanza lo distrasse, rendendolo coscio della presenza di qualcuno.

 

Due occhi carmini lo fissarono bramosi e attenti.

Si alzò per raggiungere la parte oscura della sala, solo per vedere che lì, seduto su di una elegante poltrona in mogano, sedeva, a gambe accavallate, Lui.

Gli occhi, vitrei quasi come fosse privo di anima, non mutarono espressione nel vedere che dalle labbra rosate spuntavano i canini lunghi e appuntiti.

Lo raggiunse e tranquillamente s’inchinò fino a posare la sua testa sulle gambe fasciate da un pantalone nero.

Lui iniziò ad accarezzare i capelli biondi con fare ipnotico, in risposta, solo un mesto sospiro di piacere.

«Reca obbedienza.»

 

Non poteva vederlo, né toccarlo, ma lo sentiva; non con le orecchie, ma con la mente.

«Dimmi Naruto, ti piacciono i vampiri?»

E quella voce gli metteva i brividi, con quel tono sensuale dal sottofondo derisorio, tanto da invogliarlo a tirargli un pugno.

Non lo fece, ma rispose.

«Sì, mio Signore, amo loro ed amo ancor di più Voi. Perché?»

Ed era un risata sarcastica e lievemente sadica quella che uscì dalle labbra dell’altro.

«Umph, così…»

 

 

   
 
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