Nick autore: Kei_Saiyu
Titolo: The Prey and the Hunter (La Preda e il Cacciatore)
Genere: Sovrannaturale; Introspettivo; Dark.
Rating: Arancione
Avvertimenti: Shonen-ai; AU; One-shot.
Fascia di anni scelta: Inizi ottocento.
Trama:
Due
occhi carmini lo fissarono gelandolo sul posto.
Un
brivido freddo gli attraversò la schiena.
Gli
occhi, leggermente vacui, si spalancarono.
Poi,
buio.
Ed
una voce.
«Reca
obbedienza.»
Note dell’autore: ©Kishimoto. Non sono
personaggi realmente esistenti o esistiti; sono maggiorenni; questa storia non
è stata scritta a scopo di lucro ma solo per puro divertimento.
Non ho scelto una data precisa, ma se
vogliamo essere pignoli, si svolge nel 1812. Il perché? Perché mi piace come
numero XD. Ok, sto sclerando.
Il pairing
come scelto è SasuNaru.
Credo sia tutto, non lo so, ma faccio
che sia così XD. Ah, altra cosina per la fascia degli anni: nonostante non
abbia precisato lo spazio temporale in cui si svolge la storia, è facilmente
intuibile dall’ambientazione che ho scelto.
Dattebayo.
Note Post-Contest:
Nonostante il risultato non mi soddisfi per nulla - tuttavia voglio leggere le
altre fanfiction partecipanti, per vedere se la mia
meritava effettivamente quel posto -, ringrazio nidaime93 e _ayachan_
per i giudizi.
Congratulazioni alle altre
partecipanti e alle podiste!
Dediche: A rekichan.
Perché ieri sera ha tentato di tirarmi
su il morale dopo i risultati.
Perché le è piaciuta.
Perché è stata lei a darmi la notizia
in un colpo secco, anche se ci stavo per rimanere secca XD.
Perché concorda con me che dopo tante fyccine su questo
andazzo – nonostante ce ne siano alcune molto belle -, questa merita.
Perché sicuramente si sorbirà le mie
fisime mentali sul: “non valgo nulla come
autrice”.
E per tanti motivi ancora che non
elencherò, ma che lei sa.
E la dedico anche a Rei-murai, che ieri sera tentava pure lei di tirarmi su di
morale.
Perché è una buona amica.
Perché mi andava di dedicargliela e
prima o poi le farò una bella fic solo per lei,
magari Nejikiba XD.
Grazie ragazze, vi voglio bene.
The Prey and the Hunter.
Non
poteva vederlo, né toccarlo, ma lo sentiva; non con le orecchie, ma con la
mente.
«Dimmi
Naruto, ti piacciono i vampiri?»
E
quella voce gli metteva i brividi, con quel tono sensuale dal sottofondo
derisorio, tanto da invogliarlo a tirargli un pugno.
Non
lo fece, ma rispose.
«Non
molto. Perché?»
Ed
era un risata sarcastica e lievemente sadica quella che uscì dalle labbra
invisibili dell’altro.
«Umph,
così…»
Si trascinava faticosamente lungo il muro sporco di
una via secondaria; ad illuminare il suo cammino, solo una splendida quanto
terrificante luna rossa, che donava ai suoi capelli biondo sporco un riflesso vermiglio.
L’aria era fetida, tanto da procurargli forti
eccessi di tosse, eppure continuava a camminare, nella speranza di trovare
qualcosa da mangiare per terra o magari qualche moneta per poter comprare, il
mattino dopo, un misero tozzo di pane, ma niente.
Non trovava assolutamente nulla per quella stradina
e stava male.
Erano giorni - non sapeva quanti per l’esattezza - che
non toccava cibo, neanche un dannato
pezzo di formaggio ammuffito e stava cedendo, ma non voleva morire lì, in quel
vicolo lercio e maleodorante e allora non rimaneva altro che continuare quella
disperata ricerca, con le lacrime di disperazione che premevano per uscire.
Si chiese quanto sarebbe stato facile lasciarsi
scivolare dolcemente a terra e addormentarsi, con la consapevolezza che non ci
sarebbe stato più alcun risveglio.
Si insultò più volte e stretti i denti proseguì;
troppo attaccato alla vita per arrendersi.
Il rumore degli zoccoli di un cavallo lo distrassero
momentaneamente, rendendolo conscio di una presenza umana poco lontano.
Senza nemmeno accorgersene si mise a correre, usando
quelle poche forze che gli erano rimaste nelle magre gambe.
Non sapeva cosa voleva fare, ma in quei pochi
secondi passati per giungere all’inizio della strada principale, aveva vagliato
le possibili proposte.
Aveva pensato di derubare il signore, poiché le
uniche donne che gironzolavano a quell’ora di notte erano le prostitute, ma non
gli piaceva molto come idea.
Non aveva mai rubato, nemmeno quando a soli due anni
si era trovato da solo in mezzo alla strada, senza nessuno che si prendesse
cura di lui.
Per sua fortuna, a salvarlo allora da una fine
alquanto terribile, c’era stato un vecchio vagabondo che lo aveva preso con sé,
aiutandolo a sopravvivere in quella realtà che nessun bambino dovrebbe mai
conoscere.
Gli aveva insegnato a leggere e a scrivere; a come
procurarsi del cibo facendo qua e là dei lavoretti umili e dividendo con lui
quello che riusciva a racimolare durante le escursioni notturne, ma mai gli
aveva detto di rubare, nemmeno nei periodi più neri.
Dieci anni dopo morì anche lui e si trovò a dover
sopravvivere da solo.
Ancora una volta.
Nel ripensare a quel vecchio, vagliò anche la
possibilità di elemosinare.
Non che lo attraesse molto, troppo orgoglioso per
abbassarsi a tanto, ma fra le due, preferiva chiedere pietà.
Quando notò la carrozza, non seppe se sorridere o
meno, ma attese. Aspettò che il mezzo
fosse abbastanza distante da consentire al cocchiere di fermarsi in tempo e
allora gli si gettò davanti a braccia spalancate, pronto ad attendere la morte
se l’uomo non si fosse fermato o a chiedere l’elemosina, in caso contrario.
Con il cuore in tumulto, vide i cavalli fermarsi
imbizzarriti a pochi passi da lui e il ragazzo alla guida guardarlo
infastidito; non se ne preoccupò.
Sentì indistintamente una voce all’interno della
carrozza chiedere cosa succedeva.
Un brivido freddo di terrore gli percorse la
schiena. Non gli badò.
E
fu un errore.
Senza attendere la risposta del cocchiere, prese
fiato e parlò ad alta voce, riuscendo, miracolosamente, a non farla tremare e
gli venne da ridere nel pensare che le sue parole suonavano di tutto fuorché di
preghiera.
«Signore, se avete un cuore nobile come sembra
essere la vostra carrozza, vi chiedo umilmente di aiutarmi. Sono solo un
ragazzo affamato e non voglio né farvi del male né disturbarvi, ma se mi
poteste aiutare dandomi qualcosa con cui mangiare, ve ne sarei grato a vita. E
giuro che vi restituirei tutto ciò che vorrete darmi.»
Una risata leggera si sparse dall’interno
dell’abitacolo.
Con lentezza, il ragazzo vide la portiera aprirsi e
da essa ne uscì un giovane uomo vestito in maniera piuttosto sobria, eppure
stranamente elegante nel suo impeccabile smoking dal taglio classico.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli dello
sconosciuto, ebbe un brivido.
Non sapeva dire se di paura o di eccitazione, forse
di entrambi, ma una cosa era certa: guardando quelle iridi d’ossidiana, aveva
avuto l’impressione di cadere nel profondo delle tenebre più nere.
Eppure
non ebbe paura.
Si sentì scrutato, ma non abbassò mai lo sguardo.
Non lo chinò nemmeno nel rendersi conto che quei miseri stracci logori, di un
assurdo arancione smorto, coprivano ben poco del suo scarno corpo.
Impettito, lo fissò a sua volta, come a dimostrargli
che non si sarebbe mai piegato a nulla, nemmeno mentre chiedeva l’elemosina.
E non sapeva perché aveva così tanto bisogno di
dimostrarsi forte in quel frangente.
Era come se ardesse dalla voglia di dimostrargli
qualcosa.
Ma
cosa, non sapeva.
Nel vedere lo sconosciuto sorridere lievemente, ebbe
l’impressione che la sua sfrontatezza gli piaceva e quando sentì la risposta
alla sua “preghiera”, ebbe quasi l’impressione di svenire dalla gioia.
Per
una volta, una sola, aveva fatto la cosa giusta.
«Or
dunque espressi i Vostri desideri, potrei avere l’ardire d’invitarVi per cena?»
E quella frase venne seguita da un perfetto inchino
inglese, con tanto di portiera aperta e di mano guantata indicante l’entrata
dell’apparentemente calda carrozza.
Senza farselo ripetere due volte, eseguì un
impacciato inchino - rosso in volto dalla timidezza - in segno di riconoscenza
ed entrò, seguito immediatamente dall’altro.
Una volta che la carrozza fu partita, sentì
nuovamente la voce del giovane chiedergli qualcosa di lui e non ebbe vergogna a
rispondere, nemmeno nel raccontargli che viveva di stenti per la strada a ben
sedici anni.
«Il
mio nome è Sasuke Uchiha e Voi, come vi chiamate?»
«Naruto, signore. Vi ringrazio per aver accolto la
mia richiesta, anche se non mi sarei mai aspettato una simile offerta.»
Sasuke abbozzò un sorrisetto, evitando di rispondere
ma facendo alcune brevi domande sulla sua vita.
Durante il viaggio, Naruto parlò molto di sé e delle
cose che amava, ma nel chiedere qualcosa lui, raramente otteneva risposta.
Riuscì a sapere solo che proveniva da una nobile
casata di origine giapponese, che si trovava a Londra per studiare le arti
mediche, che era un conte e che aveva vent’anni.
Nulla più, nulla meno.
Finito il racconto sulla propria insulsa esistenza,
ci fu solo un commento dell’Uchiha che lo incuriosì, ma data la troppa fame
lasciò correre.
«Dunque,
nessuno vi cerca?»
«Esattamente. Sono solo e non ho mai avuto nessuno
oltre al mio maestro, oramai defunto da quattro anni, che mi conosceva bene.
Perché?»
«Umph,
così. Tralasciando, siamo quasi arrivati.»
Scostando la tenda nera che copriva la visuale
esterna, vide che stavano attraversando una specie di immenso bosco, ma
l’oscurità era tale che non si vedeva nulla.
Si chiese brevemente come fosse possibile che
esistesse un posto del genere nel cuore di Londra e specialmente perché era
tanto buio, visto che prima c’era una grande luna a illuminare tutto, ma lasciò
perdere con un’alzata di spalle.
Si volse nuovamente verso l’Uchiha, deciso a
chiedere dove erano, ma si stupì nel notare che la luce era svanita anche
all’interno del mezzo e che non vedeva assolutamente nulla.
Nel sentire la sua voce, ebbe un sussulto.
Stranamente, non riusciva a capire da dove
provenisse e la cosa gli dava fastidio.
Non poteva vederlo, né toccarlo, ma lo sentiva; non
con le orecchie, ma con la mente.
«Dimmi
Naruto, ti piacciono i vampiri?»
E quella voce gli metteva i brividi, con quel tono
sensuale dal sottofondo derisorio, tanto da invogliarlo a tirargli un pugno.
Non lo fece, ma rispose.
«Non molto. Perché?»
Ed era un risata sarcastica e lievemente sadica
quella che uscì dalle labbra invisibili dell’altro.
«Umph,
così…»
Dopo quel breve quanto strano colloquio, la carrozza
si fermò ed il cocchiere aprì la portiera per farli scendere.
Quando alzò lo sguardo verso la proprietà di Sasuke,
vide un grande castello in perfetto stile gotico.
Nell’entrare, si chiese nuovamente come potesse
esistere una tale abitazione, ma ancora si lasciò ad un’alzata di spalle;
d’altronde, non aveva mai visitato del tutto la città, quindi non poteva che
credere che erano in un posto che non aveva ancora visto.
Notò con la coda dell’occhio Sasuke che parlava a
due cameriere, dando direttive su qualcosa che non riusciva a sentire.
Ciò che lo colpì, fu lo sguardo duro e ferito che
gli rivolse una delle due, quella coi capelli rosa e gli occhi verdi.
La collega, una biondina dagli occhi blu, si limitò
a non guardarlo neanche in volto.
In breve, lo sguardo penetrante dell’Uchiha si posò
su di lui e si sentì così piccolo e diverso
in confronto, che si strinse inconsciamente nella sua logora veste, non
notando nemmeno che il giovane era passato nuovamente a dargli del Voi.
«Bene,
prima di cena vi consiglio di fare un bagno caldo. Vi darò degli abiti più
puliti. Il pasto verrà servito alle ventitré in punto. Ora andate.»
Le due iniziarono ad incamminarsi verso il piano
superiore e le seguì.
Ammirò affascinato le scale in legno, probabilmente
frassino, rifinite con un tocco di oro giallo sul corrimano e rivestite da un
elegante tappeto rosso.
Si guardò intorno curioso, fissando i vari quadri
raffiguranti personaggi a lui sconosciuti, ma che incutevano un certo timore.
Notò, piuttosto casualmente, che quella casa era sì
bellissima, ma come morta.
Non sentiva niente provenire da essa, nemmeno la
minima impressione che fosse abitata, nonostante l’ordine e la pulizia che vi
albergava.
Quella casa, sapeva di chiuso. E di morte.
Le ragazze si fermarono indicando una porta in
mogano.
Supponeva fosse il bagno e indovinò.
Entrando, non si sarebbe mai aspettato una cosa del
genere.
Tutta la stanza, immensa oltretutto, era in ceramica
purissima, con intarsiature d’orate raffigurante lo stemma della casata: un
ventaglio con la parte superiore rossa e quella inferiore bianca.
Sfiorò con mano tremante il rubinetto, anch’esso sembrava
pregiato e non osava quasi toccarlo, per paura di romperlo o di sporcarlo.
Quando si decise ad aprire l’acqua, fu sul punto di
esultare; non solo non aveva combinato danni, ma poteva addirittura farsi un
bagno come si deve!
Si spogliò velocemente. Nell’immergersi in
quell’acqua cristallina, tirò un sospiro soddisfatto.
Dopo essersi concesso alcuni minuti per assaporare
quel tepore, iniziò a lavarsi, strofinando per bene il corpo fino a renderlo
nuovamente piacente.
Una volta finito, si asciugò in fretta e fece per
rimettersi i vestiti logori, ma voltandosi verso il portasciugamano, si accorse
che c’erano altri abiti al posto dei suoi.
Si chiese come fosse possibile che li avessero
scambiati, ma risolse il tutto liquidandolo con un:
«Si vede che ero talmente rilassato da non aver sentito le ragazze entrare…»
Il pensiero che qualcuno lo avesse visto nudo lo
fece arrossire, ma quando prese i nuovi abiti fra le mani, ogni altro pensiero
svanì.
Seta.
Ciò che stava toccando era seta purissima, così
liscia al tatto da rendere la sensazione inspiegabile.
Gli abiti erano composti da un pantalone nero - che
gli calzava a pennello -, da una camicia bianca a maniche lunghe con rifiniture
in pizzo e da una giacca rosso sangue con le code e dai bottoni d’oro.
Rimase affascinato da tanta bellezza e nel rimirarsi
allo specchio sorrise compiaciuto, notando che vestito così stava veramente
bene.
Mise anche le scarpe nero lucido coordinate; si
diresse nuovamente al piano inferiore, nonostante l’immensa voglia di gironzolare
per la casa e vedere le innumerevoli camere, ma quando giunse nell’atrio, vide
che ancora nulla era pronto e di Sasuke neanche l’ombra.
Decise di ispezionare le sale al piano terra,
finendo in salone.
Nel vederlo rimase a bocca aperta. Se il bagno era stupendo,
questo lo era molto di più.
Un elegante divano di pelle nera lo invitava a
sdraiarsi, mentre la poltrona in stoffa rossa - posta al fianco del camino –
sembrava chiedergli di accomodarsi.
Il pavimento in parquet scricchiolava leggermente
sotto i suoi piedi, ma ciò che lo attrasse, fu un ritratto di donna.
Posto sulla parete sopra il camino, quella donna
sembrava guardarlo con una dolcezza tale da farlo commuovere.
L’ammirò imprimendosi nella mente quella splendida
immagine.
Gli occhi a mandorla brillanti d’amore, il sorriso
gentile, le gote rosee - in contrasto con la pelle alabastrina -, il naso
piccolo, i lunghi capelli neri sciolti, il collo niveo, il vestito pervinca.
Non aveva parole per esprimere tale beltà; poteva
dire che era magnifica, ma suonava così riduttivo!
Rimase ad ammirarla a lungo, fino a che un suono di
pianoforte lo distrasse.
Si voltò incuriosito verso la parte più ombrosa
della sala e vide, seduto sul classico sgabello, Sasuke Uchiha che suonava.
Non sapeva cosa stesse suonando, ma la musica era
ipnotizzante.
Si avvicinò lentamente verso lo strumento, notando i
particolari che lo caratterizzavano.
Aveva già visto i pianoforti, quando per lavoro era
costretto a pulirli, ma mai ne aveva visto uno così bello.
Sprigionava energia e maestosità. O forse era solo
perché a suonarlo era quel giovane conte?
Non lo sapeva. E preferì non chiederselo.
Ammirò la struttura del pianoforte a code nero
lucido; le piccole intarsiature sparse in giro e ammirò le dita nivee di Sasuke
che suonavano.
Si scoprì a guardare il volto rilassato in un
sorriso dolce, gli occhi socchiusi e le labbra leggermente aperte. Il respiro
che accelerava a seconda del tempo delle note.
A guardarlo, sembrava che stesse facendo l’amore con
una persona.
Si sentì rapito.
Inconsciamente si mise a cantare. Non aveva un testo
da seguire e più che un canto vero e proprio, seguiva le note con le corde
vocali.
Ed era strano che la sua voce suonasse piacevole al
suo stesso orecchio, eppure era così.
Stava semplicemente accompagnando le note.
Quando la musica finì, gli sembrò di essersi
svegliato da uno strano sogno.
Sentì il piccolo applauso del padrone di casa e non
poté fare a meno di arrossire nel fissare quello sguardo compiaciuto e bramoso.
Si passò una mano fra i capelli puliti, riscoprendo
dopo tanto la loro morbidezza.
Preso com’era a tentare di non abbassare lo sguardo
- non sarebbe stato da lui d’altronde – non sentì la cameriera entrare nella
sale, ma sentì benissimo il tono ostile nel rivolgersi a lui.
«Se il Signore
vuole seguirmi, la cena è servita.»
La guardò allontanarsi con passo svelto, come se lo
volesse seminare, mentre gli lanciava un’ultima occhiata torva; immaginava
benissimo il perché di quello sguardo ostico, la gente lo additava solo come un
poveraccio, un poco di buono, un orfanello, e faceva sempre, dannatamente,
male.
Nel notare il lampo di tristezza attraversare le
iridi cerulee, Sasuke gli si affiancò afferrandolo per un braccio,
sospingendolo così verso la cucina; si appuntò mentalmente di punire la
ragazza.
Non
gli piacevano le prede tristi, le preferiva impaurite o sfrontate, ma non
tristi.
Giunti alla sala da pranzo, Naruto aprì la bocca in
un muto singulto.
Non era certo l’arredamento classico a sorprenderlo,
ma l’immensa tavola imbandita di ogni delizia.
Osservò con l’acquolina in bocca quella che si
presentava come semplice zuppa di pomodoro, a seguire tacchino con patate,
pasticcio di carne, trota arrosto, salmone e infiniti dessert, il tutto
coordinato da una bottiglia di vino rosso e una di vino bianco.
Pensò con un lieve moto di tristezza, che tutto quel
ben di Dio avrebbe sfamato minimo una ventina di ragazzi come lui.
Nel sedersi, si rese anche conto che c’erano tante
posate, troppe per i suoi gusti e che era apparecchiato solo per uno.
Decise di sorvolare su quel piccolo dettaglio, ma
rimaneva il problema di come cibarsi.
Per il primo non ebbe molti dubbi, essendo una zuppa
andava presa certamente con il cucchiaio - rigorosamente d’argento come il
resto delle posate -, ma per gli altri pasti?
Con fare maldestro iniziò a bere la zuppa, cercando
almeno di non fare rumore; ma che si poteva pretendere? Era pur sempre un
poveraccio e non sapeva le buone maniere, fosse per lui, avrebbe preso il
piatto e si sarebbe messo a bere direttamente attaccato alla stoviglia.
Afferrò il tovagliolo al suo fianco, allacciandoselo
sul colletto come un bavaglino; non voleva sporcare quegli abiti così belli e
fu un bene che se lo mise.
A fine primo, il tovagliolo da color panna qual’era,
era diventato rosso.
Con Sasuke che gli suggeriva quale delle varie
forchette usare, iniziò a mangiare di gusto - pur rendendosi ridicolo con la
sua goffaggine - e bevendo per la prima volta un vino così buono.
Finita la cena, esplose in un sospiro di piacere
infinito. Stava molto meglio con la pancia piena!
Lo sguardo disgustato e scettico delle cameriere che
portavano via i piatti, rigorosamente vuoti, lo rattristò per un momento, ma
decise di non pensarci ora che stava così bene.
Si volse verso Sasuke ricordandosi solo in quel
momento che l’altro non aveva mangiato.
Ingenuamente, chiese il perché.
«Come mai Voi non avete toccato cibo?»
Il giovane conte sorrise mellifluo, conscio che era
arrivato il momento di godersi la sua cena.
Con indolenza si alzò portandosi alle spalle del
biondo. Poggiate le mani sulle spalle del ragazzo, si abbassò verso l’orecchio
destro di Naruto, sussurrandogli con volta lentezza la risposta.
«Oh,
ma io mangerò a breve, sto solo aspettando che la mia cena sia abbastanza in
forze da farmi divertire…»
Un brivido freddo percorse la schiena di Naruto.
Si voltò di scatto fissando le iridi rosse di
Sasuke, chiedendosi se era una sua allucinazione o se le aveva sempre avute di
quel colore.
Nel vedere il sorriso distorcersi in un piccolo ghigno,
istintivamente si volse a cercare la servitù, ma le parole dell’altro lo
gelarono all’istante.
«Non
ci sono, sanno che è giunta l’ora che io mangi.»
Balzò in piedi di scatto, rovesciando a terra il
bicchiere colmo di vino; con gli occhi sgranati, indietreggiò fino a toccare lo
spigolo del tavolo col sedere.
«C-che significa?»
Sasuke si avvicinò ulteriormente per farlo salire
sopra il mobilio, chiudendogli così ogni via di fuga col suo corpo, oltre che a
rendere l’espressione del ragazzo più piacevole alla sua vista.
Prese a parlare con quel suo tono basso e derisorio,
alimentando la paura nell’altro con un pizzico di malizia neanche velata.
«Semplicemente,
ti avevo invitato per cena, non a cena. Umph, stai calmo, ti farà
male solo all’inizio, dopo vedrai che sarà piacevole…»
Naruto iniziò a boccheggiare timoroso; più vedeva il
volto del conte avvicinarsi, più aveva voglia di scappare. Chiuse gli occhi con
forza, non volendo vedere ciò che gli avrebbe fatto, ma nella sua mente un
pensiero lo martellava:
«Sei
così debole?»
Sentì vagamente le mani di Sasuke slacciargli la
giacca e il colletto della camicia.
Tremò e ancora quella domanda lo invase:
«Sei
così debole?»
Le dita affusolate erano fredde al contatto con la
sua pelle bollente; gli venne da chiedersi quando si era tolto i guanti… Lasciò correre, poiché la sua mente pareva aver
preso il sadico gusto nel porre quel maledetto interrogativo:
«Sei
così debole?»
Due labbra gelide si posarono sul suo collo; la
lingua lambì parte della cute, come per ammorbidirla; nel momento in cui sentì
i denti raschiarlo leggermente, aprì gli occhi e spinse via il giovane.
Quando si riformò il pensiero, seppe con sicurezza
cosa rispondere.
«Sei
così debole?»
«No!»
Sasuke ghignò; infine la preda aveva deciso di
tirare fuori gli artigli e i denti.
Peccato
che anche il cacciatore aveva i suoi
di denti.
Si ricompose con calma, guardando il respiro
affannato del ragazzo mentre tentava di mettersi in un’alquanto discutibile
posizione di difesa.
Lo vide tentare un nuovo attacco, che si limitò a deviare
per farlo finire addosso al muro.
Non tentò nemmeno di bloccarlo, ma ne approfittò per
palpargli il sedere. Al gridolino indignato della vittima, rispose con una
lieve accenno di risata. Sadica, ma pur sempre risata.
Ampliò maggiormente il ghigno nel notare che Naruto
non aveva affatto intenzione di arrendersi.
Ci
sarebbe stato da divertirsi.
Si leccò le labbra alla prospettiva che quegli occhi
ardenti di vita sarebbero stati suoi.
Lasciò che Naruto - il volto arrossato e gli occhi
lucidi d’orgoglio -, lo attaccasse ancora e ancora, sennonché decise di farsi
finalmente colpire, giusto per dargli la mera illusione di potersi liberare di
lui.
Ed era pugno dritto sulla guancia quello che arrivò
a Sasuke e Naruto sorrise soddisfatto.
Capì che qualcosa non andava quando notò che stava
ghignando – per quanto potesse, visto che aveva ancora il suo pugno sulla
guancia.
Guardò attonito gli occhi rossi pregni di bramosia e
di derisione, ma non fece in tempo a dire nulla che si sentì voltare, in modo
tale da dargli le spalle, e torcere il braccio destro dietro la schiena.
E
la risata di quel conte s’insinuò nella sua mente, tanto da renderlo sordo ad
ogni altro suono.
Questa volta Sasuke non si sprecò nemmeno a giocare
- non ne aveva voglia e in più aveva fame -, spostò la giacca e la camicia per
avere un accesso migliore e con la mano libera afferrò il mento dell’altro,
spostandolo verso sinistra; l’unica cosa che gli disse, a pochi centimetri di
distanza dalla giugulare, fu sussurrato con tono greve e cupo, senza
tralasciare quella nota strascicata di derisorio divertimento.
«Urla
pure se vuoi, nessuno correrà in tuo aiuto; sono miei schiavi e ben presto, lo
sarai anche tu.»
La risposta di Naruto fu sibilata a denti stretti,
poco prima che Sasuke affondasse i canini nel suo collo ambrato.
«Piuttosto mi ammazzo!»
Un gridolino sfuggì alla labbra della povera
vittima, ma non ne fece un secondo; forse perché troppo orgoglioso, o forse
perché il dolore iniziale era già passato lasciando al suo posto solo uno
strano piacere ed un senso di torpore improvviso.
Si
fece buio.
Non vedeva.
Che
avesse chiuso, inconsciamente, le palpebre?
Sentiva.
Il
rumore del succhiare incessante; il bruciare del sangue nelle vene;
la
vita che lasciava il suo corpo.
Gli
parve anche di sentire l’odore del sangue, ma era impossibile; era inodore.
Era insensibile al tatto.
Perché
non sentiva più il suo braccio dolere per la posizione scomoda?
Perché
non avvertiva le dita gelide del conte toccarlo?
Se lo chiese ancora e ancora, fino a che la testa non
gli girò vorticosamente e tutto divenne oscuro.
Era
quello l’oblio della morte?
Era
giunta dunque la sua fine?
Quando riaprì gli occhi, si trovò in un letto
sconosciuto, ma profumava di lavanda.
Le lenzuola erano di un bel bianco pulito e fresche
- o era la sua pelle ad essere bollente?
Si guardò attorno posando una mano sulla fronte;
scottava.
Si rimise sdraiato con uno sbuffo seccato.
Cercò di ricordare qualcosa che non fosse il suo
nome o quello di Sasuke, ma con ben pochi risultati.
Un movimento nell’ombra della stanza lo riscosse,
spingendolo a sporgersi dal letto per vedere cos’era.
Due
occhi carmini lo fissarono gelandolo sul posto.
Un
brivido freddo gli attraversò la schiena.
Gli
occhi, leggermente vacui, si spalancarono.
Poi,
buio.
Ed
una voce.
«Reca
obbedienza.»
Quando riaprì gli occhi, si trovò in un letto
sconosciuto, ma profumava di vaniglia.
Le lenzuola erano di un bell’azzurro pastello e
calde - o era la sua pelle ad essere fredda?
Si guardò attorno posando una mano sulla fronte,
fresca.
Si rimise sdraiato con uno sbuffo seccato.
Cercò di ricordare qualcosa che non fosse il nome di
Sasuke, ma con ben pochi risultati.
Un movimento nell’ombra della stanza lo riscosse,
spingendolo a sporgersi dal letto per vedere cos’era.
Due
occhi carmini lo fissarono gelandolo sul posto.
Un
brivido caldo gli attraversò la schiena.
Gli
occhi, quasi totalmente vacui e trasparenti, si spalancarono.
Poi,
il buio.
Ed
una voce.
«Reca
obbedienza.»
Quando riaprì gli occhi, si trovò in un letto sconosciuto,
ma profumava di belladonna.
Le lenzuola erano di un bel rosso sangue, ma non
avvertiva né se erano fredde, né se erano calde - o era la sua pelle a non
essere né fredda né calda?
Si guardò attorno posando una mano sulla fronte,
come per abitudine e non per necessità.
Si mise a sedere aspettando paziente.
La testa era completamente vuota; non aveva pensieri
di sorta, tranne uno strano e vago sentore che mancava qualcosa.
Alzò le spalle incurante, deciso ad attendere.
Un movimento nell’ombra della stanza lo distrasse,
rendendolo coscio della presenza di qualcuno.
Due
occhi carmini lo fissarono bramosi e attenti.
Si
alzò per raggiungere la parte oscura della sala, solo per vedere che lì, seduto
su di una elegante poltrona in mogano, sedeva, a gambe accavallate, Lui.
Gli
occhi, vitrei quasi come fosse privo di anima, non mutarono espressione nel
vedere che dalle labbra rosate spuntavano i canini lunghi e appuntiti.
Lo
raggiunse e tranquillamente s’inchinò fino a posare la sua testa sulle gambe
fasciate da un pantalone nero.
Lui
iniziò ad accarezzare i capelli biondi con fare ipnotico, in risposta, solo un
mesto sospiro di piacere.
«Reca
obbedienza.»
Non
poteva vederlo, né toccarlo, ma lo sentiva; non con le orecchie, ma con la
mente.
«Dimmi
Naruto, ti piacciono i vampiri?»
E
quella voce gli metteva i brividi, con quel tono sensuale dal sottofondo
derisorio, tanto da invogliarlo a tirargli un pugno.
Non
lo fece, ma rispose.
«Sì, mio Signore, amo
loro ed amo ancor di più Voi. Perché?»
Ed
era un risata sarcastica e lievemente sadica quella che uscì dalle labbra
dell’altro.
«Umph,
così…»