Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: Aru_chan98    18/01/2015    1 recensioni
Una song fic che tratta della storia passata di America e Inghilterra, partendo dall'infanzia fino ai giorni d'oggi. (Accenni usuk)
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Doko ni iru no? (Dove sei andato?)
Mado no soba ni iru yo (Sono vicino alla finestra)
Nani wo shiteru no? (Cosa stai facendo?)
Nani mo shitenai yo (Non sto facendo nulla)
Sobani oide yo (Vieni al mio fianco)
Ima iku kara matte (Arrivo subito, dammi un secondo)
Hanashi wo shiyou (Parliamo)
Ii yo, mazu kimi kara (Puoi cominciare tu)
 
Inghilterra era finalmente riuscito ad andare a trovare America, dopo un po’ di tempo che non si vedevano: sapeva che la piccola colonia aveva bisogno di lui, ma erano proprio gli impegni per proteggerlo che lo tenevano lontano da lui. Entrò nella grande casa ma si stupì di non trovare il piccolo ad accoglierlo. Posò la valigia nella camera degli ospiti e andò alla ricerca del fratellino per quella casa davvero troppo grande per una colonia così piccola. Lo trovò nel salotto, intento a guardare qualcosa oltre il vetro della finestra, talmente assorto nei suoi pensieri da non aver nemmeno notato la presenza della nazione più grande. “America, what are you doing?” gli chiese, facendolo sobbalzare per la sorpresa. “Ah, niente d’importante” si affrettò a rispondere America, distogliendo lo sguardo dal mondo esterno. “Dai, vieni a salutarmi” disse allora Inghilterra, con fare divertito: la risposta veloce dell’altro non lo aveva convinto pienamente infondo. Avrebbe potuto anche non dirlo, infatti non ebbe nemmeno finito di parlare che il piccolo America si alzò da terra e gli corse incontro per poi abbracciarlo forte dicendo “Mi sei mancato”. “Anche tu” gli rispose Inghilterra, ricambiando quell’abbraccio. “Allora, com’è andato il viaggio?” gli chiese la giovane colonia, con la sua solita vitalità, pochi minuti dopo essersi sciolti da quell’abbraccio. “Pieno di turbolenze diciamo” gli rispose l’inglese ridacchiando. Allora America lo tirò per una manica fino al divano per poi fargli intendere che voleva che si sedesse. Dopo averlo fatto, la piccola nazione gli salì sulle ginocchia e gli chiese con grande curiosità quali avventure avesse attraversato quella volta, impaziente di ascoltare quelle stupende storie.
  
Doko ni iru no? (Dove sei andato?)
Kimi no soba ni iru yo (Sono al tuo fianco)
Nani wo miteru no? (Che cosa stai guardando?)
Kimi no koto miteru yo (Sto guardando te)
Doko e iku no? (Dove stai andando?)
Doko e mo ikanai yo (Non vado da nessuna parte)

Zutto soba ni iru yo (Sarò sempre al tuo fianco)
 
“England, bentorn-!” America s’interruppe non appena vide il braccio fasciato del tutore. Era passato qualche anno dal loro ultimo incontro, ma non si sarebbe mai aspettato di vedere Inghilterra in quelle condizioni. “Oh, questa? Non preoccuparti America, non è niente di grave. Vedrai che passerà” gli disse per rassicurarlo, ma comunque la piccola nazione non ne voleva sapere di apparire meno preoccupata, così il più grande si affrettò ad aggiungere “Ti ho portato un regalo che ti piacerà sicuramente, vedrai”. Così gli porse una grande scatola e America finalmente sembrò rilassarsi. La portò dentro e l’aprì mentre l’inglese sistemava le sue cose. “England, England, thank you very much!” urlò America dalla sua stanza, davvero contento di trovarci dentro dei soldatini di legno. Corse da Inghilterra tenendone in mano un paio, continuando ad esprimere la sua felicità. “Ma la cosa più bella è che sono tutti diversi gli uni dagli altri. Come mai sono così?” gli chiese il piccolo, con gli occhi celesti che scintillavano per la felicità. “Sono stati fatti a mano, tutti quanti. Sono contento che ti piacciano” gli rispose con un sorriso. Il pomeriggio di quel giorno America lo passò a giocare con i soldatini, ma quando Inghilterra dovette ritirarsi nello studio per lavorare ad alcuni documenti, smettendo quindi di giocare con lui, la giovane colonia decise di mettersi a disegnare per stare comunque in compagnia del suo tutore. Si mise a pancia in giù sulla moquette della stanza e cominciò a disegnare allegramente, canticchiando qualche canzone che Inghilterra gli cantava da piccolo. “Cosa stai disegnando America?” gli chiese l’altro, incuriosito dai disegni, soprattutto dall’ultimo che sembrava impegnarlo particolarmente. America si alzò e gli porse il foglio, sorridendo: il piccolo aveva cercato di fare un ritratto al tutore mentre era assorto nel lavoro. “È davvero bello” gli disse Inghilterra sorridendo e accarezzandogli la testa. Anche se era un disegno un po’ goffo, gli scaldava il cuore come mai in vita sua. Il giorno seguente c’era bel tempo, così America volle uscire a giocare. Inghilterra si sedette sotto un albero dopo un po’, sia perché cominciava a fare fin troppo caldo, sia perché stare dietro a quel bambino era molto stancante. Mentre lo osservava ridere mentre correva non poté non sorridere. Una fata lo distrasse dal ragazzino per salutarlo e chiacchierare in generale. Bastarono dieci minuti di distrazione e America sparì dagli occhi del maggiore, che si preoccupò. Cominciò a chiamarlo a gran voce e si prese uno spavento quando America si presentò alle sue spalle, nascondendo le mani dietro alla schiena. “Dov’eri finito? Mi hai fatto prendere un bello spavento” cominciò a sgridarlo, ma non poté continuare perché il ragazzino lo interruppe subito. “Non ero andato da nessuna parte in particolare. Piuttosto, England puoi avvicinarti? Devo dirti un segreto”. Inghilterra s’inginocchio al livello del bambino e i suoi occhi smeraldo si riempirono di sorpresa quando America gli poggiò in testa una corona di fiori con un gesto rapido. Non se lo aspettava proprio e arrossì. Abbracciò la colonia e lo ringraziò. A sua volta America ricambiò quell’abbraccio, dicendogli “England non avere paura, sarò sempre al tuo fianco.
 
Sore kara (E poi)
Boku wa kimi wo mitsume (Anche I miei occhi ti stavano vedendo)
Sore Kara (E poi)
Itsumo onaji hanashi (Abbiamo sempre parlato delle solite cose)
 
Pian piano gli anni passavano, e America cresceva. Durante la settima visita, Inghilterra lo rivide che aveva l’aspetto di un ragazzo di 16 anni circa. Se ne stupì, anche se non poteva non sentirsi contento della crescita del suo fratellino, che lo accoglieva sempre con un bel sorriso affettuoso. Anche quella volta lo accolse con un sorriso molto allegro, però quella volta diede il tempo di disfare le valigie al fratello maggiore. Quel pomeriggio America lo convinse a fare un giro a cavallo per fargli vedere quanto i villaggi della sua gente erano progrediti. Tornarono verso sera e Inghilterra si offrì di cucinare la cena. Verso sera venne recapitato loro un invito ad una festa tra nobiluomini che si sarebbe tenuta la settimana seguente, ma la cosa non pose fine all’allegria che si era creata intorno a quella tavola, ove le due nazioni mangiavano allegramente. “Cosa intendi indossare per quella festa America?” gli chiese l’inglese e non seppe se ridere o innervosirsi quando l’altro gli disse che bastavano i suoi abiti da lavoro migliori. Una volta lasciato America dormire nella sua stanza, l’inglese cominciò a pensare ad un modo per non far sfigurare né lui né il fratellino, così andò in camera sua e scrisse una lettera, che diede ordine ai domestici di consegnare quella notte stessa. Dopodiché si infilò sotto le coperte e si addormentò. Il giorno della festa arrivò in un attimo, visto che ad affrettare il tempo c’erano le giornate piene di vitalità e gioia che le due nazioni passavano insieme, a parlare anche di cose un po’ più serie rispetto a qualche anno prima. Poco dopo pranzo ad Inghilterra fu consegnato un pacco dal maggiordomo, che gli disse che proveniva dal mittente della lettera precedente. La nazione ringraziò l’uomo e chiamò a gran voce America. “Guarda cosa è appena arrivato dalla mia nave” gli disse sorridendo e la nazione più giovane, ancora memore della volta in cui ricevette i soldatini, non vedeva l’ora di aprire quella scatola misteriosa. Quando lo fece vi trovò dentro un vestito elegante per gli uomini del tempo. “Su, provalo” lo incitò il tutore e anche se di malavoglia, la nazione più giovane eseguì: l’abito gli stava a pennello, ma la nazione pensava fosse troppo formale per lui, ma non si lamentò particolarmente per non ferire i sentimenti del suo tutore. Tornarono verso tarda notte e si diressero nelle loro rispettive camere per cambiarsi e finalmente riposare dopo quell’interminabile notte di chiacchiere formali con estranei e balli. Dopo quasi un’ora, Inghilterra fu svegliato dalla giovane colonia. “Qualcosa non va America?” gli chiese gentilmente e il ragazzo gli rispose con imbarazzo “Alla festa un altro ragazzino mi ha raccontato una storia di fantasmi davvero spaventosa e adesso non riesco a dormire. Beh, pensavo che come hero il mio compito fosse quello di proteggere tutti, quindi per questo motivo mi chiedevo se… se…” “Sure, come here” finì l’altro per lui. “England, stai dormendo?” chiese America dopo pochi minuti essersi sistemato sotto le coperte insieme a Inghilterra. Quest’ultimo disse di si, aspettandosi una domanda infantile dal ragazzo, come quando era più piccolo, ma la domanda lo spiazzò: “Alla festa, ti vedevo cercare qualcuno con lo sguardo, chi era? Una donna?”. “Non era una donna, ma è vero che stavo cercando qualcuno. Ma quando l’ho trovato quella persona stava danzando con una bella signorina per poi discorrere in allegria con dei miei vecchi conoscenti” gli rispose piano l’inglese. “Chi era quella persona?” gli chiese e il buio della stanza celò un po’ di gelosia negli occhi limpidi del ragazzo, lasciando ignaro il più grande della presenza di quell’insolito sentimento nell’animo del ragazzino che considerava come un fratello. “Eri tu” gli rispose e America non riuscì a dire altro, così Inghilterra, credendo che l’altro si fosse addormentato, gli diede la buonanotte e si addormentò a sua volta. E fu con queste giornate che si ripetevano di rado che gli anni passarono, ripetendo sempre le solite cose.
 
Doko ni iru no? (Dove sei andato?)
Tonari no heya ni iru yo (Sono nella stanza affianco)
Nani wo shiteru no? (Cosa stai facendo?)
Tegami wo kaiteru no (Sto imbustando la mia lettera)
Soba ni oide no? (Vieni al mio fianco)
Demo mou ikanakucha (Ma io devo andare)
Hanashi wo shiyo (Parliamo)
 
Ormai stava lavorando su i suoi documenti da un paio d’ore e ancora non aveva visto America entrare nel suo studio per interromperlo o anche solo per fargli compagnia. Era molto insolito da parte sua, ma del resto molte cose erano cambiate, soprattutto quella piccola nazione, che ormai lo superava in altezza di sei centimetri e passa. Decise di fare una piccola pausa e, alzandosi in piedi per sgranchirsi un po’ le gambe, decise di chiacchierare un po’ col fratello. “Chissà che cosa lo turba” pensò la nazione, che si era accorto che America sembrava sorridergli distrattamente, come se avesse qualcosa che lo stesse turbando molto. Lo trovò nella stanza accanto allo studio, chino sulla scrivania. “Cosa stai facendo?” gli chiese, facendo sobbalzare il più giovane. “Sto… sto scrivendo una lettera” gli rispose America, con una nota triste, ma sempre senza smettere di dare le spalle all’inglese. “Una lettera? Posso sapere per chi la stai scrivendo?” gli chiese, sentendosi un po’ curioso, ma se ne pentì quando la colonia gli rispose, con voce davvero triste, “Per una persona a cui voglio davvero bene ma che sono sicuro perderò dopo questa lettera”. Inghilterra decise di tornare a lavorare sulle sue carte e lasciare l’altro in pace, con una sgradevole sensazione addosso, una specie di brutto presentimento. Mentre compilava e controllava quei fogli, non poté non ripensare al litigio che avevano avuto qualche giorno prima, su una questione riguardante le tasse. Si chiese se America fosse ancora arrabbiato con lui. Lo sentì bussare alla porta della stanza ed entrare silenziosamente. “England, posso parlarti?” gli chiese con voce seria, così insolita per lui. L’inglese alzò la testa dai fogli quando vide che il ragazzo aveva appoggiato un pezzo di carta finemente scritto sotto i suoi occhi: era una dichiarazione di guerra. “Questo… questo è uno scherzo? Se lo è, smettila, non è divertente” gli disse Inghilterra, che non voleva credere a quanto aveva appena letto, ma lo sguardo freddo del ragazzo non lasciò spazio ad alcun dubbio. “No, non puoi essere serio. Ce… ce l’hai ancora con me per il litigio di qualche giorno fa? Te l’ho detto che mi dispiace” disse sempre più disperato, alzandosi dalla sedia e aggirando la scrivania per avvicinarsi all’altra nazione, ma quest’ultimo continuò a restare in silenzio, con gli occhi bassi. “America guardami! Ti prego, non farmi questo” gli disse, aggrappandosi alla manica della camicia della colonia, ma America si liberò da quella presa e oltrepassandolo gli disse “Ormai non sono più tuo fratello” e attraversò tutta la stanza per poi uscire dalla porta, senza fermarsi nemmeno quando sentì Inghilterra cadere in ginocchio per lo shock.
 
Sore kara (E poi)
Kimi wa boku wa mistume (Mi stavi guardando)
Sore kara (E poi)
Nakinagara waratta (Stavo piangendo mentre ridevo)
 
Ora erano lì, in mezzo al fango, alla pioggia e ai corpi dei soldati caduti, entrambi a combattere per qualcosa: America combatteva per la propria libertà, mentre Inghilterra combatteva sul fronte opposto per non lasciarlo andare. Erano mesi che combattevano, ognuno nella speranza di battere l’altro, ma entrambi sentivano che quella sarebbe stata la battaglia finale. Passarono interi minuti a fissarsi, entrambi in testa ai rispettivi eserciti, senza dare ordini né altro, rendendo l’aria sempre più tesa. “England adesso basta! Lasciami libero di essere ciò che voglio essere. Non sono più un bambino, né il tuo fratellino. Davanti a te hai un individuo come altri, quindi lascia liberi me e la mia gente” urlò America, spezzando quel silenzio che rimase sempre teso. “Mai!” urlò di rimando l’inglese, che si precipitò all’attacco contro l’altra nazione, armato solo del suo moschetto scarico. America fu svelto abbastanza per parare il colpo, ma entrambi finirono disarmati. Allora Inghilterra gli sferrò un pugno in faccia, che fece cadere a terra l’altro, mettendo in allarme il rispettivo esercito, che si preparò a sparare. Il comandante di America però li fermò, dicendo loro che era una disputa che i due dovevano risolvere da soli. “Stupido! Perché l’hai fatto? Perché, America? Tu eri tutto per me! Eri la mia famiglia, il mio migliore amico, il mio fratello preferito, la mia casa! Eri tutto per me! Perché vuoi tutto questo?” gli urlò, cadendo in ginocchio sotto gli occhi sbarrati dell’avversario, e cominciando a piangere per la rabbia e il dolore. “Perché il motivo per cui voglio l’indipendenza vale più di te” gli rispose piano, e Inghilterra sentì quelle parole conficcarsi nel suo cuore come pugnali. Che sciocco era stato a pensare di aver trovato qualcuno che fosse gentile con lui e non volesse tradirlo. “ E allora vattene” gli ringhiò l’inglese, senza riuscire ad alzarsi o a fermare le lacrime dall’invadere i suoi occhi verdi come gli smeraldi. America gridò ai suoi che avevano vinto e si ritirò con loro, girandosi una volta sola, ma era ormai così lontano che tutto quello che vide fu un omino rosso inginocchiato nel fango. Lungo la strada verso l’accampamento militare i soldati gioivano, ridevano, sparavano in aria per annunciare a tutti la buona notizia. America provava a ridere, ma si accorse subito che qualcosa di caldo gli era sceso lungo una guancia: stava piangendo. Rideva con il suo comandante e i suoi uomini, ma non riusciva a fermare le lacrime. Era libero, la sua gente era in festa e aveva risolto alcuni problemi legati all’imposizione inglese, aveva tutto ciò che voleva in pratica, eppure sentiva il cuore spezzarsi ogni secondo di più, ritrovandosi a desiderare di tornare su quel campo per poter dire parole diverse a quella nazione che lo aveva amato sinceramente e che anche in quel momento aveva gli stessi sentimenti, nonostante avesse ricevuto una pugnalata alla schiena da quell’amata piccola colonia. “Ormai non si torna indietro” si disse per farsi forza, e tornò in mezzo ai suoi compagni d’armi per festeggiare.
 
Sayounara (Addio)
Yuube yume wo mita yo (Al sogno che ho visto la scorsa notte)
Sayounara (Addio)
Itsumo onaji hanashi (Alle stesse cose di cui abbiamo sempre parlato)
 
Inghilterra aprì gli occhi di scatto, ancora spaventato dall’incubo che aveva appena sognato. Aveva gli occhi ancora umidi per il pianto, ma non poteva farci niente, ogni volta che nei suoi sogni si ripeteva quel giorno di pioggia non poteva non piangere. Aprì completamente gli occhi, liberi dalle lacrime dopo averle asciugate sul cuscino e vide il volto addormentato di America vicino al suo. A quella vista tutto lo spavento dell’incubo gli passò e un sorriso dolcissimo gli spuntò sulle labbra. Muovendosi il meno possibile, Inghilterra si mise comodo e guardò il volto dell’americano per qualche minuto, perdendosi nei ricordi. Quest’ultimo gli aveva messo un braccio intorno alle spalle e gli bloccava entrambe le gambe con la sua, e aveva solo la pancia coperta dal lenzuolo, mentre l’altro aveva solo le gambe dal ginocchio in giù scoperte, solo perché era Luglio inoltrato. I raggi dorati del sole davano alla scena una sfumatura di luce meravigliosa e l’inglese avrebbe voluto accarezzare la testa dell’altra nazione, ma facendo così l’avrebbe svegliato. Non gli sembrava vero che la loro relazione, fraterna all’inizio, si fosse trasformata in una romantica, ma ne era felice, perché lui amava davvero tanto America, e sapere alcuni suoi piccoli segreti non fecero altro che far rafforzare quel sentimento: Seppe che la nazione aveva voluto l’indipendenza non per una questione d’odio o puramente basata sulle decisioni del popolo, ma perché voleva essere riconosciuto come una persona e non come un fratello da lui. Che voleva proteggerlo e prendersi cura di lui come l’inglese aveva fatto decenni prima. C’era voluta quella guerra per far capire ad entrambi quello che provavano rispettivamente e quasi due secoli e mezzo per farglielo ammettere reciprocamente, ponendo fine ai loro tormenti e a quella distanza che li faceva soffrire così tanto. “Sweet dreams, my hero” sussurrò piano l’inglese, sorridendo per poi rimettersi a dormire, rassicurato dalla dolce stretta dell’abbraccio di America.



Piccolo Angolo del''Autrice:
Questa volta ho seriamente paura di quello che ho scritto... La canzone su cui ruota tutta la storia si chiama Onaji Hanashi ed è cantata dagli Humbert Humbert e vi invito caldamente ad ascoltarla dopo aver letto la mia storia, cercando di immaginare le scene strofa per strofa. Spero di non aver scritto un opera di plagio (la mia più grande e immensa paura) e soprattutto spero di averla scritta come si deve. (Il testo è a colori per far capire chi sta cantando secondo me: In blu parla Inghilterra, mentre in rosso parla America)
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Aru_chan98