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Autore: DanielasCorner    18/01/2015    1 recensioni
Degli studenti con abilità singolari, un alone di leggenda attorno alla scuola, una ragazza solitaria e determinata e la lotta contro i suoi sentimenti. Si può essere al sicuro?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano i primi di febbraio. L’aria gelida mi colpiva le guance come milioni di spilli, mentre cercavo di nasconderla sotto la sciarpa che mi ero messa al collo. Il freddo era una delle poche cose che mi rilassava, e allo stesso tempo mi faceva sentire viva. Il corpo che tremava, i brividi lungo la spina dorsale, le dita ghiacciate e atrofizzate. Lo adoravo, mi dava energia.
Guardai il display del mio cellulare. Le 6.24. Dormivano ancora tutti al college, ed era per questo che mi ero svegliata presto, per starmene in pace e non vedere nessuno.
Frequentavo l’Emerald College, una specie di liceo per ragazzi con abilità non convenzionali. Avevamo certe capacità, noi studenti, che non tutte le persone avevano. Innanzitutto, gran parte di noi sembrava uscita da un quadro, tanto sembrava perfetta, con i capelli lucenti e i sorrisi smaglianti. Stronzate del genere.
Poi, avevamo dei talenti: potevamo correre così veloce da non essere più visti, o riuscivamo a saltare enormi distanze. Avevamo il  talento, fin dalla nascita, di combattere come una persona normale non riuscirebbe mai. Era molto raro, per noi, ammalarci, ma se lo facevamo, riuscivamo a guarire in brevissimo tempo.
Ognuno di noi era più portato in una determinata abilità di queste, e l’Emerald College serviva a specializzare gli studenti nei talenti che avevano ereditato maggiormente dalle loro famiglie.
Per sfortuna, il 97% dei miei coetanei ostentava il fatto di essere ‘speciale’, diverso da coloro che non avevano poteri. Il restante 3% era composto da me e i Negati, soprannominati così perché non eccellevano in nessuna capacità, ed erano discriminati per questo.
Io, come pochi a scuola, avevo ereditato le capacità da entrambi i miei genitori, quindi eccellevo in due abilità, a differenza degli altri, la cui abilità principale era solo una. Io me la cavavo con la Corsa e il Combattimento a Distanza. Amavo correre, mi faceva sentire libera e piena di energie; mi faceva sentire come se ne valesse la pena.
Con il Combattimento a Distanza, praticavamo il lancio dei coltelli, il paintball e il tiro con l’arco. Quest’ultimo era il mio preferito. Avevo una mira eccezionale, ma non mi attiravano i coltelli o i fucili a vernice. Incoccare la freccia, liberare i pensieri e scoccarla, era una delle cose che mi emozionava di più.
Oltre a queste discipline, però, mi piaceva occuparmi di qualcosa di più ‘normale’, che i miei compagni sottovalutavano molto, per il solo fatto che era tipico della gente senza poteri. Semplicemente, trovavo una panchina libera e isolata, mi mettevo comoda e scrivevo. Scrivevo di tutto: ciò che facevo durante la giornata, i miei pensieri, le mie emozioni, anche piccole storie che inventavo dal nulla. Sembra strano, ma mi aiutava a non pensare, sbattere su delle pagine tutto ciò che provavo.
 
Era questo che feci dalle 6.24, buttata su una fredda panchina di ferro, con le ginocchia al petto e il mio quaderno fra le mani. Passò più tempo di quanto credessi, e probabilmente non alzai lo sguardo nemmeno una volta, perché quando lo feci, notai che il cortile stava iniziando a popolarsi; tutti gli studenti si incontravano fuori dai dormitori e si dirigevano verso le lezioni che avrebbero dovuto svolgere quella mattina. Alzai gli occhi al cielo, disturbata dal solo fatto di vedere delle persone, e tornai a scrivere. Dopo poco, dall’alto della sua fama, arrivò sul pianeta degli sfigati Jessica, la ragazza più amata/odiata dell’intero college.
Eravamo diventate amiche, a quanto si diceva, l’anno prima, quando iniziai ad uscire con un ragazzo della sua compagnia, su cui, si sapeva, lei aveva puntato gli occhi dal primo anno. Jessica era molto furba, e aveva capito che se davvero voleva conquistarlo, doveva essere (o almeno sembrare) matura ai suoi occhi. Perciò, come una leader degna di questo nome, mi aveva accolto nella compagnia di quelli importanti come la più benevola delle regine, con il solo scopo di portarmi via il ragazzo. Lo sapevamo entrambe, che il nostro non era un rapporto reale, ma mi dispiaceva spezzare l’alone di ipocrisia che circondava quella comitiva, perciò, fino a quando non mi avesse dato fastidio, avevo deciso di stare al gioco. Era passato un anno, ero tornata ad essere la solita ragazza asociale dall’ignobile interesse nella scrittura, quel ragazzo ed io non ci parlavamo più, e lei era l’ultima traccia rimasta nella mia vita che facesse sembrare reale tutto ciò che era successo. Lo sapevo bene, Jessica mi restava ‘amica’ perché sperava ancora che riuscissi a farla stare con il mio ex, che non le aveva mai dato attenzioni. Era convinta che quel ragazzo provasse ancora qualcosa per me, quindi mi trattava bene per attirarlo a sé.
Venni distolta dai miei ricordi dalla sua voce allegra e squillante alle 7.30 di mattina.
- Buongiorno, Allie! Come stai oggi? - 
Era nella sua tenuta da Corsa, con i pantaloncini bianchi e la canotta grigia entrambi di qualche taglia in meno di quella giusta, le lunghe gambe abbronzate la facevano sembrare una statua. I capelli biondi erano raccolti in una coda alta che le metteva in risalto il viso bellissimo. Non si poteva negare, quella ragazza brillava di luce propria. Mi chiedevo ancora, dopo tre anni di college insieme, come facesse a stare mezza nuda in mezzo ai boschi, nel pieno dell’inverno. Io ero ancora in pigiama, con dei pantaloni grigi di qualche taglia in più e una felpa, grigia anch’essa, di diverse taglie in più. I miei capelli castani erano raccolti in una lunga treccia improvvisata, col solo fine di non farmi accecare da qualche ciocca a causa del vento. Eravamo agli antipodi, io e lei.
 - Sto bene, grazie - Misi da parte il mio quadernetto, poggiandolo sulla panchina accanto a me, ma il movimento non passò inosservato alle due ruote di scorta di Jessica, Lauren e Alicia. Quest’ultima, con un gesto repentino, mi prese il quadernetto e lo osservò con una smorfia, girandolo qua e là per capirne il meccanismo nascosto. Probabilmente non aveva mai aperto un libro, nemmeno per studiare la teoria. Ovviamente, essendo le due cagnoline di Jessica, anche loro due fingevano che stessi loro simpatica.
- Ancora con questo stupido hobby di scrivere, Allison? E’ così noioso – esordì, e con noncuranza se lo lanciò alle spalle. Non era un tiro normale, ma un lancio potente, che fece volare il mio povero quaderno verso i dormitori maschili. Mi alzai immediatamente in piedi, con gli occhi sgranati e furiosi, e le rivolsi uno sguardo che avrebbe potuto ucciderla. Mi fiondai verso il dormitorio, correndo il più veloce possibile, seguendo con lo sguardo il quadernetto. Appena arrivò il momento, saltai con decisione e mi aggrappai al ramo di un albero, riuscendo a prendere il mio notebook prima che toccasse terra o andasse a frantumare la finestra di una stanza del dormitorio. Tirai un sospiro di sollievo, e sorrisi tra me e me. Ad avermi fatto scattare non era l’importanza del quaderno, ma tanto il fatto di non volerla dar vinta a quelle idiote, che ora mi guardavano indignate e sorprese allo stesso tempo. Ero piuttosto in alto, con i piedi su un grosso ramo, e appena lo realizzai, alzai lo sguardo, e lo vidi. Era la finestra della sua camera, e lui la aprì, con i capelli corvini ancora bagnati dalla doccia e lo sguardo luminoso come sempre. Mi guardò incredulo, e anche abbastanza disorientato. Non si vedeva tutti i giorni una ragazza arrampicata su un albero. Ci guardammo per qualche secondo, senza sapere cosa dire.
- Ciao, Allison – disse lui, optando per un saluto del tutto fuori luogo.
- Ciao, Cedric – risposi senza un tono particolare, solo per educazione. Mi voltai e saltai, arrivando a terra in perfetto equilibrio.
Guardai le ragazze. Jessica stava facendo una ramanzina ad Alicia in mia difesa, ma non ci diedi peso. Quando mi avvicinai, le due cagnoline mi guardarono come se stessero per strozzarmi, mentre Jessica mi rivolse la sua migliore faccia dispiaciuta: - Mi dispiace, io… - ma non la feci finire. Non mi fermai nemmeno da loro, a dire la verità, ma proseguii per il viale, diretta verso il mio dormitorio.
Avevo capito che, per vivere nel modo meno peggiore, lì al college, non dovevo dare corda agli stupidi. Erano tutte provocazioni, per farmi sbottare e dare il peggio di me. Volevano che dessi dimostrazione che non ero poi tanto diversa da loro.
Scossi più volte la testa, per liberarmi dalla rabbia e dai pensieri negativi, e mi concentrai su ciò che avrei dovuto fare quella mattina: mi aspettava una lezione di tiro con l’arco.

 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Sembra stranissimo tornare a scrivere su questo sito, sono forse due anni che non ci vengo più. Avevo un altro account, ma ne ho creato uno nuovo perchè ho molto cambiato il genere di storie che scrivo. Questa storia viene da un sogno che ho fatto, uno dei pochi che sono riuscita a finire prima di svegliarmi.. Mi era venuta l'ispirazione e ho deciso di scriverlo. Vi prego di lasciare una recensione se lo leggete, anche se negativa! Sono aperta a tutti i tipi di pareri (se detti educatamente). Beh, grazie per aver letto, ci vediamo al prossimo capitolo!
   
 
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