Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: startariot    18/01/2015    5 recensioni
«Con l'espressione Sindrome di Stoccolma ci si riferisce ad uno stato psicologico particolare che si manifesta in seguito ad un episodio violento o traumatico, ad esempio ripetuti episodi di violenza fisica o verbale. Il soggetto affetto da sindrome di Stoccolma, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aguzzino, che si può spingere fino all’amore, facendo sì che si crei una sorta di alleanza e solidarietà tra la vittima e il carnefice.», così recitava il suo libro di psicologia.
AU partecipante al contest "Why don't we go there?" di Iceteardrops
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

*Questa storia partecipa al contest ‘Why don’t we go there?’ di Iceteardrops*

 

 

Avere problemi con la linea internet mi ‘costringe’  a postare questa OS prima del previsto. Spero tanto vi piaccia. 

 

Buona lettura!

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 


 

 


 

“Once upon a different life

We rode our bikes into the sky

But now we call against the tide

Those distant days are flashing by”

 

 

 

 

 

«Con l'espressione Sindrome di Stoccolma ci si riferisce ad uno stato psicologico particolare che si manifesta in seguito ad un episodio violento o traumatico, ad esempio ripetuti episodi di violenza fisica o verbale. Il soggetto affetto da sindrome di Stoccolma, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aguzzino, che si può spingere fino all’amore, facendo sì che si crei una sorta di alleanza e solidarietà tra la vittima e il carnefice.», così recitava il suo libro di psicologia;  quello che l’aveva tenuto mesi seduto alla scrivania per prepararne l’esame. ‘La bestia nera’ del corso, così lo definivano tutti perché in pochissimi riuscivano a passarlo con risultati soddisfacenti; lui, per fortuna, ancora ricordava perfettamente la definizione di quella patologia.  Harry era sempre stato un ragazzo intelligente e la psicologia era sempre stata la sua passione. 

 

Era sempre stato un ragazzo altruista, uno di quelli che voleva aiutare gli altri, in qualunque modo possibile. Uno di quelli che, da bambino, dava le sue caramelle ad un compagno di classe se lo vedeva triste o faceva il buffone per far sorridere sua sorella maggiore, Gemma, quando la vedeva piangere. Era in questi momenti che sua madre, Anne, era più orgogliosa di lui e pensava che si, lo aveva cresciuto davvero bene quel ragazzino tutto riccioli e fossette. 

 

 

Era sempre stato convinto che Londra fosse la sua città. Fin da bambino, osservava le foto della grande metropoli, seduto sul divano di casa sua ad Holmes Chapel e rimaneva incantato a guardarne le costruzioni.  Aveva un’aria magica, quel posto. Un’aria che lo catturava completamente e non riusciva a spiegarlo a parole, quello che sentiva quando i suoi genitori lo portavano nella grande città per le spese di Natale; era un incanto, la sua Londra. 

 

C’era qualcosa che Harry amava quasi quanto lei: il Natale. Smettere di credere in Babbo Natale gli aveva fatto pensare che forse, avrebbe smesso di essere così legato a quella festività ma più passavano gli anni e più Harry non riusciva a contenere il suo spirito natalizio quando il mese di Dicembre iniziava. 

 

E Vienna era un’esplosione di colori per l’allestimento bancarelle natalizie in Rathausplatz. Harry non se la sarebbe mai aspettata così viva e luminosa. Era certo, che se qualcuno l’avesse osservata dall’alto, sarebbe sembrata una piccola stella. Non c’era angolo della città senza piccole lucine e addobbi che risplendevano nella notte. Era tutto così diverso dalla sua Londra, tutto così colorato e vivo che Harry non riusciva a non calarsi nell’atmosfera calda e accogliente della città, di cui sapeva poco e niente. Sapeva aver fatto quel viaggio per lavoro, ma in quel momento finse di essere un normale turista che studiava attento la sua meta.

 

 

 

 

 

Louis Tomlinson aveva sempre odiato il bianco. Fin da bambino. Non era un caso che, appena raggiunta l’eta di diciassette anni, avesse fato ridipingere completamente la sua stanza trasformando quelle pareti bianche e apatiche in una combinazione di verde e d’azzurro. Ora è mia, aveva detto guardando la sua stanza ad opera finita. Era strano per lui, spiegare perché odiasse quel colore. Forse un motivo nemmeno esisteva, era una di quelle sensazioni a pelle di cui non riesci a disfarti e che ti porti dietro, quotidianamente. Il giorno della sua prima seduta dallo psicologo, si sentiva a disagio. Forse era per questo che non riuscì a pronunciare parola, nonostante avrebbe voluto dire qualcosa, una qualsiasi, al ragazzo dal camice bianco e gli occhi verdi davanti a lui. 

 

E dopo due mesi di sedute, ancora non era svanita quella strana sensazione che lo scuoteva completamente, quando erano nella stessa stanza. 

 


 

«Come si sentiva durante quei giorni, Signor Tomlinson?», chiedeva la sua voce roca e bassa mentre tamburellava sulla scrivania con una penna stilografica. 

 

«Bene -uhm- io stavo bene. Lui mi faceva stare bene»

 

«Lei era un suo prigioniero, come faceva a farla stare bene?», chiede l’uomo con voce insistente.

 

«Non ero suo prigioniero. Era gentile lui - Aiden- era gentile con me. Diceva che faceva tutto per il mio bene, il mondo non era un posto sicuro per me; e lui voleva proteggermi.»

 

«Diceva questo?», chiede l’uomo alzando lo sguardo verso di lui e Louis si ritrovò ad annuire. «Cosa sentiva con lui?»

 

«E’ strano, sa? Non saprei nemmeno spiegarlo. Mi sentivo al sicuro, lui mi amava. E’ così, non riuscireste a convincermi del contrario. Io lo vedevo lui - uhm- lui mi amava, voleva solo proteggermi. Si, proteggermi.»

 

«Ha mai visto davvero il mondo esterno, Signor Tomlinson?», chiese poi l’uomo accennando un lieve smorfia, quasi impercettibile ma Louis era diventato bravo ormai ad osservare i dettagli. Louis scosse la testa distogliendo lo sguardo dai suoi occhi verdi, che sembravano quasi spaventarlo. 

 


 

I primi mesi erano stati difficili; Harry cercava un qualsiasi tipo di contatto con Louis, per entrare nella sua mente e cercare la chiave per aiutarlo; Louis si chiudeva in se stesso, nelle sue convinzioni, e nell’amore che era convinto di provare per Aiden. Non capisco perché voi dottori amate così tanto il bianco, gli aveva detto una volta Louis guardandosi intorno, nel suo studio. Harry, interdetto dalla sua domanda, aveva fissato il suo camice, le parenti dello studio intorno a sé e aveva provato per qualche secondo a cercare una risposta adeguata da dargli ed aveva finito per rimanere in silenzio. Una risposta non l’aveva trovata, ma aveva capito una cosa su quel ragazzo: odiava il colore bianco.

 

Erano passati due mesi ed Harry era riuscito a sviluppare questo strano metodo d’approccio con il suo nuovo paziente. Aveva spostato i loro incontri all’esterno, tra i colori; negli ambienti in cui si svolgeva la vita vera perché Louis doveva tornare a vivere, doveva sapere cos’era la vita reale, e lasciare andare quella che aveva vissuto quando era con Aiden. Doveva imparare a conoscere il mondo reale, di nuovo. E in fondo, era come far scoprire cose nuove ad un bambino, per Harry. 

 

 

 


****

 

 

 


«Ti piace la cioccolata Louis?», aveva chiesto Harry in risposta guardandolo negli occhi, un leggerlo luccichio a farli risplendere. Louis annuì, accennando un sorriso amaro e ricordando i pomeriggi

passati con sua madre e le sue sorelline a bere cioccolata calda, seduti davanti il camino di casa loro. 

 

Demel, recitava l’insegna dell’enorme pasticceria davanti cui si trovavano. «Che ci facciamo qui?», chiese Louis rivolgendo uno sguardo incuriosito ad Harry che, accanto a lui, se ne stava con un sorriso stampato in volto. 

 

«Perché pensi che io ti abbia chiesto della cioccolata?»

 

«Per curiosità?», tentò Louis, non convinto. 

 

«Passerai il pomeriggio più dolce della tua nuova vita, Louis», aveva risposto il ragazzo creando un gioco di parole. «Andiamo», sussurrò poi, trascinandolo nella pasticceria.

 

 

 

Erano circondati da una trentina di torte tutte diverse, il profumo di caramello e cioccolata gli invadeva le narici per quanto era forte e il bancone dietro il loro tavolo era pieno di muffin e cupcake, delle forme più varie e colorate. «Facciamo una cosa. Abbiamo cinque cioccolatini a testa, ad ognuno di essi corrisponde una domanda», propose Harry facendo sorgere un sguardo interrogativo sul volto di Louis

 

«Perché io dovrei farti delle domande, dottore?», chiese Louis inarcando un sopracciglio. 

 

«Non sembrerà un interrogatorio in questo modo, no?», suggerì Harry lasciando il ragazzo in silenzio. «Inizio io», disse poi Louis  furbo, prendendo un piccolo cioccolatino dalla scatola. «Da quanto sei qui a Vienna, dottore?», era strano il tono canzonatorio di quel ragazzo. Sembrava così sicuro di sé mentre sfoggiava quelle battute sarcastiche, o cercava di metterlo in imbarazzo con quel soprannome, eppure riusciva a scorgerla Harry, quella fragilità nascosta dietro i suoi occhi color del ghiaccio.

 

«Circa un mese fa, sono stato chiamato per il tuo caso», iniziò a dire Harry tranquillo «e non chiamarmi dottore!», esclamò infine, facendo comparire una leggera smorfia sul volto di Louis. «Quanto tempo sei stato prigioniero di Aiden?»

 

«Non usare quel termine. Non ero -uhm- non ero suo prigioniero. Mi piaceva stare lì.», rispose Louis istintivamente per poi concludere con un sussurro «Tre anni», risponde tra i denti. 

 

«Eri felice?» 

 

«Ehi! E’ il mio turno dottore!», esclamò il ragazzo con un leggero bagliore negli occhi. «Di dove sei?»

 

«Londra», rispose semplicemente Harry e sul volto di Louis apparve un sorriso malinconico, come se stesse pensando a qualcosa. La cosa non sfuggì ad Harry che colse l’occasione per porgli la sua seconda domanda, estraendo l’ennesimo cioccolatino dalla scatola. «Che c’è?»

 

«Niente, la mia famiglia vive a Londra», rispose in un sussurro. «Quanti anni hai?», chiese poi cambiando argomento ed estraendo un cioccolatino ricoperto di cioccolata bianca. «Dio è buonissimo», esclamò poi senza trattenersi, prima ancora che Harry potesse rispondere alla sua domanda. 

 

«Ventisette», disse Harry ridendo dell’espressione del ragazzo di fronte a lui, soddisfatta e quasi…quasi felice. «Non avresti voglia di rivedere la tua famiglia?»

 

«No, non ho intenzione di viaggiare»

 

«La solita paura del mondo no?», esclamò sarcastico Harry, sfidandolo con lo sguardo. E Louis non rispose, abbassando lo sguardo. «E’ così bella, Londra», sussurrò poi con tono malinconico, che non sfuggì al ragazzo. 

 

«Ti manca..-uhm- la tua città?», tentò Louis fissando lo sguardo su di lui. Harry si limitò ad annuire, così il ragazzo si sentì in diritto di continuare «Beh, puoi tornare quando vuoi nella tua Londra no? Non hai niente che ti leghi a Vienna»

 

«Devo aiutare te»

 

«Non ho bisogno di nessun aiuto», sbottò Louis rabbuiandosi. 

 

 

«Sai qual è la cosa più brutta? Essere ritenuto un malato da tutti», riprese a parlare Louis dopo qualche minuto di silenzio tra loro. Harry rimase in silenzio, aspettando che continuasse la frase ma non accadde così tentò di rispondergli.

 

«Louis, tu non sei malato tu devi solo-»

 

«Io non devo niente. Io sto bene così», sussurrò alzando velocemente la zip della sua felpa grigia e correndo all’esterno del locale. Harry estrasse una banconota dal suo portafoglio, la lasciò sul tavolino e corse fuori raggiungendo Louis che si era seduto su una panchina con le mani sul volto. 

 

«Louis», sussurrò Harry avvicinandosi a lui «Louis», tentò ancora senza ottenere risultati. «Louis, io non penso che tu sia malato. Tu hai solo bisogno di qualcuno per imparare a vivere qui, tra noi, di nuovo», sussurrò cercando di attirare la sua attenzione, e quando Louis alzò lo sguardo su di lui, terminò la frase. «Vorrei aiutarti, da amico. Dimentica quel che sono. Vuoi?», soffiò ad un centimetro da lui e Louis poté quasi sentire il suo respiro fresco sulla pelle del viso. 

Annuì, perché gli risultava fisicamente impossibile dire di no agli occhi verdi del suo nuovo amico.

 

«Ti mancano due domande ancora, dottore», sussurrò Louis,  calcando su quel soprannome e accennando un lieve sorriso. Harry scosse la testa, abbozzando una smorfia e riprese a parlare.

 

 

 

****

 

 

«E’…strano», fu il primo commento che fuoriesce dalla bocca di Louis. Si trovavano davanti Hundertwasserhaus, un edificio enorme diviso in blocchi di colori diversi e forme asimmetriche. Fece vagare lo sguardo lungo tutto l’edificio e davvero, non sapeva come sentirsi guardando quella costruzione. 

 

«Strano positivo o strano negativo?», chiese Harry voltando lo sguardo verso di lui per un secondo. 

 

«Entrambi…credo», sussurrò Louis, più a se stesso che al ragazzo accanto a lui. Era la prima volta che anche Harry vedeva una cosa del genere ed era senza parole. Definirlo non-omogeneo, sarebbe stato un eufemismo. Era un insieme di colori, pareti scintillanti, lucide e opache insieme, pareti storte, finestre di varia misura, linee curve. Quanto quanto di più particolare possa esistere al mondo, Harry doveva ammetterlo. A Londra sarebbe stato impossibile trovare una costruzione del genere. 

 

«Ho letto una cosa interessante sul creatore di questo edificio su Internet», sussurrò Harry continuando ad ammirare la costruzione davanti ai loro occhi. 

 

«Cosa?», rispose Louis incuriosito. 

 

«Hundertwasser dice che ‘...l'uomo è avviluppato in tre strati, la sua pelle, i suoi vestiti e i muri della sua casa... le finestre sono il ponte tra l'interno e l esterno... sono come i pori della pelle. Le finestre sono l'equivalente degli occhi…’.», disse Harry con voce sicura e pacata, tornando a guardare il ragazzo accanto a lui. 

 

«Uhm, creativo…suppongo», affermò Louis. Era poco più alto di lui, Harry, per questo doveva alzare leggermente lo sguardo per fare incrociare i loro occhi, che sembravano studiarsi ogni volta, quando si incontravano. 

 

«Reale però.», ribatté Harry, lasciando Louis spiazzato.

 

«E’ tutto così..confuso», fu la constatazione che fece Louis infine, cercando di cambiare discorso.

 

«Un po’ come te, no?», sussurrò Harry e Louis non sapeva se rispondergli o meno, per la prima volta. Decise di non farlo, limitandosi a far specchiare i suoi occhi azzurri in quelli verdi dell’altro. 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

«Non sono mai stato su una ruota panoramica», sussurrò Louis allacciando le cinture di sicurezza del suo posto a sedere. 

 

«A me non sono mai piaciute le giostre sai?», rispose Harry voltandosi verso di lui con una smorfia in viso. 

 

«Allora perché siamo qui?», ribatté Louis di getto.

 

«Perché non sempre si fa quel che più ci piace e poi, sembra un posto bellissimo quindi volevo venirci», suggerì Harry. «Allora, non sei ma stato su una ruota o alle giostre in generale?», aggiunse poi mentre la giostra iniziava a muoversi. 

 

«Sulla ruota. Alle giostre andavo spesso quando ero piccolo, con mia mamma e il mio papà…poi- uhm-  abbiamo semplicemente smesso di andarci», concluse malinconico voltando lo sguardo verso la città. 

 

 

«Wow», sussurrò Harry seguendo la direzione dello sguardo di Louis. Era bellissima, Vienna, vista dall’alto. Riusciva a vederne ogni parco, ogni grande monumento, ogni stradina illuminata. Ogni piccola luce sembrava una piccola stella che illuminava un cielo buio e spento. «E’ bellissimo da qui», soffiò nella direzione di Louis.

 

«Uhm, già», convenne il ragazzo continuando a guardarsi intorno. C’era qualcosa di diverso, dentro Louis, qualcosa a cui non riusciva ancora a trovare una spiegazione. Non sentiva più quella strana sensazione di disagio, mentre passeggiava per la città. Riusciva a sentirsi tranquillo, in giro per Vienna, da quando aveva iniziato a viverla con Harry. 

 

«Una sterlina per i tuoi pensieri», sussurrò Harry, con una smorfia in viso, come se avesse intuito che c’era qualcosa che lo stava turbando. 

 

«Non si diceva un penny? E poi qui non si usano nessuna delle due, in ogni caso», ribatté Louis canzonandolo. 

 

«Beh, ma io vengo da Londra, e da noi si usano le sterline», disse Harry facendogli una linguaccia e facendo ridere Louis. 

 

«Sei più bello quando sorridi, sai?», sussurrò Harry istintivamente, mordendosi la lingua silenziosamente per l’inadeguatezza della frase. 

 

«Uhm..»

 

«Dovresti sorridere più spesso», insistette poi facendosi più vicino a Louis. C’era un centimetro tra di loro ed Harry riuscì a guardarlo meglio, con più attenzione. Solo in quel momento, con un accenno di sorriso ancora sul volto, si rese conto di quanto Louis fosse bello davvero. Aveva gli occhi lucidi, il naso e le guance arrossate per il freddo, un accenno di barba a coprirgli leggermente i lineamenti delicati e le mani intrecciate sul petto per tenerle al caldo. Era bello, davvero. «Sto per baciarti, Louis», soffiò avvicinandosi di pochi millimetri a lui «Se non vuoi che lo faccia, fermami adesso», soffiò ancora ma vide Louis socchiudere gli occhi senza dire una parola, senza allontanarlo. Quando chiuse la distanza tra le loro, emise un leggero sospiro perché le labbra di Louis erano più morbide e fredde di quel che aveva immaginato. Louis liberò le sue mani dall’intreccio che aveva creato per ripararle dal freddo e le passò dietro al collo di Harry, accarezzando i riccioli alla base di esso. Le loro labbra si accarezzarono lentamente, poi con più forza come se stessero iniziando anche loro a conoscersi. Harry passò la sua lingua sul labbro inferiore di Louis, che gli lasciò pieno accesso per rendere il loro bacio sempre più intenso. 

 

 

«Il vostro giro è finito», disse una voce richiamandoli, e così finì anche il loro primo bacio. 

 

«Louis io-», iniziò Harry senza sapere bene cosa dire mentre camminavano con una stecca di zucchero filato tra le mani. 

 

«Non…dire nulla, Harry», lo interruppe Louis silenziandolo. Harry rimase interdetto, in un primo, ma realizzò poi che forse era meglio così. Forse era meglio non dire nulla. Cosa avrebbe potuto dire lui? O Louis?

 

 

 


****

 

 

 

Louis non si presentò al loro terzo incontro ed Harry non seppe cosa pensare. Niall, il suo collega, gli disse di non preoccuparsi, che era normale che un paziente come lui avesse bisogno di momenti suoi. Ma Harry sapeva bene che quell’assenza era dovuta a ciò che era successo al Luna Park e non al caso in sé per sé. Continuò a pensarci per l’intera settimana, mentre passeggiava tra le strade di Vienna, che pian piano stava diventando sempre un po’ più sua

 

 

«Come va tesoro?», chiese la voce tranquilla di sua madre Anne, dall’altro lato del telefono. 

 

«Bene mamma», rispose Harry distrattamente mentre fissava le gocce d’acqua posarsi sulla finestra del suo appartamento. 

 

«Con il tuo paziente?», chiese. Era incredibile, come una mamma riuscisse a fare le domande sbagliate nel momento sbagliato. L’aveva sempre pensato, fin da ragazzino. 

 

«Più difficile del previsto», si ritrovò ad ammettere sincero, sbuffando. 

 

«Sei bravo, ne verrai a capo», disse sua madre comprensiva. «Cosa c’è che ti turba?»

 

«E’ solo che- uhm- come si fa ad amare una persona il cui scopo è solo farti del male? Come si fa ad insegnare ad una persona che quel tipo di amore è sbagliato?», chiese, e non era sicuro che la domanda fosse rivolta davvero a sua madre. In quei giorni passati lontano da Louis, aveva capito di provare qualcosa per lui. Non sapeva come fosse successo, ma aveva realizzato che quel ragazzo così schivo e chiuso in sé stesso era entrato dentro di lui, in qualche strano modo. E forse, anche quel tipo d’amore, quello che provava lui in quel momento, era sbagliato. 

 

«Non c’è un amore giusto e uno sbagliato. L’amore è amore, tesoro», ribatté sua madre «Si può solo cercare di insegnare a quella persona che esiste un amore migliore, uno che, forse, ci può rendere più felici di quello che viviamo in quel momento», affermò sicura

 

«Siamo sicuri che stiamo parlando del tuo paziente Harry?», chiese poi Anne e «Si mamma», rispose Harry distratto. Quando chiuse la telefonata, Harry aprì la cartella e inviò un messaggio: 

 

 


Labirinto di Schönbrunn, domani pomeriggio. 

Alle 16.00

H.

 

 


****

 


 

«Cosa ci facciamo qui?», chiede Louis guardandosi intorno titubante. 

 

«Ho passato l’intera settimana a pensare cosa avessi fatto per farti sparire così e ho pensato che avresti potuto chiamare, o mandare un messaggio per mettere fine ai nostri incontri», affermò Harry sicuro di sé. «Non l’hai fatto per questo ho pensato che volessi continuare, quindi questo è il luogo del nostro prossimo incontro», disse Harry indicando il labirinto alle sue spalle.

 

«Un labirinto?»

 

«Cosa c’è di più simile alla mente umana di un labirinto?», chiede retorico Harry guardandolo negli occhi, quasi sfidandolo con lo sguardo. Louis non rispose, abbassò gli occhi al terreno ed entrò nell’enorme terreno. 

 

 

«Ho letto in giro che un tempo, la famiglia imperiale passeggiava in questo labirinto», iniziò Harry guardando le enormi siepi che li circondavano. 

 

«Dovremmo sentirci onorati quindi..?», tentò Louis senza guardarlo in viso e cercando di suonare tranquillo. Anche se, la sua mente, era  

tutto meno che tranquilla. 

 

«Non capisco perché ti stai comportando così», ribatté Harry.

 

«Così come?»

 

«Mi eviti, abbiamo fatto così tanto per arrivare a parlare civilmente e diventare amici e-»

 

«E poi mi hai baciato», sbottò Louis alzando gli occhi verso di lui. 

 

«Quindi è questo il problema?», chiese l’altro senza ottenere risposta. «Louis io-»

 

«Il problema non sei tu, ok?», sbottò Louis guardandolo negli occhi. «So che può sembrare una frase fatta ma il problema sono io. Io -uhm- io stavo bene; ero io, solo io a combattere con me stesso e con quello che provavo per Aiden», aveva iniziato a dire Louis ed Harry si era accorto immediatamente del provavo detto dal ragazzo. «Ma poi- poi sei arrivato tu, Harry. Tu e la tua saggezza, e tutti i tuoi propositi per spingermi a ricominciare a vivere perché quel che provavo per Aiden non era vero, era sbagliato»

 

«Louis io non-»

 

«Fammi finire Harry», disse Louis interrompendolo. «Hai iniziato a portarmi in tutti questi posti di Vienna e mi hai fatto ricominciare a vedere la mia vita in tutte le sue sfumature. E’ come guardare un quadro; un osservatore medio lo osserva e da un giudizio superficiale, un critico professionale lo osserva nei dettagli per poter dare un giudizio finale. Tu mi hai fatto riscoprire i dettagli e le sfumature dei colori. Mi hai fatto capire che forse c’è qualcosa di più nella mia vita, oltre a quello che avevo», finì per dire Louis. 

 

«Louis cosa-»

 

«Ti sto dicendo che voglio provare a ricominciare la mia vita. Voglio scoprirne tutti i dettagli, e voglio che sia tu ad insegnarmi a farlo.», sussurrò avvicinandosi a lui. «Perché non riesco a vedermi senza di te al mio fianco, Harry», soffiò sul suo viso, avvicinando i loro volti e unendo le loro labbra. Il loro bacio iniziò lento, dolce come un leggero sfioramento per poi aumentare d’intensità pian piano quando Harry iniziò a passare le sue mani sui fianchi di Louis in una dolce carezza. Le loro lingue e i loro denti ripresero confidenza, come la prima volta sulla ruota panoramica mentre entrambi cercavano di tenersi vicini l’uno all’altro; Harry tenendo le mani saldamente ancorate ai fianchi di Louis, e quest’ultimo intrecciando le dita ai suoi ricci. 

 

Improvvisamente, un tuono squarciò il cielo, illuminando quel pomeriggio buio e grigio. E il loro momento d’intimità. 

 

«Io ti sento così reale», sussurrò Louis mettendo fine al loro bacio, ed Harry capì che stava parlando di Aiden. «Tu sei reale, Harry», concluse passando le dita sul suo viso ed eliminando le gocce di pioggia che avevano iniziato a scendere e che si erano fermate tra i suoi riccioli, facendo sorridere Harry.

 

«Dobbiamo andare», disse Harry lasciandogli un bacio sulla fronte ormai bagnata. Louis annuì, intrecciando le loro dita e incamminandosi verso l’uscita di quel labirinto. 

 

 

****

 

 

 

 

Le mani di Harry scivolavano lente sulla pelle di Louis mentre l’acqua, calda, scorreva sui loro corpi. Massaggiava e accarezzava con estrema attenzione ciascun lembo che le sue dita sfioravano. Louis, dal suo canto, baciava, mordeva e lambiva ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere, quasi come se stesse venerando il corpo del ragazzo di fronte a lui. «Lou», sussurrò Harry quando le sue labbra arrivarono all’altezza dei suoi fianchi e sembravano intenzionate a scendere sempre di più, fino a raggiungere la sua erezione. 

 

«Shh, lascia che mi prenda cura di te», rispose Louis, alzando gli occhi verso il ragazzo, con una smorfia furba in volto, per poi rivolgere le sue attenzioni all’erezione ormai formata del ragazzo. Prese a massaggiarla lentamente, dalla base fino alla punta e poi al contrario facendo gemere di piacere Harry che se ne stava inerme con le spalle poggiate alle mattonelle fredde della doccia, a subire le attenzioni del ragazzo. Quando Louis sostituì le sua mani con la sua bocca, Harry pensò davvero di morire. Sentì un calore improvviso circondarlo completamente e non riuscì a non stringere tra le mani alcune ciocche dei capelli di Louis per incitarlo a continuare. In pochi minuti, raggiunse l’orgasmo soffocando il nome di Louis tra i denti.  Quest’ultimo si alzò in piedi con un sorriso soddisfatto sul volto e si avvicinò a lui, baciandolo lentamente e imprimendo il suo sapore sulle labbra.

 

«Parti con me. Ricominciamo, insieme. Potrai rivedere la tua famiglia.», propose Harry quando si misero a letto quella notte e Louis sapeva fin dall’inizio che avrebbe accettato perché non si sarebbe lasciato scappare quell’occasione. Non avrebbe lasciato scivolare via la sua vita, di nuovo. «Vieni a conoscere la mia Londra, con me»

 

 

 

 

“Hold back the river, let me look in your eyes

Hold back the river, so I

Can stop for a minute and be by your side

Hold back the river, hold back”

 

 

 

 

 


 

 

 

Non credo di avere molto da dire su questa storia. Solo che avevo il desiderio di scrivere di Harry psicologo da sempre e questa mi è sembrata l’occasione e il plot giusto per farlo. 

 

La canzone che fa da introduzione e conclusione alla storia è Hold back the river di James Bay, ed è la mia attuale ossessione. 

Il titolo è preso da Stockolm Syndrome, come avrete sicuramente intuito.

 

Spero davvero tanto che la storia vi sia piaciuta e mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate. 

 

Mi trovate qui, su twitter, ask e ho aperto un profilo Fb, quindi mi trovate anche lì se vi va. :) 

 

Alla prossima, C.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: startariot