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Autore: Abigail_Cherry    18/01/2015    1 recensioni
2100 d.C. Charlotte Mason vive a Greenwich durante un dopoguerra che ha trasformato la tranquilla monarchia in cui viveva in una dittatura in cui la legge principale è che, entro i diciott'anni, i ragazzi debbano pesare almeno 80kg le femmine e 100kg i maschi. Il problema? Charlotte è ben sotto quegli 80kg che dovrebbe pesare, e ciò avrà conseguenze devastanti...
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno

 

È difficile vivere in un mondo in cui ti senti diversa. Anzi, in cui sei diversa.

Però, in un certo senso, senti di stare facendo la cosa giusta, anche se gli altri continueranno a guardarti male.

“Stecchino” mi chiamano gli altri, accompagnati da un sorriso maligno.

Li odio.

Cerco di ignorarli, anche se quell'offesa mi rimane ogni volta, marchiata sul cuore, quel cuore ormai fin troppo stufo di essere torturato.

Mi sono detta: “Non mi importa. Non voglio essere come loro. So che starei meglio socialmente, ma mi importa più la mia salute.” questo pensiero lo porto dentro da dieci lunghi anni, dal giorno in cui mia madre cominciò ad aver bisogno della sedia a rotelle automatica per muoversi. Ho pianto per giorni. Il fatto che mia madre non avrebbe più potuto camminare significava non poter più giocare insieme, passeggiare sulla spiaggia o su un semplice prato... mi manca.

Adesso mia madre pesa 213 kg, ed è per colpa del suo peso che non cammina più.

<< Sorellina! >> mi chiama Gustave, mio fratello maggiore. Ha ventitré anni, pesa 130 kg e frequenta l'università online. Una volta, ho letto, i ragazzi frequentavano la scuola fuori casa. Ora, invece, si frequenta online, volendo si potrebbe non uscire mai di casa, molti lo fanno.

<< Muoviti o farai tardi! >> continua Gustave.

<< Arrivo! Dammi solo un minuto! >> rispondo, ma le mie parole devono sembrare confuse, dato che stringo una spazzola fra i denti, con le mani impegnate a sorreggere i capelli per farmi una coda decente.

Sento dei passi avvicinarsi alla porta della mia camera. Mi tolgo la spazzola dai denti e urlo: << Non entrare! >> ma, ovviamente, Gustave entra lo stesso, squadrandomi da capo a piedi.

<< Un minuto?! >> esclama << Sei ancora in mutande! >>.

<< Zitto! >> gli urlo, afferro uno di miei pupazzi e glielo lancio addosso. Lui dopo un'istante ride. << Piuttosto... >> continuo, senza neanche cercare di coprirmi quei due stuzzichini che ho come gambe, perché tanto non attrarrebbero neanche l'uomo più disperato. Prendo due gonne di colore diverso e gliele faccio vedere << ...rosso o verde? >>.

<< Mmm... verde. >> mi risponde lui.

Sorrido. << Vada per il verde, allora. >> indosso la calzamaglia, poi la gonna ed infine le scarpe << Sono pronta! >> annuncio, dopo essermi sistemata con cura la camicia.

<< Bene, andiamo! >> dice Gustave. Mi afferra un polso e mi trascina fuori casa.

Oggi sarà una giornata orribile.

Vorrei che papà fosse qui con me. Da quando è morto, una parte di me è morta con lui. Non mi sono ancora ripresa del tutto. Dannato diabete!

Gustave mi conduce fino alla macchina e mi fa accomodare sul sedile posteriore, lui si siede davanti al posto di guida, con mia madre affianco.

Cercano tutti di sembrare felici in questa giornata, so che lo fanno per me. Sappiamo tutti fin troppo bene che mi succederà qualcosa di terribile oggi. Ma la cosa che ci terrorizza più di tutte è che non sappiamo cosa sia questo “qualcosa”. Tuttavia, non mi pento della mia decisione. Sono fiera di non essere normale, di essere sottopeso, ho deciso di essere brutta per vivere più a lungo. Non ci vedo niente di sbagliato.

Dopo circa venti minuti arriviamo all'edificio. “Controllo peso” c'è scritto sopra a grandi lettere. Scendiamo tutti dalla macchina, dopo aver aiutato mamma a sistemarsi sulla sedia a rotelle, e ci avviamo verso l'interno dell'edificio.

Appena entrati, una persona in divisa, seduta alla propria scrivania, ci ferma. << Buon pomeriggio, signori. >> ci dice.

<< Buon pomeriggio. >> rispondiamo in coro noi tre.

<< Siete qui per il controllo peso? >>.

<< Sì. >> risponde mia madre con uno spillo di tristezza nella voce. Poi fa un gesto con la mano per indicarmi << Mia figlia, Charlotte Mason. >>.

L'uomo mi dà una veloce occhiata, poi digita qualcosa sul suo computer. << Eccoti qui. >> dice poi. << Charlotte Mason, nata a Greenwich il 18 Marzo 2082, diciotto anni, finiti da poco gli studi e...oh. >> l'uomo in divisa si blocca un attimo << Mi dispiace. Sei la prima del giorno che... scusa, non dovrei, non sono affari miei. >> si schiarisce la voce, prende un pezzo di carta, ci scrive sopra e poi me lo porge << Sei il numero 328. Adesso saluta la tua famiglia, poi vai dritto, svolta a destra e poi di nuovo a destra. Capirai di essere arrivata quando vedrai dei ragazzi più o meno della tua età , siediti con loro ed aspetta che chiamino il tuo numero. >> esita un attimo prima di aggiungere: << Buona fortuna, Charlotte. >>, poi torna a guardare il suo computer.

Mi giro verso mia madre e mio fratello ed osservo i loro volti tristi. I miei occhi vengono appannati da un velo di lacrime.

Mi abbasso su mia madre e le stampo un bacio sulla fronte << Ti voglio bene, mamma. >> le sussurro. Lei mi stringe in un abbraccio ed inizia a piangere, io riesco a trattenermi appena, ma con mio fratello sarà più dura.

Mi giro verso di lui e restiamo a fissarci qualche istante, poi ci stringiamo in un forte abbraccio. Si avverte la tristezza, l'amore, la malinconia.

<< In bocca al lupo, stecchino. >> mi dice, strofinando una mano sulla mia schiena.

Sorrido. Quando è lui a chiamarmi così non mi sento neanche lontanamente offesa, è un gesto d'affetto, un nostro piccolo gioco. Solo nostro. Mio e di Gustave.

<< Crepi il lupo! >> gli rispondo, e dopo quella frase scoppio in lacrime.

Che cosa succederà una volta che avrò attraversato quei corridoi?

Voglio delle risposte, ma allo stesso tempo ho paura di saperle. Ma, belle o brutte che siano, tra poco le avrò.

Saluto la mia famiglia avendo nel cuore il sentore che non li rivedrò mai più. Mi allontano velocemente, prima che la tristezza mi avvolga tra i suoi pungenti petali.

Addio.

 

Quando, un paio di settimane fa, ricevetti la lettera a casa, non ci scrissero che cosa avremmo dovuto affrontare. Diceva solo: “Charlotte Mason ha compiuto ormai diciotto anni, perciò le abbiamo fissato l'appuntamento per il controllo peso il 21 Giugno 2100. Nel caso sua figlia non potesse presentarsi perché malata, mandare un'e-mail all'indirizzo sottostante e le invieremo una seconda lettera con una diversa data. Nel caso la signorina Mason non dovesse presentarsi senza giustifica alcuna, saranno presi provvedimenti. Cordiali saluti, il vostro presidente Marchand.” ma quei famosi “provvedimenti” nessuno sa che cosa siano in realtà.

Ed eccomi qui, seduta, in attesa che venga chiamato il mio numero, assieme a quattro altri ragazzi.

Noto subito che sono l'unica preoccupata, tre giocano coi loro cellulari, uno ascolta musica, io gioco nervosamente con le dita.

Chiamano il mio numero.

Dopo qualche attimo di esitazione, mi alzo in piedi sistemando le pieghe della gonna e della camicia. Respiro profondamente, le mani sudate, mi avvio verso la porta e la apro.

Vengo accolta dal sorriso di una donna in camice bianco che, appena mi vede, si rattrista per un istante, tornando poco dopo sfavillante << Charlotte Mason, giusto? >> mi chiede. Annuisco e mi avvicino a lei. << Io sono Miriam. >> continua << Ti spiegherò brevemente cosa succederà adesso. >> fa un respiro. Io, invece, trattengo il mio. << Adesso dovresti spogliarti e salire su quella bilancia. A seconda del tuo peso, dopo esserti rivestita, andrai a destra... >> ed indica un'arcata con margine rosso sulla destra della stanza << ...o a sinistra. >> e ne indica un'altra azzurra sulla sinistra della stanza << Domande? >>.

<< S-sì... perché devo spogliarmi? Insomma... indosso solo un paio di cose leggere. >> dico, giocherellando con l'orlo della mia gonna. Quanto sono imbarazzata!

<< Temo proprio di sì, Charlotte, è la procedura. Che io sappia, nascosto sotto i vestiti potresti avere un peso che ti aumenterebbe il risultato della bilancia. >>.

<< Capisco. >>.

Così, esitante, comincio a spogliarmi davanti a quella perfetta sconosciuta. La gonna, la calzamaglia, le scarpe, la camicia e la biancheria... tutto finisce sull'attaccapanni. Mi avvicino lentamente alla bilancia e la fisso come se fosse la mia peggiore nemica.

<< Quando vuoi. >> mi dice la dottoressa.

Faccio un respiro profondo, poi salgo sulla bilancia, nuda e vulnerabile. I miei piedi avvertono il gelido metallo ed un brivido mi fa vibrare tutto il corpo. Guardo il mio peso aumentare ed aumentare fino a fermarsi, purtroppo troppo presto.

La bilancia segna 55 kg.

Segno che non ho passato il test.

 

<< 55 kg. >> legge la dottoressa con una punta di amarezza << Rivestiti. >> si gira verso il suo computer e comincia a digitare qualcosa.

Mi dirigo verso i miei vestiti e li raccolgo, rivestendomi poco alla volta.

<< Inviata. >> fa la dottoressa.

<< Cosa? >> chiedo, allacciandomi l'ultimo bottone della camicia.

<< L'e-mail. >>.

<< L'e-mail? >>.

<< Sì. Ora, vai a sinistra. >> dice, indicandomi l'arcata azzurra.

<< D-dove mi porterà? >> chiedo, con il cuore che mi batte all'impazzata.

<< Tu... segui solo il corridoio, poi ti saranno date altre istruzioni. Fai tutto ciò che ti diranno e non ci saranno ripercussioni, chiaro? >>.

Annuisco, incapace di pronunciare nessuna parola, e mi avvio verso l'arcata azzurra. Prima di varcare la soglia, sento la voce della dottoressa che mi dice: << Buona fortuna, Charlotte. >>.

È la seconda persona che oggi me lo dice.

Ciò che succederà dovrà essere davvero orrendo. Non mi hanno semplicemente detto “Buona fortuna”, ma hanno usato il mio nome. Il mio nome! Come se si sentissero vicini a me.

Percorro lo stretto ed umido corridoio, illuminato solo da poche lampade fioche, che mettono tutto in penombra.

Continuo a camminare, ripensando a quante innumerevoli volte la mia famiglia mi abbia cercato di dissuadere dal restare sottopeso, sapevano che altrimenti non sarebbe finita bene... e lo sapevo anch'io. Ma l'ho fatto lo stesso. Non volevo ritrovarmi morta già a cinquant'anni per colpa di un infarto. Non mi importa se in questo modo sarò brutta e non accettata, perché io voglio vivere più a lungo possibile.

<< Signorina Charlotte Mason. >> sento dire da una voce meccanica.

Un androide.

Da quando sono nata ci sono sempre stati. Sono abituata alla loro presenza, si occupano di compiere i lavori più faticosi. Ad esempio: consegnano la spesa, la posta, fanno le pulizia in casa, a volte curano anche i bambini. Ovviamente tutto a pagamento, solo i più ricchi se ne possono permettere uno personale.

<< Sono io. >> affermo.

<< Da questa parte. >> mi indica con un gesto di seguirlo ed io eseguo.

Camminiamo ancora qualche secondo prima di arrivare ad una porta. L'androide la apre e vedo finalmente la luce del sole.

Sono uscita.

Non faccio in tempo ad esprimere la mia gioia che l'androide mi afferra il braccio, trascinandomi fino ad un furgone col portellone aperto.

Mi aiuta a salire e poi chiude il portellone, lasciandomi al buio.

Respiro affannosamente, paralizzata dalla paura.

Devo pensare, riflettere, ma questo ambiente buio e ristretto mi soffoca. Batto più volte le mani sulle pareti, urlando, ma nessuno sembra sentirmi.

Dopo vari e disperati minuti di tentativi, mi raggomitolo in un angolo e dondolo avanti ed indietro, cercando di ristabilire il controllo del mio respiro.

Inspiro. Espiro. Inspiro. Espiro. Inspiro. Espiro.

Continuo così per svariati minuti prima di riuscire a calmarmi.

Ora riesco a pensare.

Facciamo il punto della situazione: sono chiusa dentro un furgone sola ed al buio, nessuno sembra sentirmi urlare ed il furgone non è in moto. Cosa posso fare?

La risposta mi appare lampeggiante davanti agli occhi subito dopo: ho il cellulare.

Lo tiro fuori dalla tasca della gonna e lo accendo.

Digito subito il numero di Gustave. Avvicino il telefono all'orecchio ed aspetto, ma la chiamata non ha mai inizio. Guardo lo schermo del cellulare. ASSENZA DI SEGNALE. Lampeggia insistente sul display. Irritata, lancio quell'inutile aggeggio a terra. Poi mi sdraio e chiudo gli occhi, tentando di prendere sonno.

   
 
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