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Autore: Zahn Volk    19/01/2015    0 recensioni
Una città invisibile e il pericoloso cammino di un giovane dall'infanzia all'età adulta.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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1. Il nome

La neve cadeva fitta, una stella rossa posta in cima ad un pennone controllava severa ciò che succe-deva sotto di sé e spiava coloro che si muovevano all’ombra della cattedrale di San Basilio cercando rifugio in quelle catapecchie costruite alla bene meglio su quella che un tempo era stata la grande Piazza Rossa.
La buriana soffiava sgarbata e spazzando lo spiazzo raccontava alla notte le storie di vodka e morte che aveva ascoltato nei deserti della steppa.
Un uomo e un bambino procedevano a fatica coprendosi il volto per sfuggire a quegli artigli di ghiaccio e stringendosi maggiormente nei loro cappotti per non farsi uccidere dal freddo.
- Tieni il passo, Nemetskiy, non restare indietro. Forza! Forza! Tua madre non ti ha dato le gambe?- grugnì l’uomo stringendosi nel lungo giaccone di pelle marrone e allungando, quasi per dispetto il passo senza curarsi minimamente del più giovane che lo seguiva arrancando.
Il bambino non rispose e si limitò ad affrettare il passo avanzando a stento nella neve che gli arrivava al ginocchio e ingombrava tutta la strada.
I due si fermarono davanti ad una porta e sostarono qualche istante nel cerchio di luce che un’insegna al neon disegnava sulla lastra di ghiaccio che ricopriva il selciato.
- Non parlare se non te lo dico io.- l’uomo abbassò lo sguardo sul bambino e, quando lo spioncino della porta si aprì, scostò il bavero della giacca quel tanto che bastava per mostrare un tatuaggio che, arrampicandosi dalla spalla, arrivava a lambirgli il collo – Tieni lo sguardo basso e non dare fastidio.- ordinò attendendo che dall’altra parte gli aprissero – Fa il bravo e nessuno ti farà del male.- promise con un ghigno per poi varcare l’ingresso e salutare con un cenno del capo l’uomo che gli aveva aperto.
Entrarono in quello che sembrava un magazzino convertito in taverna e avanzarono tra i tavoli rica-vati da grosse casse di legno, l’uomo cercò la mano del bambino e la strinse con decisione costrin-gendolo ad avanzare incurante dei tentativi di protesta del piccolo che si guardava intorno cercando qualcosa di, se non spaventoso, familiare e ordinario.
Il locale versava nella quasi totale oscurità e, ad eccezione delle lampade appese sopra i tavoli, non vi era quasi per niente luce, anche il bancone era quasi completamente al buio se non per una piccola insegna al neon che lanciava bagliori colorati sulle bottiglie allineate e i bicchieri impilati.
L’odore di alcol, tabacco e sudore si faceva più forte man mano che ci si addentrava nel locale, un cortina bianca di fumo aleggiava sospesa tra il soffitto e le teste degli avventori curvi sui tavoli e sui loro bicchieri.
Il bambino storse il naso a quegli odori così forti e si divincolò desiderando solamente uscire da quella bettola e tornare a sentire sulla pelle la carezza fredda del vento.
- Sta fermo.- gli intimò l’uomo assicurando maggiormente la presa intorno alla manina del bimbo e avvicinandosi ad una tavolo a cui prese posto sistemandosi tra due uomini dai capelli grigi come il fumo.
Il bambino ascoltò gli adulti scambiarsi i convenevoli e intavolare discorsi di armi, droga, donne e morte; argomenti che erano decisamente lontani dagli interessi di un bimbo di appena quattro anni.
Provò ancora una volta a liberarsi dalla stretta dell’uomo per poi sedersi rassegnato a terra e comin-ciare a giocare con due carte abbandonate come lui tra le gambe delle sedie.
Uno degli uomini parve improvvisamente accorgersi del più giovane e si piegò fino a trovarsi con gli occhi alla stessa altezza del bambino che istintivamente andò a rintanarsi sotto il tavolo fuggendo da quel tentativo di socializzazione.
- Alyosha!- l’uomo si rimise a sedere e chiamò quello che aveva portato con sé il bambino – Chi è quel moccioso rintanato sotto al tavolo?- domandò con un ghigno sul volto.
- Nemetskiy!-
Alyosha si piegò e, recuperato il piccino, lo afferrò sotto le ascelle e lo mise in piedi sul tavolo su cui erano già appoggiate armi, carte, bicchieri pieni e bottiglie di vodka vuote.
Disorientato il piccolo si guardò intorno alzando gli occhi sulla lampada che penzolava ora a pochi centimetri dalla sua testa per poi abbassarli, accecato dalla luce, sugli oggetti che lo circondavano e che non riusciva a riconoscere.
- Un figlio di nessuno.- disse poi tornando a sedersi e lasciando il bambino lì in mezzo perché tutti lo potessero vedere – Il bastardo di Anzhela.-
Uno dei presenti spostò lo sguardo dall’uomo che aveva portato il bambino al piccolo e lo fissò con particolare interesse soffermandosi sui suoi capelli biondastri, la sua carnagione chiara e gli occhi verdi e vispi come quelli di un gatto.
- Un figlio di nessuno.- ripeté continuando a guardare il bambino e passandosi l’indice sul labbro inferiore per poi umettarselo – Nessuno lo ha riconosciuto? Non ha un nome?- domandò ad Alyosha smettendo, solo per un istante, di guardare il più giovane.
- Non ha padre.- rispose l’uomo – Niente padre, niente nome. Anche se io lo chiamo Nemetskiy vi-sto che non riesce a mettere due parole insieme e a formare una frase di senso compiuto.- terminò tranquillamente quasi che il bambino non esistesse e non potesse sentire i loro discorsi.
- Ora ti interessi dei figli di nessuno, Zharko?- domandò uno dei presenti ridendo e buttando giù della vodka.
- Zharko: il lupo della steppa e il protettore dei bastardi!- lo canzonò un altro imitando il compare e lasciandosi contagiare dal suo buon umore.
- Silenzio!- Zharko scattò in piedi e fulminò con lo sguardo i due che avevano osato prenderlo in gi-ro rimettendoli al loro posto con un’occhiata minacciosa ed autoritaria.
Il tavolo traballò appena quando l’uomo si alzò e il piccolo perse l’equilibrio cadendo sul piano tra le armi e le carte da gioco smistate.
Zharko guardò serio tutti i presenti e si aggiustò con un gesto secco la giacca scrollandosi di dosso briciole di pane e la cenere dei sigari.
Fissò nuovamente il bambino, che a sua volta lo fissava con un misto di soggezione e ammirazione, e raccolse la sua pistola rimettendola nella fondina che portava alla cintura. Si rivolse poi ad uno dei presenti aggiustandosi meglio addosso la giacca per difendersi dal freddo a cui stava andando in-contro.
– Domani mattina, puntuale, magazzino numero dodici ore nove.- disse in tono piatto e deciso – Se tarderai io non ti aspetterò, sia chiaro.- ribadì secco per poi tornare a guardare il bambino e rivolgersi nuovamente ad Alyosha – Il figlio di nessuno viene con me.- intimò in un tono che non ammetteva repliche.
- Con te?- domandò l’uomo con un ghigno – E cosa se ne fa uno come te di un bastardello come questo?-
- Tu non ti preoccupare.- replicò l’altro prendendo il bambino e mettendolo a terra – Ti preoccupa forse un figlio di nessuno?-
Alyosha si strinse nelle spalle e scosse il capo – Figurati! Prenditi pure questo Nemetskiy e portalo dove vuoi: a casa tua, Berlino o anche all’inferno, se preferisci.- si allungò sul tavolo e afferrò un pacchetto di sigarette accendendosene una – Mi liberi solo di un peso.-
Zharko aggrottò le sopracciglia non certo di voler sapere in che modo il bambino fosse arrivato tra le mani di Alyosha e si voltò nuovamente verso l’uomo con cui si sarebbe dovuto vedere il giorno successivo – Magazzino dodici ore nove.- disse nuovamente per poi uscire spingendo fuori con sé il piccolo ancor più disorientato.
Appena fuori dal locale l’uomo superò il bambino e, quasi si fosse dimenticato della presenza dell’altro, cominciò a camminare rapido verso casa sua senza curarsi che il piccolo lo seguisse o meno.
Camminarono in silenzio per una buona decina di minuti e solo uno starnuto del bambino fece ri-cordare a Zharko che non era solo.
L’uomo si voltò e attese a braccia conserte che il piccolo lo raggiungesse, lo osservò per alcuni istanti per poi piegare il capo di lato quasi stesse stimando il valore di ciò che aveva acquistato e pensando a come potesse tornargli utile.
- Non hai detto una parola da quando siamo usciti da quella bettola, ti hanno insegnato a parlare o no?-
- Nemetskiy.- rispose il bambino alzando lo sguardo sull'uomo, come se quel nomignolo fosse una giustificazione più che valida al suo silenzio.
- Non hai paura?- insistette l'uomo stupito della docilità quasi rassegnata con cui lo aveva seguito.
Il bimbo scosse convinto il capo.
- E se ti uccidessi? Se ti facessi sbranare da uno dei miei cani, non avresti paura?- rincarò la dose senza preoccuparsi di impressionare quella giovane mente, se fosse sopravvissuto troppe ne avrebbe viste e, al confronto, un mastino arrabbiato gli sarebbe parso un cucciolo giocherellone.
- Alyosha dice che sono un figlio di nessuno.- replicò semplicemente il piccolo riuscendo a mettere insieme qualche parola e a formare una frase abbastanza corretta.
- Allora sai usare la lingua, piccolo Nemetskiy!- esclamò Zharko sollevato dal fatto che il bambino non fosse un completo mentecatto - E tu sai cosa significa?-
- Vuol dire che non ho un papà e, visto che non ho un papà, non ho un nome.- rispose il bambino stringendosi appena nelle spalle, quasi che la cosa non gli importasse più di tanto.
Zharko lo guardò attentamente prendendo un profondo respiro e sentendo l’aria fredda entrargli nel naso e poi giù nei polmoni.
- Apparteniamo a coloro che ci danno un nome.- spiegò poi – Tu non appartieni a nessuno perché nessuno ti ha dato un nome, ma questa libertà ti ucciderà. Non avere nome vuol dire non avere futu-ro e, nel posto in cui stiamo andando, essere qualcuno ti aiuterà a sopravvivere un giorno di più.-
Si passò una mano tra quei pochi capelli che ancora aveva e si guardò intorno come stesse cercando l’ispirazione per poi guardare il piccolo che lo osservava con il capo leggermente reclinato da una parte, non certo di aver capito esattamente cosa quello strano signore aveva detto.
- È usanza che i figli portino un nome che cominci con la stessa lettera di quello del padre.- ragionò a voce alta guardando le rade stelle che brillavano sopra di loro – Ti chiamerai Zahn, Zahn Volk.- disse poi con lo stesso tono grave che aveva avuto per tutta la serata – Hai capito?- domandò poi guardando il bambino che rimaneva impassibile.
- Sì.-
- Bene.- l’uomo si voltò e riprese a camminare – Ora muoviti, la notte è breve e domani ci aspetta un viaggio lungo.-

 

AVVERTIMENTO
Il capitolo che avete letto è il primo di una storia ancora in fase di scrittura e correzione, chiedo quindi scusa se i periodi non sono sempre perfetti e per eventuali errori di battitura e/o grammatica. Grazie

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