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Autore: Akemichan    19/01/2015    1 recensioni
“Allora, quando andiamo a prendere Sabo?”
“Non ci andremo,” rispose allora, con indifferenza.
“Perché no?!”
“Sabo è forte, se non gli sta bene stare là tornerà da noi, non ha bisogno del nostro aiuto,” fu la spiegazione di Ace. In un certo senso, lo pensava davvero, dato che era già scappato dalla Città Alta una volta. “È meglio così. E poi non so più cosa sia la felicità per lui...”
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Riccioli d'oro
 

Nonostante cercasse di mantenere un atteggiamento stoico di fronte a Rufy, ad Ace Sabo mancava. Da morire. Sabo era stato il suo primo amico, la prima persona che l'aveva accettato in toto era erano cinque anni che passavano assieme le giornate. Il fatto di non vederlo più attorno era soffocante.
Una settimana dopo che suo padre l'aveva portato via con sé, Ace decise che doveva andare a controllare la situazione. Aveva detto a Rufy che forse per Sabo era meglio così e che avrebbe dovuto essere una sua decisione se rimanere o tornare da loro, e lo pensava ancora. Tuttavia doveva accertarsi che stesse bene.
Era una mattina tersa di marzo ed Ace si era svegliato per il freddo prima del solito. Rufy russava ancora, ma tremava leggermente, quindi gli risistemò meglio la coperta e lo coprì anche con la sua. Saltò giù dalla loro casetta sull'albero e andò a cercare del cibo. Dopo aver catturato tre lepri, le cucinò su un fuoco improvvisato e poi si diresse verso il Grey Terminal con l'intenzione di recarsi nella Città Alta.
Non c'era mai stato prima di quel giorno, le razzie sue e dei suoi fratelli si limitavano alla Città Bassa, e nemmeno spesso. Il loro territorio era solitamente la foresta e la discarica, dove stavano i fuorilegge come loro. Inoltre, andare nella Città Alta, che era circondata da alte mura che impedivano  di vedere all'interno, non era facile e necessitava di permessi speciali, per cui era raro che qualcuno di esterno vi fosse ammesso.
Ace aveva avuto del tempo per pensare a come fare ad entrare nella Città Alta senza essere scoperto. Innanzitutto, doveva lavarsi e procurarsi dei vestiti particolari, perché i suoi lo rendevano particolarmente riconoscibile come proveniente dal Grey Terminal anche nella Città Bassa. Non fu difficile, c'erano diversi negozi in cui entrare e portarsi via una giacca ed un cappello senza che il proprietario se ne accorgesse perché troppo preso da altri clienti.
Così conciato, nonostante la giacca gli fosse troppo larga e odiasse quel cappello a cilindro che stava tanto bene a Sabo, Ace era sicuro che nessuno avrebbe fatto caso a lui nella Città Alta. Poteva passare alla seconda parte del suo piano: superare le mura.
Ogni giorno l'ingresso era permesso alle stesse persone, i mercanti che arrivavano al porto con merci dedicate unicamente alla vendita nel quartiere dei nobili. I carri erano pesanti, per cui lenti, e numerosi. Per Ace saltarci sopra senza farsi notare dal conducente era fin troppo facile, l'aveva già fatto un paio di volte per rubare qualche pezzo di carne fresca.
Non si era mai nascosto all'interno di uno di quei carri per poter passare attraverso i controlli della Città Alta, perché non gli interessava, ma pensava che non ci sarebbero stati problemi, e così fu. Le guardie si limitarono a verificare la licenza del mercante, senza nemmeno preoccuparsi di controllare che trasportasse le merci dichiarate. Era un'arroganza tipica dei nobili, quella di pensare che nessuno avrebbe mai osato toccarli.
Per una volta, questo tipo di atteggiamento insopportabile era un vantaggio per Ace. Alla prima occasione buona saltò giù dal carro e si addentrò nelle strade della Città Alta: ce l'aveva fatta, era arrivato.
La prima cosa che lo colpì fu il silenzio. Al contrario della Città Bassa, non c'erano negozi, quindi nessuno camminava per la strada con i pacchi della spesa, nessuno si fermava a far conversazione con i vicini, nessun negoziante cercava di attirare la clientela. C'erano solo parchi e mura che nascondevano alla vista le enormi ville all'interno.
Non che non ci fossero nobili per la strada, ma persino i loro passi erano così silenziosi che Ace si chiese se non stessero fluttuando. Quando si incontravano, era raro che si fermassero a parlare fra di loro, di solito uno dei due si chinava rispettivamente come saluto e poi proseguiva solo quando l'altro se n'era andato. Se si scambiavano due parole, il tono di voce era così basso che Ace non sentiva nulla comunque.
E poi, la perfezione. Non c'era la puzza che contraddistingueva il Grey Terminal, ovviamente, ma quello sarebbe stato positivo. Il problema era che sembrava tutto finto. Non c'era una villa o una porta che avesse un difetto, persino la strada era pavimentata con cura, a differenza della Città Bassa dove si incappava in buche mai sistemate. L'erba che avrebbe dovuto crescere libera nelle fessure era totalmente assente e nei giardini era tagliata raso terra, completamente diversa dalla foresta dove era tutto un groviglio di radici.
Ace non aveva paura, questo no, figuriamoci! Però era qualcosa di totalmente diverso dalle sue conoscenze che provava allo stesso tempo attrazione e repulsione.
Come aveva previsto, nessuno faceva caso a lui. Sentiva le occhiate che gli scoccavano quando non si chinava verso una persona più anziana di lui, ma nessuno si preoccupava di fermarlo, che era la cosa per lui essenziale. Col cavolo che avrebbe abbassato la testa di fronte a loro!
Il suo piano aveva un unico, piccolo, immenso difetto: non aveva idea di quale o dove fosse la casa di Sabo, né come trovarla. L'unica cosa a cui aveva pensato era di continuare a camminare per le vie del quartiere alto finché un indizio non si sarebbe palesato di fronte a lui.
E dato che la fortuna aiuta gli audaci, quella che normalmente sarebbe stata una coincidenza incredibile si avverò: quando stava per svoltare l'angolo di una stradina secondaria fra due ville per passare da una via principale alla sua parallela, vide il padre di Sabo che parlava con qualcuno.
Ovviamente non sentiva una parola, ma quell'uomo non poteva dimenticarlo. La prima volta che l'aveva visto non ci aveva fatto troppo caso, gli era sembrato uno qualunque, ma adesso sapeva chi era. Come reazione involontaria, strinse i denti e i pugni. Sapeva che non poteva lanciarsi contro di lui e picchiarlo, ma quanto avrebbe voluto farlo!
Ace si era sentito così impotente quando gli uomini di Bluejam l'avevano bloccato a terra e quell'uomo aveva troneggiato sopra di lui pensando di avere il diritto di trattarlo come spazzatura e di portarsi via Sabo ignorando totalmente quanto fosse importante per loro. Stavano tanto bene, loro tre, e invece aveva distrutto tutto.
Fece un respiro profondo e poi tirò un pugno contro il muro per sfogarsi. Oh, aveva rovinato la perfetta facciata della casa, che peccato!
Con prudenza, uscì dalla strada secondaria e seguì il padre di Sabo nella speranza che stesse tornando a casa. Lo vide svoltare un paio di volte, quindi fermarsi davanti ad un cancello che gli fu aperto immediatamente da uomini in livrea. Una volta che il cancello si fu richiuso, Ace prese la rincorsa e balzò sul muro per poi saltare all'interno del giardino.
Era arrivato a casa di Sabo.
Ed era enorme. Una cosa gigantesca, inconcepibile da parte di Ace.
Non che il resto delle ville che aveva notato prima fossero piccole, l'inconcepibile era l'associare quel posto al Sabo che conosceva e che aveva costruito una casa sull'albero di due metri quadrati che bastavano a malapena per loro tre. Tentò di contare le finestre dei tre piani, ma erano talmente tante che si stancò immediatamente.
Anche il giardino era enorme ed Ace approfittò del primo cespuglio, ovviamente curatissimo, per nascondervi all'interno cappello e giacca, che sarebbero solo stati ingombranti durante la sua esplorazione.
Un buon odore si stava sviluppando nell'aria, di carne e qualcos'altro che Ace non riusciva a capire bene, ma che gli fece venire l'acquolina in bocca. Per altro era orario di pranzo, e dopo solo tre lepri per colazione e la mattinata passata a bighellonare, il suo stomaco brontolava abbastanza da fargli decidere che avrebbe fatto una breve deviazione per pranzare.
Gattonò lungo il muro della villa seguendo l'odore del cibo e trovò aperta la finestra da dove proveniva. Alzò leggermente la testa per guardare all'interno: le cinque persone presenti erano troppo indaffarate attorno ai fornelli e ai vassoi per notarlo.
La cucina era grande quanto la sala principale della casa di Dadan, più o meno, e il cibo che stavano preparando assomigliava molto a quelli di Makino, che erano molto buoni ma mancavano di quantità. La differenza, in questo caso, era che le porzioni erano decisamente più abbondanti, probabilmente per un gruppo abbastanza numeroso di persone. Oppure per i tre fratelli, che mangiavano come un piccolo esercito.
Ace individuò subito una porta sul lato, da cui spesso i cinque presenti in cucina uscivano portando altro cibo, cosa che gli diede l'idea che poteva essere una dispensa. Poiché la saliva causata dal profumo del cibo stava ormai gocciolando sul davanzale, alla prima occasione buona saltò all'interno della stanza e verso la porta.
La dispensa era grande tanto quanto la cucina e stipata di cibarie, la maggior parte delle quali Ace non aveva nemmeno mai visto. C'era un'intera sezione dedicata alla frutta con almeno venti tipologie differenti, ed Ace, benché non fosse un fruttariano, le assaggiò tutte una dopo l'altra, solo per il gusto di farlo. Il frigorifero occupava un'intera parete e la carne era riposta ordinatamente su un ripiano, divisa per fette differenti. Su un altro erano sistemati in fila differenti tipologie di pesci. Nel terzo c'erano talmente tanti tipi di verdura che sembrava una piccola foresta in miniatura.
Ace si ficcò in bocca un salame intero, l'unico pezzo di carne che poteva mangiare senza cuocere, e si fece l'appunto mentale di tornare in dispensa prima di andare via per portarsi via qualcosa. Una parte di lui si sentiva strana a rubare da casa di Sabo, ma l'altra pensava che era impossibile finire tutto quel cibo da soli. Ce n'era così tanto che persino per uno come Ace era inconcepibile riuscire a terminarlo in poco tempo.
Con l'ultimo pezzo di salame ancora in bocca, controllò la cucina dalla fessura della porta socchiusa. La situazione pareva essere diventata più tranquilla, anche se le persone erano ancora affaccendate. Il vassoio che era stato caricato in precedenza, quando era entrato in cucina, era tornato vuoto.
Ace notò che era un carrello portavivande particolare, perché la tovaglia lo copriva completamente, fino alle ruote finali, il che avrebbe permesso agilmente ad un bambino di nascondersi al di sotto senza essere notato. Ed Ace era un bambino, anche se si credeva meglio di altre persone della sua età, per cui lo ritenne il piano perfetto.
Appena cuochi e camerieri voltarono le spalle alla porta della dispensa, Ace balzò fuori e si infilò sotto la tovaglia del portavivande, che come previsto lo nascondeva perfettamente. Non dovette aspettare molto prima di vederlo muoversi e iniziò a camminare al ritmo delle ruote: girarono un angolo oltre la cucina e poi un lungo corridoio prima di fermarsi.
Ace sentiva delle voci, anche se il tono restava troppo basso, per cui immaginò che fossero nella sala da pranzo. Con prudenza, alzò la tovaglia e notò le gambe del cameriere che andavano avanti e indietro dal vassoio alla tavola in lontananza. Il corridoio da dove erano arrivati era invece a pochi passi e deserto, l'occasione ideale per proseguire la sua esplorazione della casa.
Si fidò ad allungare un pochino più la testa, e poiché nessuno stava guardando il portavivande, in fretta uscì fuori e corse nel corridoio, oltre la porta. Attese un attimo, perché i suoi passi potevano aver attirato l'attenzione, ma nessuno pareva averlo notato.
Guardò le scale al termine del corridoio, che portavano ai piani superiori. Non riusciva a muoversi, però. Sapeva che probabilmente Sabo era nella sala al suo fianco, a pranzare con i suoi genitori, così vicino a lui eppure così lontano. Doveva vederlo, doveva accertarsi che stesse bene.
Allora, con prudenza, allungò la testa oltre il muro del corridoio per dare un'occhiata alla sala da pranzo. I due camerieri avevano terminato di servire la portata principale, ma restavano fermi davanti al portavivande, nel caso ci fossero altri ordini per loro. Il tavolo era enorme, più di quanto fosse necessario, per cui le poche persone erano sedute molte distanti fra di loro. Di fatto, erano troppo poche anche per il cibo che aveva visto preparare.
Ace distolse con disgusto lo sguardo dal padre di Sabo, che era seduto a capotavola, per guardare attentamente il fratello, dalla parte opposta. Pareva stare bene e ciò gli fece tirare un sospiro di sollievo. Lo scrutò con attenzione: la pelle pareva essere diventata più chiara, così come i capelli biondi. Anche i vestiti sembravano lucidi e di sicuro non avevano più i buchi che contraddistinguevano quello che Sabo indossava nella foresta.
C'era anche un'altra cosa che lo colpì immediatamente: il suo modo di mangiare. Dopo aver cacciato e cucinato una preda, non si dividevano i pezzi, ma litigavano tra di loro ad accaparrarsi i pezzi migliori e a prendere quante più parti possibili, soprattutto quand'erano obbligati a dividerli con Dadan e gli altri. Rufy solitamente perdeva la battaglia, ma poi Sabo aveva pietà di lui e gli offriva parte del suo bottino. Era abitudine quindi mangiare con le mani e ficcarsi in bocca quanti più pezzi possibili prima che terminassero. Al termine del pranzo bevevano litri d'acqua per digerire.
Ma in quel momento il modo di mangiare di Sabo era totalmente diverso. Usava una posata, innanzitutto, e con quella prendeva ogni volta un boccone di dimensioni minime. Nonostante ciò, lo teneva in bocca a lungo, masticando lentamente. Il movimento si ripeteva più volte, poi Sabo metteva la posata sul piatto, si puliva la bocca con il tovagliolo posato ad un lato, e beveva un sorso d'acqua dal bicchiere, quindi iniziava la procedura da capo.
Era una cosa estremamente lenta ed ad Ace stava tornando l'acquolina in bocca perché in una situazione simile si sarebbe gettato su quel piatto e si sarebbe ficcato tutto in bocca senza preoccuparsi di nulla. E il Sabo che conosceva avrebbe fatto lo stesso.
Incapace di continuare a guardare quei movimenti meccanici, voltò la testa ad osservare gli altri due occupanti della tavola: una donna, che immediatamente individuò come la madre di Sabo, e un bambino, probabilmente più piccolo di loro, che non pareva però assomigliare a nessuno. Era un amico di famiglia, forse? Oppure... un fratello?
Ace si sentì soffocare: aveva sempre dato per scontato che gli unici fratelli fossero lui e Rufy, anche perché Sabo non aveva ma parlato di avere un proprio fratello, un fratello 'vero'. Però, non gli aveva mai parlato nemmeno di avere una famiglia prima che incontrassero suo padre per caso...
Per cercare di distrarsi, ritornò a fissare la scala alla sua destra e, dopo aver controllato che nessuno guardasse nella sua direzione, la prese e salì in fretta al piano superiore. In realtà, non sapeva nemmeno che cosa voleva fare. Il suo obiettivo era controllare che Sabo stesse bene e, benché avesse difficoltà a riconoscere il bambino che conosceva in quello che aveva visto, mangiava ed era in salute.
Però già che aveva fatto tanta strada, poteva almeno dare un'altra occhiata in giro. Non poteva ammettere a se stesso di avere un po' paura di quello che poteva scoprire e proprio per questo decise di proseguire. Poiché non sentiva rumori nel corridoio, vi si incamminò ed iniziò ad aprire ogni porta che incontrava. Non tutte erano aperte e per la maggior parte di quelle aperte erano piccoli salottini o studi.
Ace proseguì al piano di sopra. “Mi sa che mi sono perso...” commentò a sé stesso, perché quella casa era davvero così enorme che non aveva idea di dove stesse andando. E soprattutto se avesse un senso. A che servivano tante stanze se in quella casa ci abitavano solo in quattro? Non c'era bisogno di altro che un posto dove mangiare, un posto dove dormire e un posto dove lavarsi. Due luoghi che non aveva ancora trovato, tra l'altro. Com'era possibile che le cose principali non fossero presenti?
Ovviamente, lo erano, solo che si trovavano al terzo piano, che Ace stava iniziando ad esplorare solo in quel momento.
Una delle poche porte aperte era una camera: finalmente!
Doveva essere quella dei genitori di Sabo, dato che il letto era matrimoniale. Ed enorme. Ma riusciva a stare perfettamente nella stanza dato che aveva delle dimensioni incredibili. E inoltre era circondata da altre tre stanze più piccole, per le quali Ace non riusciva a trovare un'utilità. Oltre a dormire, cosa ci doveva fare qualcuno in una camera?
Almeno il letto era comodo. Morbido. Molto morbido, altro che il futon dove stavano praticamente sul legno nella loro casetta sull'albero. Forse un po' troppo morbido. In ogni caso avevano un materasso e delle coperte per proteggersi dal freddo, oltre che un bel camino ad una parete. Di sicuro non avevano mai sofferto il freddo come capitava a lui, che era costretto a dormire vestito nelle nottate di gennaio.
Ace provò ad esplorare le altre stanze, per capire a che cosa servissero.
La prima era il bagno, le cui dimensioni erano di poco inferiori a quelle della camera da letto. Ace controllò la vasca per capire dove fosse il fuoco che l'alimentava, ma poi si rese conto che il rubinetto riempiva la vasca automaticamente di acqua calda senza bisogno di farla bollire. Inoltre, ci sarebbero potute stare comodamente sedute almeno sette persone, altro che il secchio di legno dove in tre avevano problemi a lavarsi contemporaneamente.
Tuttavia, la cosa che colpì di più Ace fu il lavabo basso. Arrivava all'altezza della sua cintura, quindi decisamente troppo basso per essere usato da degli adulti per le cose standard per cui veniva usato un lavabo – che tra l'altro loro nemmeno avevano, in casa, usavano la tinozza di ricambio. Ne avevano creato apposta uno a misura di bambino? O era per gli animali domestici? O a qualcos'altro e lui non riusciva a capire? Cose da ricchi, bah.
Diede un'occhiata alle altre due stanze. Una serviva praticamente da armadio: per lui, che aveva avuto un ricambio unicamente perché Makino aveva deciso di comprare loro qualcosa, era inconcepibile poter avere un'intera sala solo per i vestiti.
Un'altra era una gioielleria, dove erano esposte nelle vetrine collane, braccialetti e orecchini che brillavano sotto la luce. La sua tentazione immediata fu quella di spaccare i vetri e portarsi via tutto: chissà quanto valeva quella roba, una nave ci sarebbe venuta sicuro! Poi si rese conto di una cosa: quelli erano della madre di Sabo. Indirettamente, erano di Sabo. Uno come lui non aveva certo bisogno di andare per il Grey Terminal a rubare, se voleva una nave avrebbe potuto semplicemente comprarla.
In realtà, la spiegazione Sabo gliel'aveva già data. Lui non poteva essere quello che i suoi genitori volevano, lui non amava quella vita, preferiva il Grey Terminal e tutto ciò che ne derivava. Per Ace però era difficile comprendere quel punto di vista: dei genitori che pretendevano qualcosa non li aveva mai avuti. Il suo destino era segnato da altro e non poteva essere deciso autonomamente, così come invece poteva fare Sabo.
Uscì dalla stanza e tornò al piano terra: aveva lasciato Rufy da solo per troppo tempo, chissà che in che guai avrebbe potuto cacciarsi nel frattempo.
La cucina era vuota e linda, probabilmente i camerieri e i cuochi avevano già terminato di sistemare. Ace fece un salto in dispensa a prendere qualcosa da portare a Rufy e notò che la maggior parte dei piatti che aveva visto preparare erano stati rimandati indietro e messi in frigo come se non fossero stati nemmeno toccati. Con Sabo al tavolo, non avrebbe dovuto rimanere nemmeno una briciola. Ma, di nuovo, quello non gli sembrava il Sabo che conosceva.
Aprì la finestra e balzò nel giardino per recuperare cappello e giacca dal cespuglio dove li aveva lasciati. Mentre si accingeva a saltare sul muro per tornare in strada, la sua attenzione fu attirata dall'ingresso: l'intera famiglia stava uscendo di casa. Sabo era tenuto per mano da sua madre, e contemporaneamente stringeva quella dell'altro bambino che camminava al suo fianco.
Senza nemmeno accorgersene Ace alzò la sua per guardarla: si erano mai tenuti per mano lui e Sabo? Probabilmente no. Però avevano bevuto assieme dalle tazze di sakè, quindi erano fratelli a tutti gli effetti. Non avrebbe dovuto dubitarne.
Ma era difficile non farlo: cosa poteva dare lui a Sabo più della sua famiglia? Bluejam gliel'aveva detto che era meglio lasciarlo perdere e ormai Ace non sapeva che cosa davvero significasse essere felice per Sabo.
Balzò oltre il muro e si lasciò alle spalle quella casa e quella vita. Dovette aspettare l'uscita di un carro per poter lasciare la Città Alta, quindi riuscì a tornare nella sua zona sicura solo nel tardo pomeriggio.
Rufy non ne fu felice e praticamente lo aggredì quando lo vide arrivare dalla sua postazione sopra la casa sull'albero: il fatto che fosse di gomma gli aveva permesso di tuffarsi da là sopra senza preoccuparsi di ferirsi, ma di fatto rischiando di spiattellare Ace sotto di lui.
“Dove sei stato tutto il giorno?!” esclamò. “Perché te ne sei andato senza di me?”
“Ti pare la maniera di salutare la gente? Potevi uccidermi!” fu la risposta, un attimo prima di colpirlo con un pugno in testa. “Scusami,” aggiunse poi. Nonostante l'atteggiamento di Rufy lo irritasse, poteva comprenderne il motivo: aveva già perso un fratello, svegliarsi da solo doveva averlo spaventato. “Ti ho portato da mangiare.”
Rufy non si preoccupò della saliva che scese come una cascata dalla sua bocca nel vedere la quantità di carne e di altro cibo che Ace aveva portato con sé, cosa che gli valse il perdono immediato. Accesero un fuoco per scaldarsi e Rufy parlò nuovamente solo quando ebbe lo stomaco completamente pieno.
“Allora, quando andiamo a prendere Sabo?”
Ace lo guardò sorpreso, pensando quasi che potesse aver intuito dove aveva passato la giornata, ma Rufy non era così intuitivo nelle cose. “Non ci andremo,” rispose allora, con indifferenza.
“Perché no?!” Rufy lo guardò come se fosse pazzo.
“Sabo è forte, se non gli sta bene stare là tornerà da noi, non ha bisogno del nostro aiuto,” fu la spiegazione di Ace. In un certo senso, lo pensava davvero, dato che era già scappato dalla Città Alta una volta. “È meglio così. E poi non so più cosa sia la felicità per lui...”
“Ma Sabo odia il  quartiere alto!”
Vero. Lo aveva detto più volte. Aveva scelto volontariamente di trasferirsi a vivere nel Grey Terminal. Aveva anche sostenuto che, nonostante avesse i genitori, si sentiva comunque solo. Però per Ace, soprattutto ora che aveva visto le cose con i suoi occhi, era difficile capire il punto di vista di Sabo. Né lui né Rufy avevano i genitori, e per quanto Ace odiasse Roger, almeno avrebbe voluto incontrare sua madre. Il pensare che potesse esistere una situazione per cui avere dei genitori era come non averli era davvero, davvero strano.
E poi c'era tutto il resto. Ace non capiva come i nobili vivessero, però persino lui riusciva a capire che avere dei soldi aveva il suo significato. Non soffrire il freddo, non soffrire la fame, poter comprare quello di cui si ha bisogno per realizzare i propri sogni, quando loro dovevano scavare nel fango per procurarsi qualcosa.
La sua famiglia avrebbe potuto offrire a Sabo tutto ciò di cui aveva bisogno. Loro che cosa gli potevano offrire?
Ace si alzò, recuperò il suo tubo di ferro e fece per allontanarsi lungo il sentiero.
“Non ci andremo. Fine della discussione.”
L'unica cosa che Ace poteva dare a Sabo era sé stesso e la sua amicizia. E non pensava che valessero abbastanza.


 
***

 
Akemichan parla senza coerenza:
Una delle accuse che sento sempre rivolgere a Sabo è quella di "non essere andato a Marineford", spesso detta col tono come se l'avesse fatto di proposito, come se non gliene importasse abbastanza di Ace per andarci (spoiler: you're wrong). Eppure nessuno che si ricordi mai che Ace, proprio Ace, si è comportato nello stesso identico modo. Lo sapeva che Sabo odiava suo padre e il quartiere alto, eppure ha finito per credere a Bluejam e non andare a prenderlo pensando che tutto sommato fosse meglio così per lui, con la conclusione che ha passato il resto della vita a rimpiangere di non averlo fatto.
Così ho deciso di buttare giù questa storiellina da niente, immaginando una ipotetica visita di Ace alla casa di Sabo (ovviamente ipotizzando che l'incendio del Gray Terminal non sia ancora avvenuto, mentre in canon avviene in tempi troppo rapidi) per cercare di spiegare i motivi di questo determinato comportamento di Ace e per ricordare che anche lui, come Sabo, ha avuto il rimpianto di non essere andato a salvare il fratello.
Il titolo, come la storia, è ispirato alla favola omonima. Se non si fosse capito, invece, il "lavabo basso" di cui parla Ace è il bidet XD Chiara ispirazione dai tanti stranieri che si trovano veramente perplessi di fronte ad un bidet!
   
 
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