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Autore: Dregova Tencligno    19/01/2015    3 recensioni
Ciò che accade è sempre inevitabile? Ovvero: tutte ciò che ci succede attorno, che ci interessi in prima persona o meno, è finalizzato a giungere ad uno e soltanto uno scopo? O un destino che è stato deciso da qualcun altro senza aver chiesto il permesso del diretto interessato?
Beh, c’è una risposta, ma non so se a tutti farà piacere venirne a conoscenza e vorrei dire una falsità, ma il mio compito è ben diverso. Non posso andare contro la mia natura, né avrei mai il coraggio di farlo. Purtroppo il mio compito è riportare per iscritto ciò che si alberga nelle oscurità del Mondo, ciò che mai e poi mai occhi umani potrebbero vedere in quanto incapaci di capire.
Il mio compito è trascendere l’umana narrazione di ciò che accadde, uno dei miei fardelli è quello di addentrarmi nelle anime per mettere in mostra ciò che nascondono. I segreti più nobili e quelli più oscuri.
Aimè, questa che le mie mani scriveranno è la storia che investì l’esistenza di un gruppo di ragazzi.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che accade è sempre inevitabile? Ovvero: tutte ciò che ci succede attorno, che ci interessi in prima persona o meno, è finalizzato a giungere ad uno e soltanto uno scopo? O un destino che è stato deciso da qualcun altro senza aver chiesto il permesso del diretto interessato?
Beh, c’è una risposta, ma non so se a tutti farà piacere venirne a conoscenza e vorrei dire una falsità, ma il mio compito è ben diverso. Non posso andare contro la mia natura, né avrei mai il coraggio di farlo. Purtroppo il mio compito è riportare per iscritto ciò che si alberga nelle oscurità del Mondo, ciò che mai e poi mai occhi umani potrebbero vedere in quanto incapaci di capire.
Il mio compito è trascendere l’umana narrazione di ciò che accadde, uno dei miei fardelli è quello di addentrarmi nelle anime per mettere in mostra ciò che nascondono. I segreti più nobili e quelli più oscuri.
Aimè, questa che le mie mani scriveranno è la storia che investì l’esistenza di un gruppo di ragazzi.
 
A voi mi rivolgo uniche e potenti tessitrici di vite, aiutate la mia voce a narrare ciò che avvenne.
Cloto, gentile fanciulla dagli occhi limpidi come il cielo terso, aiuta la mia mente a ricordare ciò che accadde in quei giorni in cui l’Oscurità vide nascere un altro suo nemico.
Dolce Lachesi dalle mani morbide, tu che imperi sulla durata nella nostra mortale vita, indica la giusta via al mio cuore perché ho paura che possa perdersi tra le pieghe della mia sofferenza.
E tu Atropo, piena e straripante di sapienza, rendi la mia penna affilata come le lame delle tue formici affinché possa imprimere tenere ferite sul foglio su cui muoverò i miei passi.
Aiutatemi Voi a rendere immortale il ricordo di chi più non è.
 
La notte scese lenta, pigra, lugubremente silenziosa quel giorno. Il sangue che si era raccolto sulla terra nei giorni precedenti era ancora presente, nessun fiore si era salvato, tutto era tinto di una brillante gradazione di rosso che ricordava gli occhi del Dio della Morte.
Pochi di loro erano sopravvissuti alla guerra, pochi avevano ancora la capacità di alzare la spada sopra il capo e menare un fendete, pochi avevano la forza fisica per muovere un solo passo sul capo da guerra.
Da tempo gli dei avevano perso i seguaci che li veneravano e con loro avevano smarrito tutta la loro forza, solo qualcuno si era salvato cambiando forma e nome, ma anche i pochi superstiti avrebbero fatto la stessa fine dei loro parenti. Era solo questione di giorni.
Le forze dell’Oscurità si erano nascoste così bene nel territorio di Ade che il Dio dell’Oltretomba non si era minimamente accorto della loro presenza fino a quando non fu troppo tardi. I mostri si erano moltiplicati, avevano proliferato indisturbati per secoli attendendo solo il momento giusto per tornare in superficie e reclamare il mondo che era sempre stato loro. Prima i Titani avevano usurpato i loro troni, poi gli Dei. Ma la vendetta andava assaporata lentamente e quando ancora dal suo corpo usciva il suo sangue dorato.
Fu così che tutto incominciò. Lentamente e di nascosto, come un cancro che cresce e diventa ogni secondo più aggressivo fino a palesare la sua presenza quando ormai è troppo tardi.
Ma la Dea della Vendetta fu solo una delle prime divinità ad incontrare la morte. Misteriosamente cominciarono a sparire tutti quei Dei che avevano deciso di abitare in solitudine nei loro templi aspettando che la Morte li andasse a prendere dolcemente, mai si sarebbero aspettati una fine tanto cruenta.
Eris, Persefone, Achille ed Eracle furono le prede successive, tutti esplosero in una nube dorata che si disperse nel tempo. Immaginate, della polvere che riflette i raggi della luna accarezzando con mille schegge di luce il terreno, le case, gli alberi creando un gioco emozionante di piccoli arcobaleni e aurore che si incontrano e scontrano in sinuosi artefatti che i mortali osservarono spaesati e meravigliati ignari di quello che sarebbe avvenuto dopo.
Gli Esiliati, così vennero chiamati dalle restanti divinità, erano spiriti guerrieri che si erano sempre rivoltati al volere degli Dei ostacolandoli e cercando di ucciderli. Mai impresa fu così vicina.
Esiliati. Un nome. Una insignificante parola che aveva però il potere di incutere timore nei pochi che sapevano effettivamente cosa significasse.
Le file divine erano state ormai saccheggiate di molte figure. Alcune divinità si erano convinte ad abbandonare i loro poteri e la famigerata immortalità per vivere gli ultimi anni della loro vita al fianco dei mortali dai quali una volta aveva tratto vitalità e piaceri. Artemide fu una delle prime, seguita da Afrodite ed Eros. Anche gli Dei del vento affidarono i loro poteri al caso e si rinchiusero in forme umane.
Chi prima e chi dopo affrontò le dure leggi della vita, i dolori, le sofferenze e i dispiaceri, gli inganni e le falsità, ma furono anche deliziati dal puro amore che solo gli umani potevano provare e offrire, dal significato dell’amicizia, dalla vera e flebile giustizia e dal calore dei giorni che cominciarono a susseguirsi e a prendere significato.
Alcuni di loro ebbero anche dei bambini, dei pargoletti che non avevano niente in comune con i loro cugini semidei se non le solite caratteristiche che rendono simili i parenti.
Erano passati solo quattro giorni dall’inizio della guerra ma dai morti si sarebbe detto che fossero passati mesi, se non addirittura anni. E tutte del nostro schieramento.
Assieme alle restanti divinità ci eravamo affiancati noi, figli di demoni alati, che non avevano un posto dove stare e niente in cui credere fino a quando non sviluppammo strabilianti e spaventose capacità.
Eravamo in cento quando prendemmo per la prima volta le armi in mani. In tre i superstiti.
Vidi morire davanti ai miei occhi molte persone con cui avevo convissuto per tutta la mia vita in quanto, noi figli dei demoni, eravamo stati rinchiusi quasi tutti nello stesso orfanotrofio che ci aveva nascosto la nostra vera origine fino all’inevitabile.
I figli dei demoni, segugi infernali. Eravamo i figli di angeli che si erano ribellati al proprio Signore e che erano stati scaraventati sulla Terra per punizione.
Quasi tutti si pentirono delle proprie azioni e per rimediare agli errori fatti si mischiarono agli umani, a coloro che avevano sempre odiato. Dall’unione tra i due insiemi nascemmo noi. Esseri imperfetti che non facevano parte di nessuna delle classi di origine che ci avevano ripudiati e abbandonati perché intimoriti dall’errore che avevano fatto.
Avevo vissuto con quei ragazzi per una vita intera, o almeno la vita fino ai miei diciassette anni, e non avrei comunque mai potuto affermare di conoscerli per davvero. Anche oggi, se mi dovessi soffermare e cercare di ricordare i loro volti o i loro nomi mi risulterebbe difficile, figuriamoci le due cose messe insieme.
Mi odiavo per questo, ma solo quando ci pensavo, ovvero in pochi attimi della mia esistenza perché la restante parte era orientata al trovare un modo per sopravvivere e per vedere un altro maledettissimo giorno in questo mondo dove gli Esiliati avevano avuto la meglio.
La notte era scesa, più scura delle precedenti, il sangue lentamente evaporava e noi lo respiravamo inconsapevoli di questo fatto o più probabilmente cercavamo di non pensarci e di ignorare il permanente sapore ferroso che avevamo in bocca.
La notte era scesa e le lanterne si accesero tingendo tutto con un colore arancio scuro.
Respirai piano, oramai eravamo giunti all’epilogo, eravamo rimasti in tre. Vincere era un’impresa improbabile, ma non impossibile. La mitologia classica era piena di esempi di valorosi guerrieri che avevano sbaragliato interi eserciti facendo affidamento soltanto sulle loro sole forze. Il problema era che non eravamo valorosi guerrieri, solo dei ragazzi che si erano trovati immersi fino al collo in un conflitto che non avrebbero mai voluto e che non comprendevano, ma continuavano a combattere pur sapendo che la fine era dietro l’angolo e non capendo come mai continuavano ad avanzare invece di correre ai ripari, di nascondersi, di tremare e piangere.
A differenza degli altri ragazzi con cui mi trovai a combattere, loro due non li avrei mai dimenticati.
Se qualcuno mi avesse detto chi fosse il capo io avrei risposto senza neanche pensare Okridleny. Era più grande di me di due anni, forse per questo averi detto lui, o perché mi incuteva un certo rispetto il suo aspetto. Era facilmente paragonabile al dio nordico Thor. Alto con delle spalle enormi e dei muscoli che avrebbero fatto invidia ad un toro, aveva due occhi color miele di castagno e i capelli biondi che erano raccolti dietro il capo in una piccola coda. E sarebbe potuto anche essere un Dio vista la capacità di evocare dal nulla e dal proprio corpo fulmini saettanti che scagliava contro i nemici rendendoli cenere.
Ecco, lui era l’esempio di prode guerriero dei miti, da solo era riuscito ad eliminare duecento Esiliati invocando una tempesta elettrica che li aveva sbaragliati.
Non amava parlare molto della sua vita, ma nelle sue iridi leggevo la sofferenza e la paura anche se in battaglia cercava di tenerle a freno e di nasconderle.
Era alto un metro e novanta circa, nella vita comune era un ragazzo che aveva sviluppato una corporatura da uomo quando ancora era poco più di un diciassettenne. Questo suo fisico gli aveva permesso di eccellere in qualsiasi sport praticasse. Il suo preferito era il nuoto anche se, dopo aver sviluppato il suo potere, aveva preso l’abitudine di fare qualsiasi cosa concernesse l’uso dell’acqua da solo. Sembrava non fosse una buona idea per un domatore di fulmini con una sorgente elettrica che pulsava nel petto giocare con i liquidi e avere nello stesso tempo degli spettatori. Faceva letteralmente scintille.
Fu uno dei pochi ad aver attirato l’attenzione dei miei occhi, e non solo.
Non so bene come accadde, ma diventammo amici nel vero senso della parola. Ci preoccupavamo l’uno dell’altro ed eravamo sempre pronti a difenderci a vicenda, era più lui che proteggeva me.
Velocemente iniziai a vederlo come un punto di riferimento, era diventato il centro del mio universo e questo mi spaventava. Sapevo che confessargli quello che provavo per lui avrebbe rovinato la nostra amicizia, così decisi di tenere tutto relegato dentro di me e di negare quello che il cuore diceva di fare.
Restai sempre al suo fianco, anche quando mostrammo di avere le qualità di un figlio dei demoni, e questo mi bastava.
Crescemmo ed un’altra persona entrò a fare parte della nostra vita. Il suo nome era Sirel. Non mi aveva mai convinto fino in fondo, era una ragazza solitaria che rinunciava a qualsiasi forma di compagnia. Preferiva rimanere relegata nella sua stanza per la maggior parte del giorno e la si vedeva uscire dal suo regno solo in casi eccezionali come le riunioni che si svolgevano nella Sala Grande o per mangiare nella mensa dell’orfanotrofio. Per il resto, niente. Nessuno la vedeva e sentiva.
Anche Okridleny sembrò non averla notata, ma a me non erano scappate le occhiate che lei gli lanciava, un modo di guardare le persone che conoscevo troppo bene e che faceva nascere in me moti di gelosia.
Mi sarebbe piaciuto essere spietato con lei, ma non ne ebbi il coraggio perché mi faceva pena. Semplicemente continuai ad amare il mio amico in segreto e guardai loro due fare prima amicizia e poi stringere ulteriormente il loro legame in un modo che a me sarebbe stato per sempre recluso.
Sapevo che prima o poi sarebbe successo, mentalmente e fisicamente ero pronto al dolore, ma non emotivamente. La sofferenza si fece sentire nel primo giorno di primavera di qualche anno prima quando li sorpresi a baciarsi dietro l’angolo di un corridoio, nell’ombra sperando che nessuno li notasse. Vederli per me fu come aver appoggiato un piede nel vuoto pensando ci fosse qualcosa a sostenere il mio passo, iniziai a sudare freddo, la mia mente non pensava a niente, rivedevo solo quell’immagine nella testa come se il nastro della mia esistenza si fosse inceppato nella macchina da cinepresa e mi mostrasse lo stesso fotogramma all’infinito. Prima ci fu il niente assoluto, poi arrivò il dolore. Pungente, freddo, sadico, mi rubava le notti e tormentava i giorni.
Non potevo fare nulla per sentirmi meglio, niente che escludesse il doverli evitare ad ogni costo perché il solo vederli mano nella mano mi faceva venire la nausea e i conati di vomito.
Qualche volta Okridleny riusciva a raggiungermi nella mia fuga, ma riuscivo ad evadere nuovamente dalla sua presa dicendo che stavo poco bene e che dovevo riposarmi.
Fu difficile, ma alla fine mi misi il cuore in pace. Doveva vivere la sua vita, i miei sentimenti nei suoi confronti mi avrebbero tormentato fino alla morte, ma era giusto lasciarlo andare.
Con l’amaro in bocca tornai a frequentarli e mi dovetti ricredere su quella misteriosa ragazza. Sirel aveva il tipico aspetto di una modella: un sorriso enorme e splendente, degli occhi grandi ed espressivi di colore verde, i capelli ondulati e neri che spargevano nell’aria un profumo di pesca e vaniglia e le curve al posto giusto. Erano proprio una bella coppia e mi sorpresi di essere felice per loro.
Il loro legame si rafforzò ulteriormente quando scoprimmo che anche lei aveva un dono.
Pensavo che portasse i guanti solo perché le si congelavano le dita o perché, semplicemente, le piacesse indossarli.
Qualsiasi cosa toccasse si gelava. Aveva i poteri di una Dea dei ghiacci.
Rimanemmo insieme, fino alla fine.
Per quanto mi riguarda, anche io sviluppai una dote, non fantasmagorica come lanciare fulmini o creare statue di ghiaccio condensando l’umidità presente nell’aria, ma non mi potei lamentare. Anche perché nessuno me lo avrebbe cambiato con un altro. Era semplice e inutile nello stesso tempo: potevo curare le persone da qualsiasi tipo di ferita e malattia, riuscii anche a salvare una ragazza da una morte certa.
Sirel e Ok, come lo chiamavo io, mi ripetevano che era un potere fantastico, ma la verità era che per proteggere me,che non avevo nessun potere offensivo rischiavano sempre la vita.
Mi avevano salvato così tante volte che mi riusciva perfino difficile contarle.
La nostra battaglia ci portò in molti luoghi del Pianeta ed in ognuno di essi desiderai potermi fermare per cominciare una vita lontana dai pericoli e dalle insidie di una guerra tra spiriti e divinità che non ci interessava veramente. Ma non potei mai far avverare il mio sogno perché ogni volta gli Esiliati ci trovavano o eravamo noi a trovarli e questo scatenava nuovi scontri e nuove perdite.
In uno dei nostri movimenti incontrammo due ragazzi, erano fratellastri. Entrambi orfani erano stati adottati dalla stessa famiglia che li aveva cresciuti come se fossero stati veramente figli loro, una vita tranquilla insomma. Almeno fino a quando Poseidone non li trovò e rivelò loro la realtà. La stessa notte furono attaccati dagli Esiliati che uccisero i loro genitori adottivi e videro morire un Dio davanti ai loro occhi.
Si chiamavano Ansel e Logan.
Ansel era un ragazzo alto, atletico, con i capelli ricci e un sorriso che sembrava essere quello del Dio del Sole e i suoi occhi erano celesti e luminosi come il cielo. Mi incuteva una sorta di timore riverenziale, e a giusta causa. Il suo potere era bellissimo e letale, ce ne diede una dimostrazione quando ci incontrammo, per lui era un modo di svelare l’asso contenuto nella sua manica e per chiederci di avere fiducia in lui. Il suo dono era molto simile a quello di Ok, riusciva ad evocare dalla sua pelle e a manipolare le fiamme.
Logan non era stato molto contento della decisione del suo amico, ma lo seguì comunque. Era molto diverso da Ansel: paffuto e rotondetto, non ciccione, con la carnagione molto scura e i capelli e gli occhi di un nero che non avevo mai visto, scuro e profondo. Il suo potere consisteva nella capacità di creare degli scudi di energia.
Anche caratterialmente erano dissimili. Logan era molto silenzioso e passava la maggior parte del tempo in disparte, Ansel amava la compagnia e scherzava sempre e non aveva neanche problemi a mostrarsi come mamma lo aveva fatto. Uno strano personaggio.
Diversi ma affiatati come pochi.
Il loro rapporto era strano, passavano intere giornate a litigare ma finivano sempre col cercarsi l’un l’altro.
Ci dividemmo qualche giorno più tardi. Loro erano diretti a nord, sapevano che una famiglia scozzese aveva adottato un ragazzo che aveva abitato nello stesso orfanotrofio di Logan e che anche lui era come noi. Volevano assicurarsi che stesse bene.
Da quel giorno erano passati due anni. Non li vedemmo più.
La notte era scesa e le chiese bruciavano. In alcune zone gli Esiliati si erano mostrati, i governo non sapevano a cosa fosse dovuta l’onda di distruzione che si espandeva velocemente.
La terra si deformò e dal suo appiccicoso ventre cominciarono ad uscire delle creature mostruose, senza occhi e orecchie, con corpi magri e con delle lame al posto dei quattro arti, le bocche erano immense e ricche di denti che assomigliavano a spilli.
Come sempre io dovevo rimanere al sicuro mentre loro avrebbero pulito le strade davanti a noi.
Ok partì all’attacco, dai suoi corpi scaturirono saette che sbalzarono tutti gli Esiliati che stupidamente si erano avvicinati a lui per bloccarlo. I fulmini saettavano sull’asfalto e sulle case colpendo con incredibile precisione gli Esiliati che sembravano non avere fine.
Al suo fianco correva Sirel che combatteva come un’indemoniata brandendo una spada di legno che avevamo comprato da un venditore ambulante in una fiera a Venezia. Un giocattolo innocuo che si dimostrò essere letale quando lei lo toccava a mani nude. Il legno si ricopriva di ghiaccio e la lama diventava affilatissima.
Tutti e due non sbagliavano un colpo e quando Ok era in pericolo a Sirel bastava agitare una mano che frecce glaciali si scagliavano contro i nemici.
Ad ogni loro passo in avanti l’aria diventava sempre più elettrica e l’asfalto si ghiacciava. Fulmini e ghiaccio. Un’accoppiata vincente.
Fui io per primo a vedere l’orma scura che si avvicinava a grande velocità. Aveva coperto con le sue ali le poche stelle che il cielo mostrava. Non feci in tempo ad urlare loro di stare attenti, di scappare, che vennero travolti da un ammasso vorticante di artigli.
Gli Esiliati urlarono ed avanzarono.
Corsi verso di loro, ero disperato. Mi buttai su Okridleny. Aveva la maglia stracciata, la pelle coperta da graffi sanguinanti, un labbro rotto e un taglio sul sopracciglio destro.
Mi voltai verso Sirel, lei era messa peggio. Aveva un braccio rotto, una punta acuminata del radio usciva fuori dalla carne, il naso che sanguinava copiosamente e dei graffi per tutto il corpo che le avevano distrutto una parte della maglietta.
Li presi entrambi per le mani e ignorai i rumori e i ghigni che provenivano dalla massa scura che si avvicinava. Un fumo dorato si levò dal mio corpo e ci circondò in spirali che ondeggiavano nell’aria.
Gli Esiliati erano sempre più vicini e potevo sentire la puzza di marcio che emanavano.
Mio sentii indifeso come quando vidi morire il Dio della Morte. Noi eravamo da poco stati investiti dei nostri poteri e lui ci venne ad avvisare del nostro destino. Un Esiliato lo aveva seguito e lo colpì alle spalle, Ok lo fulminò riducendolo in cenere ma per la divinità era troppo tardi. Esplose in una nube dorata molto simile a quella che adesso si posava sulle ferite dei miei amici cercando di guarirli il più velocemente possibile.
L’uccellaccio gigante scese di nuovo in picchiata e ci investì con tutta la sua furia omicida. Intorno a me vidi solo piume e artigli e quando il ciclone si allontanò mi trovai disteso a terra con taglio profondo nella gamba destra che bruciava come se mi avessero messo dentro carboni ardenti.
Il dolore mi faceva ronzare le orecchie, ma non abbastanza per ignorare quello che mi fece venire la pelle d’oca. Il rumore di un pianto.
A due metri da me c’era Sirel, guarita anche se con qualche graffio per l’ultimo attacco, che stringeva un corpo tra le sue braccia.
Mi chiesi il perché del suo atteggiamento e mi trascinai verso di lei. Sapevo cosa era accaduto, ma volevo ignorarlo perché ero sicuro che accettare la realtà mi avrebbe spaccato il cuore.
Tra le sue braccia c’era il mio Ok, bianco e freddo. La mia mano si posò sulla sua guancia e cercai di raggiungerlo col mio potere, ma era troppo distante, aveva superato il limite tra la vita e la morte.
Fu come se un’altra persona me lo avesse tolto. Il dolore tornò più violento che mai e mi piegai in due stringendomi la testa fra le mani e pregando che toccasse a me la sua stessa fine perché non aveva senso vivere senza di lui.
Il suo sorriso, quelle mani che mi avevano sempre protetto, la malinconia nel suo sguardo e il calore del suo corpo… il battito del suo cuore, io che lo avevo sentito con un fonendoscopio perché il mio secondo sogno era di fare il medico… il primo, vivere per sempre con lui…
Lui che era tutto per me, il centro del mio universo, non c’era più. Si era tramutato in un buco nero che stava risucchiando i ricordi di tutti i momenti belli che avevo trascorso con lui lasciandomi stringere tra le mani una pietra nera e fredda costituita dal mio amore infranto e dal dolore che mi seguiva come un’ombra.
Avrei dovuto dirgli tutto…
Gli presi una mano e la strinsi…
I suoi occhi erano vuoti…
Non c’era più…
Un’onda travolse gli Esiliati facendoli arretrare, l’aria si fece calda e l’erba iniziò a crescere dove prima aveva trionfato solo l’Oscurità.
Sirel sorrideva, le lacrime che le scendevano lungo le guance e il labbro inferiore che tremava. Mi disse che le dispiaceva, ma che doveva farlo.
Si alzò, la sua pelle emanava luce.
Un sbilo. Un dardo le si conficcò nel’addome e lei perse quasi l’equilibrio.
Un’altra freccia la colpì sulla spalla destra. Un’altra ancora dritta nella coscia sinistra.
Io le urlavo di fermarsi e di tornare indietro, la dovevo guarire perché mi era rimasta solo lei. Lei era l’unica che ero riuscito ad accettare. A lei avevo permesso di stare accanto al mio migliore amico.
Ma non si fermava, avanzava lentamente. Passo dopo passo.
Un Esiliato si preparò a colpire.
Io urlai il suo nome con tutto il dolore che avevo in corpo.
La luce esplose intorno al suo corpo dissolvendo le frecce e la manciata di mostri che l’avevano accerchiata.
Quando la luce si affievolì potei vederla. I suoi piedi scalzi non toccavano il suolo, una veste bianca le ricadeva lungo il corpo, i capelli ondeggiavano sospinti da inesistenti onde d’aria che increspavano anche il suo abito e una corona di rovi di rose senza spine era adagiata sul suo capo.
Si voltò e mi sorrise. I suoi occhi non erano più verdi, erano dorati. Come quelli degli spiriti più nobili.
La mia mente registrò la sua immagine e la comparò con quelle delle altre Dee che avevo visto. Era, Vesta, Selene, Spes, Dike… non erano niente in confronto a lei.
Chi l’avrebbe mai detto che proprio nella culla dei popoli sarebbe nata un’altra Dea. Mi chiedevo come fosse possibile.
-Io sono Lagrima, lo spirito del sacrificio e l’ultima Dea. Voi, esseri immondi, tornate nel vostro mondo.-
La sua voce risuonò cristallina e melodiosa. La luce del suo corpo si fece accecante. Chiusi gli occhi.
Quando li riaprii non c’era più traccia degli Esiliati, e Sirel era davanti a me.
Sfiorò con una mano la fronte di Ok che scomparve lasciando gravare sulle mie braccia il nulla. Al suo fianco prese forma un globo che prese le sembianze del mio migliore amico, anche lui aveva gli occhi dorati e indossava una toga romana.
-Ardore. L’ultimo Dio.-
E poi… semplicemente sparirono lasciandomi da solo con gli occhi persi nel vuoto e le lacrime che facilmente avrebbero creato un lago.
 
Custodi del fato, solo voi sapete cosa accadde loro.
Solo voi siete a conoscenza della loro nuova dimora.
Solo voi sapete quanto io li abbia amati.
Solo voi sapete se questa storia corrisponde al vero.
Solo voi, un giorno, mi potrete accompagnare da loro.
Voi che siete le uniche sopravvissute.
Loro che sono la nuova generazione.
   
 
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