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Autore: elisbpl    19/01/2015    1 recensioni
New Jersey, Gennaio 2016.
L'idea sembrava morta, ma non lo è. L'idea è folle. L'idea è viva, sembra più viva che mai.
Ma come ha potuto un'idea così potente scorrere, andare via, trasportata dalla corrente? Semplice: non l'ha mai fatto. L'idea sa nuotare. E' stata brava a nascondersi in attesa di una nuova era. L'idea sopravvive.
E loro torneranno.
Sembri viva, idea.
Che ne dici?
___
[dalla storia:
"-Non scappare via. Non farlo più.
-Non lo farò. Giuro su ciò che vuoi che domani sarò ancora qui.
-Mi fido.
-L’hai sempre fatto.
-Lo so."
___
Sospirò e deglutì prima di parlare, questa volta a bassa voce, il tono tra il triste e il rassegnato: - Quindi, cosa vuoi fare, Gee?
Il cantante accennò un sorriso e parlò sicuro, le mani ancora sulle sue guance, guardandolo sempre fisso negli occhi: - Voglio rimettere insieme i My Chemical Romance.
Gerard si rese conto che in quella situazione e in quella posizione, le opzioni riguardo ciò che Frank avrebbe potuto fare dopo la sua affermazione erano due: o annullava la distanza e lo baciava, o annullava la distanza e gli dava una testata in bocca.
Più probabile la testata.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Look alive, idea.





~Capitolo 1.
“Oh, let me tell ya ‘bout the sad man
Shut up and let me see your jazz hands
Remember when you were a madman”.


 

- Ma insomma, è questo il modo di stare in un locale?
La barista vestita di verde chiaro era davanti a lui, le braccia incrociate davanti al petto e il peso sbilanciato su una sola gamba, lo sguardo che avrebbe incenerito chiunque. Chiunque, ma non Gerard Way.
Be’, magari non il vecchio Gerard Way, la sassy divah, quello che non permetteva a nessuno di farsi mettere i piedi in testa, mai. Ma forse chiamarlo “il vecchio Gerard Way” non era giusto. Il vecchio Gerard Way non era altro che il ragazzino spaventato e rabbioso che aveva messo su la band che l’aveva cambiato, che l’aveva fatto diventare il vero Gerard Way. E quello era il vero Gerard Way: la sassy divah, sì, ma anche l’uomo che era cresciuto facendo le cose che più amava, che si era fatto un nome negli ambienti di cui sognava da piccolo, che aveva finalmente qualcuno che l’amava, e comprendeva il significato dell’amore. L’uomo che aveva imparato a soffrire in silenzio perché aveva capito che farlo ad alta voce non poteva far altro che male a chi gli era vicino e soffriva con lui, che fosse per i suoi stessi motivi o per semplice empatia. E il vero Gerard Way adesso era morto. Soffocato, schiacciato dal nuovo Gerard Way, quello che era un uomo adulto, padre di famiglia e lavoratore, che nella vita si limitava a cantare, disegnare e passare tempo con sua moglie e sua figlia. Il nuovo Gerard Way poteva sembrare il ritratto della felicità (dopotutto, chi non vorrebbe fare il lavoro che ama e passare tempo felice con la propria famiglia, a quasi quarant’anni?), ma non lo era. Be’, aveva appena raggiunto il risultato che si era prefissato di ottenere dalla dieta che aveva cominciato l’anno prima quando aveva potuto smettere di riempirsi di antidepressivi, pubblicava i suoi fumetti, faceva qualche concerto di tanto in tanto e sua figlia aveva solo sei anni quindi non era ancora entrate in alcuna folle fase adolescenziale di quelle che mandano fuori di testa dei genitori. Ma poteva ridursi a quello la felicità?
Magari per una persona normale sì. Per il nuovo Gerard Way sarebbe andato bene vivere così per sempre, passare la vita in quella strana calma nella quale passano la vita le persone normali, e avrebbe potuto farlo. Se solo il nuovo Gerard Way non avesse avuto dentro il vero Gerard Way che, sepolto in morte solo apparente, ogni tanto premeva, provava a uscire fuori per dimostrare al mondo di che pasta era fatto. Il dissidio interiore dei due Gerard non era facile da sostenere. Essere in eterna lotta con se stessi e allo stesso tempo mantenere una facciata di ghiaccio per non far star male i propri cari…
Insomma, era per queste ragioni, più o meno, che quella sera Gerard si trovava in quel minuscolo e squallido locale. Era stato a New York per firmare una specie di contratto quel pomeriggio e aveva deciso di passare la serata da solo. Così se n’era andato a Newark, in New Jersey. Lontano un intero paese da sua moglie e sua figlia e così vicino alle sue origini, quale posto migliore per lasciar sfogare la parte di sé che non doveva fare altro che sopprimere da anni?
- Non mi pare di star facendo niente di male – provò a risponderle semplicemente, come se non fosse stato ubriaco fradicio.
- Biondino mio caro, sei steso lungo tre sgabelli e hai gambe e piedi sul bancone. Capisco che magari ho perso anche io il conto di quanta roba hai buttato giù nel giro di un’ora, e che vuoi mostrare al mondo intero che sei capace di tenerti in equilibrio steso su degli sgabelli piccoli come questi e che hai un fisico invidiabile, ma direi che sì, stai facendo qualcosa di male. Perciò, prima che mi licenzino, vattene. Dobbiamo chiudere - la ragazza continuava a guardarlo storto, probabilmente chiedendosi se chiamare la polizia o qualcosa del genere.
- Sì, hai ragione. Scusa. Sono davvero… - Gerard emise una specie di grugnito e fece uno strano movimento che lo fece sbilanciare. Cadde ai piedi della barista come un sacco di patate.
Lei scoppiò a ridere e si rese conto di essere stata un tantino troppo severa poco prima, visto quanto stava male. Sbuffò, si accovacciò accanto a lui e parlò con tono leggermente più pacato rispetto a prima: - Hai un cellulare? Chi devo chiamare che possa venire a prenderti?
La domanda da un milione di dollari. Chi avrebbe potuto chiamare? Era così tanto tempo che non finiva in una situazione del genere… E Lynz questa volta non c’era, come suo fratello Mikey che pure abitava a Los Angeles, ma che comunque non avrebbe chiamato. Lì vicino abitavano ancora i suoi genitori, ma erano le tre e mezzo del mattino e soprattutto alla sua età era fuori discussione chiamare la mammina per una cazzata del genere. Per un secondo per il suo cervello inondato di alcol passarono un paio di volti che conosceva come le proprie tasche, anche se erano tasche di un paio di jeans che non vestiva da parecchio tempo.
- Frank? Chi è? Hai il suo numero, così posso chiamarlo? - la barista sembrava sul punto di perdere la poca pazienza riacquisita.
Frank? L’aveva detto ad alta voce?
Scosse la testa mentre faceva per alzarsi, procurandosi così un capogiro che lo rispedì a terra all’istante, e prese un grosso respiro prima di risponderle, strascicando tutte le parole con voce roca: - No… Niente… Torno da solo a casa, solo… Magari dammi una mano ad alzarmi per uscire di qui…
Nel mentre di questo teatrino, il locale si era svuotato delle ultime persone rimaste e l’altro barista si era avvicinato ai due ai piedi del bancone, probabilmente per richiamare la ragazza che aveva perso tempo dimostrandosi troppo clemente con quello che sembrava nient’altro che un ubriacone di prima categoria, e a sbattere lui fuori a calci in culo.
- Rebs, si può sapere perché non l’hai ancora OH PORCA MERDA - il ragazzo non aveva fatto in tempo a chinarsi su Gerard che l’aveva visto in viso e aveva fatto un salto all’indietro, strabuzzando gli occhi.
Gerard si chiese se fosse in condizioni davvero così pietose come credeva.
La ragazza si alzò di scatto e afferrò il suo collega per le braccia prima che cadesse anche lui - Che diavolo succede?
Ma il ragazzo continuava a guardare Gerard, gli occhi spalancati, boccheggiando: - Tu… Tu…
- Luke, se non la smetti di fare il coglione ti castro con una ginocchiata nelle palle. Che cazzo ti prende? Sembra tu abbia visto un fantasma!
- È… Rebs… Questo è… Lui… Oh mio dio, è… Gerard Way!
- E lo conosci? No, perché, vedi, è ridotto malissimo ma mi fa troppa pena per sbatterlo in mezzo alla strada… E poi è carino. Un po’ vecchio per me, ma ha il suo fascino, indubbiamente.
- Rebecca porca puttana ascoltami! È Gerard Way, il cantante. Quello dei My Chemical Romance, il gruppo. IL gruppo. Oh, dio. Oh, mio dio. Cazzo! Gerard Way!
- Calmati, stai andando in iperventilazione. Intendi quel gruppo con cui rompi le palle tutti i giorni quando io faccio finta di ascoltarti?
- ... Esattamente - la parola gli uscì in un sospiro.
- Be’, ha fatto proprio una brutta fine - constatò Rebecca, alternando lo sguardo tra il suo collega e il cantante.
- Non è che potreste smetterla di parlare di me come se non ci fossi? No, perché ho capito che sono ubriaco a merda ma ci sento ancora. Sei un mio fan, ragazzo? Vuoi un autografo? Fammi uscire da questa bettola da quattro soldi e ti regalo anche un biscotto - appena finito di arrancare nel buttare fuori quelle parole, Gerard si mise seduto passandosi le mani sul viso per provare a mettere a freno un nuovo capogiro che rischiava di farlo stramazzare al suolo una volta per tutte.
- Ma che cazzo dice?
- Lascia stare. Aiutami a tirarlo su.
Lo presero per le braccia, lo misero in piedi e lo portarono fuori dal locale. Lui si mise seduto ai piedi di un muretto lì vicino mentre i due baristi chiudevano e abbassavano la serranda, e si accese una sigaretta. Prese a fumare con calma, le spalle contro il muretto, gli occhi chiusi, senza pensare a nulla in particolare.
- Allora, ce l’hai un cellulare sì o no? – Rebecca si stagliava sopra di lui, fiancheggiata da Luke, e tendeva la mano verso il cantante con il palmo rivolto all’insù.
Gerard scosse la testa. - Non ho nessuno da chiamare - ammise senza tanti giri di parole.
Luke lo guardò con un’espressione… triste? Sembrava essersi ripreso dalla shock iniziale. Certo che vedere quello che magari un tempo era il proprio idolo ridotto in quello stato…
- Non mi prendi in giro, caro il mio bamboccione di mezza età. Prima hai fatto un nome. Chi è Frank? – Rebecca aveva assunto di nuovo la posizione incazzata di quando era andata a cacciarlo dal locale, e lo guardava con un cipiglio severo in volto.
- Frank… Intendi Frank… Iero? Vero? - Luke non riuscì a trattenere una nota di entusiasmo a quell’affermazione - Vi sentite ancora? Siete amici? Oh mio dio, era tutta la vita che sognavo di parlarti e ora…
- Tira il freno, tizietto - Gerard cacciò fuori il fumo in uno sbuffo, alzando lo sguardo sui due - Non vedo Frank Iero dalla bellezza di tre anni circa. Non parliamo. Non ci sentiamo. E potrei dire che non vorrei altro che venisse a prendermi in questo momento perché mi manca da morire, MA - fece un altro tiro - non lo farò, perché no. E se è un no che ho deciso io è un no e basta. Sono un adulto responsabile. E soprattutto - prese una pausa per espirare che sembrò abbastanza melodrammatica e piena di suspense - sono IO il boss qui.
Stava sparando cazzate e se ne rendeva conto, ma non riusciva a smettere. Osservava i due ragazzi guardarlo totalmente sconcertati con quel sorrisetto stronzo e soddisfatto che non faceva da anni. Luke sembrava sul punto di piangere. Rebecca serrava i pugni, assottigliando sempre più lo sguardo.
- Sai, bel biondino, il capo mi ha sempre detto di non dar retta agli ubriaconi, e perciò non lo farò. Ma visto che mi stai particolarmente sulle palle… - si abbassò e si avvicinò a Gerard lentamente, facendo un sorrisino forzato - E che hai deciso di distruggere tutti i sogni del mio amico qui presente con il tuo caratterino del cazzo… - fece qualcosa con le mani e si rialzò in tutta fretta, stringendo qualcosa nel palmo della sinistra - Questo lo prendo io.
Gerard non capì cosa fosse finché non la vide esultare, urlando qualcosa che somigliava a un “Ce l’ha! Luke, ce l’ha!” e poi portarsi l’oggetto all’orecchio. Che cazzo stava facendo?
Il cantante gettò la sigaretta e si alzò il più velocemente possibile date le sue condizioni: - Cosa hai intenzione di fare? Dammi il mio cellulare prima che ti denunci, mocciosa.
- Oh, fidati che ci andresti male tu. Mia madre è avvocato e io ho un testimone, e tu sei ubriaco. Idiota.
- Posa quel cazzo di telefono! Non hai alcun diritto di chiamare qualcuno per me! Tantomeno qualcuno che non voglio assolutamente sentire mai, mai più!
- Sai - Luke riprese improvvisamente parola mentre Rebecca componeva ancora una volta il numero di Frank, nel tentativo di svegliarlo (Gerard in quell’istante sperò che il chitarrista avesse cambiato numero). Si piazzò davanti al cantante e parlò guardandolo dritto negli occhi: - Sai - ripetè - Sei stato il mio idolo per… Praticamente tutta la mia vita. Avevo otto anni quando ho sentito la vostra prima canzone, erano i tempi di Bullets. Vi ho seguiti sempre, nel bene e nel male, qualsiasi cosa accadesse. Per i primi concerti ero troppo piccolo e gli ultimi erano troppo lontani perché me li potessi permettere, ma non mi è mai importato. Io amavo tutto ciò che avevi creato. E ho sempre pensato a te, sì, proprio a te, come il mio modello da imitare. Ti ho giustificato ogni volta che hai fatto cazzate. Ho sempre continuato a sostenerti. Anche quando sei caduto, e spesso sei caduto veramente in basso, dovresti saperlo. Anche quando te ne sei uscito con quella stronzata che “Non è una band, è un’idea” e lì tutti avrebbero voluto ucciderti, fidati. Insomma, ne hai fatte di cazzate, ma te le avevo perdonate tutte - ormai aveva quasi le lacrime agli occhi - Tutte. Credevo fossi perfetto. Credevo fossi fantastico. E invece sei solo un grandissimo stronzo.
E Gerard non riuscì a trovare proprio niente con cui rispondergli.

  
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