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Autore: Margo Malfoy    19/01/2015    6 recensioni
|AU!HighSchool|
«Appoggia la tua roba sul banco e raccontaci un po’ di te» disse il prof.
Lei si avvicinò alla cattedra e scosse la testa. «Non sono molto brava con i discorsi» disse con un sorriso.
«Beh, puoi rispondere alle domande di questi scimmioni allora, che ne dici?»
«Prof., il fatto che io sia l’unica femmina in classe non mi classifica come ‘scimmiona’» disse una ragazza nel fondo della classe. Wow, solo due ragazze, pensò guardandola. Sperava di riuscire a farsela amica.
«Hai ragione, mi scordo sempre di te, piccola Brenda»
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Be cute, and smile.
 
 
“Sii carina” si disse davanti allo specchio. Carina? Quanti anni hai, otto?, si disse poi scuotendo la testa. Il primo giorno di superiori – o meglio, della nuova scuola – non poteva permettersi di essere solo ‘carina’. Doveva far colpo. Se un ragazzo la vedeva passare, non doveva semplicemente fissarla e poi tornare a camminare, ma doveva fermarsi a pensare quanto fosse bella. Era stata invisibile per troppo tempo, nella vecchia scuola. Non c’era più tempo per essere carina, o sorridere.
Così, dopo aver attentamente analizzato ogni singolo trucco della mamma ed aver deciso quale mascara stesse meglio con quale matita, uscì dal bagno e salì in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle un po’ troppo violentemente. Aprì le ante dell’armadio che la sovrastava sfiorando le travi del soffitto, e passò in rassegna i vestiti. Tra le molteplici scelte valutò anche quella di indossare una minigonna, ma poi ci ripensò: passare dall’essere ‘carina’ all’essere ‘bella’ non significava diventare una troia, e lei non lo era. Non era nemmeno invisibile come credeva. Molti ragazzi, nella vecchia scuola, speravano di poterla un giorno invitare al ballo di fine anno, o semplicemente di uscire con lei per un frullato, ma era sempre stata troppo impegnata a pensare-di-non-essere-abbastanza per notare quei ragazzi.
Alla fine optò per un paio di jeans stretti – molto stretti, lei li portava sempre così – e un grosso maglione di lana color petrolio, che la valorizzava, pur essendo largo. E, fortunatamente, al dettaglio che di solito la mandava fuori di testa, non doveva pensarci: la madre l’aveva portata dal parrucchiere due giorni prima e i suoi lunghi capelli biondi erano a posto.
Si lasciò cadere sul letto matrimoniale coprendosi gli occhi con le mani, pensando a quanto odiasse il fatto di dover cambiare scuola. Ma, alla fine, non era solo la scuola. Quell’autunno aveva cambiato tutto nella sua vita: aveva cambiato città, casa – anche se questo cambiamento non la dispiaceva affatto: la nuova casa era a due piani, più spaziosa e moderna di quella di Seattle e, cosa più importante, non era in un condominio. Ma per il resto aveva dovuto rinunciare a tutto: scuola, amici, i pub che le piaceva tanto visitare col suo migliore amico al sabato sera quando, in quei pub, c’erano soltanto sessantenni ubriachi che cantavano a squarciagola le canzoni che suonavano i gruppi ingaggiati dal proprietario. Seattle le piaceva molto, era il genere di città che, se non fosse stata la sua città natale, avrebbe scelto come meta per gli studi o per cose del genere. Invece, per il lavoro del padre, era finita a Boston. Non che non le piacesse Boston, l’aveva visitata almeno cinque volte con i nonni e due con i suoi genitori e suo fratello, ma non si sarebbe mai aspettata di trasferirsi proprio lì. Beh, a dire la verità, non si aspettava proprio di doversi trasferire, ma purtroppo non tutto andava come lei voleva.
 
 
La luce del sole filtrò attraverso la finestra illuminando il viso pallido di Maggie. Lei schiuse gli occhi verdi e si rigirò nel letto, pensando all’intensa giornata che avrebbe dovuto affrontare.
Quando si catapultò in bagno – accorgendosi di essersi svegliata un quarto d’ora dopo, quindici minuti che per lei erano da sempre fondamentali – imprecò sottovoce accorgendosi che suo fratello era già lì dentro.
«Park, muoviti!» urlò bussando alla porta con la mano aperta.
«Sta’ zitta» fu la sua risposta. Park aveva un anno in meno di lei e, secondo lui, essere il più piccolo lo autorizzava ad avere vantaggi di cui Maggie non poteva godere.
Vedendo che il fratello non usciva, Maggie si ricordò del bagno dei genitori, al piano di sotto. Mentre scendeva le scale continuava a sperare che entrambi si fossero già preparati e le dessero il via libera. Così fu: sua madre si muoveva veloce tra i fornelli, già in ghingheri per andare al lavoro e con un fitto strato di rossetto che le ricopriva le labbra carnose; il padre, anche lui in giacca e cravatta, pronto per andare in ufficio, era seduto al tavolo da pranzo e leggeva il giornale, sorseggiando di tanto in tanto del caffè dalla tazza che teneva in mano.
«Buon giorno» le sorrise lui vedendola scendere.
Lei borbottò un saluto veloce e si fiondò in bagno.
Mezz’ora dopo suo fratello aveva preso il suo posto, bussando alla porta per farla uscire: «Maggie, dai, dobbiamo andare!»
Lei uscì con una smorfia e afferrò di corsa lo zaino all’ingresso. «Ci vediamo dopo!» dissero i due salutando i genitori.
 
***
 
«Quindi, se non ho capito male, viene da Seattle, signorina Codd» il preside stava esaminando un paio di moduli che la mamma di Maggie aveva portato a scuola la settimana prima.
«Esatto» disse lei.
«È una fortuna essere arrivata per l’inizio delle scuole, dico bene?» chiese appoggiando i fogli e guardandola attraverso gli occhiali spessi. Il preside assomigliava molto ad un personaggio buffo dei cartoni. Era basso e tozzo, il viso era costantemente – almeno per le due volte che l’aveva visto Maggie – paonazzo e portava dei baffi ridicoli sotto al naso. Non aveva capelli e, quei pochi che rimanevano, erano di un bianco acceso, innaturale.
«Sì, proprio una fortuna» per quanto la situazione non fosse favorevole, incominciare la scuola uno o due mesi dopo gli altri sarebbe stato peggio.
«Venga, la accompagno dal signor Ghram, è l’insegnante di scienze». L’uomo la scortò, attraverso due corridoi e un piano di scale, all’aula, secondo lei, più inculata della scuola. Nonostante questo, c’erano ragazzi che passavano di lì di continuo.
«La ringrazio» disse aprendo la porta.
«Si figuri. A proposito, spero si sia preparata un discorsetto perché deve presentarsi ai suoi nuovi compagni» sotto ai baffi grigi, il preside fece un sorriso paffuto, diede una pacca sulla spalla di Maggie e si allontanò a gran passi.
Fantastico, pensò Maggie. I discorsi sono proprio il mio forte. Non lo erano mai stati. Decise che quel genere di cose sarebbero state il suo punto debole quando, in terza elementare, vinse il titolo di principessa della scuola e, quando le maestre le chiesero di dire qualche parola, vomitò davanti a tutti i tramezzini al tonno che si era sbaffata con i suoi amici.
Quando entrò in classe non era ancora arrivato nessuno, tranne che il prof.
«Buongiorno» esordì Maggie spostandosi nella sua direzione.
«Che bello, la prima volta che un nuovo arrivato arriva puntuale!» esclamò lui alzandosi rumorosamente dalla sedia e porgendole la mano. Era un uomo giovane, più giovane di quanto Maggie si fosse immaginata, che aveva un accenno di barba castana sul mento e due profondi occhi grigi.
«Io sono il professore di chimica» disse stringendo la mano di Maggie. «Tu sei Margherita, dico bene?»
«Maggie» lo corresse lei. La chiamavano così solo i suoi nonni materni quando si vedevano per Natale, se l’avessero chiamata col suo vero nome, non avrebbe risposto probabilmente.
«Bene, Maggie, aspettiamo che arrivino quegli idioti dei tuoi compagni di classe e vediamo dove metterti, okay?»
Maggie annuì. Quell’insegnate sembrava decisamente alla mano, non si sarebbe mai sognata di sentirsi dire da un prof. ‘idioti’, soprattutto se stavano parlando dei suoi compagni.
In poco tempo la classe si riempì di ragazzi e Maggie si stupì di vedere quanto i maschi fossero nettamente superiori dal punto di vista numerico.
«Buon anno, ragazzi!» il signor Ghram accolse gli alunni con un ampio gesto delle braccia e un sorriso solare.
«Anche a lei, prof.» rispose un coro di voci disconnesse e borbottanti.
«Questa bella ragazza è una vostra nuova compagna di classe, chi è che la prende sotto la sua ala?»
Alzò la mano un ragazzo moro che era seduto da solo, davanti ad altri due ragazzi con cui continuava a parlare e scherzare. Era un bel ragazzo, e sembrava davvero “interessato” a lei e non a volerla prendere in giro perché era nuova.
«Thomas, grandioso!» esclamò il prof. battendo le mani. «Maggie, appoggia la tua roba sul banco e raccontaci un po’ di te» disse poi.
Lei si avvicinò alla cattedra e scosse la testa. «Non sono molto brava con i discorsi» disse con un sorriso.
«Beh, puoi rispondere alle domande di questi scimmioni allora, che ne dici?»
«Prof., il fatto che io sia l’unica femmina in classe non mi classifica come ‘scimmiona’» disse una ragazza nel fondo della classe. Wow, solo due ragazze, pensò Maggie guardandola. Sperava di riuscire a farsela amica. Era una ragazza molto carina, mora e con gli occhi azzurri, non troppo alta.
«Hai ragione, mi scordo sempre di te, piccola Brenda» disse lui mimando un cuore con le mani.
Maggie si chiedeva quanti anni avesse per poter essere così in confidenza con dei ragazzi di diciassette anni.
«Allora, iniziamo le domande per questa pivella?» chiese sedendosi alla cattedra e appoggiando i piedi sul tavolo. Pivella?
Uno dei ragazzi dietro a Thomas, uno biondo e con due occhi castani e grandi, alzò la mano e il prof. gli diede la parola chiedendo di dire il proprio nome prima di rivolgerle la domanda.
«Mi chiamo Newt» disse. «Da dove vieni?»
«Sono di Seattle»
Lui annuì con un sorriso accennato, poi si alzò un’altra mano. Era il ragazzo di fianco a Newt, un asiatico alto e moro.
«Sono Minho. Vieni al Bloody Mary sabato?»
Maggie si chiese che cosa fosse il Bloody Mary. E si chiese che cose c’entrasse quella domanda con lei.
«Cristo, Minho» commentò Brenda dal fondo. «Scusalo, ma alla mattina è meno sveglio del solito»
«Concordo» disse il prof. alzando leggermente una mano.
Le domande continuarono per tutta l’ora e di chimica non fecero un bel niente – menomale, perché Maggie odiava la chimica –, e una volta usciti dall’aula, Minho le si avvicinò mentre stava sistemando i libri nell’armadietto.
«Comunque ero serio quando ti ho fatto la domanda» disse con un mezzo sorriso.
«Scusa, ma non so che cosa sia il Bloody Mary». Cioè, sapeva che era un drink e un gioco cretino da fare davanti allo specchio e con la luce spenta, ma credeva che l’asiatico non alludesse a nessuna delle due cose.
«È una discoteca in città, ci facciamo la festa d’istituto ogni anno» spiegò appoggiandosi con la spalla ad un armadietto.
Oh, ora è tutto più chiaro.
«Non saprei, può darsi» ci sarebbe andata se fosse riuscita a farsi un amico entro quel giorno.
«Bene così» disse Minho iniziando ad incamminarsi, ma poi tornò indietro: «Se il tuo compagno di banco inizia a fare il molesto, dimmelo»
A Maggie spuntò un sorriso: «Perché?»
«Thomas ogni tanto diventa logorroico» disse Minho.
 
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 Ciao pive!!!
Non ho idea di come mi sia venuto fuori questo primo capitolo, ma oltre alla text!fic (che continuerò ^^), volevo un altro AU dei ragazzi, perché io non so starci senza di loro e voglio smetterla di scrivere fic catastrofiche o drammatiche :)
Anyway, anche qui c’è Maggie, ma se sta iniziando a starvi sulle palle, non la sopportate più e volete che non ci sia, vi prego di dirmelo, così cancello il capitolo e faccio in modo di riorganizzarmi. (Perché vi capisco se vi ha stufato)
Okay direi che ho finito, quindi, come al solito apprezzamenti e critiche sono ben accetti :)
A presto pive <3
   
 
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