Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: ellephedre    20/01/2015    5 recensioni
A vent'anni Shun Yamato lascia il Giappone per andare in America. È stato ammesso al MIT, sua sorella è incinta... La sua vita sta per cambiare.
Non sa quanto.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per lei 2

Nota importante: questa storia è ambientata nel 1996. Si può notare da alcuni particolari (il più importante: non ci sono i cellulari.)

  

   

Per lei

   

       Autore: ellephedre

 

   

2.

   

  

La sensazione della plastica sulla guancia, dura e rigida. L'odore del corridoio dell'ospedale. Un ricordo: il volto freddo di Asuka sotto la sua mano, gli occhi di lei che non si aprivano, che non si sarebbero mai più aperti.

Tremando sotto la giacca, Shun nascose la faccia contro il sedile, i pugni stretti.

Odio tutto.

«Signore?»

Vide due gambe. Non si muovevano, rimanevano ferme accanto a lui.

Girò mezza testa, il collo indurito.

Gli stava davanti un uomo sulla quarantina, in completo grigio, la mano stretta intorno a una ventiquattrore e un cappotto piegato nell'altro braccio.

«Lei è Shun Yamato?»

Dunque erano arrivati a cercarlo. «Sì.» Si sedette.

Provò a raccogliere saliva nella bocca impastata, un tentativo infruttuoso di inumidire la gola: non aveva acqua in corpo.

«Buonasera, signor Yamato. Sono Altman, dello studio legale Cohen & Altman. Sono qui per assisterla.»

Quell'uomo era l'avvocato mandato da suo padre.

Era bene chiarirgli la situazione. «Io non so niente.»

«Non deve preoccuparsi di questo. Penseremo noi a raccogliere le informazioni sulle circostanze di Miss Yamato.»

Circostanze? La morte.

Tremò coi denti.

L'uomo lo squadrò. «Ho bisogno di un'informazione. Lei ha almeno ventun anni?»

Serviva a qualcosa conoscere la sua età? «Ho vent'anni.»

L'avvocato strinse gli occhi. «Capisco. Sistemeremo anche questo.»

Prima di sistemare qualunque cosa, quell'uomo doveva spiegarsi. «Qual è il problema?»

«Nello stato del Massachussets si diventa maggiorenni a diciotto anni, signor Yamato. Ma per quanto riguarda la tutela di altri minori, sono necessari almeno ventuno anni per richiedere la custodia.»

No. «Nessuna custodia.» Stavano parlando della figlia di Asuka.

L'avvocato non protestò. «Suo padre è in viaggio, a quanto ho saputo. In assenza di situazioni di rischio, attenderemo il suo arrivo.»

Non c'era più alcun pericolo: chi poteva morire era già morto.

Chiuse gli occhi. «La bambina sta bene.»

L'uomo - Altman - annuì. Invece di andarsene, rimase a osservarlo.

Shun si massaggiò la testa. «È tutto?» Voleva rimanere da solo, per tornare a eclissarsi. Forse dopo aver trovato un bagno.

«Si sta facendo notte, signor Yamato. Ha un posto in cui dormire?»

... stava diventando notte? «Sono arrivato oggi negli Stati Uniti.» All'ora di pranzo, quindi era già passata mezza giornata senza Asuka.

Avrebbe dovuto trovarsi nell'appartamento di lei, con lei. O forse ci sarebbe andato da solo, ma sapendo che in ospedale Asuka stava bene.

... aveva lasciato le valigie a casa di sua sorella. Valigie piene di cose che Asuka gli aveva chiesto di portare.

No.

Non voleva mettere piede in quell'appartamento.

L'avvocato non si era mosso. «Posso prendermi la libertà di prenotarle un albergo?»

... una stanza? 

Per farci cosa? Vivere?

Ancora non aveva deciso se aveva un senso trovare le energie per svegliarsi il giorno dopo.

Anzi, aveva un senso persino trovarsi in quella città? In quel paese?

... ma doveva rimanere, no?

Almeno per il funerale di Asuka.

Con una mano sugli occhi si nascose al mondo.

L'avvocato appoggiò la ventiquattrore accanto a lui. Non parlò, ma dalla sua direzione provennero dei fruscii.

Shun udì una terza voce ovattata, dall'interno di un telefono.

L'avvocato rispose. «Sono io. Prenota una stanza singola vicino al Saint Mary, l'ospedale. Sì, per un cliente.»

Per un cliente? Per lui?

«Fammi sapere il nome dell'albergo.»

Udì il suono della comunicazione che si interrompeva.

L'avvocato si sedette al suo fianco.

Pensare era difficile, ma non impossibile. «A mio padre non importerà.»

«Che cosa?»

«Non la ringrazierà per questi favori. Non si disturbi, non gli importa di me.»

«La mia è carità umana.»

Gli sfuggì una risata tremula. Guardò l'uomo. Notando che lui scherzava volle ridere di nuovo, o piangere per nessuna ragione.

Si tappò la bocca, per non far uscire suono.

L'avvocato inspirò. «Signor Yamato, Shun. Sa darmi delle indicazioni su ciò che sua sorella vorrebbe per la figlia?»

«No.» Lui non sapeva niente, se non il nome che Asuka aveva scelto.

«Mi è stato detto che il padre della bambina non è coinvolto. Ha informazioni che ci permettano di rintracciarlo?»

No. A cosa sarebbe servito d'altronde? «Mia sorella non vuole. Quell'uomo è uscito dalla sua vita.»

L'avvocato non accettò la spiegazione. Scuoteva piano la testa. «Possiamo fare in modo che rimanga fuori dalla vita della bambina. Ma è necessario conoscere la sua identità.»

Per quale ragione?

«Come genitore biologico, lui ha dei diritti che potrebbe far valere in tribunale se non agiamo secondo le regole.»

Era assurdo. «Non vuole la bambina.»

«Meglio così. L'adozione potrà procedere in maniera spedita.»

Adozione. Trovò la forza di sollevare la testa.

Parlavano della figlia di Asuka. Una bambina che sua sorella avrebbe voluto crescere e che non aveva più una madre a parlare per lei. 

«... chi l'adotterà?» 

«Lei lo sa meglio di me, Shun. I vostri genitori, presumo.»

«Sono divorziati da vent'anni.»

«Dunque, uno solo dei due. È possibile farlo singolarmente.»

Uno dei due? Hideki Yamato o Reiko Nishigara che accettavano di nuovo di prendersi cura di un bambino? Non sarebbe mai più successo, in alcun universo.

Non doveva succedere. «Qual è l'alternativa?»

L'avvocato non parlò.

Shun si voltò a guardarlo. «Qual è l'alternativa?» ripeté.

«Un'adozione esterna, se nessuno nella vostra famiglia accetta la responsabilità della minore. Si può pensare a un'adozione di tipo aperto, con contatti nel tempo.»

... contatti?

«Non sono un esperto in diritto di famiglia, signor Yamato. Ma il mio studio vi assisterà, se sarà questa la vostra decisione.»

Avrebbero dato via la figlia di Asuka?

L'avvocato lo osservava in silenzio. «Ha modo di aiutarci a rintracciare il padre biologico? È nel miglior interesse di sua nipote.»

«Asuka non vuole che cresca con lui.»

«La rinuncia alla potestà genitoriale faciliterà le cose. Ha dei contatti tra le conoscenze di sua sorella? O sa dove lei lavora?»

Stremato, Shun trafficò nella tasca della giacca.

Tirò fuori un cartoncino. «Questa ragazza era con lei questa notte. È una sua amica.» Tenne stretto il biglietto da visita, ma l'avvocato non cercò di prenderlo. Copiò nome e numero di telefono su un'agenda elettronica.

«Grazie, sarà di aiuto.»

Aiuto per cosa? Era tutto finito, tutto andato.

Asuka...

«Su. Venga con me.»

Shun non si oppose al tocco sulla spalla. Privo di forze, rimase inerme. «... non l'hanno ancora richiamata» mugugnò.

«Cosa?»

«Per l'hotel.»

L'avvocato nascose un sorriso. «La mia segretaria è efficiente. Quando saremo arrivati di sotto, avrà già un indirizzo.»

La mano sotto il suo braccio era un invito a tirarsi su. Per Shun fu troppo difficile protestare.

Si sollevò incerto sui muscoli intorpiditi delle gambe.

«Riesce a reggersi in piedi?»

Provò ad annuire, ma uno stimolo più forte lo colpì al basso ventre. «Devo andare in bagno.»

Senza aiuto si trascinò verso una porta e vi si spinse dentro.

A due metri dal gabinetto gli mancò l'energia per un altro passo; si sorresse a un lavandino.

Immagazzinò aria nel petto, sentendo che non aveva respirato da ore.

Spingendosi di lato, arrivò agli orinatoi.

Aprì la patta dei pantaloni e appoggiò la fronte contro il muro.

Voglio morire.

Emise liquido dal corpo.

   


   

Aprì gli occhi sdraiato sopra un letto, la faccia che affondava in un cuscino.

Ovunque si trovasse, era buio.

... Asuka era morta.

Si spinse in avanti con un braccio. Cascò col torso dal letto, il pavimento più lontano di quello che aveva pensato. Cadde anche con le gambe, sbattendo a terra sul fianco.

L'urto lo risvegliò. Allungando un braccio, trovò una tenda. La scostò, e nello spiraglio di pochi centimetri passò un raggio di luce.

Era mattina.

Strinse i denti e si tirò su.

Girandosi, individuò una sveglia elettronica accanto al letto della stanza d'hotel.

Le nove.

Il suo stomaco vuoto si attorcigliava per i crampi.

Siete già arrivati, Hideki, Reiko? 

Dovevano decidere cosa fare con Asuka.

Si trascinò verso il bagno, la vista annebbiata. Si chinò a bere dal rubinetto del lavandino e svuotò di nuovo la vescica.

Tornando in camera inquadrò un mini-bar accantò al letto.

Prese una bustina di caramelle e si nutrì di bastoncini gommosi alla liquirizia.

Li odio, non mi piacciono.

Asuka lo sapeva. Da piccolo lei gli aveva preso le caramelle colorate.

Ricadde sul letto, di schiena.

Devo chiamare l'avvocato.

Doveva sapere se i suoi genitori erano già arrivati in America.

Chiuse gli occhi.

Ma in fondo, loro non sono mai stati d'aiuto.

Dormì di nuovo.

  

A nove anni Shun era arrivato a una conclusione su Hideki Yamato.

"Preferisce te, Asuka."

Un eufemismo: suo padre si comportava come se Asuka fosse l'unica figlia che aveva. Solo a lei permetteva confidenze e dimostrazioni d'affetto che in ogni caso non ricambiava, mentre se era Shun a provare a stabilire un legame, Hideki lo guardava come se si stesse comportando in maniera assurda.

Shun si era ricordato che non aveva mai chiamato quell'uomo 'papà', ma Asuka lo aveva fatto, e ogni tanto lo faceva ancora. Non era lei a ricevere sguardi di pietà misti a fastidio, che la invitavano a non riprovarci.

A quel tempo vivevano con Hideki da circa sei mesi, da quando Reiko aveva dichiarato di non sopportare più il Giappone. Lei aveva fatto scegliere ad Asuka. 

"Shun è un bambino, tu sei quella che farà più storie. Non voglio problemi, capito? Dove vuoi vivere, qui o in Francia? In ogni caso io ci torno il prossimo mese, anche senza di voi."

L'esperimento di coabitazione in uno stesso paese - per permettere a Hideki di vedere Asuka - non aveva funzionato.

A Shun non era sfuggito che, ogni volta che i suoi genitori si erano lanciati recriminazioni su quella scelta, il nome di lui non era mai saltato fuori. A Hideki non importava di avere vicino suo figlio.

Asuka ne era stata cosciente. "Vivremo qui in Giappone."

"Come preferisci." Reiko aveva sospirato di sollievo. "C'est bon! Così finalmente troveremo tutti la nostra pace!"

A Shun non era dispiaciuto vederla andare via. Come madre Reiko si era preoccupata solo di assumere altre donne per occuparsi di loro. Non era riuscita bene nemmeno in quel compito: non andava d'accordo con le sue governanti e finiva col licenziarle tutte nel giro di sei mesi.

L'idea di allontanarsi da lei lo aveva comunque reso dubbioso. "Hideki ci farà vivere con lui?"

"Avremo una casa esattamente come ora." Asuka, quindicenne, aveva posato le mani sulle sue spalle, rassicurandolo. "Sarà meglio così, Shun-chan. Hideki non è isterico come Reiko. Ci darà una persona fissa che farà le cose per noi e non ci disturberà. Mi prenderò io cura di te, va bene?"

Shun le aveva creduto: non aveva mai dubitato di sua sorella.

Purtroppo, per lei vivere con Hideki non si era rivelato semplice.

"Sei uno stronzo!"

"Ripetilo un'altra volta e finisci in collegio!"

Asuka non aveva avuto paura di suo padre. "Ma certo! Poi chi si prenderà cura di lui?" Aveva indicato Shun. "Io ti servo!"

"Una ragazzina maleducata non può crescere un bambino! Se ci tieni a rimanere nella vita di tuo fratello, cambia tono seduta stante."

Asuka aveva digrignato i denti, ma si era zittita.

Shun aveva osservato la scena seminascosto dietro la porta dell'ufficio di Hideki, senza dire niente. 

"Hai un unico dovere in questa casa, Asuka: comportarti da persona per bene. Non so cosa diavolo ti abbia permesso di fare Reiko, ma questa storia finisce qui." Hideki le aveva mostrato la pagella. "Questi voti sono indegni. E oggi un richiamo dal preside!"

"Tu non mi vuoi ascoltare!"

"Non mi interessa cosa ci facevi in quello sgabuzzino mezza nuda. Non ti hanno costretta, a scuola hanno detto che quello è il tuo ragazzo!"

Asuka aveva tremato per la rabbia, i pugni stretti. "Ci hanno accusato di esibizionismo, ma ci stavamo nascondendo, okay?! E non stavamo facendo niente di male! Almeno lui ci tiene a me! Non come te che passi la notte fuori per stare con una delle tue- delle tue tante- Sono sgualdrine, sempre diverse!"

Hideki si era avvicinato di scatto, la mano sollevata per uno schiaffo.

Asuka si era ritratta. 

Hideki si era calmato velocemente, in un modo che non lasciava presagire nulla di buono. "Non ho più intenzione di litigare con te. Adesso ti indico i termini che devi rispettare - senza eccezioni - se vuoi continuare a vivere sotto il mio tetto." Riprese in mano il foglio dei voti. "Non uno solo di questi deve scendere sotto gli ottanta punti. Hai tre mesi di tempo." La fissò dritto negli occhi. "Reiko ti ha cresciuta nella convinzione che le regole possano essere cambiate per soddisfare i tuoi capricci, e ti ha lasciato pensare che gli adulti non meritino più rispetto dei ragazzi a cui ti accompagni. Io non perderò tempo a rieducarti, Asuka. Hai quindici anni. O ti regoli da sola nelle prossime settimane, o lo farà un collegio femminile per tutto il prossimo anno. Sta' a te decidere come andranno le cose. Ora, fuori da questa stanza."

Asuka non si era mossa.

Hideki era stato inflessibile. "È già iniziato il tempo in cui deve rispettare i termini. Obbedisci o pagane le conseguenze."

Asuka aveva deglutito, lanciando un'occhiata a Shun. Se n'era andata senza dire una sola parola, cercando di non correre via.

Shun non l'aveva seguita. In lui il risentimento per il modo in cui Hideki aveva trattato sua sorella era stato enorme.

"Noi non ti chiamiamo nemmeno papà!" gli aveva urlato contro.

Hideki aveva roteato gli occhi al cielo. "Con te c'è una ragione precisa."

A Shun la frase era rimasta stampata in testa.

Tre mesi dopo, Asuka era stata mandata in collegio. Shun non ricordava se lei non avesse rispettato i termini, o se Hideki avesse semplicemente deciso di sistemare a modo suo una ragazza turbolenta.

Ricordava quanto gli era mancata sua sorella. All'inizio con lei si erano sentiti una volta ogni due giorni, la sera. Poi, lentamente, le chiamate di Asuka si erano diradate. Dapprima Shun le aveva ricevute una volta ogni quattro giorni, in seguito una volta alla settimana. Sua sorella non aveva mai aspettato più di così per chiamarlo, ma a dieci anni quell'attesa gli era parsa infinita.

Alla fine, si era sentito abbandonato anche da lei. Aveva dato la colpa a Hideki.

In quel periodo la persona più vicina a lui era Kurumi-san, la donna di mezza età che gestiva la sua vita e la loro casa. Shun la ricordava come una persona poco affettuosa, ma stabile e accomodante. Servile, soprattutto.

Non aveva avuto nessun altro a cui chiedere. "Kurumi-san. Se un uomo dice a un bambino che c'è una ragione se non si fa chiamare da lui papà... cosa significa?"

Gli lasciavano guardare di tutto alla televisione, ad eccezione dei programmi della notte. Grazie a qualche film Shun si era fatto già un'idea della risposta.

Kurumi-san aveva smesso di pulire lo specchio della camera. "Stai parlando di tuo padre?"

"Sì."

Lei aveva riflettuto prima di proseguire. "Dovresti domandare a lui."

"Non voglio."

"È una risposta che può darti solo il signor Yamato."

Shun si era deciso durante una delle loro rare cene insieme, mentre Hideki guardava il telegiornale.

Era stato diretto. "Io non sono tuo figlio?"

Parlare con Hideki lo aveva intimorito, ma aveva iniziato a contemplare la possibilità che ci fosse qualcuno al mondo che teneva maggiormente a lui - un vero padre. Non era stato così ingenuo da desiderare di vivere con quella persona sconosciuta, ma gli aveva fatto piacere l'idea che ci fosse qualcuno al mondo che lo pensava da lontano.

Hideki aveva tolto il volume al televisore. "Chi ti ha detto queste cose?"

Shun aveva sentito battere forte il cuore. "Tu. Hai detto che c'è una ragione se non potevo chiamarti papà."

Hideki aveva sorriso, come se stesse ascoltando una sciocchezza. "Già." Aveva incrociato le dita sul tavolo, riflettendo. Poi lo aveva guardato. "Non penso che cambierà molto per te. Perciò... questa è la storia: io non so se tu sei mio figlio. Ma non ritengo che abbia importanza."

La sua confusione aveva spinto Hideki a chiedergli un chiarimento. "Sai come nascono i bambini?"

Shun si era accigliato. "Me lo hanno spiegato a scuola."

"Bene."

"Come fai a non sapere se io sono nato da te?"

"Con tua madre ci stavamo separando quando lei è rimasta incinta. Reiko frequentava un'altra persona in quel periodo. Io non lo sapevo - non era questo il motivo per cui la stavo lasciando. Me ne sono andato e non ci siamo visti per molti mesi. Quando Reiko mi ha detto di aspettare te, aveva già fatto il lavaggio del cervello ad Asuka. In fondo, non diceva falsità: tu sei suo fratello. E con Reiko eravamo sposati quando sei stato concepito."

Shun aveva ricostruito col tempo il senso di quel discorso, ma in quel momento non gli era interessato sapere i dettagli: era o non era il figlio di Hideki?

"Contestare la paternità sarebbe stato complicato e dannoso per me" aveva continuato lui. "Reiko non voleva lasciarmi portare Asuka in Giappone. Ho accettato di riconoscerti come mio figlio, così lei si è trasferita qui con voi due. Poi ho saputo che aveva cercato di rimanere in Francia col suo amante e che lui l'aveva rifiutata. Per me è stato meglio così."

Perché Hideki gli stava facendo quei discorsi incomprensibili? "Sono il figlio di quell'uomo?"

"Da qualche tempo mi somigli di più e i nostri gruppi sanguigni sono compatibili. Potresti essere figlio mio. Ormai è disponibile un test genetico che può dare una risposta sicura, se un giorno vorrai averla."

Da tempo Hideki gli parlava come un adulto, ma in quel discorso Shun si era sentito ancora più bambino e confuso che mai. "A te non importa saperlo?"

Il silenzio di Hideki si era prolungato.

"Ho un fratellastro" gli aveva detto lui alla fine. "Mio padre lo trattava come se fosse la prova vivente del tradimento di nostra madre. Tashii è cresciuto come un fallito; non passa anno in cui non mi chieda soldi. Quando per ironia la storia si è ripetuta con me..." Il sorriso di Hideki gli era parso sporco, disilluso. "Non ne è mai valsa la pena. Tutta quella rabbia... Una perdita di tempo, concetti da cavernicoli. Come se ci fosse una differenza tra un figlio che ha il mio sangue e uno che non ce l'ha. Non ho passato del tempo nemmeno con Asuka. È così che vanno le cose, Shun: mandi i figli in buone scuole e ti assicuri che vengano su come membri produttivi nella società. Questo significa essere genitori. Il resto è un'invenzione." Hideki spense la tv. "Lo capirai quando sarai grande. Forse l'unico legame che conta al mondo è quello fraterno, perché cresci insieme a una persona. Perciò non ho voluto dividerti da Asuka, finché lei lo ha reso possibile. Ma... oramai sei grande. Puoi iniziare a capire queste cose." Si alzò. "Finisci di mangiare, la tua cena si raffredda."

 Shun non aveva ripetuto quella conversazione ad Asuka, nemmeno quando lei era tornata per le vacanze estive. La possibilità che non fossero veri fratelli era stata l'unica cosa che lo aveva spaventato. Almeno in quel senso il discorso di Hideki gli era venuto in aiuto: se era cresciuto assieme ad Asuka, era comunque il fratello di lei. E Asuka lo amava.

Perché allora non ti sei più presa cura di me?

Di ritorno dal collegio, un anno dopo, Asuka aveva passato più tempo al telefono con le sue amiche. Ormai usciva più con loro che con lui, ma pur sentendosi abbandonato, Shun non era riuscito ad odiarla. Le loro serate insieme al fast-food e al cinema non erano sparite. Asuka era tornata a comprargli i vestiti che più gli piacevano, e gli aveva organizzato una festa di compleanno in una sala giochi coi suoi compagni delle elementari. Sua sorella lo aveva amato.

Lei aveva scoperto che lui sapeva la verità solo quando Reiko era venuta a trovarli per una settimana - una delle sue solite toccate e fughe, per dirsi da sola che non si era dimenticata dei suoi figli. 

A dodici anni Shun non aveva resistito. "Mi piace quando ci fai dei regali."

"A me non dispiace farveli" aveva sorriso Reiko. "Sono vostra madre, no?"

"Ma non vivi con noi."

Asuka si era intromessa. "Stiamo bene - meglio, da quando viviamo per conto nostro."

Reiko aveva concordato. "Caro, io ero nervosa passando tutto il tempo con voi ragazzi. Da buona madre, ho capito che era meglio che non viveste con me."

Lui si era interessato ai drama che avevano per protagoniste delle famiglie. Non faceva che guardarli, affascinato da dinamiche che gli erano sconosciute.

Quel giorno aveva copiato una battuta che aveva sentito in uno dei suoi telefilm preferiti - uno scherzo nella finzione, una vera accusa nella realtà.

"Una buona madre sa chi è il padre dei suoi figli."

Reiko si era zittita, una tomba di indignazione e vergogna. Poi aveva dato di matto. "Cosa stai dicendo?! Come puoi-?!"

Shun le aveva riferito quello che aveva saputo da Hideki. Della reazione di lei non gli era importato molto, si era interrotto solo quando aveva visto lo sguardo sorpreso di sua sorella. Non si era pentito, aveva continuato a parlare. Loro tre insieme, che cenavano fuori come una famigliola felice... be', era una commedia insopportabile.

Reiko si era calmata a beneficio del ristorante in cui si trovavano, per non dare altro spettacolo.

"Fils de pute" aveva sibilato. "Hideki non sa quello che sta dicendo! Tu sei suo figlio, hai capito? A voi non deve interessare quanto sono stata infelice in passato!"

Si tratta sempre di te.

Shun non le aveva creduto: Reiko viveva in un mondo suo, in cui le cose giravano come più le conveniva.

Non biasimava il tipo che aveva lasciato una regina del dramma come lei - lo giudicava piuttosto per averci avuto a che fare. Hideki era un altro esempio del tipo di persona che Reiko aveva attirato. Se l'uomo sconosciuto era il padre di Shun, lui sapeva di non avere bisogno di un altro adulto concentrato su se stesso, che non sapeva che farsene di un ragazzino.

Una volta soli, Asuka glielo aveva confermato senza volerlo. "Da quanto lo sai, Shun?"

"E tu?"

Lei non aveva risposto subito. "Non so se Hideki sia anche tuo padre. Non importa, sono io la tua famiglia. Loro non hanno fatto niente di buono per noi due."

Una cosa su cui era stato d'accordo. "Ma da quanto lo sai?"

Asuka aveva sospirato. "Ero piccola, ma li ho sentiti litigare per questo. Ho anche conosciuto... l'altro tizio. Non mi voleva tra i piedi, era antipatico."

Shun non aveva avuto bisogno di ascoltare oltre. "Hai ragione. Non importa."

"Non nascondermi più cose come questa." Asuka gli aveva stretto la mano. "Fa male stare in silenzio. Io non voglio che tu lo faccia con me, capito? Noi dobbiamo dirci tutto."

Negli anni Asuka lo aveva informato anche di cose che un ragazzino non avrebbe dovuto sapere, ma a Shun non era dispiaciuto. Si era sentito grande nell'ascoltarla, nell'aiutarla. In fondo, Asuka aveva avuto solo lui come famiglia. Quando lei gli parlava della propria confusione di adolescente a volte gli trasmetteva incertezze che lui non sapeva come gestire.

Eri solo una ragazza.

Il giorno in cui Asuka aveva comprato una casa, ottenendo da Hideki di farlo vivere con lei, l'ammirazione di Shun non aveva conosciuto limiti.

Finalmente siamo liberi. 

Le sue recriminazioni contro Hideki e Reiko erano morte col tempo. Era difficile rimanere arrabbiati con persone che non frequentava. Non per questo aveva rifiutato i regali comandati che entrambi avevano mandato a lui e a sua sorella - ingenti somme di denaro. Aveva imparato da Asuka l'opportunismo, la furbizia.

"Stai scherzando? Ce li devono! Ricevi tutto quello che ti danno, okay? Secondo me, quando inizieremo a lavorare, non vedremo più un soldo!"

Così Shun era diventato un risparmiatore. Aveva accumulato.

Doveva tutto quello che era e che possedeva ad Asuka. Lei gli aveva insegnato a essere autosufficiente, lo aveva spinto a credere in se stesso.

In cambio, io ti ho lasciato sola quando sei morta. Non ti ho raggiunto in tempo.

Si svegliò.

Quando si riprese dal dolore, chiamò l'avvocato e andò in ospedale.

  

Fece il suo dovere e attese di fronte alla camera mortuaria dove avevano trasferito Asuka.

Nel pomeriggio udì dei passi grevi lungo il corridoio.

Hideki era arrivato.

Shun non lo incontrava di persona da due anni. Lo trovò stanco e vecchio, con nuove rughe profonde sulla fronte e ai lati della bocca, tra i capelli fili ingrigiti.

Shun non si cambiava da due giorni, ma Hideki indossava un completo stirato di fresco, con la cravatta ben annodata al collo.

Non ti vergogni?

Aveva ancora la testa per pensare alle apparenze.

Prima di accusarlo, notò che i movimenti di lui rallentavano mentre si avvicinava. Per la prima volta in vita sua Hideki non sapeva dove andare, anche se stava leggendo con i suoi occhi il cartello col nome di Asuka accanto alla porta.

Era una scena patetica.

Suppongo che nemmeno tu, Asuka, voglia vederlo così.

Shun si alzò e lo precedette accanto al letto dove stava lei, per fargli strada.

Hideki entrò nella stanza, giacca e valigetta salde sotto il braccio. Si fermò ai piedi di sua figlia morta, senza osare un altro passo.

Vi fu silenzio.

Hideki chiuse gli occhi.

Non so dov'era questa compassione mentre tu eri in vita, Asuka. Shun allungò un dito, per toccare i capelli di sua sorella. Ma ecco qui. Ecco qualcosa per te.

Smise anche lui di guardare.

«Com'è successo?»

La voce di Hideki era un singulto represso, controllato.

Shun raccontò quello che sapeva.

Nel ripetere la storia la rivisse - con Asuka morta accanto a lui che gli ricordava il finale - e non riuscì a sfiorarla oltre. Si allontanò verso una sedia appoggiata alla parete della piccola stanza.

Cinque minuti dopo Hideki era ancora in piedi, dritto e immobile accanto al viso di lei.

Shun ebbe un ricordo di Asuka, che da bambina correva verso Hideki. Lui le aveva toccato una spalla, forse aveva sorriso.

Una scena da un'altra vita.

Uscì dalla stanza, lasciandoli soli.

  

«Quanto rimarrai?»

Hideki si era ricomposto. Quando lo aveva sentito singhiozzare, Shun si era allontanato verso il fondo del corridoio. Era tornato dopo mezz'ora.

«Due settimane.»

Bene. La precisione piaceva a entrambi. «Riuscirai a sistemare tutto in quattordici giorni?»

Hideki alzò gli occhi. Non gli era sfuggito a cosa si riferiva.

«Parlerò della bambina con Reiko.»

Pessima idea. «Nel frattempo puoi firmare i documenti.»

In attesa di sentirlo elaborare, Hideki strinse le palpebre. Aveva capito.

«Per l'affidamento.»

«Non posso trasformarla in una soluzione permanente.»

Shun non aveva dubbi sul fatto che Hideki non volesse prendersi cura di una neonata. Ma si era ri-sposato da poco, forse... «Tua moglie ha un figlio di dieci anni.»

«Lui non sta con noi, passa più tempo con suo padre - come dovrebbe essere.»

Comprendendo, Shun si irrigidì. «No. Non manderai la figlia di Asuka dal bastardo che le ha mentito. Lui sapeva che era incinta e l'ha lasciata! È sposato!»

Hideki tornò dritto con le spalle. «Asuka non c'è più. Quella bambina ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei. Ha un genitore ancora in vita.»

«Non capisci. L'unica cosa che Asuka vorrebbe ora è che sua figlia non finisca con quell'uomo!»

«Non ci sono alternative.»

Hideki si voltò e Shun lo afferrò per un braccio. «Non ti ha raccontato come è stata trattata. Lei lo odiava!»

Hideki strinse i denti.

Tra loro non c'era mai stato uno scontro fisico, ma Shun aveva talmente tanta voglia di picchiare qualcuno - qualunque cosa - che aveva solo bisogno di essere provocato.

Hideki lo vide, forse provò un minimo di pietà. Non reagì. «Dobbiamo contattare quell'uomo in ogni caso. Se la vorrà, non potremo opporci.»

Shun si tranquillizzò: aveva trovato la chiave della sua vittoria. «Non la vorrà.» Lasciò andare Hideki. «Se ne sbarazzerà per la seconda volta, come ha fatto con Asuka.»

Hideki ebbe un primo dubbio. «Le persone possono cambiare. Quell'uomo ha delle responsabilità.»

Era un buon concetto. «Ricordatelo quando se ne laverà le mani. E quando lo farà anche Reiko.»

Lasciò il corridoio dell'ospedale.

   

Durante la mattina aveva riflettuto.

Aveva il dovere di badare all'unica cosa che sua sorella aveva al mondo: una figlia.

Reiko era una soluzione da scartare, ma Hideki... Hideki era una sistemazione adeguata, alle giuste condizioni. Shun dubitava che lui avesse preso in moglie una donna materna, che avrebbe sentito il bisogno di fare da matrigna a una bambina sconosciuta - anche se non era una possibilità da scartare. Di quella donna sapeva poco, giusto ciò che gli aveva raccontato Asuka. Lavorava anche lei come avvocato, pertanto sicuramente passava la maggior parte del suo tempo in ufficio.

Era perfetto.

Nella casa in cui erano brevemente vissuti lui e Asuka, si poteva replicare la situazione in cui era cresciuto il suo amico Alexander. Neppure i genitori di lui erano state presenze importanti nella sua vita quotidiana. La madre di Alex, Eve Foster, era una donna benintenzionata ma frivola, inadatta a fare da genitore. Cosciente della propria incapacità, la signora aveva assunto una tata che aveva fatto da seconda madre al suo miglior amico, per quasi tutta la vita. Shun aveva passato del tempo con Alexander e quella donna, nonché col marito e i due figli di lei. Mai come in quei momenti si era sentito vicino a un ambiente familiare normale. Grazie a Shoko Kaiba, Alexander era venuto su in maniera equilibrata, sentendosi come un terzo figlio per lei.

Non c'era motivo per cui Hideki non potesse dare vita a qualcosa di simile. A differenza di Reiko lui non avrebbe licenziato una buona bambinaia per capriccio. Al contrario, Hideki bramava la stabilità: gli dava meno problemi. Bastava trovare un'ottima governante - Shun poteva supervisionare la scelta - e la bambina era sistemata a vita.

Se sua nipote fosse cresciuta a casa di Hideki, Shun poteva tornare in Giappone e passare occasionalmente a trovarla. Quando fosse cresciuta, le avrebbe fatto da zio, guidandola come poteva. 

Era una soluzione... adeguata. Non perfetta, ma migliore di qualunque altra gli venisse in mente.

Hideki doveva vedere la ragione. Nessuno gli chiedeva di fare il padre o il nonno - anzi, più stava lontano dalla bambina, meglio era. Ma aveva i mezzi finanziari e la possibilità di garantire a sua nipote un'esistenza dignitosa, con una persona che si sarebbe affezionata a lei.

In fondo, anche l'affetto si può comprare.

Scosse la testa.

Shoko-san non amava Alexander perché c'erano di mezzo i soldi. Esistevano persone buone a quel mondo, che passavano del tempo con un bambino e iniziavano ad amarlo con tutto ciò che erano. Come famiglia Yamato, loro dovevano trovare una di quelle donne per Arimi.

È un nome troppo femminile, sorella.

Ma, se tutto funziona come deve, quando sarà grande le insegnerò io ad avere un po' di carattere.

Davanti al reparto neonatale, emise il suo primo debole sorriso.

Chiuse gli occhi e appoggiò la nuca contro il muro.

Sto facendo del mio meglio, Asuka. Non ti deluderò anche in questo.

«Signore?»

Un'infermiera lo stava chiamando. Era la donna con cui aveva parlato il giorno prima.

«Vuole vedere la bambina? L'abbiamo tolta dall'incubatrice.»

«No.» Si trovava lì solo... per esserci. Stava pensando al futuro della figlia di Asuka, ma non era ancora pronto ad averci a che fare. Non voleva toccarla di nuovo. «Va bene così.»

L'infermiera andò via, confusa.

Shun non voleva spiegare a nessuno che, nella sua misera immaginazione, si figurava una copia di Asuka da bambina, nel futuro. Nella realtà Arimi Yamato poteva essere completamente diversa, forse più simile a suo padre - come tante femmine. Lui non aveva riconosciuto nessuno nell'esserino informe che aveva incontrato. In ogni caso, lei non sarebbe mai stata Asuka.

Tengo a lei in prospettiva, in lontananza.

Era seduto davanti a quel reparto perché sua sorella non poteva farlo. La stava rappresentando. Di suo, non provava ancora niente per sua nipote.

Per questo c'è bisogno di una persona normale che le stia intorno.

La troverò per te, Asuka.

   

Dopo le cinque, la camera di sua sorella all'ospedale si era riempita di gente sconosciuta - colleghi di lavoro di lei.

Shun li aveva ricevuti con cautela, da principio con noia. Asuka non gli aveva raccontato di avere tanti amici, perciò quelli erano solo conoscenti. Tuttavia avevano pianto per lei, con sincerità. Una ragazza gli aveva portato una piccola lepre di plastica, con la testolina che dondolava. 

«Asuka lo teneva sulla scrivania. Dava un colpetto alle orecchie e diceva, 'Anche oggi corro più veloce di te!'»

Era così da Asuka. L'agonia lo aveva travolto daccapo.

«Per quanto starà qui?» gli avevano chiesto.

«Fino a domattina. Poi ci sarà un'autopsia.»

Prima di andarsene Hideki aveva chiarito il proprio piano: voleva capire se c'erano gli estremi per intentare una causa all'ospedale.

Shun non sapeva se era un modo produttivo di incanalare la rabbia. Non gli importava.

Tornò all'hotel di sera, dopo aver comprato dei vestiti. Non voleva ancora recuperare le valigie lasciate a casa di sua sorella.

Lo choc stava sparendo, lasciando il posto a una realtà priva di senso.

Pensare a sua nipote era solo una distrazione.

Aveva passato tutto il pomeriggio vicino ad Asuka, sdraiata sul letto, ed era stato come averla ancora accanto.

Prima di lasciare la stanza aveva guardato nella borsa con gli effetti personali di lei, che aveva ritirato solo quel giorno. La foto sulla patente di guida americana aveva sottolineato la differenza: nell'immagine c'era una ragazza viva, sorridente, sicura - qualcuno che se n'era andato da tempo da quelle quattro mura.

Shun si accasciò sul letto dell'hotel.

Bussarono alla porta. Raccogliendo volontà, lui si trascinò ad aprirla.

In corridoio stava sua madre, Reiko.

Lei aveva i capelli in una crocchia, le ciocche che sfuggivano alla pettinatura. Il trucco era sbavato sugli occhi e Reiko stava ferma, tremante davanti alla porta della camera.

Il suo viso si distrusse in una smorfia di dolore. «Non ho fatto in tempo a vederla!»

Crollò contro il suo petto. Shun non si scostò. Era troppo stremato per reagire.

«La camera mortuaria era chiusa!»

Sei la madre, te l'avrebbero fatta vedere se avessi insistito. Come se lei non sapesse fare scene.

Ora per cosa stava piangendo? In quarantasette anni di vita, si stava comportando più da madre in quel momento che in tutto il resto della sua esistenza. Proprio quando sua figlia ormai era morta.

Come facevi ad avere pietà di lei, Asuka?

Sua sorella diceva che sua madre aveva bisogno di essere compresa, anche se era molto difficile farlo. Bisognava essere pazienti con lei, senza esagerare. Starle lontano era più salutare. "Però" gli aveva confessato, "mi piace quando mi cerca. In fondo, è mia madre."

Per Asuka, Shun mosse la mano su una spalla di lei - una carezza misera, l'unica che Reiko si meritava.

I singhiozzi di sua madre lo fecero stare male per un altro motivo.

"Andiamo, Reiko, piantala!" Così aveva urlato Asuka. "Anche io ho i miei problemi, sai?"

Torna.

Piegò la testa contro la spalla di Reiko.

«Siamo soli, Shun!»

Il lamento di lei lo risvegliò dal suo dolore.

A differenza di sua madre, lui non stava pensando solo a se stesso. «Riprenditi. Non servi a niente ad Asuka piangendo.»

«Non essere insensibile, ho perso mia figlia!»

Lui la tirò piano dentro la stanza, lontano dal corridoio. «Non urlare, la gente dorme.»

Reiko obbedì. Tendeva ad adeguarsi agli ordini finché si sentiva guidata nella direzione che desiderava.

«Domani voglio vederla» singhiozzò.

«Ti accompagno. Hai preso una stanza?»

Reiko annuì, coprendosi il naso con una mano. «Non in questo hotel.»

Ma certo. Pensare di stare vicino a tuo figlio... inconcepibile.

Mandò giù la bile. Perché si aspettava ancora qualcosa da lei?

Era uno stupido. Con Hideki si era arreso, ma Reiko era la sua vera madre, senza ombra di dubbio. La trovava stupida, egoista, un essere umano indegno... ma almeno dopo la morte di sua sorella...

No, Asuka. Tu eri l'unica che mi voleva bene.

«Domattina presto ti porterò da Asuka.» Così si sarebbe liberato rapidamente di lei.

Reiko stava singhiozzando contro un fazzolettino di tela, recuperato dalla borsa. «Eri con lei quando è successo?»

«No.»

Reiko si disperò. «Me l'hanno uccisa!»

Shun attese qualche momento, ma udì solo altre lacrime e non la domanda che si aspettava.

«Hai una nipote, sai?»

«Asuka non avrebbe dovuto farsi mettere incinta!»

Questo sì che risolve tutto. «Smettila.»

«Smettila, cosa? Tu hai avuto tutto il giorno per soffrire! Io arrivo qui e nemmeno riesco a vedere mia figlia...»

«Hai urlato?» si alterò lui. «Sei andata alla reception gridando di vedere Asuka?»

«Era tutto chiuso! Mi sono persa!»

Shun non credette alle proprie orecchie. «Almeno hai chiesto a qualcuno? Hai provato a vederla, o hai preferito venire qui a piagnucolare per farti consolare?!»

Lei scattò a picchiarlo su una spalla, ma lui le prese velocemente il braccio.

«Non sono Asuka» sibilò. «Da adesso ti imporrò di trattarla come avresti dovuto fare!»

Nel viso di Reiko c'era una smorfia di orrore. «Ma come ti ho cresciuto?!»

Per la rabbia Shun chiuse gli occhi e non rispose. La battuta di risposta era troppo facile.

«Sono sconvolta, Shun! Ho perso una figlia! Tu hai perso una sorella-»

«Non metterci sullo stesso piano.» Lui conosceva Asuka mille volte più di lei.

Reiko sospirò, sfatta nel bel viso che credeva di poter usare per suscitare pietà. Lui la trovava solo grottesca.

«... non vuoi piangerla insieme?»

No, lui non era come Reiko. Non avrebbe messo prima se stesso e la propria ira. Quelli erano i giorni di Asuka.

«Domani alle sette torna qui e andremo da lei.»

Reiko si coprì il volto con due mani. Riprese a piangere.

Shun andò a sedersi sul bordo del letto. Non litigherò con lei stasera.

Anzi, non aveva intenzione di farlo mai, per se stesso. Asuka non avrebbe voluto, non ne valeva la pena.

Era solo una questione di pochi giorni, poi avrebbe avuto Reiko e Hideki fuori dalla sua vita, come sempre. Più di prima anzi, perché non ci sarebbe più stata Asuka a...

Eri tu che li chiamavi, quelle due volte l'anno. Ricordavi a entrambi di telefonarmi.

Non aveva mai avuto una vera famiglia, ma ora non ne aveva più nemmeno l'ombra.

Sua sorella se n'era andata.

Si diresse alla porta della stanza e l'aprì. «Voglio stare da solo.»

Reiko si trascinò verso il corridoio e lui la chiuse fuori.

Non la guardò nemmeno una volta.

 

 

CONTINUA...

 


   

NdA: La seconda parte della storia.

Nel prossimo capitolo Shun capirà che i piani che ha fatto per sua nipote non sono realizzabili. È possibile che inserisca già il personaggio di Alexander Foster, il suo migliore amico, poiché come raccontato in Verso l'alba - saputo della morte di Asuka - Alexander raggiungerà Shun in America.

Avrete potuto notare che tra i componenti della famiglia Yamato ci sono atteggiamenti che non sempre seguono le dichiarazioni dei tre. È mia intenzione esplorare questa rete di dinamiche familiari complesse.

La morte di Asuka ha portato Shun vicino a dei genitori con cui lui non ha a che fare da molto tempo (e viceversa). Sarà una situazione instabile, considerati i problemi che si ritroveranno ad affrontare con Arimi Yamato, la figlia di Asuka. 

Sono contenta di essere andata avanti di un altro capitolo nel raccontare questa vicenda. Ho molta voglia di parlare di quello che accadrà a Shun e Arimi :)

Grazie per aver letto fin qui!

 

Elle

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: ellephedre