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Autore: Hypnotic Poison    24/11/2008    11 recensioni
Ma d’altronde, lui è Troy Bolton ed io sono Gabriella Montez. È nel nostro DNA fare cose che nessuno si aspetta. Sconvolgere tutto. E lo sappiamo bene.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gabriella Montez, Troy Bolton
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Nothing else matters

Nothing else matters

 

 

 

 

Non avevo mai pensato che ciò che è successo sarebbe mai potuto accadere.

 

È iniziata come una mattinata come le altre: mi sono svegliata, ho preparato la colazione, ho salutato James che partiva per un viaggio di lavoro, e sono uscita per le mie solite faccende.

 

Sono stata fuori tutto il giorno, pranzando con Kelsie dopo secoli che non ci vedevamo, e sono tornata a casa solo per l’ora di cena.

 

Parcheggio la macchina di fronte a casa, la mia vecchia casa ad Albuquerque, e scendo, tenendo in mano le buste della spesa.

 

E lo vedo.

 

Scende da un’auto nera a cui non ho fatto caso, davanti alla mia, e mi chiama per nome: “Gabriella.”

 

Quasi mi cadono le buste per la sorpresa: “Co-cosa ci fai qui?”

 

Scuote le spalle: “Io… io ero in giro e ho pensato di venirti a fare un saluto. Ho… ho fatto male?”

 

“No, no, assolutamente. Vieni, entra pure.”

Apro la porta e lo lascio passare. Certo che non ha bisogno di indicazioni. Conosce quella casa come le sue tasche, come io conosco quella dei suoi genitori.

 

Ci abbiamo passato tanti bei momenti insieme, ognuno più prezioso dell’altro. Ma sono trascorsi molti anni, ormai.

 

Mi aiuta a sistemare la spesa: “Vuoi qualcosa da bere?” gli domando mentre mi avvicino al frigo.

 

“No, grazie. Sono a posto così.”

 

Va in salotto e si siede, al buio. Mi viene da sorride. Anche dopo tutti questi anni, sceglie ancora il ‘suo’ posto, nel bel mezzo del divano. Una volta il suo profumo rimaneva impregnato anche per settimane, visto che non cambiava mai. Sono anni che non lo sento.

 

Sospiro e lo raggiungo, sedendomi vicino a lui: “Cosa c’è che non va, Troy?”

 

Lui sorride appena: “Scusami, Gabriella. Sono piombato qui dopo anni, senza nemmeno avvertirti. Che stupido che sono. Solo che… non sapevo dove andare, sei stata la prima persona che mi è venuta in mente.”

 

Certo, Chad ormai abita a New York con Taylor. Ma tu?

 

“Cosa è successo, Troy?”

 

Rimane in silenzio, a fissare una decorazione sul tappeto.

 

Mi rendo conto che ormai non so più niente di te. Non so dove vivi, con chi vivi… se sei andato avanti.

 

“Tu come stai, Gabby?” fa come quando era ragazzo, evita le domande dirette a cui non sa, o non vuole, dare risposta.

 

“Io sto… bene, grazie. Ma non hai risposto alla mia domanda.”

 

Ridacchia: “Con te non si vince mai, eh?”

 

“Troy. Se non ne vuoi parlare, basta dirlo.” forse ancora un po’ ti conosco. Anche dopo dodici anni.  

 

Ci impiega qualche secondo a rispondere: “Il mio matrimonio è finito definitivamente. Ho firmato le carte del divorzio giusto ieri. Peccato che la mia ex moglie si sia tenuta la casa di Los Angeles.”

 

Sgrano gli occhi. Non sapevo nemmeno fosse sposato, ed adesso scopro che ha addirittura divorziato?

 

“Mi dispiace…”

 

Troy scuote la testa: “Non dispiacerti. È stata una stupidata fin dall’inizio. Sai, il fascino dell’attricetta bionda e bella. Ma tra basket e cinema non può funzionare. È durato un anno solo.”

 

E di nuovo, il silenzio. Una volta non era pesante; ora bensì è intriso di ricordi e pensieri.

 

“Tu invece, Gab?” ho un brivido. Sono dodici anni che nessuno usa più quel soprannome. È riservato solo ed esclusivamente a lui. Nemmeno James mi chiama così.

 

“Convivo da due anni con un ragazzo. Si chiama James, è un ingegnere informatico.”

 

Si guarda intorno: “Deve arrivare? Perché se vuoi vado via.”

 

Lo fermo per un polso, senza quasi accorgermene: “No, non c’è. Torna domani sera. È in viaggio di lavoro.”

 

Mi guarda dal basso, cerca di incrociare il mio sguardo. È lui che ancora, davvero, capisce me: “Non va tanto bene, vero?”

 

Scuoto le spalle: “Sai com’è… praticamente non stiamo mai insieme…”

 

“Già… la lontananza…”

 

Ahia. Questo non dovevi dirlo. Non con quel tono.

 

Mi alzo di scatto, ritorno in cucina: “Ti va di restare a cena? Ormai è ora.”

 

“Okay, grazie. Sempre se non disturbo.”

 

Non gli rispondo ed inizio a preparare da mangiare.

 

All’improvviso, un gatto nero si struscia contro le mie caviglie.

 

Sorrido e lo prendo in braccio: “Ehi, micione. È anche l’ora della tua pappa, eh?”

 

Troy compare all’improvviso al mio fianco: “Come si chiama?”

 

Ops. Arrossisco di botto, come non mi capitava da anni: “Ehm… Troy…”

 

Un ghigno sorpreso e divertito, il suo ghigno, gli si dipinge sulle labbra: “Hai chiamato il tuo gatto come me?”

 

Mi stringo nelle spalle, mentre rovescio una lattina di cibo per gatti nella scodella di, ehm, Troy-bis: “Ha il tuo stesso colore degli occhi.”

 

In effetti, è stato per questo che l’ho comprato. Quegli occhi sono stati la prima cosa che mi aveva colpita non appena ero entrata nel negozio. Non ho resistito. Come d’altronde, non ho resistito ai suoi occhi.

 

Accende la radio, al suono della musica prepariamo la nostra cena. Ci scontriamo, cantiamo, balliamo sul posto, ci lanciamo le bucce di patata e ci passiamo il prezzemolo sul viso, e ridiamo. Rido come non mai.

 

Non pensavo che potesse ricomparire così e farmi stare così bene. Non so nemmeno perché è qui. Perché ci stiamo comportando così.

 

Ma d’altronde, lui è Troy Bolton ed io sono Gabriella Montez. È nel nostro DNA fare cose che nessuno si aspetta. Sconvolgere tutto. E lo sappiamo bene.

 

Apparecchiamo con una bottiglia di vino rosso ed addirittura un paio di candele, ci sediamo ed iniziamo a mangiare.

 

E da qui, incominciano i ricordi. Naturali, sgorgano dalle nostre labbra senza quasi che ce ne accorgiamo. O forse non vogliamo accorgercene. Perché va meglio così.

 

Sarà l’atmosfera, sarà il vino, sarà il cuore. Sarà che probabilmente non ti ho mai dimenticato.

 

“Eravamo una bella coppia, io e te.” non è una domanda. È un’affermazione.

 

Sorrido: “Già.”

 

Troy fa girare il suo bicchiere, osservando i movimenti del liquido rosso: “Dove abbiamo sbagliato?”

 

“Non lo so, Troy.”

 

“Forse non era destino.”

 

“Io penso che lo fosse.”

 

“E allora perché?”

 

Trovo la forza di specchiarmi in quelle due pozze d’oceano: “Non abbiamo avuto abbastanza coraggio, forse.”

 

“Taylor e Chad l’hanno avuto.”

 

“Ma noi non siamo Taylor e Chad.”

 

“Vorrei che lo fossimo.”

 

Sento il cuore stringersi. Anche io lo vorrei, Troy. Davvero tanto: “Ma non si può.”

 

“Perché no?”

 

Non lo so: “E’ passato davvero tanto.”

 

“Non riusciremmo a recuperarlo?”

 

“Non lo so, Troy.”

 

Ghigna: “E’ strano sentirti dire ‘non lo so’, Gabby. Tu hai sempre saputo tutto.”

 

Sorrido anche io. Già, è vero. Ero io la genietta della scuola, la stramba ragazza della matematica, che sapeva sempre tutto, e rispondeva a qualunque domanda del Dio della scuola, della stella del basket. 

 

E adesso, cosa siamo?

 

“Lo ami?”

 

La domanda a bruciapelo mi fa alzare lo sguardo: “Cosa?”

 

Mi fissa duramente: “Lo ami?”

 

Boccheggio un paio di volte, prima di rispondere: “Io… non lo so.”

 

Lui fai spallucce e fa per bere: “Dovresti, se ci vivi insieme e lo aspetti a casa quando lui è in viaggio.”

 

“Tu la amavi?” ribatto.

 

Ci pensa qualche istante: “Così credevo. Poi invece mi sono svegliato.”

 

Mi alzo e raccolgo i piatti sporchi: “Mi dispiace.”

 

Mi raggiunge e mi aiuta: “Ti ho già detto di non farlo. E comunque, anche tu stai soffrendo.”

 

Immergo le mani nell’acqua saponata: “Amare vuol dire anche soffrire.”

 

“Con me hai sofferto?”

 

“Alla fine sì.”

 

“Anche io. Ma ne è valsa la pena.”

 

Cade il silenzio, interrotto solo dai rumori dei piatti che cozzano e dell’acqua che scorre.

 

“Qual è stato il regalo più grande che hai fatto alla persona che amavi?” mi domanda all’improvviso.

 

Scuoto le spalle: “Non lo so. Tu?”

 

Si ferma: “Affrontare l’intera scuola, la mia famiglia e gli amici, solo per lei. Fregarmene di tutto e di tutti, per lei. Regalarle ogni mia partita, ogni mio canestro, ogni mia canzone.”

 

I miei occhi si bagnano. Il mio corpo trema. Lascio cadere un piatto nel lavandino, facendolo affondare lentamente. Lo guardo: “Perché, Troy?”

 

Mi scosta una ciocca di capelli, mettendola dietro l’orecchio: “Dimmelo tu.”

 

Peccato che io non sappia la risposta.

 

E poi succede. Come nei film, al rallentatore.

 

I suoi occhi si avvicinano, il suo naso sfiora il mio, le sue labbra si posano sulle mie.

 

Un bacio. Come non ne ricevevo da dodici anni. Un bacio che mi annebbia il cervello, che mi fa schizzare il cuore, che mi annulla qualsiasi capacità mentale.

 

Un suo bacio. Il suo sapore. A cui si mischia quello salato delle mie lacrime.

 

Non so come, non so dopo quanto, ma ci ritroviamo in camera mia.

 

Non quella che condivido con James, che era la camera di mia madre, ma proprio la mia vecchia camera. Quella della nostra prima volta.

 

Perché, dopo dodici anni, è di nuovo la nostra prima volta.  

 

 

###

 

 

La luce che entra dalle tende aperte mi sveglia.

 

Apro lentamente gli occhi, cercando di abituarmi. In un secondo, ricordo tutto. E non ci metto molto a capire.

 

Mi giro, e le mie supposizioni diventano giuste e reali. Lo conosco troppo bene per potermi illudere.

 

Al posto che doveva essere occupato da lui, che ancora sa di lui, c’è un foglietto strappato.

 

Lo apro e leggo le parole scritte dalla sua calligrafia disordinata:

 

“Non so se scusarmi o dirti grazie per quello che è successo stanotte.

 

Sappi solo che non ho voluto ferirti. Non ne ho mai avuto l’intenzione.

 

Ti lascio ciò che avrei dovuto regalarti dodici anni fa. Il suo posto era sulla tua mano.

 

Ma non ne abbiamo avuto il coraggio, o forse il tempo.

 

Lei non l’ha mai messo, lo giuro. È sempre stato con me in tutti questi anni.

 

Buona fortuna, Gab. La meriti tutta.

 

Con amore, per sempre

 

Troy.”

 

Alzo lo sguardo sul comodino e prendo l’anello.

 

Lo bagno di lacrime mentre lo indosso. Non mi interessa cosa potrà pensare James. Non mi interessa niente.

 

L’unica cosa che davvero mi interessa è lui, come ha sempre fatto e come sempre farà.

 

Giro il foglietto, c’è un numero scritto sopra.

 

Non ho bisogno di pensare tanto per sapere che cos’è.

 

Il gioco è ricominciato.

 

Stravolgeremo di nuovo tutto, come dodici anni fa. Perché così siamo noi. Perché ci fidiamo di noi. Forse stavolta avremo abbastanza coraggio.

 

Senza fregarci di ciò che pensano gli altri. Perché non importa nient’altro, se non noi.

 

 

Never cared for what they do

Never cared for what they know

But I know

 

So close no matter how far

Couldn’t be much more from the heart

Forever trusting who we are

And nothing else matters

- ‘Nothing else matters’, Metallica

 

 

 

Fine

 

 

 

Okay, questa non so da dove mi è uscita. È stata scritta anche lei in tre ore, ascoltando tristissime canzoni.

 

Va così, ragazze, che ci posso fare. Non l’ho nemmeno riletta, quindi prendetela come viene, sperando che vi sia piaciuta.

 

La dedico a chi non riesce a dimenticare. Ed ogni volta torna sempre dalla stessa persona.

 

Ringrazio chi ha commentato “Il mio pensiero”: Angels4ever, armony_93, Herm90, lovely_fairy e Tay_.

 

Un bacione e grazie in anticipo a tutte coloro che commenteranno!

 

La vostra

 

Hypnotic Poison

 

   
 
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