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Autore: Pikappa93    21/01/2015    1 recensioni
San Fransokyo è uno dei mondi che stanno per essere coinvolti nella battaglia finale contro Xehanort. Hiro e Tadashi ancora non lo sanno, ma stanno per essere catapultati in una vicenda più grande di loro. D'altronde, i due fratelli non hanno certo familiarità con magia, Keyblade e altre cose strane di cui non sospettavano minimamente l'esistenza.
Tutto comincia qualche anno prima con un incontro...
La ragazza misteriosa si sedette vicino a lui.
«Come ti chiami?» gli chiese.
«Tadashi» rispose timidamente il bambino. «Tadashi Hamada».
«Piacere di conoscerti, Tadashi. Io sono Aqua».
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Aqua, Sora, Un po' tutti, Xehanort
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Way to the Dawn
Prologo

 
Tadashi ancora non dormiva.
Aveva appena raggiunto uno stato di dormiveglia quando il suo fratellino Hiro fece uno scatto nel sonno dandogli involontariamente un calcio negli stinchi e facendo del tutto svanire il sonno da poco ritrovato.
Era già la terza notte che ospitava Hiro nel suo letto, nonché la terza notte in cui non chiudeva occhio. Le cose andavano così: zia Cass li metteva a letto e, circa mezz’ora dopo aver spento la luce, Hiro cominciava timidamente a chiamare Tadashi sottovoce. A quel punto Tadashi fingeva per un po’ di non aver sentito e di essersi già addormentato ma, quando il tono di voce di Hiro cominciava ad aumentare di intensità e a farsi tremulo e singhiozzante, non poteva fare altro che scendere dal letto e accompagnarlo fino all’altro lato della stanza.
Hiro aveva paura di raggiungere il letto di Tadashi da solo perché i “fantasmi neri con gli occhi gialli” che si nascondevano sotto al letto lo avrebbero catturato se non ci fosse stato il suo fratellone a tenergli la mano.
Che Hiro avesse paura del buio era risaputo, era sempre stato così sin da quando era piccolissimo. Di solito però erano i loro genitori ad occuparsene. Suo padre o sua madre avrebbero preso Hiro in braccio e, dopo qualche vano tentativo di dissuasione, lo avrebbero portato nel lettone con loro. Proprio questi momenti mettevano in evidenza l’enorme vuoto che la loro morte aveva recentemente lasciato. Innanzitutto, Tadashi aveva solo nove anni e non riusciva assolutamente a prendere Hiro in braccio. Ci aveva goffamente provato la prima notte e, quando si erano ritrovati entrambi col volto a terra, si era rivelata un’impresa fare in modo che il piccolo Hiro non scoppiasse in un pianto disperato svegliando zia Cass e tutta San Fransokyo. Fortunatamente, le notti successive la presenza di Tadashi sembrò rivelarsi sufficiente per placare i timori di Hiro e almeno il più piccolo di loro due non ebbe ulteriori problemi ad addormentarsi.
Ma se Hiro in quel momento stava davvero dormendo dalla grossa, Tadashi riprese a rigirarsi nel letto con fare smanioso. Era veramente una tortura. Affondò il viso nel cuscino nel disperato tentativo di ritrovare un po’ di quiete, ma ottenne solo l’effetto opposto perché all’improvviso gli sembrò di sentire ancora il profumo dei capelli di sua madre nella federa su cui aveva posato il capo solo una settimana prima. Forse se lo stava solo immaginando, ma gli venne lo stesso un groppo in gola.
Non accadeva spesso che si fermassero tutti quanti a dormire da zia Cass, ma quando capitava si rivelava una piacevole deviazione dallo status quo. La sera, dopo cena, avevano l’abitudine di riunirsi insieme nella terrazza che si trovava proprio a fianco della loro stanza. A quel punto, zia Cass giocava con loro e cominciava a fare delle facce buffissime che facevano sbellicare sia lui che Hiro. Nel clima che si veniva a creare, spesso e volentieri anche suo padre cominciava a fare lo scemo e infine persino sua madre, inizialmente scettica, si ritrovava costretta ad arrendersi e non poteva fare altro che lasciarsi scappare qualche risata.
Tadashi ripensava a quei momenti passati insieme, ma per qualche ragione adesso non facevano più ridere. Anzi, il groppo in gola che aveva cominciato a farsi sentire finì per trasformarsi in un vero e proprio magone. Sentì che era sul punto di piangere. Ma se avesse iniziato a piangere, probabilmente Hiro si sarebbe svegliato e dopo un po’ zia Cass si sarebbe accorta che qualcosa non andava e sarebbe venuta a controllare. Decise che non era il caso e che forse era meglio allontanarsi per un po’.
Scese dal letto più silenziosamente che poté, per non disturbare Hiro. Il letto scricchiolò un po’, ma per fortuna il piccoletto continuò a dormire beatamente senza accorgersi di nulla. Uscendo dalla stanza notò che l’orologio segnava le 2:30. Sembrava una cosa strana, di solito tutti i bambini della sua età a quell’ora dormono sempre. In casa era tutto buio, ma i suoi occhi si erano abituati. Inizialmente pensò di arraffare qualcosa dalla caffetteria per smangiucchiare un po’; poi però si rese conto che non solo si sentiva lo stomaco chiuso, ma che probabilmente la zia non sarebbe stata entusiasta, caso mai l’avesse scoperto. Optò quindi per prendere una boccata d’aria.
I suoi piedi nudi avvertirono tutto il gelo del pavimento della terrazza. Forse aveva intenzione di andare lì sin dall’inizio. L’aria fresca gli dava una sensazione piacevole. Aveva voglia di sgranchirsi un po’ le gambe per scrollarsi di dosso quel senso di smania che aveva accumulato nel letto. Peccato che gli bastò solo qualche passo per inciampare sul vaso di una pianta lì vicino che non aveva visto e sbucciarsi il ginocchio. Tempo pochi istanti che il dolore cominciò a farsi sentire.
Rassegnato, si accovacciò a terra stringendosi le gambe al petto, con la schiena appoggiata al muretto. E fu a quel punto che scoppiò finalmente a piangere. Non aveva versato ancora una sola lacrima, ma in realtà non ci aveva nemmeno fatto davvero caso. Che avrebbe pensato Hiro a vederlo così? Chi lo avrebbe aiutato? Ma nonostante fosse più grande di età di suo fratello, era pur un bambino anche lui.
Rimase a piangere in quella posizione per qualche minuto quando sentì dei passi. Zia Cass era venuta a prenderlo, probabilmente. Aveva cercato di non piangere anche per lei, perché non voleva che lo vedesse così triste; ma decise che ora non gli importava più. I suoi genitori non sarebbero più tornati, non sarebbero più stati con lui, non avrebbero più riso tutti insieme su quella terrazza che da luogo felice che era, ora gli procurava un dolore immenso.
«Che succede?»
La voce non era quella di zia Cass. Alzò lo sguardo.
C’era una ragazza davanti a lui. Indossava strani abiti medievaleggianti e aveva una spada dalla forma curiosa. Aspetta, una spada? Forse voleva fargli del male? Non avrebbe potuto stare peggio di così, ma un po’ di paura ce l’aveva.
La ragazza notò il suo sguardo misto tra disperazione e incertezza.
«No, non temere» gli disse, sorridendo dolcemente. Aveva una voce pacata, rassicurante.
Si avvicinò a lui e si accovacciò anch’ella in modo da poter regolare il livello dello sguardo all’altezza del bambino. Notò il ginocchio scorticato.
«Ti fa male?» domandò lei.
Tadashi annuì perplesso, ancora singhiozzante. Sì, gli faceva abbastanza male e bruciava, ma il vero dolore era un altro. Non lo disse però alla ragazza.
Quest’ultima si rialzò in piedi e puntò la strana spada contro di lui. E ora? Doveva scappare?
«Cura».
Una luce verde si sprigionò con grazia dalla punta della spada e lo raggiunse. Strinse istintivamente gli occhi e sentì inaspettatamente come un piacevole tepore e un formicolio al ginocchio. Quando li riaprì gli occhi per controllare, la ferita ancora sanguinante era sparita.
Alzò di nuovo lo sguardo verso la ragazza e questa gli sorrise di nuovo, in maniera confortante: «Va meglio ora, vero?»
«Un pochino» aprì finalmente bocca Tadashi. Poi si ricordò che era sempre bene essere educati con chi si mostrava gentile e aggiunse: «Grazie».
La ragazza misteriosa gli passò una mano tra i capelli e si sedette vicino a lui.
«Come ti chiami?» gli chiese.
«Tadashi» rispose timidamente lui. «Tadashi Hamada».
«Piacere di conoscerti, Tadashi. Io sono Aqua».

 
***
 
Sì, poteva dirlo con certezza: si trattava di una luce fortissima. Non c’era la minima traccia di oscurità nel cuore di quel bambino.
Le avevano insegnato che tutti i cuori possedevano sia luce che oscurità, sebbene in forme e quantità estremamente differenti, ma nel corso del suo viaggio aveva appreso che non era sempre così. Già in altri mondi recentemente visitati aveva percepito alcune spiazzanti eccezioni: questa era una di quelle. Tutti erano però sicuri che esistessero solo sette Principesse e che, di conseguenza, fossero tutte femmine. Essendo la fonte di tale informazione ancora incerta, ne dedusse che non era del tutto vero.
Si rese conto che Tadashi la stava osservando con interesse.
«Dimmi» riprese lei, «non stavi piangendo solo perché ti eri fatto male, ho ragione?»
Distolse lo sguardo e annuì lentamente.
Ci fu un altro attimo di silenzio in cui Aqua sperò che Tadashi le dicesse qualcosa di più, ma il bambino sembrava davvero molto scosso. Decise di venirgli incontro.
«Cosa ti rende così triste?»
Il bambino aprì la bocca per ribattere, ma si fermò, come se gli fosse appena venuto in mente qualcosa. Dopo una breve riflessione, affermò semplicemente: «I miei genitori sono morti. Non li rivedrò più».
Questa non se l’aspettava. Di riflesso, si guardò intorno. Il piccolo ora sembrava al sicuro, ma probabilmente non lo era sempre stato.
Sorprendentemente, Tadashi continuò a parlare: «C’è stato un incidente. Io e mio fratello però non ci siamo fatti niente. Ora c’è zia Cass con noi».
Aqua sospirò. Aveva già indagato a sufficienza in questo mondo per poter dire con certezza che l’oscurità era riuscita a intrufolarsi in qualche modo. E sapeva altrettanto bene che questo genere di cuore così puro e speciale faceva gola a molti. Sperò vivamente di sbagliarsi, ma non poteva fare a meno di sospettare che questo “incidente” fosse indirizzato proprio al piccolo Tadashi e che i suoi poveri genitori semplicemente si fossero trovati sulla strada di qualcosa di potenzialmente maligno. Malefica era a conoscenza dei cuori puri e probabilmente aveva già trovato un modo per evadere dal Dominio Incantato. I Nesciens pure erano attratti da questa luce, l’attacco mirato a Kairi al Giardino Radioso ne costituiva la prova. E chissà che altro c’era là fuori.
Ebbe compassione di lui. Gli mise un braccio attorno alle spalle e lo strinse a sé. Lui non oppose resistenza, ma sentì che stava ancora tirando su col naso. Stettero seduti un altro po’ senza dire niente.
«Prima mi hai guarito con una magia?»
Era la prima volta che le faceva una domanda. Probabilmente si stava tranquillizzando.
«Sì» confermò. «Non ne avevi mai vista una?»
«Mi hanno sempre detto che la magia esiste solo nei racconti di fantasia» replicò lui. «È illogica».
Ops. Probabilmente si trovava in uno di quegli strani mondi senza magia apparentemente manifestata. Finché si trattava solo di un bambino, per quanto sveglio, non avrebbe costituito un problema. Ma in futuro avrebbe dovuto prestare più cautela.
«Potresti farne una anche per mio fratello?» chiese infine.
Aqua lo guardò incuriosita: «Che è successo a tuo fratello?»
«Ecco, Hiro… ha paura del buio. E la notte mi sveglia per questo. Ma se fai una magia, forse…»
Il tono era quello di una supplica.
«Lui ha tre anni» aggiunse Tadashi, temendo di averla infastidita.
La ragazza comprese. Si alzò e invitò Tadashi a fare lo stesso.
«Purtroppo io non posso aiutare il tuo fratellino» disse Aqua, non senza accorgersi di una certa delusione comparire sul volto di Tadashi. «Ma tu puoi».
Il bambino abbassò il capo con aria sconfitta: «Io non riesco neanche a prenderlo in braccio come faceva papà».
Aqua rimase un po’ stupita. Quel ragazzino era più sveglio di quanto desse a vedere. Sicuramente ancora non se ne rendeva conto pienamente, ma aveva già intuito in che direzione sarebbero andate le cose da lì in poi: essere solo il fratello maggiore non sarebbe più bastato, era evidente.
«Sai, Tadashi» si chinò verso di lui, «tuo fratello è ancora molto piccolo e può darsi che non capisca bene cosa stia succedendo, se non per sentito dire. Tu devi solo stargli vicino e aiutarlo quando vedi che ha bisogno di te. Non è facile, lo so. Ma tu sei molto forte».
Tadashi scosse la testa, un tantino demoralizzato: «Io non sono molto forte. Mi dicono tutti che sono un po’ troppo magro».
Aqua sorrise: stava dimenticando l’età di chi gli stava di fronte.
«Non c’è bisogno dei muscoli per queste cose» e dicendogli questo, gli posò una mano sul piccolo petto. «La tua vera forza è qui».

 
***
 
Tadashi si sentì improvvisamente meglio a quel tocco. Non sapeva spiegarsi come, ma era come se si sentisse sollevato. Un po’ come quando imparava qualcosa di nuovo e questa nuova scoperta gli faceva vedere le cose in maniera un po’ diversa.
Diede un abbraccio forte alla ragazza. Lei accolse la gratitudine del suo piccolo amico: «Andrà tutto bene».

 
***
 
Quando rientrò in camera sua trovò Hiro nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato. Rimase a fissarlo per un altro po’. Poi, quando si infilò nel letto, Hiro si voltò nella sua direzione e aprì un occhio appena.
«Eri andato via?» gli chiese.
«No, Hiro» rispose Tadashi stringendo a sé il fratellino. «Io non vado via».
E stabilito questo, si addormentò.
  
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