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Autore: Evee    21/01/2015    3 recensioni
"Congratulations, Jim: it's been a great game."
Retrospettiva di Sherlock sulla Caduta: sulla temibile valore del proprio avversario; sul livello di difficoltà della loro partita; su come, grazie a lui, abbia infine compreso l'essenzialità del gioco di squadra per vincere e l'importanza di tutti i suoi compagni... specialmente una di loro.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER - Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. Nessuno dei personaggi di cui narra mi appartiene, ma sono stati ideati e rivisitati rispettivamente da Sir Arthur Conan Doyle e Steven Moffat. Le lyrics che accompagnano il testo sono tratte da “Rise and Fall”, di Craig David featuring Sting.
 


 

[ ChessMate ]

 

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Congratulazioni, Jim: è stata una grande partita.

 

Sometimes in life you feel the fight is over,
and it seems as though the writings on the wall.

Superstar, you finally made it!

But, once your picture becomes tainted,
it's what they call

the rise and fall.

 

Era proprio quello che mi aspettavo da una mente come la tua, ed infatti non hai tradito le attese. Anzi, sei riuscito addirittura a superarle, a sorprendermi. Hai dimostrato di non essere solo un temibile avversario, ma un degno rivale. Il mio degno rivale, perché sei stato l'unico in grado di sostenere il mio sguardo, e perfino di costringermi ad abbassarlo al tuo cospetto, ad intimidirmi. Ti ho disprezzato e assieme rispettato, come mai mi era capitato di fare con nessun altro.

E, lo confesso, con te mi sono divertito. Mi sono divertito anche troppo, come non ha mancato di rimproverarmi un uomo che anche stavolta, fino all'ultimo, è stato più di un amico, costante voce della mia coscienza e irreprensibile bussola della mia morale. Eppure, non l'ho ascoltato: mi sono fatto prendere dal tuo gioco e ho finito per lasciarmi distrarre dai tuoi inganni. Ti ho attribuito un piano ben più complesso di quello che avevi effettivamente ordito, e sono rimasto intrappolato nella tua tela invisibile, troppo impegnato nel tentativo di sventare un'invincibile trama calata dall'alto per accorgermi di quella su cui già stavo camminando, tanto infida quanto pericolosa. Di questo tuo successo, ne sono colpevole, certo, ma va a te tutto il merito dell'ideazione. Eri così simile a me, riuscivi a capirmi così bene, da sapere perfettamente quale fosse la mia più grande debolezza: hai fatto leva sulla mia insaziabile ambizione, allettandomi con una sfida che non fosse semplicemente alla mia altezza, ma che apparisse superiore alle mie stesse capacità, che mi offrisse la tanto ambita occasione di testare appieno tutte le mie risorse, di dimostrare il mio valore. Ma non a te, o ad altre persone... a me stesso. Non per esibizionismo, ma per il mio solo autocompiacimento. Desideravo scoprire fino a che punto il mio intelletto era in grado di spingersi. Desideravo conquistare la certezza di essere il migliore.

L'ho desiderato così tanto, questo drago da sconfiggere, che ti è bastato gettarmi un po' di fumo negli occhi per illudermi di averlo stanato. Gli sono andato incontro, confidando di conoscere una magia in grado di fronteggiare la sua rabbia infuocata, ed ho finito per dare le spalle al vero pericolo, come tu mi hai meritatamente rinfacciato. A rifletterci ora, a mente lucida, è ovvio che non avresti mai potuto ideare un simile codice. Era troppo semplice per le capacità che andavi vantando. Troppo importante per rivelarlo a qualcuno con leggerezza. E troppo onnipotente per essere vero. Mi hai indotto ad idealizzarti attribuendoti una genialità eccessiva, umanamente impossibile. Invece, sei stato così ordinario, ovvio. La banalità del male. Ti ho voluto più intelligente di me, ed invece tu mi hai battuto in furbizia.

Grazie per la preziosa lezione. E' stata difficile da accettare, dolorosa da imparare, ma ne farò tesoro in modo da non ricadere più in futuro nel medesimo errore. Hai bruciato, umiliato, gettato il mio corpo nella polvere, ma sappi che, così facendo, mi hai anche permesso di rialzarmi molto più forte nello spirito.

Perciò, permettimi ora di ricambiare il favore, di muoverti una critica. Non sulla tua strategia, quella è stata impeccabile e forse persino superiore alla mia. No, quello che hai sbagliato, il motivo per cui, contrariamente ai tuoi progetti, sarai solo tu a toglierti la vita, è che hai peccato di arroganza. E l'hai fatto ancor prima di iniziare la partita: mi hai sottovalutato, cedendomi con sdegno i pezzi bianchi, permettendomi di fare la prima mossa. Sicuro che non avevi nulla da temere, perché per altre vie ti eri già garantito completa immunità. Facendomi credere di avere il controllo del gioco. Attribuendomi un vantaggio per te irrisorio, confidando di poterlo recuperare in fretta e senza la minima fatica. Ed hai continuato a farlo per tutto il resto del tempo, sbeffeggiandomi, rinfacciandomi esplicitamente che, a dispetto dei miei sforzi per allungare la falcata, tu saresti comunque rimasto un passo avanti al mio.

Ma, in effetti, te lo potevi permettere. Sei riuscito a mettermi sotto scacco in maniera davvero magistrale, attorniandomi con pedine mosse di nascosto, celate alla vista e del cui assalto ho potuto accorgermi solo quando ormai mi si erano avvicinate troppo, tanto da limitare i miei spostamenti, impedirmi di raggiungere le caselle cui miravo e costringermi ad imboccare le direzioni da te desiderate.

Per usare le tue parole, mi avevi in pugno.

Avresti potuto ottenere subito la tua vittoria, ed invece hai preferito giocare al gatto col topo, godendoti lo spettacolo di come la tua preda abboccasse all'esca che avevi lanciato, cadesse in trappola, tentasse di scappare. Invano, non avendole lasciato alcuna via di fuga, trattenendola saldamente per la coda.

Ma non ti bastava vedermi agonizzare, farmi soffrire. Alla lunga, persino la peggiore delle torture finisce per annoiare anche il più sanguinario degli aguzzini. D'altronde, una volta che l'avversario è a terra, disarmato, vinto, non rappresenta più nulla. Arrivati a questo punto, infierire su di lui non offre alcuna soddisfazione. E' giunto il momento di finirlo...

Il momento della mia caduta.

Me l'avevi promessa, per cui sapevo che avresti mantenuto la parola data. Come avresti fatto ad onorare un simile debito, era questo il tuo problema finale. Non ti potevi accontentare del solo crollo della mia reputazione, dovevo precipitare per davvero. Ma non ti avrebbe appagato nemmeno spingermi con le tue stesse mani nel vuoto, vedere il mio corpo cadere nel baratro, sfracellarsi al suolo. No, volevi che la tua non fosse soltanto una vittoria schiacciante, ma una assoluta, su tutti i fronti. Volevi piegare la mia stessa volontà fino ad annullarla, asservirla alla tua finché non avessi desiderato la mia stessa caduta.

Come fare ad impedirti di prendere il controllo su di me, questo era il mio problema finale. Avevo già previsto quali sarebbero stati i tuoi argomenti di persuasione, ed erano indubbiamente quelli più idonei a convincermi. Questo perché non sei soltanto riuscito a comprendere come ragionavo, ma anche i miei sentimenti più profondi, che celavo agli altri e che mi rifiutavo di riconoscere persino con me stesso. Quelli che segnano la differenza tra noi due, che fanno di te un'aberrazione e rendono me un essere umano, come mi ha fatto capire quell'uomo saggio che ho la fortuna di avere come migliore amico. Ma che, come tu non hai mancato di cogliere, mi rendono anche più vulnerabile. Ne ero consapevole, ho tentato di tenerteli nascosti, ciononostante rinnegarli a parole non è stato sufficiente. Era il mio comportamento a parlare, a tradirmi confessando tacitamente ma inequivocabilmente chi erano le persone a me più vicine, quelle cui tenevo di più e a cui tuttora tengo maggiormente.

D'altra parte, sono due i modi per vincere a scacchi. Il primo, quello tradizionale, consiste nel fare scacco matto al re avversario. Il secondo, quello meno raffinato, richiede che si divorino tutti gli altri pezzi, privando il sovrano del suo popolo. E tu, subdolamente, hai optato proprio per quest'ultima soluzione, perché sapevi che non sarei mai stato capace di abbandonarli alla tua mercé, che sarei stato disposto a far loro da scudo col mio corpo pur di proteggerli, che avrei preferito espormi e sacrificare la mia stessa vita pur di non vederli morire.

E probabilmente così avrei fatto. Probabilmente avrei finito per arrendermi al tuo ricatto, se tu non fossi stato talmente sicuro della tua scaltra destrezza da svelarmi in anticipo le mosse che stavi per compiere, da mostrarmi con quali e quanti dei tuoi pezzi intendevi bersagliare i miei. Quattro dei più famigerati sicari professionisti esistenti al mondo.

Uno per ognuno di loro.

Mrs Hudson era la regina, la padrona del mio castello. La custode del mio focolare, che costantemente si preoccupa di riattizzarlo in mia assenza, di pulire, riordinare e riassettare con una pazienza infinita e un'attenzione maniacale di cui io non potrei mai essere capace. Che si occupa di tutte quelle questioni domestiche di cui io non mi interesso minimamente, alle quali non devolverei un solo attimo del mio tempo, ma di cui lei si fa carico con piacere, con la premura di una madre cui sono intimamente grato come un figlio. E quella che è abbastanza veneranda da potersi permettere di riprendermi per le mie pessime maniere, di tirarmi le orecchie quando mi comporto da sconsiderato, benché lei sia la prima a sapere che, per quante raccomandazioni possa farmi, io rimarrò comunque troppo indisciplinato e scapestrato per darle retta. Addirittura quando so che ha ragione perché, anche al costo di andarla a sbattere, preferisco fare orgogliosamente di testa mia. Ma nonostante i miei modi talvolta la scandalizzino, esasperino, indispongano, lei come una vera lady inglese non alza mai la voce, rimane composta, e persino quando freme di indignazione non manca di servirmi il suo tè delle cinque, rispettosa delle tradizioni, dell'eleganza e della cortesia. La gentilezza fatta a persona, che non potrebbe mai voler male a nessuno, ma che tu hai osato colpire per prima, come avvertimento. Sapevo che eri un infame, ma non ti facevo così vigliacco.

Non ti perdonerò mai per il male che le hai fatto, sappilo.

Poi c'era Lestrade, il mio cavallo, alla guida delle folte truppe di New Scotland Yard. L'ho sempre svilito per il suo limitato e vincolato raggio d'azione, per i suoi inutili protocolli e le zavorre umane che è costretto a trainarsi al seguito, ma non posso disconoscere i suoi meriti: è il suo fiuto che riesce a scovare i casi più interessanti da segnalarmi, è con la sua agilità che durante le indagini posso saltare ostacoli insuperabili per raggiungere luoghi ed informazioni altrimenti inaccessibili, è nel suo recinto che mi è consentito rinchiudere i colpevoli da assicurare alla giustizia. Certo, è un animale leggermente permaloso, che tende a mordere e a scalciare se gli si muove una critica. Pure un po' troppo ingenuo, nell'inseguire finte carote e nell'accettare zuccherini dagli sconosciuti. Ed infine è indipendente, non facile da imbrigliare e cocciuto nel rifiutarsi di seguire logiche contrarie ai suoi istinti, che non gli appartengono. Ma, come un vero purosangue, sa anche riconoscere un abile cavallerizzo, uno davvero in grado di domarlo e condurlo con destrezza lungo strade altrimenti sconosciute, fino alla sua meta. Dopotutto, se ormai piega docile il capo al mio cospetto, è proprio perché la nostra è una collaborazione più che proficua per entrambi. E lui può dirsi soddisfatto della mia guida come io lo sono dei suoi servigi.

Non lo cambierei per nessun altro destriero al mondo.

E, ovviamente, non poteva mancare John. Lui era la mia torre, quella più alta e celebre, che ho eretto con cura e dedizione, ed ho cementificato con l'amicizia più solida e sincera. Il baluardo che esibivo con fierezza in pubblico, l'intimo sostegno che mi teneva compagnia anche nelle stanze più private. E le sue erano pareti davvero resistenti, perché era lui stesso a rinforzarle o ricostruirle quando per negligenza lo trascuravo, o per insensibilità lo facevo addirittura crollare nei punti in cui arrivavo a squarciargli il cuore. Ora che so di doverlo abbandonare, mi rammarico di non aver trascorso più tempo tra le sue mura accoglienti, di non aver condiviso maggiormente con lui momenti di sereno cameratismo, di non averlo mai ringraziato a dovere per l'immensa ospitalità che mi ha offerto. Gli ho permesso di diventare il mio coinquilino, ed invece è stato lui ad ammettermi nella sua vita. Mi ha accettato senza riserve, con i miei infiniti difetti, il mio insopportabile carattere. Senza provare a cambiarmi, ma incoraggiandomi soltanto a rivelarmi per la persona che ero veramente, a tirar fuori con il suo esempio il mio lato migliore. Mi mancherà terribilmente, nei tempi bui e freddi che mi attendono, questo suo calore. Ma so anche di averlo costruito su solide fondamenta, e che al mio ritorno sarà ancora lì ad aspettarmi, pronto a ricevermi, irremovibile nell'affetto che ha per me. Spero solo che in mia assenza non cada in rovina, non soffra la solitudine, e che trovi qualcuno adatto a prendersene cura al mio posto. Chiunque esso sia, lo ringrazio in anticipo per questo favore, ma sarà meglio che non si azzardi a farlo soffrire. Ha già sofferto e soffrirà anche troppo, per colpa mia. Lo distruggerebbe, ed io lo rivoglio indietro così come l'ho lasciato.

E' una magnifica torre, e una persona ancora più stupenda.

L'ultimo dei miei pezzi, quello contro cui non sei riuscito a puntare il tuo mirino, sono pronto a scommettere fosse Mycroft, il mio alfiere, il mio pezzo più nobile. Quello così aristocratico da potersi permettere di sedere ai piani alti, così brillante da contendere la mia stessa corona. E non nego che per colpa di questo primato abbiamo avuto ed avremo sempre i nostri attriti, ma non così aspri da farci scordare che restiamo comunque sangue dello stesso sangue. Come nel peggiore dei cliché fraterni non possiamo soffrire la vista l'uno dell'altro, litighiamo di continuo, ci facciamo i dispetti, talvolta arriviamo a detestarci e a non rivolgerci nemmeno la parola, ma in fondo, molto in fondo, ci vogliamo un'immensità di bene, andiamo orgogliosi dei successi dell'altro, faremmo di tutto pur di aiutarci a vicenda e ci saremo sempre nel momento del bisogno. Nonostante in realtà fosse soltanto lui, il maggiore, a prendersi cura dell'altro, a vegliare costantemente su di me, pronto ad intervenire casomai finissi per cacciarmi nei guai. Ma, dei due, è sempre stato quello più maturo e responsabile, così cauto ed attento a non mettersi in pericolo da non aver nemmeno mai necessitato del mio aiuto. Ed anche in quest'occasione, sono certo che non si sarebbe smentito: piuttosto che farsi difendere dal suo fratellino, avrebbe preferito abbandonare il suo palazzo e sporcarsi lui stesso le mani, pur di salvaguardare se stesso. Sono pure convinto che l'avrebbe fatto con successo: non per niente è a capo della più addestrata delle fanterie e, quando si risolve a sguainare la sua poderosa spada, sa tirare violenti fendenti. Trasversali, imparabili, letali.

Lui è molto più forte di me, intoccabile ed invincibile.

Suppongo che sia proprio questo, il motivo per cui alla fine hai preferito utilizzare i tuoi tre sicari superstiti per minacciare gli altri componenti della mia ristretta ed esclusiva cerchia d'affetti. Ma questo è stato anche il tuo primo errore, perché così hai lasciato al mio alfiere la possibilità di muoversi liberamente, di accorrere in sostegno del suo re.

Tuttavia, un solo uomo, per quanto autorevole ed influente, non mi era sufficiente per ribaltare la situazione in mio favore e sconfiggerti. Necessitavo l'ausilio di altri, molti altri pezzi. Per quello, sapevo di poter contare ancora sui miei svariati pedoni, sulla mia rete di senzatetto. Singolarmente deboli, insignificanti, vili plebei, cui non ti sei neppure sprecato di dare la caccia, perché un felino del tuo rango è disposto ad impiegare le sue energie solo per inseguire prede prelibate, che siano quantomeno dei topi d'appartamento, non certo dei ratti di fogna. Ed effettivamente nemmeno io li reputo in sé persone degne di una grande considerazione... Tuttavia, se disciplinate, disposte ordinatamente in fila e mosse simultaneamente in un fronte compatto, si rivelano un formidabile corpo d'armata, l'ideale per invadere le strade ed assumerne il controllo.

Eppure, non ero ancora nelle condizioni di scendere sul campo di battaglia. Avevo il mio esercito davanti a spianarmi il cammino, il mio primo cavaliere in attesa del segnale concordato affinché mi raggiungesse ed offrisse la sua arma da imbracciare, tuttavia mi mancavano ancora un'armatura che mi proteggesse nello scontro imminente, ed uno scudo che mi celasse alla vista quando mi sarei infiltrato nelle linee nemiche per distruggerle dall'interno. Non sapevo come fare per sopravvivere alla mia caduta, né come rialzarmi a tua insaputa. Dovevo garantirmi una copertura che poi mi permettesse di smantellare indisturbato, pezzo dopo pezzo, lento ma inesorabile, la rete criminale di cui ti eri circondato, quella trama che avevi intessuto abbastanza fitta e resistente da rimanere in piedi anche dopo una tua eventuale abdicazione, assicurandoti di tramandare ai posteri il tuo spregevole lascito.

Così, sono stato costretto a fermarmi, a mettere in pausa il gioco per ponderare con la dovuta attenzione la mia mossa successiva. Ho studiato la disposizione dei pezzi rimanenti sulla scacchiera, vagliato le opzioni possibili. Tuttavia, nessuna delle strategie che mi consentivano di elaborare era esente da difetti, o sufficientemente elaborata: tu avevi di certo già preso in considerazione quali erano gli scenari che mi si presentavano, adottato le opportune cautele per prevenire eventuali sortite ed ideato le contromosse adatte a neutralizzare ogni offensiva.

Poi, però, mi sono accorto di un dettaglio che mi era sfuggito da sempre, un particolare cui nemmeno tu avevi badato, nella certezza che l'avrei ignorato anche stavolta... Disponevo di un'altra pedina, che avevo abbandonato a bordo campo. Me ne ero dimenticato, tanto la reputavo irrilevante. Eppure, lei era rimasta lì in attesa, disponibile, fedele. Costantemente rivolta verso di me, a ricordarmi con timida ed ossequiosa discrezione della sua esistenza.

La mia cara Molly.

Come ho potuto scordarmi di lei, senza il cui prezioso supporto non sarei mai riuscito a vincere nessuna delle mie precedenti battaglie? Come ho potuto degradarla in quel modo abietto, gettandola nel fango, servendomi di lei al pari di uno qualunque dei miei pedoni? La sua non è un'obbedienza mercenaria. E' un leale suddito che si è arruolato volontariamente alla mia causa, che non si macchierebbe mai di diserzione, che ama sinceramente il suo sovrano. Si tratta di una popolana, è vero, ma il suo basso ceto sociale e le sue limitate risorse non le hanno impedito di trovare la forza di volontà e la determinazione necessaria per elevarsi, istruirsi, diventare abbastanza competente da essere ammessa alla mia corte. Ma, più di tutto, ha dato prova di possedere un animo nobile come nessun altro, arrivando a comprendere ciò che il suo re andava mascherando dietro una fredda e controllata indifferenza. E' riuscita a vedere tutte quelle fragilità ed insicurezze che nutrivo ma comunque dovevo occultare al mio popolo, perché non iniziasse a dubitare della mia legittimazione sovrana e non perdesse le speranze in me riposte proprio nel momento più cruciale e delicato.

Lei, invece, pur sapendomi in estrema difficoltà ha continuato a credere in me. Mi ha trasmesso una fiducia che si è tramutata in nuova autostima, mi ha offerto un aiuto che era proprio quello di cui avevo bisogno. Mi ha permesso di capire che disponevo di una tredicesima possibilità. Una che nemmeno tu avevi preso in considerazione, perché implicava il suo intervento, che avevi subito escluso tanto ti pareva ridicolo. Dopotutto avevi già avuto a che fare con lei, e l'avevi ingannata, sfruttata così facilmente, da arrivare a disprezzarla, reputarla insignificante.

Questo, Jim, è stato il tuo errore più grande.

Rischiavo di commetterlo anch'io, in realtà, ma poi la disperazione mi ha indotto ad abbassare la mia maschera, ed allora i miei occhi sono riusciti a guardarla sotto una luce limpida, pura. Quella giusta. Allora, l'ho vista per davvero: lei non era un comune pedone. L'ho visto, tutto il suo incredibile potenziale. Pertanto, ho accettato la mano che mi stava porgendo, l'ho sollecitata a sollevare lo sguardo che aveva abbassato al mio cospetto, l'ho invitata a sollevarsi dalle ginocchia su cui si era prostrata, affinché potessi mostrarlo anche a lei. L'ho scelta quale compagna da tenere al mio fianco fino all'ultimo, quale confidente cui svelare i miei piani più segreti. Ed infine, ho fatto quello che tu non avresti mai scelto di fare. Quello che tu non avresti nemmeno potuto immaginare, perché i tuoi occhi erano troppo ciechi per andare oltre l'apparenza e cogliere quale bellezza interiore celava sotto le sue umili spoglie. Così, grazie alla tua distrazione sono riuscito a mandarla avanti indisturbata, ad accompagnarla fino alle ultime caselle. Così, l'ho collocata in una posizione invidiabile, le ho offerto la possibilità di rivelare la sua vera natura.

L'ho resa la mia regina.

L'ho trasformata proprio nel pezzo più importante, e talmente potente da essere capace di tutto, persino dell'impossibile.

 

Now I know:
I made mistakes.

Think I don't care,
but you don't realise what this means to me.

So, let me have
just one more chance...

I'm not the man I used to be,
used to be.

 

Scacco Matto, Jim.

 


 

N/A - H^o^la!

L'idea per questa shottina mi è venuta dopo aver rivisto per l'ennesima volta “The Reichenbach Fall”, la prima però in cui ho notato quanti fossero originariamente i sicari assoldati da Moriarty e mi sono interrogata su quale persona nei suoi progetti iniziali avrebbe dovuto essere la destinataria del quarto proiettile. Subito dopo sono stata fulminata dalla metafora degli scacchi, e questo è il risultato. Sono perfettamente consapevole che il tema della Caduta è trito e ritrito, ma mi era parso un buon modo per provare ad interpretarlo con una mia chiave di lettura. Poi, puntualizzo solo che il titolo non è stato un refuso, ma un voluto neologismo sia per richiamare la mossa dello scacco matto (“checkmate”), sia il tema che fa da filo conduttore, perché il “compagno di scacchi” di Sherlock non è solo Jim, il compagno di gioco, ma anche ciascuno dei suoi compagni di squadra.

E, last but not least, un sentito grazie per avermi dedicato un po' del vostro tempo.

XOXO

- Evee

 
   
 
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