DOG DAYS ARE OVER
Parte 1
“E’ davvero necessario?” chiese Archie
in tono leggermente contrariato.
Il motivo di tale disapprovazione era rappresentato dalla
nuova cliente – o forse sarebbe stato più opportuno dire ospite – del suo studio, seduta sul divanetto di fronte a lui con
un bocchino rosso in una mano e un bicchiere mezzo vuoto nell’altra.
“Be’, mi ha invitato a venire qui per parlare con lei e
sinceramente non posso farlo senza le giuste riserve di alcool” la donna
replicò bruscamente lanciandogli un’occhiata poco amichevole, prima di prendere
un altro sorso. E fu allora il suo turno di essere contrariata. “Anche se
preferirei di gran lunga del gin rispetto a questa specie di whiskey…”
“E’ scotch, veramente” precisò lui quasi automaticamente.
Crudelia restò con il bicchiere fermo a
mezz’aria e alzò di scatto lo sguardo.
“Ma che bravo il dottor Hopper! Eppure non ha l’aria da intenditore…” commentò ironicamente mentre un mezzo sorriso
divertito si formava sul suo volto, che non sparì neppure nel pronunciare la
frase successiva. “Allora vediamo: fumo in continuazione, ho probabilmente una
dipendenza da alcool e mangio talmente poco che il mio medico a New York temeva
potessi diventare anoressica. Per quale di queste ragioni sono qui?”
L’uomo la scrutò per qualche istante in silenzio e non era un
silenzio carico di paura. Certo, c’era anche quella, ma l’emozione predominante
nel suo animo era una strana forma di simpatia e forse anche di compassione per
lei; fumo, alcool, digiuni volontari: tutti segni di disperazione, dolore,
vuoto, male di vivere. E purtroppo erano segni cui lui stesso non si era
importato di dare un’interpretazione prima di quel momento.
“Vorrei che mi parlasse della sua ossessione per i dalmata”
disse alla fine, ricordando anche a se stesso il reale proposito di
quell’incontro.
“Oh, giusto. Io sono una cattiva” mormorò lei con una
risatina quasi glaciale, come per confermare quell’appellativo. Poi finì il suo
drink e si concesse qualche secondo di pausa. “Vede, io non mi reputo una
cattiva a dire il vero. Voglio dire, cos’è la sofferenza di un branco di cani
privi di intelletto rispetto alla mia felicità?[1]”
La naturalezza che aveva ostentato nell’illustrare la sua
strana logica era impressionante e lasciò il dottore letteralmente senza
parole. Tuttavia lo stupito silenzio che aveva generato non durò a lungo e fu
Pongo a interromperlo, uscendo per la prima volta fuori dall’angolo in cui si
era rintanato e iniziando a ringhiare contro la donna, quasi come se avesse
capito la sottile accusa.
“Oh, mi chiedevo dove fosse il caro vecchio Pongo!” esclamò
lei in tono fintamente cordiale osservando – forse un po’ troppo
a lungo – il cane.
“Davvero la sua felicità dipende dalle pellicce?” domandò Archie, ritrovando l’uso della parola e soffermandosi da
dottore sul particolare più interessante che era emerso in tutta la
conversazione.
“Certo” rispose lei immediatamente “Qualcuno una volta disse
che i diamanti sono i migliori amici di una donna[2]. Io sono d’accordo e
aggiungo che le pellicce sono il suo vero
amore”
“Signorina De Mon… Così lei reputa
la pelle di animali morti il suo vero amore?”
“Non sia così sorpreso, dottore. A quanto sembra, il suo vero
amore è un animale vivo” ribatté lei
alzando le spalle e cogliendo l’occasione per lanciare un’altra sinistra
occhiata al cane “Forse la sua situazione in fin dei conti è anche più triste
della mia” concluse, facendo un pesante sospiro.
Un nuovo silenzio si diffuse per la stanza e stavolta neppure
Pongo sembrava intenzionato a romperlo. La verità era che quella donna si
presentava agli occhi dell’uomo come un enigma impossibile da risolvere; era
diversa da tutti gli altri cattivi esistenti e questo non solo perché dopo
tutto aveva compiuto dei danni minori e non aveva mai tramato una distruzione
globale per esempio, ma anche e soprattutto perché non sembrava guidata nella
sua cattiveria da un motivo o un fine concreto. Con la sua sola esistenza
contraddiceva la teoria per cui “cattivi non si nasce ma si diventa”, anzi la
crudeltà sembrava essere implicita nel suo stesso nome.
“Io lo so il vero motivo per cui sono qui” esordì Crudelia improvvisamente, dopo aver tirato un lungo respiro
dal suo bocchino “Lei si sta chiedendo perché sono diventata così senza
scrupoli, lei sta cercando di scovare un qualche trauma nel mio passato, ma io
posso assicurarle che non troverà nulla di quello che cerca. Non ho un grammo
di magia nelle mie vene, non darei la mia vita per ottenere una corona, non ho
una madre che mi ha torturata e di certo non hanno ucciso il mio vero amore
davanti ai miei occhi.”
Archie la ascoltò attentamente, lasciando
che quelle parole confermassero i suoi sospetti e muovendo al tempo stesso la
penna tra le sue mani per spuntare l’intero contenuto di una lista che aveva
abbozzato sulla sua agenda.
Potere. Magia. Vendetta. Perdita di qualcuno caro. Desiderio
di rivalsa.
“E allora?” non riuscì a trattenersi dal chiedere, non
nascondendo lo sconforto dalla sua voce e una traccia di frustrazione nel suo
sguardo.
“E allora non capisce? E’ davvero così imbecille come sembra?” rispose lei, enfatizzando sull’appellativo,
mentre la consueta irritazione iniziava a rendersi palese “Io non ho avuto
niente nella mia vita, nessuna occasione, nessuna vera emozione; ci sono stati
solo un mucchio di stoffe e i soldi di mio padre. Vivevo in un mondo di sottile
indifferente crudeltà e così anche io sono diventata crudele. O forse chi lo
sa, crudele lo sono sempre stata, fin dalla nascita.”
Aveva pronunciato quelle parole con apparente indifferenza e
aveva concluso con una risata nervosa, ma aveva mantenuto lo sguardo basso per
tutto il tempo e appena finito di parlare aveva preso un altro respiro dal
bocchino. La sua prevedibile mossa successiva fu quella di cercare la bottiglia
di whiskey per riempirsi un nuovo bicchiere, ma questa volta Archie non si fece cogliere impreparato e prontamente
allungò a sua volta la mano sul tavolino, finendo per bloccare quella guantata di rosso di lei nella sua. Entrambi alzarono lo
sguardo di scatto a quel contatto, i loro occhi finirono per incrociarsi
davvero per la prima volta, verde contro verde, e per un momento, solo per un
momento, lui sembrò essere il determinato e lei la timorosa.
“Francamente non credo che troverà mai il suo lieto fine in
una pelliccia…” mormorò lui in tono sicuro, come se
volesse approfittare di quella circostanza per tentare di farle cambiare idea.
Crudelia restò a fissarlo senza rispondere
per un po’, poi inaspettatamente annuì leggermente e gli concesse un rapido
sorriso amaro. Ma qualsiasi spiraglio di connessione che si era aperto in quel
momento svanì presto nel nulla; la donna ritirò con uno scatto la mano, quasi
scottata, e si alzò in piedi afferrando la sua borsetta e stringendosi meglio
nella sua pelliccia.
“Credo che la nostra chiacchierata sia terminata qui, dottor
Hopper” disse semplicemente in tono brusco, senza guardarlo, prima di avviarsi
verso l’uscita.
“Crudelia,
aspetti!” la chiamò lui indietro d’istinto, alzandosi a sua volta in piedi “Lo
vuole un consiglio? Intanto la smetta di fumare e bere così tanto e provi a
mangiare di più” le disse in tono affabile e sincero.
La De Mon ridacchiò ancora una
volta, ma non si fermò, decidendo di voltarsi solo una volta raggiunta la
porta.
“Lo vuole lei un consiglio, Archiebald?” disse in risposta,
calcando con leggera ironia sul nome dell’uomo “Butti via quel whiskey, perché
è davvero disgustoso”
Detto questo, con l’eco di un’ultima risatina, Crudelia fece la sua uscita di scena, lasciandosi dietro il
prevedibile abbaiare di Pongo e il ben più insospettabile sorriso del suo
padrone.
[1] tipo di ragionamento preso in
prestito dagli utilitaristi inglesi; [2] con “qualcuno” alludo ovviamente a Marilyn
Monroe.
In entrambi
casi, sia i filosofi che l’attrice si staranno probabilmente rivoltando nella
tomba per questo mio uso.
NDA:
Finalmente presento la fan fiction che mi ha tenuta occupata
per circa una settimana, saranno in tutto 4-5 capitoli e avranno come
protagonisti – lo avrete già intuito – il crack pairing
Crudelia/Archie, ship da me ribattezzata Cruel Criket ahahah Era iniziata come
un gioco e invece ci ho dedicato molto tempo che avrei benissimo potuto
utilizzare studiando. Un grosso ringraziamento va alla mia migliore amica alias
Ofelia20 sempre disposta ad appoggiarmi in questi scleri
e a darmi un primo parere.
Piccola spiegazione del titolo: è spudoratamente preso
dall’omonima canzone dei Florence and the Machine e allude doppiamente alla condizione di Crudelia (ossessionata dalla caccia ai cani) e a quella di Archie (che è solo come – anzi con – un cane).
Ad ogni modo, spero che in qualche modo vi sia piaciuta o che
semplicemente vi abbia incuriosito; davvero mi farebbe piacere un feedback.
LadyPalma