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Autore: shewolf_98    24/01/2015    1 recensioni
«Ti amo Grace Irwin, non scordarlo mai». Affermò, e il mio cuore perse un battito.
Non era la prima volta che pronunciava quelle parole, ma dette da lui erano sempre speciali.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo è in realtà un tema che ho fatto a scuola, ma ci tenevo molto a pubblicarlo, perché è una delle cose più romantiche che io abbia mai scritto; quindi godetevi gli zuccheri che salgono e lasciatemi una recensioncina.

 

 

 

I'm with you.

 

«“Tra gli spigoli dei tetti occhieggiavano le stelle o, talvolta, fra i rami di un albero. Come a uno strano gioco sorgeva la luna disegnando quinte d'ombra tra le case, o sulla collina di là dal fiume frammentandosi contro le piante e straripando in cielo”. Non è romantico Grace?». Mi domandò il ragazzo dai capelli tinti di un magnifico rosso acceso che giaceva di fianco a me.

«Cosa Michael? La citazione di Pavese o l'essere abbracciati sul tetto di una catapecchia?». Risi, spostandomi una ciocca di capelli lilla dal viso pallido.

Per tutta risposta lui rise, una risata bella, contagiosa e, finalmente, completamente sincera.

Eravamo sdraiati a guardare le stelle sul tetto di una baracca ai confini del bosco, ma non poteva importarcene di meno degli astri. Tutto ciò che riuscivo a guardare erano i sui occhi verdi-azzurri, nei quali potevi affogare dolcemente e arrivare alla sua anima, se lui te lo permetteva.

Eravamo così pochi a conoscere davvero Michael Clifford e la sua storia, che potevi contarci su una mano; e io ero l'ultima della lista.

C'erano Luke Robert Hemmings, che lo conosceva dalle scuole elementari e che si era guadagnato a fatica il titolo di “migliore amico”; Ashton Fletcher Irwin, mio fratello, che ha dovuto sopportare il carattere duro e acido di Michael prima di poterne saggiare l'infinita dolcezza; e io. Io che ancora non sapevo cosa avevo fatto per meritare il più splendido dei ragazzi.

Una parte di me, quella in netta minoranza, era convinta che all'inizio mi avesse puntata solo perché non era riuscito a portarmi a letto la prima volta che ci vedemmo. L'altra parte non ne ha idea.

Ma non mi facevo domande e mi limitavo ad essere felice quando mi raccontava piccoli spezzoni della sua infanzia, non sempre felici.

«Mikey?». Richiamai la sua attenzione passandogli una mano tra i capelli colorati:«A cosa pensi?».

Lui mi guardò negli occhi e vi vidi di nuovo quel freddo e terribile ghiaccio che lo soffocava da diciannove anni:«Oggi pomeriggio mi ha chiamato mio padre, sta venendo a trovarmi». Disse atono, la mascella tesa, le nocche bianche per la forza con cui stringeva le mani a pugno. Gliene presi una fra le mie accarezzandola dolcemente, cercando di tranquillizzarlo.

«Shh, andrà bene. Ci siamo io e i ragazzi con te, non sei solo». Come avevo previsto la mia voce fu come il dopo sole su una scottatura.

«Ti amo». Sussurrai.

 

Mi svegliai su quel maledetto tetto, e a giudicare dalla posizione del sole doveva essere circa mezzogiorno. Mancavano meno di ventiquattr'ore a Natale.

I ricordi della sera prima mi colpirono con violenza quando notai il mio corpo nudo sotto il pile nero di Michael. Non potei non sorridere come una ragazzina.

Sbloccai il telefono e notai un suo messaggio.

Dolcezza, sono a casa. È arrivato. Recitava.

«Dannazione». Imprecai, recuperando velocemente i miei vestiti.

Venti minuti dopo ero davanti a casa di Michael. Le urla erano ben chiare e si sentivano ad almeno un isolato di distanza.

Non mi diedi nemmeno la pena di bussare ed entrai, schivando di striscio un vaso che andò a schiantarsi sul muro giallo alla mia destra.

«Grace vattene». La voce di Michael era calma, senza nessuna emozione, e questo mi spaventò un sacco.

«Deve uscire di qui, Signor Clifford, o giuro che chiamo la polizia». Dissi quasi ringhiando all'uomo di mezza età che stava per collassare sul divano, ubriaco fradicio.

«Grace stanne fuori». Continuò imperterrito il rosso.

Lo ignorai e li lancia un'occhiata, intimandogli di uscire. Cose che fece dopo pochi secondi, sorprendendomi.

«Signor Clifford non lo ripeterò di nuovo. Esca da questa casa e non torni più». Ripresi avvicinandomi all'uomo che mi lanciava occhiate assassina, mantenendo comunque una “distanza di sicurezza”.

«Sei solo una puttana». Sputò, ma non mi feci impressionare.

«Ha cinque secondi per uscire, dopodiché faccio partire la chiamata». Continuai prendendo il telefono in mano.

Cinque secondi dopo era sparito e Michael entrò in salotto con la velocità di un tornado.

«Ti ha fatto del male? Non volevi davvero chiamare gli sbirri, vero?». Chiese senza darmi il tempo di rispondere a nessuna delle due domande.

«Sto bene, e comunque no. Era un bluff, sai che odio la polizia». Sorrisi.

Sapevo che prima o poi sarebbe tornato, ma saremmo stati bene per ora.

«Ti amo Grace Irwin, non scordarlo mai». Affermò, e il mio cuore perse un battito.

Non era la prima volta che pronunciava quelle parole, ma dette da lui erano sempre speciali.

Non risposi, invece mi alzai sulle punte dei piedi e premetti le mie labbra sulle sue. Il familiare sapore di menta mi invase i sensi e mi annebbiò il cervello. Le nostre lingue si cercavano e si rincorrevano, per poi intrecciarsi alla disperata ricerca del calore e dell'amore che ad entrambi era stato negato per troppo tempo. 

   
 
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