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Autore: Lella Duke    25/11/2008    7 recensioni
Bo Duke ascolterà i consigli di qualcuno giunto apposta per lui o, fedele alla sua proverbiale testa dura, mancherà l'occasione ipotecando seriamente il futuro suo e di tutta la sua famiglia?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bo Duke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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‘A Christmas Carol’ di Charles Dickens, credo sia uno di quei racconti che tutti conoscono e che pertanto non hanno bisogno di presentazioni. Tra l’altro è stato usato come linea guida per l’episodio ‘Buon Natale Boss’. Io, nel mio piccolo, ho pensato potesse essere divertente inventarne un’ulteriore versione, ma nella mia storia non c’è un cattivo da redimere.

Sono ben accette critiche di qualunque tipo. Spero vi piaccia

 

 

A Dukes Christmas Carol

 

Capitolo primo: come tutto ebbe inizio

 

Era stato ingannato dalla persona che più amava. Quante volte si era sentito ripetere: staremo sempre insieme, non ci separeremo mai. E invece era venuto meno alla sua promessa. Era un tradimento puro e semplice.

Si sentiva ferito, triste, arrabbiato. Questa non gliel’avrebbe mai perdonata. Quel rapporto speciale che c’era sempre stato tra di loro, non sarebbe mai più esistito. E tutto per colpa di Luke. Partendo per il fronte sarebbe venuto meno a tutti i giuramenti e agli accordi che avevano stretto nel corso degli anni. Che c’entravano loro con la guerra? I Duke non avevano mai fatto del male a nessuno, perché dovevano combattere in un conflitto che non avevano contribuito a far nascere? Perché Luke doveva abbandonare la sua famiglia per andare in quel luogo lontano, dall’altra parte del mondo? Neanche con una cartina geografica davanti agli occhi Bo sarebbe stato capace di individuare il Vietnam. Non gli importava niente di quella stupida guerra. Che ne sapeva lui? Aveva solo quattordici anni e tanti progetti per la testa. Aveva tante altre cose più importanti da fare: doveva chiedere a Betty Lou Rice di accompagnarlo al ballo della scuola, doveva imparare a guidare, doveva costruire la macchina dei suoi sogni. E doveva farlo insieme a Luke. Aveva bisogno dei suoi consigli, del suo supporto, della sua presenza. Luke era il suo pilastro, l’altro piatto della bilancia. Ma evidentemente lui non era altrettanto importante per suo cugino oppure sarebbe rimasto. Non sarebbe mai partito.

Erano ore ormai che se ne stava raggomitolato su di un giaciglio di foglie secche sulla sponda del torrente. Andava sempre lì quando voleva stare da solo. Era il suo posto segreto. Stava rimuginando su quella orribile giornata appena trascorsa e su come tutto il suo mondo gli si fosse sgretolato sotto i piedi nel giro di pochi istanti.

Si era alzato controvoglia dal letto come ogni mattina e, dopo aver fatto colazione, era andato a scuola. All’ora di pranzo era ritornato a casa con Daisy ed avevano mangiato tutti insieme. Come sempre. Poi però era successo qualcosa di insolito: Jesse aveva radunato tutti e tre i suoi nipoti in salotto perché doveva comunicare ai più piccoli qualcosa di importante. Aveva provato a dar vita al discorso, ma non c’era riuscito. Le parole gli erano morte in gola. Bo aveva capito subito che si trattava di una faccenda seria.

Alla fine Jesse aveva capitolato ed aveva lasciato l’incombenza a Luke.

“Bo, Daisy, c’è una cosa che dovete sapere. Non posso più rimandare.” La voce di Luke era incerta. Aveva gli occhi bassi mentre parlava, sembrava imbarazzato. Sembrava dispiaciuto.

“Comincio a preoccuparmi Luke, cosa c’è che non va?” Fu Daisy a dare la spinta decisiva al cugino.

“E va bene. Sentite non c’è un modo facile per dirlo, quindi lo farò e basta. Subito dopo le feste di Natale andrò via. E’ arrivata la cartolina, parto per il fronte.” Aveva alzato lo sguardo e lo aveva puntato dritto sui suoi cugini.

Il vecchio Jesse era seduto sulla sua poltrona preferita e, nonostante fosse già al corrente di tutto, fu raggiunto da un brivido di terrore al sentire di nuovo quelle parole.

Daisy si alzò di scatto dal divano e raggiunse il cugino. Gli buttò le braccia al collo e lo strinse forte a sé: “oh no, Luke. Non è possibile.” Non piangeva, ma la sua voce vibrava e il suo corpo era scosso da fremiti incontrollati. “Da quanto tempo lo sai? Perché non ce l’hai detto prima?”

“La cartolina è arrivata un paio di settimane fa, non di più. Avrei voluto farvi trascorrere il Natale in pace e armonia, ma non potevo darvi la notizia e partire subito dopo.” Luke stava cercando di consolare la cugina e nello stesso tempo tentò di immagazzinare la sensazione di amore incondizionato che il contatto fisico con Daisy gli stava lasciando.

Dopo qualche istante Daisy si staccò dal cugino e tornò a sedere, unì le palme delle mani come se si fosse messa a pregare, ma in realtà la sua mente era vuota. I suoi occhi si misero a fissare un punto qualunque del pavimento.

Bo non si era mosso. Aveva cominciato a tormentarsi le mani. I gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso a studiarsi le dita intrecciate.

“Bo, guardami per favore.” Fu la supplica di Luke. “Dimmi a cosa stai pensando.”

Il giovane non si scompose e non fiatò. Jesse si alzò dalla poltrona e si mise a sedere accanto al nipote più giovane. Sollevò un braccio e lo poggiò sulle sue spalle sperando di dargli quel conforto di cui pensava avesse bisogno. All’improvviso Bo drizzò la testa e guardò Luke. C’era rabbia nei suoi occhi.

“Vuoi sapere a cosa sto pensando, Luke? Se hai già deciso che te ne andrai senza curarti di noi, che te ne fai della mia opinione?” Di sicuro Luke non si aspettava una reazione del genere.

“Come puoi pensare che non mi importi di voi? Se potessi cambiare le cose, lo far…”

“Se tu potessi cambiare le cose? Ma che stai dicendo? Ti basta dire che non sei interessato, che non vuoi partite. Nessuno ti obbliga.”

“Bo, non è così che funziona.” Si intromise Jesse. “Non è un invito che si può declinare. Ne abbiamo parlato tante volte, sapevamo che sarebbe potuto accadere anche se io speravo non sarebbe mai successo.”

“Non voglio sentire scuse, zio Jesse. Luke ci sta abbandonando, come fai a difenderlo?”

“Bo…”

Luke alzò una mano e fece segno allo zio di lasciar perdere. Avrebbe provato lui a spiegarsi col cugino. Si accovacciò di fronte a lui e gli afferrò le mani stringendole tra le proprie: “lo so come ti senti, perché lo sto provando anche io. Io non vorrei mai lasciarvi, ma non ho scelta. Devo andare. Questo non significa che non mi importa niente di voi. Non parto per un viaggio di piacere Bo e spero che tu lo comprenda.”

Bo usò talmente tanta forza per recuperare le sue mani, che Luke perse l’equilibrio e cadde in terra. Il giovane si diresse velocemente verso la porta con l’intenzione di andarsene via, ma il tono perentorio dello zio lo fece desistere: “torna qui Bo. Non interromperemo questa conversazione finché non sarà tutto chiarito.”

“Che c’è da chiarire, zio Jesse? Ormai è tutto deciso, che io sia d’accordo oppure no, Luke partirà lo stesso.”

“Smettila di comportarti come un bambino capriccioso e ascolta quello che hanno da dirti zio Jesse e Luke. Credi a qualcuno di noi faccia piacere tutto questo? Non stai rendendo le cose facili a nessuno.” Daisy, ancora sconvolta dalla rivelazione del cugino, adesso era altrettanto contrariata dal comportamento di Bo. Sapeva che agiva così per paura, ma non tollerava che alzasse la voce in quella maniera senza permettere che gli fossero date le dovute spiegazioni. Era un impulsivo, ma non era da lui sputare sentenze senza neanche prendersi la briga di ascoltare.

“Bo ti prego. Non è che voglio partire. Devo. Non farei mai niente per far soffrire tutti voi. Non farei mai niente per far soffrire te. Siamo sempre stati amici prima ancora che cugini, dimmi che le cose non cambieranno tra di noi.”

“E’ qui che ti sbagli, Luke. Gli amici si scelgono, i parenti no. E io non ti voglio più come amico. Non so che farmene di una persona che non sa mantenere le sue promesse.”

“Parli così perché sei arrabbiato, lo so che non pensi quello che hai detto. Quale promessa ti ho fatto che non sono riuscito a mantenere?”

“Mi hai promesso che non ci saremmo mai separati, mi hai promesso che l’estate prossima mi avresti insegnato a guidare, mi avevi promesso che per quando avrei preso la patente avremmo costruito la macchina dei nostri sogni. Insieme.”

Luke avanzò di qualche passo e raggiunse il cugino. Era poco più di un bambino, ma fisicamente dimostrava più dei suoi quattordici anni. Non dubitava affatto che al suo ritorno lo avrebbe ritrovato più alto di quanto fosse lui. Alzò le braccia e gli poggiò le mani sulle spalle: “lo faremo, Bo. Faremo tutto quello che vuoi quando tornerò.”

Bo afferrò le mani del cugino e se le strappò di dosso con violenza: “non faremo un bel niente perché tu non tornerai mai più da laggiù. Ti stanno mandando a farti ammazzare e non fai niente per evitarlo. Nessuno di voi fa niente.” Disse puntando il dito prima verso lo zio e poi verso Daisy.

“Bo ti proibisco di parlare così.” La rabbia stava montando anche in Jesse. Non era giusto che Bo parlasse in quel modo come fosse l’unica persona a soffrire per quella situazione. “Chiedi immediatamente scusa a tuo cugino.”

“No, zio Jesse. Non chiederò scusa a Luke. Non ne voglio sapere più niente di lui. Mi hai sentito, Luke? Non voglio più avere niente a che fare con te. Fai della tua vita quello che più ti piace.” Bo diede le spalle a tutti, guadagnò l’uscita e si richiuse violentemente la porta alle spalle. Iniziò a correre con la speranza che il vento, sferzandogli la faccia, avrebbe potuto portarsi via anche i cattivi pensieri e i dolori. Raggiunse il torrente a perdifiato e si mise a sedere su di una roccia. Lì avrebbe avuto molto tempo per pensare, nessuno lo avrebbe trovato perché nessuno conosceva quel posto.

Si stava facendo buio e senza più il sole, l’aria era diventata fredda. Per la fretta di uscire non si era neanche preoccupato di prendersi una giacca. Ma non sarebbe tornato a casa, non ancora.

Raccolse un bastoncino di legno e cominciò a scarabocchiare la terra. Ormai aveva preso la sua decisione: non avrebbe più rivolto la parola a Luke. Non ne voleva sapere più niente di lui. Luke se ne andava incurante di coloro che si lasciava alle spalle e Bo lo avrebbe ripagato con la stessa moneta. Non ci sarebbe stato il giorno della sua partenza e non si sarebbe fatto trovare al suo ritorno. Semmai fosse tornato.

Scaraventò via il bastoncino con rabbia e abbandonò la roccia; si sdraiò poco più avanti su di un letto di foglie secche. Tentò di conservare il calore corporeo incrociandosi le braccia sul petto. Ormai la notte era scesa e le prime stelle avevano fatto la loro comparsa. Forse la stanchezza, forse l’inquietudine della sua anima, ben presto si rese conto di avere sonno. Non voleva correre il rischio di addormentarsi all’aperto, tuttavia decise di chiudere gli occhi per concedere un po’ di riposo alle sue palpebre divenute incredibilmente pesanti.

Cadde presto in un sonno profondo.

Quando si risvegliò c’era qualcuno accanto a lui.

   
 
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