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Autore: Love Your Sin    24/01/2015    0 recensioni
Zayn/Liam
Conteggio: 5k
[Capiva perché Zayn non c’era più, così come mancavano le sue sigarette, il suo dentifricio alla menta che lasciava sempre nel suo bagno, la cenere tra le pagine immacolate dei libri e tra le lenzuola candide.]
Genere: Fluff, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Giulia, che mi ha ossessionata mesi e mesi per una Ziam.
Fattela bastare.
E a Francesca, già che ci siamo, prendilo come un regalo di Natale
un po' in ritardo.
Vi voglio bene. 

SIX DEGREES OF SEPARATION

“Meditate, yea, hypnotized
anything to take it from your mind
but it won’t go
you’re doing all these things out of desperation
you’re going through six degrees of separation.”

 
La camera è immersa nel buio. Le tapparelle abbassate e le tende chiuse non permettono alla luce di entrare. L’aria inizia ad essere troppo densa e pesante. L’odore di chiuso si fa spazio nella piccola stanza, diffondendosi sempre di più, occupando anche gli angoli più remoti e gli antri impossibili da raggiungere, dove anche la polvere si è insidiata per anni senza che nessuno riuscisse più a rimuoverla. La situazione va avanti così da circa tre giorni. E niente è ancora cambiato. Ma Liam non ci fa nemmeno caso, perso com’è tra i suoi pensieri, accoccolato sotto le coperte disordinate, con le ginocchia strette al petto e il viso sepolto nel cuscino tuttora bagnato. Ha gli occhi pieni di lacrime, nonostante tutte quelle che ha già versato da un mese a questa parte, e alcune continuano a scivolargli lungo le guance umide e crespe. La testa rischia di scoppiargli da un momento all’altro, come una bomba ad orologeria. Le palpebre non ne vogliono sapere di restare aperte, non è sicuro nemmeno lui se per la stanchezza o perché è lui stesso a non voler tenere gli occhi dischiusi. Il petto gli fa così male che sarebbe meglio morire. Anzi, il cuore. E morire, beh. Forse quello lo sta già facendo. A dire il vero, vuole solo dimenticare. E magari, pensa, il buio lo può aiutare. Vuole dimenticare, ma le immagini non sembrano avere alcune intenzione di abbandonargli la mente, né tantomeno il cuore. Sono impresse, come tatuaggi sulla pelle. E peggio ancora, sono indelebili.
C’è questo ragazzo, che fino a un mese prima riempiva ogni singola ora delle sue giornate, che ora occupa solo il suo animo. C’è questo ragazzo, grandi occhi scuri, pelle bronzea e capelli neri pece, a cui non riesce a smettere di pensare. Non che prima ne fosse in grado, ma ora è molto peggio, perché questi pensieri sono più dolorosi di una pioggia di schegge di vetro sull’intero corpo.
C’è questo ragazzo per cui Liam è impazzito, da quando lo vide per la prima volta seduto ad una scrivania, con le cuffie nelle orecchie, intento a studiare una materia non definita, quella mattina che aveva accompagnato uno dei suoi migliori amici, Niall, all’istituto d’arte. Aveva imparato a conoscerlo pian piano, moderatamente, restando sempre piuttosto distaccato ogni qual volta ci parlava, quando andava a trovare l’ex coinquilino al college. Spesso lo incrociava nei corridoi che portavano alla camera, che condivideva con il biondo, altre volte – di numero decisamente inferiore, poiché passava metà della sua giornata in giro per l’istituto, a detta di Niall – lo incontrava direttamente lì, sempre impegnato in qualcosa di più importante che rivolgergli un saluto. O per lo meno, all’inizio. Se non ricorda male, la prima volta che si parlarono fu circa due settimane dopo il loro primo incontro, sempre se poi lo si può chiamare così.
Quando Liam era arrivato nella stanza 315, quella dei due ragazzi, Niall ancora non c’era, probabilmente in classe a frequentare qualche noiosissima lezione di disegno o storia dell’arte. Sdraiato, però, sul letto attaccato alla parete destra, quello più ordinato, di cui si riuscivano ancora a distinguere i colori delle coperte, c’era il moro, intento a leggere un libro che, per la sua lunghezza, sembrava più quattro volumi di un’enciclopedia legati insieme. Non si era neppure reso conto del suo arrivo, fino a quando Liam, dopo aver tossicchiato per schiarirsi la voce, nemmeno dovesse pronunciare un discorso alla Casa Bianca di fronte a tutti i presidenti della storia degli Stati Uniti, intervenuto con un semplicissimo ‘Hei’, aveva interrotto il silenzio, che occupava la stanza. Al che Zayn, così aveva scoperto chiamarsi, aveva semplicemente alzato gli occhi dalle pagine giallastre, per poi puntarle verso di lui. E Liam può benissimo affermare di non aver mai vissuto un momento così intenso, ma al tempo stesso imbarazzante.
Anche se Liam sa benissimo che non è stato affatto un istante profondo, ma gli piace dirlo: adora il modo in cui suona alle sue orecchie, perché, avanti, quale incontro veramente romantico inizierebbe in questo modo? Esatto, perché Liam si è – era – da sempre dichiarato un inguaribile romantico. Ed era esattamente il tipo di persona che sognava l’incontro con la propria anima gemella degno di quello Shakespeariano tra Romeo e Giulietta, ad un ballo in maschera, di quelli con il tipico momento magico in cui i due incrociano i loro sguardi ed è subito amore. Aspirava ad incontrarlo tra le strade illuminate a festa di Parigi, sotto la Tour Eiffel, proprio come accade in quei banali film di Natale. E anche se ha amato ogni singolo attimo vissuto con Zayn, a partire da quel momento in cui i suoi occhi sono stati letteralmente illuminati da una scintilla, Liam cambiava sempre un qualche particolare della loro storia, quando la raccontava a qualcuno.
Fatto sta che alla fine il moro gli aveva risposto. Con un ovvio ‘Niall non è qui’, è vero, ma gli aveva pur sempre risposto. E Liam aveva sorriso, dentro di sé, come ribadisce ogni volta per non sembrare un idiota, ma palesemente anche in concreto. E da allora i loro dialoghi si erano allungati sempre di più. Liam, ogni venerdì, andava al college costantemente mezz’ora prima che Niall tornasse dalle sue lezioni di discipline plastiche, che davvero non aveva la minima idea di cosa fossero, per parlare con Zayn. All’inizio quest’ultimo si limitava semplicemente ad annuire o negare in risposta o a replicare con monosillabi - No, sì, boh, ma -  e alla fine la situazione era migliorata, fino a quando Liam non aveva cominciato a passare le sue notti e le mattine in quella camera che, per tre, era piuttosto stretta.

 
“You had the drink, you take a toke
watch the past go up in smoke
you fake a smile, ya, lie and say
you’re better now than ever and your life’s ok
but it’s not, no.”


 
Alla fine Liam l’ha lasciata quella stanza, trascinato a forza da un suo compagno di corsi all’università, che aveva smesso di frequentare da quando Zayn era sparito dalla sua vita.
Louis aveva fatto irruzione nel suo piccolo appartamento poco fuori dal campus una mattina, così come se niente fosse, aveva spalancato le tende e poi le finestre perché ‘Cristo Santo Liam, come hai fatto a respirare per tutto questo tempo? Qui dentro c’è uno schifo. Alza il culo da quel letto, che per poco non ci fai dentro una conca. Andiamo a fare colazione da Granny.’ E benché la sua unica reazione fosse stata un mugugno infastidito dovuto alla luce che aveva, finalmente, ripreso ad illuminare la stanza, e palese indice del fatto che, di uscire da quella camera, non ne aveva la minima voglia, Louis lo aveva spinto giù dal letto, sollevato e buttato sotto l’acqua gelida della doccia, giusto per svegliarlo per bene. Una volta arrivati al bar del campus, Louis non aveva fatto altro che ripetergli l’enorme sbaglio che stava facendo. ‘Avanti Liam, non fare il bambino. Non puoi rovinarti la vita per uno stronzo che non è stato in grado di amarti come meriti davvero e che se ne è andato non appena ha capito che le cose stavano davvero diventando serie tra di voi. È vero, si è comportato come un ragazzino, ma tu ora stai dimostrando solamente di essere degno di battere il suo record. Apri gli occhi, Lee. Il mondo non è tutto fiori e stelle. Lo avevi capito sin da subito che non sarebbe andata a finire come credevi. Ti ricordi? Me lo avevi detto tu stesso. E non vorrei dirlo Liam, fidati. Ma te l’avevo detto. Te l’avevo detto che l’unico ad uscire da quella relazione distrutto in mille pezzi saresti stato tu.’ Liam, con gli occhi bassi puntati sul legno color miele del tavolino al quale erano seduti, si era limitato ad annuire, continuando a girare insistentemente il cucchiaino nella tazza di cioccolata ancora bollente. Non aveva avuto la forza di ribattere. Perché Louis aveva ragione, aveva pienamente ragione su tutto. Ogni singola sillaba che aveva lasciato le sue labbra aveva portato Liam a ripetersi una nenia infinita - sono uno stupido, sono uno stupido, sono uno stupido – come se non si fosse già fatto abbastanza male nell’ultima settimana.
Alla fine era tornato a casa, dopo aver lasciato Louis seduto a quel tavolo da solo come uno stupido, e si era rimesso sotto le coperte. Aveva pensato che, forse, sarebbe stato meglio dare una svolta alla sua vita, perché Zayn non era nessuno per potergliela rovinare in quel modo. Aveva fatto per alzarsi, ma poi si era accorto che, ormai, non c’era più niente da fare, perché la sua vita era già stata completamente distrutta – da uno stronzo che non ha avuto nessun rispetto per me, per noi.
Alla fine, però, lo ha fatto comunque.
Di restare in quella casa ancora per molto non ne ha assolutamente alcuna volontà, né tantomeno di continuare a piangersi addosso come una ragazzina di quindici anni, che vive di un amore non corrisposto e che si sfoga affogando i suoi dispiaceri in un barattolo da un kilo di gelato alla panna e al cioccolato.
Per cui ha chiamato Louis, che gli ha risposto con un ‘finalmente l’hai capito, amico. Sono da te tra dieci minuti’ prima di attaccargli il telefono in faccia, senza dargli nemmeno la possibilità di replicare per farsi concedere qualche minuto in più.
Ed esattamente dieci minuti dopo - alla fine Liam se lo aspettava: Louis non è mai di due secondi in ritardo - Louis è fuori dal suo appartamento, con la schiena appoggiata allo sportello della sua macchina, che aveva avuto una vita migliore, senza alcun dubbio, le braccia incrociate e i capelli alzati in un ciuffo sbarazzino. Liam lo saluta con un semplice cenno del capo e poi sale dalla parte opposta a quella del guidatore. Louis non fa a meno di commentare con un ‘Sempre molto loquace, vedo’, che l’altro finge di non sentire.
Mezz’ora e venticinque secondi dopo – Liam li ha contati veramente, secondo per secondo – è seduto al bancone lucido di una discoteca, in mano un bicchiere di un drink che non sapeva nemmeno esistesse prima di quel momento e che probabilmente è il quinto della serata – e Liam l’alcool non lo regge per niente – la testa che gira e sembra non volersi fermare più, la nausea che irrompe violenta e minaccia di portarlo a vomitare sul bancone stesso, la vista appannata,  il volume della musica altissimo e le parole incomprensibili della canzone che gli ronzano nella testa, gli ordini urlati che provengono dai ragazzi seduti di fianco a lui, le risate sguaiate, spintoni che gli vengono dati per sbaglio da chi passa di lì, lo sguardo perso a fissare l’orologio posto sopra la schiera di bottiglie alcoliche, che ora segna esattamente l’una e mezza e venticinque secondi. E non ha idea di dove sia finito Louis. Si alza barcollando dal bancone – probabilmente il ‘amico, sei sicuro di star bene?’ del barista è rivolto proprio a lui – con l’intento di immischiarsi in tutta quella confusione di corpi che ballano, a ritmo o meno, sulle note della canzone, per divertirsi e dimenticare. È quello che deve fare no? Ma non appena mette piede sulla pista da ballo si sente soffocare. Deve uscire da lì e deve farlo al più presto.
Cinque minuti dopo, è appoggiato al muro ruvido, freddo e umido della discoteca, una sigaretta tra le labbra tremolanti e il respiro che manca. È stremato e completamente, incredibilmente stanco. Le gambe lo reggono a malapena. E la testa è seriamente sul punto di scoppiargli.
Aspira profondamente, trattiene il fumo per qualche attimo e poi lo libera, osservandolo dissolversi nell’aria invernale, proprio come è svanito il suo rapporto con lui. Poi prende una boccata d’aria ed è inevitabile pensare a Zayn.
Zayn che le sigarette non le dimenticava mai, perché se no diventava nervoso e si torturava di continuo le dita e i denti bianchi andavano ad asserragliare il labbro inferiore. Zayn che ne teneva sempre una dietro l’orecchio sinistro, come fanno gli artisti, e che mentre leggeva non dava alcuna importanza alla cenere che finiva sulle pagine del libro. Zayn che sbuffava ogni volta che Niall gli diceva di non fumare nella loro camera e lo minacciava con il solito ‘Chiederò in segreteria di trasferirti. E le sigarette saranno il tuo nuovo compagno di stanza’ al quale il moro rispondeva con un ‘Bellissima idea, Horan.’
Lo stesso Zayn che, prima di conoscere i genitori di Liam, era andato completamente in panico perché cazzo Lee, ho dimenticato le sigarette in stanza e così non ce la posso fare. E Liam era davvero stato costretto a riportarlo al college, a correre come due matti per quattro piani fino ad arrivare alla sua camera, a rifare le rampe di scale con il fiatone, perché erano in ritardo per il pranzo e sicuramente Karen, sua madre, glielo avrebbe fatto notare con un ‘Non c’è mai una volta in cui arrivi in orario, tesoro. Proprio come quella volta… ti ricordi no?’ e sarebbe finita col metterlo in imbarazzo.  Alla fine il pranzo era andato bene, anzi più che bene. Liam si era presentato con la camicia leggermente spiegazzata, Zayn aveva indugiato un po’ troppo mentre stringeva la mano a Geoff, sua madre aveva sorriso continuamente a aveva allettato il moro con quegli aneddoti sull’infanzia del figlio, che una madre non dimentica mai. Poi aveva chiesto loro come si erano conosciuti e Liam si era avventurato nel suo racconto ricco di particolari fantasiosi. ‘Beh, come sai ho accompagnato Niall all’istituto d’arte, no? Ed è stato allora che l’ho conosciuto. Stava leggendo uno di quei suoi libri infiniti e intanto ascoltava la musica e quando si è girato…’. Zayn lo guardava e sorrideva, gli occhi che brillavano. Era felice, Liam ne era assolutamente sicuro allora. Finito il pranzo il moro si era complimentato con Karen e si era offerto per aiutare a sparecchiare. Offerta che la donna aveva cortesemente rifiutato, invitando Zayn a riunirsi in salotto con gli altri uomini e lasciare i lavori di casa alle donne. Nel pomeriggio, mentre tutti e quattro erano seduti a chiacchierare, Liam e Zayn vicini che cercavano ogni secondo il minimo contatto, erano arrivate le sorelle di Liam, che avevano adorato il fidanzato del loro fratellino sin da subito. A Zayn era dispiaciuto dover lasciare quella casa e quella famiglia, a fine giornata. In fin dei conti, si erano divertiti molto.

‘Hei Lee, stai bene? Ti ho cercato dappertutto cazzo, mi stavo preoccupando!’ Louis lo strattona, reggendolo per le spalle. La sigaretta è finita a terra – non sa bene quando, di preciso – e il fumo continua ad uscire dal mozzicone acceso. Liam sorride distrattamente all’amico.
‘Si, si Lou sto bene. Non sono mai stato meglio. È tutto okay.’

 
“You’re doing all these things out of desperation
you’re going through six degrees of separation.”

 
Dopo quella notte, Liam ha ricominciato a passare le sue giornate chiuso in camera, senza pensare a niente se non a Zayn: Zayn che fumava, Zayn che abbracciava sua mamma, Zayn che leggeva un libro sdraiato a pancia in su su quello stesso letto, Zayn che lo baciava, Zayn che si passava una mano nel ciuffo per sistemare i capelli, Zayn che si torturava le labbra perché era nervoso, Zayn che sbatteva le ciglia e lo incantava con quel suo sguardo da cucciolo smarrito ogni volta che voleva qualcosa e Liam tentennava nel concedergliela, Zayn che faceva l’amore con lui e Zayn che gli diceva di amarlo.
Liam non potrebbe mai dimenticare la prima volta che è successo, che quelle due corte, ma intense, paroline lasciarono le sue labbra carnose, che adorava riempire di baci e morsi. Ha ancora i brividi ogni volta che ci pensa e il cuore gli fa così male per l’emozione, che potrebbe addirittura scoppiare.
Erano fuori dal college, Zayn sdraiato a pancia in giù sull’erba, con un libro di storia dell’arte sotto gli occhi e la solita sigaretta fumante in bocca, e lui di fianco al moro, appoggiato al tronco di un albero, con le mani che continuavano ad accarezzare quelle sporche di carboncino di Zayn. Lo stava osservando solo da qualche momento, ma il tempo pareva essersi fermato, come accade nei film. Il vento che gli scompigliava i capelli scuri, le labbra che si stringevano intorno al mozzicone e che si lasciavano andare dolcemente per liberare il fumo, gli occhi che si socchiudevano per riuscire a leggere bene, poiché il sole lo colpiva direttamente in viso,  le dita da artista che sfogliavano impercettibilmente le pagine bianche del libro e poi andavano a sfiorare le sue. Non aveva potuto fare a meno di pensare ‘È bellissimo’ e di ammirarlo con occhi sognanti. E Zayn, guardandolo, era scoppiato a ridere, di quella risata genuina, che faceva sembrare sempre tutto più bello e che lo faceva sorridere come un idiota. ‘Perché mi stai guardando in quel modo?’ gli aveva chiesto, quando l’ilarità persisteva con una scintilla ormai solamente nei suoi occhi, piegando leggermente la testa verso di lui e sorridendo. ‘Perché sei incredibilmente bello’ gli aveva risposto. Zayn aveva gattonato fino a lui, ridacchiando, aveva nascosto il volto nell’incavo del suo collo, nemmeno fosse imbarazzato o disabituato a sentirsi rivolgere certi complimenti, e aveva semplicemente detto ‘Ti amo, Lee.
E Liam non aveva nemmeno risposto, preso in contropiede, aspettandosi qualsiasi cosa da quel momento tranne quello. Era solamente ed ingenuamente rimasto immobile, con gli occhi spalancati e un sorriso, che gli illuminava l’intero viso. Poi l’aveva baciato, e in quel bacio ci aveva messo tutto: il suo ti amo, che di urlarlo non ne aveva il coraggio, quel grazie, che gli avrebbe sussurrato senza fine, quel resta sempre con me, che avrebbe voluto incidergli sulla pelle ogni volta che, dolcemente e armoniosamente, si amavano.
 
I ricordi gli fanno meramente male.
 
First, you think the worst is a broken heart.”
 

Quando era rimasto ben due ore ad aspettare Zayn, fuori dalla porta del suo piccolo appartamento, quel giorno, aveva pensato si trattasse di uno scherzo. Quando poi Zayn non aveva risposto né alle chiamate né ai messaggi per tutta la giornata, aveva ipotizzato fosse un effimero imprevisto. Quando Niall gli aveva detto che Zayn stava passando un periodo difficile, aveva supposto che gli servisse solo un po’ di tempo per stare da solo. Ma quando Louis gli aveva detto ‘Devi andare avanti, Liam’, due settimane e tre giorni dopo, Liam aveva creduto di poter morire da un momento all’altro.
Non era minimamente pronto a qualunque cosa stesse succedendo, non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea che Zayn potesse smettere di cercarlo e rendersi irraggiungibile così, come se nulla fosse. A stento pensava di riuscire a sopravvivere. Perché, senza Zayn, non c’era più nulla che valesse la pena fare, alcuna vita che valesse la pena vivere, alcuna emozione che valesse la pena sentire.
Aveva ascoltato il cuore fare un sonoro e assordante crack, per poi cadere in mille frammenti. Frammenti che si riducevano in cenere, calpestati dalla menzogna su cui stava costruendo quei suoi giorni, senza nemmeno accorgersene.
Le parole di Louis gli avevano sbattuto in faccia l’amara verità. Quella realtà che aveva evitato e finto di non cogliere per una lunga ed infinita settimana. Quel vero, che lo aveva spinto a ripetere continuamente ai due amici le solite frasi fatte, di circostanza - è solo un brutto periodo, si sistemerà tutto; tornerà da me, io lo so; non vi dovete preoccupare, sto bene.
Vi è una realtà oggettiva là fuori, ma noi la vediamo attraverso gli occhiali delle nostre credenze.*

 
                                                      “What’s gonna kill you is the second part.”   
 

Liam era febbricitante quel giorno, non riusciva a fermarsi un attimo.  Se lo ricorda come se fosse successo proprio ieri. Zayn doveva portarlo a conoscere la sua famiglia. Lo avevano deciso qualche giorno prima, mentre erano sdraiati sul letto di Liam. Il moro aveva la testa appoggiata sul suo stomaco e, quando Liam gli aveva letteralmente detto che forse era arrivato il momento di presentarlo ai suoi e alle sue sorelle, l’aveva alzata di colpo, con gli occhi sbarrati, sperando che da un momento all’altro il ragazzo ribattesse con un ‘stavo solo scherzando Zaynie!’, che però non arrivò mai. Lo stava guardando con gli occhi pieni di aspettativa, con quello sguardo che lo faceva sempre capitolare e a cui non sapeva resistere. Non aveva potuto dirgli di no.
Ma poi il grande giorno era arrivato e non se l’era semplicemente sentita di fare un così grande passo avanti. Aveva solo vent’anni e, per quanto amasse Liam, nessuna voglia di costruirsi un futuro stabile e duraturo. Il solo pensiero lo spaventava. Era già tanto se non era scappato nel momento in cui si era trovato davanti alla porta di casa Payne, se lo ripeteva sempre più spesso.
Per questo motivo, e nessun altro, si era barricato nella sua camera del college, aveva spento il telefono, non dopo aver pensato per mezz’ora se avvertire Liam o meno, ed era rimasto sdraiato a letto per tutta la giornata, lasciandosi divorare dal rimorso e dai sensi di colpa.
Tutto questo, Liam era venuto a saperlo solamente da Niall. E ti amo comunque era stato il suo primo pensiero, eclissato poi da una serie di codardo, codardo, codardo.
Dopo quelle due settimane e tre giorni, che sembravano essere durate due anni, aveva ripreso le lezioni al college. Era più che altro un vegetale in grado di muoversi. Non parlava con nessuno, nemmeno con Louis, che era costretto a sopportare tutti i giorni la sua fase di ‘accettazione/non accettazione’, e a malapena mangiava. Durante la pausa pranzo passava tutto il tempo a giocare con il cibo sul vassoio, la forchetta in mano stretta così forte da lasciare i segni sulle dita. La mattina, quando la sveglia suonava, faceva fatica ad alzarsi, semplicemente perché non aveva la minima voglia di fare nulla. La sera, quando si infilava sotto le coperte e appoggiava la testa pesante di incubi e notti insonni sul cuscino, ringraziava il cielo che un’altra giornata fosse finita.

 
“And the third, is when your world splits down the middle.”
 

Tutto quello lo stava facilmente uccidendo.
Liam si era sempre divertito a prendere in giro Louis, quando Harry, il suo ragazzo, lo aveva lasciato per una stupida e presunta cottarella. E aveva sempre riso anche durante i film, quando le donne si disperavano perché i loro uomini le mollavano. Se ne era sempre fatto beffa, perché non lo aveva mai provato sulla sua pelle. Ma ora, invece, capiva. Capiva come mai avrebbe potuto farlo in vita sua.
Capiva perché Zayn non c’era più, così come mancavano le sue sigarette, il suo dentifricio alla menta che lasciava sempre nel suo bagno, la cenere tra le pagine immacolate dei libri e tra le lenzuola candide.
Un giorno si era semplicemente svegliato, aveva guardato l’ora, poi verso la finestra, e alla fine aveva deciso che quel giorno non si sarebbe alzato. Louis era entrato nella sua camera venti minuti dopo urlandogli che erano estremamente in ritardo, e lo aveva trovato ancora dormiente sotto le coperte.
Aveva lasciato un post-it attaccato al frigorifero, dicendogli che dopo le lezioni sarebbe rimasto da Harry, di non aspettarlo e di risollevarsi in fretta.
Liam non l’aveva nemmeno letto.
Il giorno dopo aveva maledetto l’università, le lezioni di letteratura e il suo professore di storia inglese, aveva disattivato la sveglia e si era riaddormentato tranquillamente, con la testa sotto il cuscino.
Louis lo aveva osservato da uno spiraglio lasciato dalla porta socchiusa, aveva scosso la testa e sospirato rassegnato.
Liam stava perdendo la sua continuità, la sua consuetudine. Stava lasciando che la sua vita gli scivolasse tra le dita come sabbia al vento.
Il suo mondo si era letteralmente spaccato a metà, e lui si trovava in bilico su quel limite, voglioso di saltare dalla parte opposta, ma consapevole di non poterlo fare.

 
And fourth, you’re gonna think that you fixed yourself.”



Aveva ripreso a frequentare le lezioni improvvisamente, come se le precedenti tre settimane e mezzo non fossero nemmeno esistite. Una mattina aveva semplicemente ricominciato ad alzarsi, ad infilare ordinatamente e svogliatamente i libri delle lezioni del giorno nella borsa, a prendere il suo caffè doppio con tanta schiuma e ad ascoltare i suoi professori, che ripetevano, per la millesima volta nella loro vita, gli stessi argomenti. Il tutto sotto gli occhi stupefatti, interdetti e sbalorditi di Louis.
Gli aveva chiesto come stava. Liam aveva risposto con un grande sorriso e uno ‘sto benissimo, grazie Lou.’
Era bastato solo il fatto che lo avesse chiamato con quel diminutivo, cosa che non succedeva praticamente mai, se non quando era estremamente felice – la prima volta era successo quando aveva accompagnato Niall all’istituto e conosciuto Zayn – a fargli credere che fosse sincero. Ma a farlo realmente capitolare di fronte ad una tale affermazione erano stati gli occhi del ragazzo. Brillavano come non succedeva da settimane. C’era quella scintilla, che aveva da sempre caratterizzato le iridi color cioccolato del castano, che era tornata ad illuminarli, anche se più fiocamente.
Liam stava, effettivamente, davvero bene. Si sentiva a posto, rinato, riaggiustato, come se tutti i pezzi in cui si era distrutto il suo cuore si fossero, tutto d’un tratto, rimessi insieme. Proprio come succede con i puzzle: tutte le parti avevano trovato il loro giusto incastro.
O almeno, così pensava. 
 
“Fifth, you see them out with someone else.” 

 
Questa apparente allegria era durata ancora qualche giorno, giusto il tempo necessario a fargli prendere una decisione molto importante.
Un pomeriggio, appena rientrato dopo le lezioni, aveva trovato in segreteria un messaggio di Niall. Voleva vederlo. ‘Mi manchi Lee. E non puoi, non possiamo, buttare al vento la nostra amicizia per colpa dello stronzo. Richiamami quando senti il messaggio, ti prego.’
Lo aveva riascoltato almeno venti volte. E ogni volta gli sembrava che l’urgenza e la nostalgia nella voce dell’amico continuassero ad aumentare.
Aveva sorriso distrattamente nel momento in cui si era accorto che Niall non aveva nemmeno fatto il suo nome. Lo stronzo. Troppa verità in una sola parola.
Aveva deciso di richiamarlo, all’inizio, per invitarlo a bere qualcosa con lui al bar del campus.
Poi aveva optato per il far finta di niente, di ignorare il messaggio, fingendo di non averlo ascoltato.
Infine aveva soppesato tutte le ipotesi.
Il rischio di incontrarlo era altissimo. La paura di cedere se i suoi occhi avessero, anche solo per un attimo, incrociato nuovamente la sua traiettoria, era molta. Ma Niall aveva ragione. Non poteva permettergli di rovinare la sua amicizia con il biondo. Né tantomeno poteva consentirgli di distruggere la sua vita. Louis aveva ragione.
Aveva recuperato sbadatamente le chiavi della macchina dal tavolo in cucina e aveva raggiunto l’istituto d’arte alla velocità della luce. Sapeva che, se non si fosse sbrigato, avrebbe finito per pentirsene amaramente.
Aveva percorso i corridoi della scuola con l’ansia che gli attanagliava lo stomaco, un grosso nodo in gola e un peso sui polmoni, che gli rendevano difficile respirare. Aveva continuato, per tutto il tragitto, a guardarsi intorno angosciosamente, sperando disperatamente di non cogliere, tra tutte quelle persone, proprio la sua schiena ritta e le sue spalle possenti, la sua andatura sciolta e disinvolta, i suoi capelli scuri e sbarazzini – da vero artista – la sua solita sigaretta posta dietro l’orecchio, il suo sorriso disarmante, il suo sguardo penetrante e quasi ipnotico, la sua risata contagiosa. Aveva rilasciato un sospiro di sollievo, che aveva inconsciamente trattenuto per tutto quel tempo, quando era arrivato di fronte alla camera 315.
Il timore che, ad aprirgli, arrivasse lui, liberò il suo animo tormentato non appena la voce acuta e l’accento irlandese di Niall gli giunsero alle orecchie. Sorrise quando l’amico gli saltò letteralmente addosso ridendo e ricambiò la sua stretta in quell’abbraccio. Per la prima volta da quando l’incubo era iniziato si sentiva davvero felice, a casa, protetto e soprattutto amato.  
Erano seduti sul letto disordinato - e su cui era ammassato l’intero armadio del biondo – a chiacchierare normalmente, quando la porta si era aperta di scatto e la sua risata aveva riempito l’aria della stanza. L’aveva riconosciuta subito, sarebbe stato impossibile il contrario. L’avrebbe riconosciuta persino tra miliardi di persone quell’ilarità così dolce e spontanea. E il peggio fu che a quella risata se ne univa armoniosamente una più rumorosa, ma al tempo stesso delicata. E a Liam qual suono suonò così stridulo e sbagliato. Completamente sbagliato. Il suo riso doveva fondersi solamente con il suo. E con quello di nessun altro. Sbarrò gli occhi e spostò lo sguardo su Zayn, che, non appena lo vide, si bloccò sulla porta e lasciò la mano del ragazzo, che stava stringendo.
‘Liam.’ Il suo nome risuonò appena nella stanza, come se fosse semplicemente scivolato sottoforma di un sospiro. Gli era mancato sentirlo pronunciare da quella voce soave e a volte impacciata.
Non si era nemmeno accorto di aver afferrato un braccio di Niall e di aver iniziato a trascinarlo fino alla porta, pronto ad uscire, fino a quando si era ritrovato davanti al moro.
Lo aveva sorpassato, ma si era fermato nel momento in cui, con la sua voce tremante, aveva detto ‘Ti prego Liam…Lee. Parliamone.” Aveva percepito il cuore vibrare di un’emozione, che non provava da troppo tempo, sentendosi chiamare in quel modo. Ma non poteva lasciarsi sopraffare dai sentimenti, che ancora infervoravano in lui. Aveva preso un profondo respiro, lo aveva guardato con gli occhi lucidi e ‘Non c’è più niente da dire, Zay.’
Tra le braccia confortevoli di Niall, si era abbandonato a lacrime assassine.

 
        “And the sixth, is when you admit that you may have fucked up a little.”

 
Rivederlo con quel ragazzo, Josh – Niall lo conosceva, frequentavano lo stesso corso di discipline pittoriche – era stata la principale causa del declino. O almeno Liam così aveva detto a Niall, Louis e Harry. La verità era che non si era affatto ripreso, che tutti quei sorrisi e quegli ‘sto bene’ erano forzati, di circostanza. Un’idilliaca illusione.  
Aveva ricominciato a non uscire più, a fregarsene completamente di tutto e tutti. Quasi non si rendeva nemmeno conto che il mondo, là fuori, continuava a girare e le persone a vivere.
Non voleva in alcun modo ascoltare i suoi amici, le loro richieste. Eclissava qualsiasi proposta per farlo uscire da quella camera, da quel letto, con il solito banale ‘non ho voglia. Voglio solo restare da solo.’
Una mattina, mentre Louis era all’università, si era alzato e guardato allo specchio.
Poi era scoppiato a ridere. ‘Che cazzo ho fatto? Dovevo ascoltarlo. Voleva parlarmi e io me ne sono andato!  Sono solo un coglione. Guarda come sono finito. A deprimermi e piangermi addosso in una stanzetta da quattro soldi. Ed è tutta colpa mia. Ci voleva riprovare. Ho fatto una cazzata.’
Si era lasciato cadere a terra: la schiena contro lo specchio, le gambe strette al petto e il viso affondato tra di esse. Improvvisamente, senza che nemmeno se ne accorgesse, la risata si era trasformata in singhiozzi e le lacrime avevano cominciato a bagnarli insistentemente il volto.

(No no there ain't no help, it's everyman for himself.)


*citazione di David Myers, bassista e chitarrista blues della band statunitense The Aces degli anni ’50.

Ringrazio i The Script, perchè senza di loro questa fan fiction non sarebbe mai esistita, e le due ragazze sopracitate che mi hanno spronato a scrivere. 

Nda.

Allora...nel caso in cui non si fosse capito, ma spero proprio di sì, la parte iniziale prima del ritornello spiega ciò che succede in quel momento. 
Dal ritornello alla fine (First...Six), quindi durante le sei fasi, viene raccontato ciò che è successo prima. 
Avrei dovuto metterle all'inizio, in modo che la lettura diventasse più scorrevole, ma non mi sarei più ritrovata e avrei dovuto nuovamente cancellare tuttto.
Quindi speriamo in bene❤
 
  
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