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Autore: PerseoeAndromeda    24/01/2015    5 recensioni
Sono passati un po' di anni da quando i ragazzi dell'Iwatobi swim club hanno preso le loro singole strade. Haruka e Makoto formano una coppia stabile, ma qualcosa potrebbe cambiare.
[Fanfic partecipante al contest "Pesca a prompt"]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Ran Tachibana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick (forum ed eventualmente sito): Perseo e Andromeda
Titolo: His freedom
Fandom: Free
Genere: romantico, sentimentale, introspettivo
Rating: verde
Pairing/personaggi: MakotoXHaruka o HarukaXMakoto, non sono proprio decisa sui loro ruoli nella coppia, li considero interscambiabili in realtà :P
Pacchetti scelti: 3, M
Prompt e obbligo utilizzato: Andarsene e non tornare, scrivere una future fic ambientata non meno di cinque anni dopo
Avvertimenti/Note: Shonen ai
Nda: all'inizio pensavo di sviluppare anche il prompt “maschera”, perché Haruka ha un comportamento non da lui e incomprensibile all'inizio, ma secondo me se c'è è molto alla lontana^^

 

 

 

His freedom

 

 

“Sei diverso”.

“Ma che dici?”.

Makoto strinse un poco le palpebre illudendosi, focalizzando lo sguardo, di poter scrutare più a fondo nell'anima del compagno. Haru era sempre stato difficile da comprendere, le sue espressioni spesso ambigue, quando non enigmatiche.

Ma non per lui.

Amici del cuore fin da bambini, erano cresciuti insieme e avevano condiviso tutto, compresa la scuola e la passione per il nuoto. Poi Haru era entrato nel mondo agonistico e Makoto si era trasferito a Tokyo per frequentare l'università.

Al termine degli studi era tornato ad Iwatobi, dove da due anni insegnava nuoto ai bambini, proprio come aveva desiderato.

Haruka, ormai campione affermato, girava il mondo, ma i loro due cuori si erano uniti sempre di più, scoprendosi irrimediabilmente innamorati. Haruka era un libro aperto per Makoto, come per nessun altro e tornava ad Iwatobi ogni volta che poteva per ricongiungersi a lui. Ogni loro incontro era, a un tempo, pieno di dolcezza, ma triste in maniera insopportabile, perché preludeva ad una nuova separazione. Bruciavano il loro amore con tutta l'intensità che potevano, fino a consumarsi, nella disperata speranza che bastasse ad entrambi fino al prossimo incontro.

Tuttavia questa volta c'era qualcosa di diverso che inquietava Makoto: Haru era strano, distante, appariva freddo persino a lui che lo conosceva così bene.

Abbassò lo sguardo e sospirò:

“Lo sai che non riesci a mentirmi, Haru-chan”.

“Quante volte devo ripeterti di non chiamarmi così?”.

Makoto sussultò, non per la frase, quello scambio tra loro era diventato, negli anni, una sorta di rituale. Era il tono duro, il brusco movimento con cui Haruka si alzò e si allontanò da lui... cosa gli era successo?

“Ha... Haru...” balbettò, in un lieve sussurro che il compagno probabilmente non udì.

Gli stava dando le spalle e si era messo a camminare nella stanza, fino allo shoji aperto sul piccolo giardino. Si fermò sulla soglia e Makoto, ancora seduto dietro al tavolo, rimase qualche istante a fissare la sua schiena, interdetto, incapace di capire e di reagire.

Solo dopo un po', per sfuggire a quella singolare situazione di stallo, Makoto si decise a muoversi ed andò a posargli una mano sulla spalla. Haruka scattò e lo respinse così bruscamente che Makoto si sentì mancare; arretrò di qualche passo, fissandolo a bocca aperta.

“Vorrei restare solo, Makoto”.

“Haru... ascolta...”.

Da dietro vide la sua nuca abbassarsi e a stento le nuove parole del compagno giunsero alle sue orecchie:

“Te lo chiedo per favore... torna a casa tua per stasera...”.

Il tono era basso, ma non morbido, non si trattava di una preghiera; tuttavia Makoto faticava a credere a quello che udiva. Mai, nei brevi ritorni di Haruka ad Iwatobi, avevano trascorso una notte separati, non avevano tempo da perdere, stare insieme era diventata una questione vitale.

Che Haruka lo cacciasse era l'ultima cosa che Makoto si sarebbe aspettato.

Cosa fare?

Arrendersi ed assecondare il desiderio del compagno?

Non era quello che avrebbe fatto di solito. Se c'era una cosa in cui Makoto eccelleva era non arrendersi di fronte a qualcuno chiaramente in difficoltà, insistere, stargli vicino anche contro la volontà dell'interessato.

Questa volta, tuttavia, era diverso, si sentiva troppo coinvolto: era chiaro che Haruka stava male, ma Makoto non riusciva ad accettare che questo significasse, per il compagno, allontanare anche lui... che non lo volesse... e forse era proprio questo il problema... Haru non lo voleva più?

Il solo pensiero era insopportabile, gli faceva perdere lucidità e lo rendeva incapace di superare la propria tristezza per occuparsi di quella di Haru. Non riusciva ad accettare che, forse, il problema era proprio che Haru non lo amava più.

Così, odiandosi, stupendo se stesso, si limitò a chinare il capo e ad obbedire; si allontanò nella notte senza voltarsi indietro.

 

 

***

 

Dietro di sé aveva lasciato lacrime, anche se lui non lo sapeva.

Haruka non era certo di ciò che voleva; gli aveva chiesto di andarsene e aveva bisogno proprio di quello, perché non era in grado di gestire la situazione che gli si agitava dentro, ma altrettanto forte, intenso, era il bisogno di averlo vicino, tanto che il suo cuore lo chiamò, insistente, lo supplicò di tornare indietro, ma nessuna supplica del cuore salì alle labbra. Mente e cuore, in quel momento, erano distanti, in assoluto disaccordo.

La tristezza di quella figura che scompariva nella notte si trasmise all'altra figura, in piedi sulla soglia; colto da un'improvvisa prostrazione, Haruka poggiò la spalla contro la cornice in legno della porta, poi si lasciò scivolare a terra e si accasciò, lo sguardo perso nel vuoto, incapace anche solo di immaginare gli anni successivi tanto lontano dal suo amore.

La carriera valeva quello?

Avrebbe dovuto accettare?

Nel corso degli anni il suo bisogno agonistico era cresciuto; ci aveva messo tempo per scoprirlo, l'aveva rifiutato per un certo periodo, per la sua sete di libertà, che rifiutava vincoli di ogni tipo, anche se ciò avrebbe significato mettere la sua passione al centro della vita professionale. C'era voluto tanto, la sua prima vera litigata con Makoto, il viaggio in Australia con Rin, per capire qual era il suo sogno.

E il sogno era cresciuto, gli aveva dato tante soddisfazioni...

Eppure, adesso, quel sogno lo voleva allontanare dall'amore e ancora gli era difficile comprendere cosa, per lui, contasse di più.

Apparentemente era facile: Makoto... chi o cosa poteva essere più importante di lui?

Ma il nuoto era da sempre la sua salvezza, il modo migliore per sentirsi libero e in contatto con l'universo.

Lentamente si alzò, in quel momento era così rigido che le sue gambe sarebbero forse rimaste bloccate persino in acqua. Come un automa si mosse fino alla sua borsa posata nell'angolo e, dopo aver rovistato per qualche istante, strinse tra le mani la lettera che lo invitava al cambiamento più drastico e definitivo che la sua esistenza gli avesse mai richiesto.

I suoi occhi scorsero ogni riga, quasi sperando che i termini cambiassero. Se Rin lo avesse saputo l'avrebbe aggredito a parole, forse anche fisicamente, perché quella lettera nascondeva una notizia bellissima; eppure Haruka non riusciva, in nessun modo, a sentirsi felice.

In un moto di rabbia strinse il pugno e il foglio si accartocciò tra le sue dita; con un ringhio lo sbatté malamente sul tavolo ed uscì di casa, mettendosi a camminare all'apparenza senza meta.

Ma Haruka aveva una meta in realtà, anche se la sua stessa mente non l'aveva ancora realizzato.

 

 

***

 

 

L'arrivo del mattino fu duro per Makoto, che sembrava non volerne sapere di trascinarsi fuori dal futon; un senso di irrealtà pervase il suo risveglio. Dopo una notte passata a piangere, tutto quel che restava era un senso di vuoto e nullità.

Non accolse con gratitudine la luce del sole, perché non era certo che questa gli avrebbe restituito il suo Haru-chan; dato il modo in cui si erano lasciati nessuna speranza giungeva ad alleggerirgli il cuore.

Lasciò che, per un po', il suo sguardo venisse ipnotizzato dalla tendina leggermente mossa dalla brezza, che le sue orecchie venissero accarezzate dal trillo delicato degli uccelli felici e si trovò ad invidiare la loro spensieratezza.

Lui si sentiva distante da quel mondo vivo là fuori, non trovava neanche la forza per mettersi seduto; i suoi occhi, che ormai avevano versato tutte le lacrime possibili, erano asciutti, ma rigidi e doloranti per il continuo sforzo.

Sdraiato su un fianco raccolse le ginocchia contro il petto.

Una voce interiore gli suggeriva di correre da Haruka, se si era comportato così doveva per forza star male anche lui e il benessere di Haruka era, da sempre, una priorità per Makoto.

Ma c'era l'altra voce, quella dell'ansia che gli opprimeva lo stomaco e il petto, dettata dalla paura di venire trattato nuovamente male.

“Niisan, posso entrare?”.

Gemette sottovoce; l'intrusione della sorellina non era proprio opportuna in quel momento, ma cosa poteva farci? Ran non aveva nessuna colpa in fondo.

Deglutì, nell'arduo tentativo di sciogliere il groppo in gola e si sforzò di rendere la propria voce più naturale possibile.

“Ce-erto...”.

No... non aveva funzionato affatto.

Il fusuma che separava la sua stanza dal resto della casa si aprì, un po' timidamente e Makoto fece violenza a se stesso: non poteva permettere che Ran lo vedesse così, rannicchiato come un bambino spaventato dal mondo. Lui per i suoi fratelli era invece il centro del mondo, l'esempio da seguire, l'idolo che non mostrava cedimenti.

Avrebbe riso di se stesso: sapeva davvero essere un bravo attore quando si trattava di mostrarsi impeccabile agli occhi di chi si fidava di lui.

Si sedette nel momento stesso in cui la ragazzina sgattaiolò nella stanza, il viso preoccupato.

“Ti ho svegliato per caso?”.

Cosa avrebbe dovuto rispondere?

No sorellina, non puoi avermi svegliato da un sonno che non c'è stato davvero”.

Ovviamente non disse nulla e si limitò a negare, con un cenno del capo e un sorriso con il quale sperava di mascherare lo stato pietoso dei suoi occhi, anche se non sapeva come sarebbe stato possibile.

Ran lo scrutava con un'attenzione che lo mise a disagio, sembrava volergli leggere dentro; si sentì sotto esame quando la ragazzina giunse ad inginocchiarsi davanti a lui e gli chiese, con una serietà che lo mise in allarme:

“Stanotte sei tornato presto, come mai non ti sei fermato a dormire da Haru-chan, come fai sempre quando viene qui a Iwatobi?”.

Ecco la domanda che più temeva.

Pensa Makoto, pensa.

Le prime parole che gli salirono alle labbra suonarono tutt'altro che convincenti alle sue stesse orecchie:

“Haru-chan era molto stanco, ho preferito lasciarlo riposare”.

Il tono con cui le pronunciò peggiorò la situazione.

Infatti l'espressione di Ran non si rasserenò, anzi, corrugò le sopracciglia ed arricciò il naso; quel tentativo di darsi un tono da adulta avrebbe fatto ridere Makoto se il suo cuore non fosse stato così pesante.

“Haru-chan non è mai troppo stanco per te, se non siete stati insieme c'è di sicuro un motivo più serio”.

Un calore intenso risalì lungo il corpo di Makoto ed esplose nel rossore delle guance; sua sorella era troppo sveglia o lui ed Haru erano troppo... palesi?

Cosa poteva rispondere?

Si ritrovò a sorridere, in imbarazzo... il classico sorriso da ebete di chi si trovava, con ogni evidenza, in difficoltà.

Fu Ran a prevenire ogni suo tentativo di tirarsi fuori dai guai; la ragazzina si piegò in avanti, fino ad invadere il futon e gli posò le mani in grembo, puntando il naso contro il suo.

“Vai da lui!”.

“Co-cosa?”.

Colto del tutto alla sprovvista, non poté fare altro che balbettare.

“Qualunque sia il problema è comunque meglio se lo risolvete assieme”.

“M-ma...”.

“Ti preparo la colazione anche per lui!”.

Non gli diede il tempo di ribattere o protestare: nel giro di un istante era scattata in piedi ed era corsa fuori dalla stanza.

Makoto rimase per un po' a fissare la soglia rimasta vuota, a bocca aperta, poi riuscì persino a ridacchiare mentre si portava una mano tra i capelli.

“A questo punto, suppongo di non avere altra scelta”.

 

 

***

 

 

Davanti alla porta di Haru, Makoto ebbe un'esitazione.

Un tempo era facile: aprire, entrare, andare a prenderlo nella vasca da bagno e accompagnarlo in cucina dove il compagno avrebbe fatto colazione.

Sospirò: quant'erano lontani e luminosi quei tempi, anche se ancora non avevano chiarito l'entità dei reciproci sentimenti che li univano, erano felici.

Si fece coraggio ed entrò, con discrezione, con un timido richiamo.

“Haru-ch... Haru... posso?”.

La casa era silenziosa. Percorse i pochi passi che lo separavano dal bagno: la vasca era vuota, niente acqua... e niente Haru.

Cercò in camera: non trovò nessuno.

Perplesso tornò nel soggiorno, senza sapere cosa pensare e solo allora notò il pezzo di carta posato sul tavolo.

Si accostò e lo guardò per un po' da lontano. Poi, dopo aver riflettuto per qualche istante, si chinò e lo prese: non gli piaceva l'idea di sbirciare nella corrispondenza altrui, ma la speranza di trovare qualche risposta in quel foglio fu più forte di ogni remora, persino della sua solita educazione.

Il primo particolare che gli saltò agli occhi fu la scritta: Stati Uniti.

I suoi occhi si fecero enormi: era una lettera di invito da parte di un'importante squadra di nuoto americana che chiedeva ad Haru di trasferirsi oltreoceano... una prospettiva di avanzamento di carriera che non avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire di mano... un sogno, la celebrità che lo chiamava e la passione per il nuoto che lo portava in alto, ai livelli massimi del mondo agonistico.

Per Makoto tutto fu improvvisamente chiaro.

La lettera scivolò via dalle sue dita e fluttuò fino a terra, mentre lui correva fuori, diretto al luogo dove, pensava, avrebbe trovato Haru.

Non si fermò neanche per un istante, era un atleta dopotutto, sapeva essere veloce e resistente. Eppure forse la tensione, forse perché non si risparmiò, quando giunse a destinazione il fiato gli mancò per parecchi istanti, gli girava la testa... non era certo si trattasse di stanchezza tuttavia. La situazione lo scombussolava nel fisico, nella mente e nel cuore.

Haruka era lì, in piedi davanti alla piscina che era stata protagonista dei loro momenti più spensierati e felici, quando ancora il nuoto era, innanzitutto, il collante tra un gruppo di nakama che condividevano una passione e, al di sopra di ogni altra cosa, volevano stare insieme.

Indossava il costume... il solito costume, quello che lo legava a quei tempi. Ancora non si era accorto della sua presenza e Makoto non riusciva a parlare. In un primo momento gli sfuggì solo un mormorio.

“Haru-ch...”.

Si bloccò di nuovo sul -chan, qualcosa gli impediva di pronunciarlo.

La figura davanti a lui non si mosse, all'apparenza non lo aveva sentito, così Makoto si decise a muoversi con passi leggeri, fino a giungere alle sue spalle. D'istinto sollevò le mani ma le fermò, prima che giungessero a toccare le spalle del compagno.

“Mi dispiace per ieri sera, Makoto...”.

Il ragazzo più alto venne scosso da un tremito, l'emozione rischiò di sopraffarlo, perché la voce di Haruka era tornata morbida, affettuosa... solo tanto triste. Le mani scesero definitivamente, ma non si posarono sulle spalle: si portarono davanti al corpo di Haruka e si intrecciarono sul suo ventre, mentre il viso di Makoto affondava nella massa di capelli scuri del compagno. Rimase in attesa, un po' temeva la reazione dopo quello che era accaduto e non voleva forzare nulla; invece nel suo abbraccio Haruka si rilassò e si lasciò andare, appoggiandosi del tutto a lui con la schiena, la testa scivolò all'indietro e la nuca si posò sulla spalla di Makoto.

“Sono stato odioso”.

Makoto scosse il capo e lo baciò tra i capelli:

“Ho visto la lettera”.

Lo sentì irrigidirsi, vide i suoi occhi sgranarsi e un lieve tentativo, non troppo convinto, di divincolarsi.

“Mi dispiace Haru... l'ho vista sul tavolo... volevo... solo capire... e adesso ho capito”.

Stava lottando con se stesso per mantenere la voce più ferma possibile; la verità era che solo l'idea di saperlo così lontano lo distruggeva interiormente.

Forse, dopotutto, una distanza simile avrebbe cambiato le loro vite ancor più drasticamente... forse avrebbe separato, questa volta per sempre, le loro esistenze.

Non era sicuro di poterlo accettare, ma la felicità di Haru veniva prima di tutto.

“Io non voglio, Makoto...”.

“Haru...”.

Haruka si divincolò, questa volta con più energia, ma solo per potersi voltare, per far sì che i loro sguardi potessero incontrarsi; allora Makoto vide le lacrime che scorrevano sulle guance del compagno e non resistette oltre. Perché nascondere ciò che li univa in quel momento? La commozione che provavano era di entrambi.

La mano di Haruka salì fino al viso di Makoto e raccolse una delle sue lacrime; il tocco leggero delle sue dita fece fremere il compagno. Poteva essere l'ultima volta che si toccavano così, che si abbracciavano così?

Deglutì; era sempre stato abile a consigliare gli amici, era considerato un saggio che decideva quel che era per il meglio di tutti, ma questa volta proprio non sapeva. La parte più razionale gli suggeriva di smetterla di piangere, di rassicurare Haruka con un sorriso ed incoraggiarlo per quella nuova avventura, accantonando ogni egoismo. La felicità di Haruka, i suoi sogni erano la cosa più importante.

Ma era davvero così?

Potevano davvero mantenere intatta la speranza della felicità pur restando separati?

Cosa avrebbe desiderato lui, per se stesso, al posto di Haruka?

C'era stato un tempo in cui aveva incoraggiato Haruka a portare avanti le sue scelte e lui stesso aveva deciso puntando al proprio futuro, mettendo da parte il desiderio estremo di vivere sempre fianco a fianco. Eppure questa volta era diverso: il loro legame si era evoluto, erano diventati una coppia e, soprattutto, anni prima non si trattava di stare così lontani, di separarsi forse per sempre. Non era certo che si sarebbe mostrato così convinto in caso contrario... e comunque ancora non aveva capito quanto lo amasse.

La verità era che per lui tutto quel che contava era Haruka e la sua semplice vita di insegnante di nuoto, senza altre pretese... ma Haruka era un campione, era giusto rinchiuderlo in quella gabbia di semplicità che probabilmente gli avrebbe impedito di spiccare il volo?

Le mani sulle guance di Haruka si fecero più salde e decise, Makoto adesso sapeva cosa doveva dire:

“Tu sei libero Haru... lo eri allora come lo sei adesso, non dimenticarlo mai questo”.

Gli occhi di Haruka brillarono per un attimo più intensi, le labbra si schiusero, ma inizialmente non uscì alcun suono. Solo dopo qualche istante il ragazzo trovò la forza di sorridere, raccolse una mano di Makoto tra le proprie e se la portò alle labbra.

“La mia libertà sei tu... Mako-chan”.

Makoto tremò.

Fu grato ad Haruka per quelle parole, ma si sentiva anche male, temeva che Haruka avrebbe preso la decisione più sbagliata di tutta la sua esistenza.

“Haru... io...”.

due dita si posarono sulla sua bocca; Haruka stava ancora sorridendo.

“Le ultime volte che hai pronunciato il mio nome hai continuato a dimenticare qualcosa”.

Makoto sussultò, sbatté le palpebre, ma comprese immediatamente.

“Haru... Haru-chan?”.

Il sorriso del compagno si accentuò.

“Così va meglio” sussurrò, prima che le loro labbra si incontrassero, annullando ogni altra parola.

 

   
 
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