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Autore: ness6_27    25/01/2015    0 recensioni
[Welcome to the NHK]
Si credeva di aver sconfitto la NHK, di aver trovato una propria strada e un obiettivo.
Ma ancora non è del tutto finita, alcuni dubbi e incertezze rimangono.
Ancora qualche altro piccolo sforzo e l'aiuto di chi si ha a fianco!
N.B. Gli eventi dell'anime, del manga e del romanzo prendono pieghe leggermente diverse tra di loro. In questa storia seguirò il corso degli eventi presente nel manga.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ero davvero l'emblema della nullità. In quel piccolo lasso di tempo che ho vissuto, cosa ho davvero guadagnato di quanto desideravo? Se non farmi schiacciare dalle volontà, non mie, che mi hanno portato a compiere atti che non volevo, e che me ne riservavano tanti altri per il futuro? Sono riuscito solo a illudermi, come fanno tante, troppe persone. Sono riuscito a illudere me, e le persone che mi stavano intorno, che avrei potuto fare qualcosa. Non dico tanto, ma qualcosa che avesse il mio nome stampato sopra, qualcosa di maledettamente mio. Il periodo di permanenza a Tokyo, il professionale, quel videogioco che non abbiamo fatto più. Di quello è rimasta una demo senza anima e senza contenuti. Non mi sono mai incazzato abbastanza con la causa di quello schifo di gioco che è uscito fuori, perché è colpa sua se non ce l'ho fatta.
P-però, quel poco che ha fatto lui...lo ha fatto maledettamente bene. Sì, va bene, io mi sono fatto il mazzo per la parte tecnica e di gameplay, ma non è mai stata una cosa originale come la sceneggiatura che aveva scritto lui. Ne ho giocati tanti di eroge, ma quello che sarebbe venuto fuori è ben diverso, avendo come base quella sceneggiatura.
Però, come ho detto, non sono mai riuscito a concludere nulla, e non sono quindi nemmeno riuscito a far completare a Sato il suo lavoro. Me ne sono andato, me ne sono tornato a casa.
Casa. Quel che mi vogliono far credere. Sarebbe più facile definirlo un ufficio statale. Come mi sveglio la mattina devo stare a pensare a un macchinario che non va, oppure a una bolletta in scadenza. E quanto tempo è passato?! Qualche mese! E io dovrò fare questo per tutta la mia cazzo di vita! A mala pena arrivata la sera riesco a pensare a me, ai miei videogiochi, a tutto quello che sognavo di creare...e nella quale ho sempre fallito.
Ma forse è giusto così? Ho avuto il tempo e la possibilità di fare tutto quello che volevo. Se non ci fosse stato Sato, nemmeno avrei pensato di ideare questo videogioco. Non avrei fatto nulla.
Ora mi verrà reso pan per focaccia. Ora sarò condannato a non fare nulla e a osservare dal posto umido e scuro nella quale sono stato scaraventato l'immagine, calda e purissima, del successo e della fama pubblica. Per delle vite contenute negli strati di un CD. Per lo squallido denaro che mi avrebbe permesso di fare tutto quello che volevo. Ora al contrario, il gruzzoletto che riesco a guadagnare ogni mese mi costringe a fare cose a me impensabili. Ci devo pagare le tasse, le bollette, la manutenzione dei macchinari, le nuove bestie e la loro cura...
Insomma, guadagno giusto per sopravvivere durante il mese e per guadagnare la stessa somma il mese dopo. Se non va male. Sì perché se mi becco due giorni un'influenza, tanto per dire, per tutta la settimana il lavoro si sfascia! Perché qualcosa andrà storto, sicuro.
Arriverà il cliente stronzo che ti andrà sulle furie perché la sua commissione non sarà stata completata in tempo. Arriverà il dipendente che, scemo, ti sputtana qualcosa perché ha dovuto fare una commissione al posto mio. Arrivano sempre gli imprevisti.
Anche mio padre che non è più riuscito a lavorare, e perciò mi ha chiamato per prendere il suo posto.
Aah, la famiglia. Esiste forse qualcosa di più complicato da spiegare e da descrivere se non una famiglia? Cos'è una famiglia? Cosa dovrebbe significare per me una famiglia? Un insieme di persone accomunate dalle discendenze frutto di unioni e unioni, libere oppure decise, amorose oppure combinate, o peggio coatte. Trovata la definizione però, c'è dietro un abisso. Si dice che la famiglia sia l'istituzione base della società civile. Ed è proprio a causa di quell'abisso che sta dietro la definizione di famiglia che la società civile sta andando a puttane. Anche se si sceglie un'angolazione diversa, nella famiglia ci sarà sempre qualcosa di sbagliato, qualcosa che non va, qualcosa che succhia l'anima ai suoi componenti. Volendo provare a cambiare situazione economica, paese, cultura, etnia, perfino volendo tentare di cambiare l'epoca temporale, non vedremo mai, ma mai una famiglia perfetta. Non vedo di cosa devo stupirmi, visto che alla base della famiglia c'è sempre l'uomo, lercio nella sua intelligenza e libertà.
Volendo andare nel piccolo, cosa dovrebbe significare per me famiglia? Sono vittima di un'allegra élite di persone che decidono il destino di loro parenti per preservare il guadagno e il buon nome della famiglia. Ho cercato in tutti i modi di evitare questa condanna, e i miei hanno pure fatto finta di darmi corda mandandomi a Tokyo, ma sapevano che sarei tornato qui, a fare il contadino. Il semplice fatto che il mio DNA derivi da questo gruppo di persone mi costringe a fare ciò che vogliono. Anche ora, anche qualche oretta fa, la scena è sempre stata quella.


Com'è tipico delle case di campagna, quella casa era completamente costruita in legno, così come i capannoni. Il legno lì era il materiale più usato e il preferito, anche se non era il più adatto, visto che quei luoghi nei periodi invernali erano colpiti molto spesso da tempeste e tutti gli edifici andavano rinforzati di anno in anno.
Forse un difetto dell'uomo stava anche in questo: spezzarsi la schiena per mantenersi. Non per puntare più in alto o per risaltare tra gli altri: per mantenersi sempre nella stessa posizione, accettando lavoro in più solo perché non si volevano trovare soluzioni alternative.
Questi discorsi si potevano fare nell'età della pietra, quando lavorare significava semplicemente vivere. Oggi è sempre rimasto necessario lavorare, ma bisogna stare attenti al lavoro che si sceglie, perché questo riveste un ruolo importante nella figura che ti fai nella società, e così è da tanto tempo. Chi accetta un lavoro umile giusto perché vuole campare e seguirsi le sue passioni il più possibile viene preso per pazzo e rischia sempre di essere relegato ai margini della società. Io ho deciso di non essere così, posso essere qualcos'altro, perché sono stato messo a capo di una ditta e ho qualche nozione di base per mandarla avanti. Ma sopratutto ho qualche idea per rivoluzionarla un po'. Ma queste idee sembrano non essere così accettate dai miei parenti.
“Ma per quale motivo?! Aprire un canale di comunicazione diretto con il consumatore finale ci darà la possibilità di sapere cosa effettivamente va e non va dei nostri prodotti!”
Ma noi siamo sempre stati dietro la grande distribuzione, non il consumatore. Tutte le catene che si servono da noi che dovrebbero pensare di questo cambio di rotta?”
“Non sarebbe un cambio di rotta, il nostro prodotto principale resterà a loro. Ma le esigenze cambiano, ed ecco che dovremmo incominciare a inserirci anche lì.
Persone diabetiche, intolleranti al lattosio, intolleranti al glutine, coloro che preferiscono cibo biologico...tutte queste persone in questo momento sono costrette a spostarsi anche dalla propria città solo per poter comperare alimenti che non li danneggino. Se invece, attraverso i prodotti che già hanno una loro di posizione di spicco nei supermarket facciamo sapere alla gente l'esistenza di tutti questi prodotti e la possibilità di ordinarli da casa, sarebbe una cosa positiva per tutti.”
Kaoru era convinto di aver fatto un ottimo discorso, di essere stato preciso e convincente, per indurre i suoi parenti comproprietari a fare questo investimento. Ma i bronci e gli sguardi dubbiosi non svanirono dopo questo mio discorso.
Questo è un investimento troppo grande per noi Kaoru. Queste sono azioni degne di qualche multinazionale grossa, non è una cosa che noi possiamo permetterci.”
“Quindi...mi state dando un no di risposta?!”
Esattamente.”
Le risposte arrivarono da più parti, piene di scontentezza e dissenso.


Il pensiero fisso dopo quella riunione con i comproprietari fu sostanzialmente era basato su come era divisa l'azienda, e gli oneri che toccavano a ognuno. In pratica, solo lui della famiglia Yamazaki era costretto a gestire tutta la parte pratica. Agli altri bastava investire la propria quota e curarsi le proprie mansioni amministrative.
Tutto ciò portò Kaoru a passare un paio di notti insonni, a girare in tondo sulla sedia girevole della sua stanza, di fronte la scrivania, di fronte un pc.
Quel pc. Non era infatti riuscito ad abbandonare tutte le emozioni e i progetti legati a quel pc, che ristagnano in quelle unità magnetiche in attesa che qualcuno le riscopra e le faccia conoscere al mondo. In quelle due notti, dimenticandosi di famiglia e di lavoro, perse il sonno spulciandosi tutti i lavori che aveva incominciato e mai concluso con Tatsuhiro. Risultati di un impegno forse preso troppo alla leggera tutti e due, ora lui guardava con nostalgia quei progetti, complice qualche lacrima che sfuggiva e scendeva giù per il viso. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per riottenere quelle emozioni e tentare di pubblicare quel videogioco.
Verso le quattro della seconda notte insonne, armatosi di coraggio, decise di andare a parlare con il padre. Doveva per forza esserci un modo per uscire da quella situazione. Lui non voleva passare il resto della sua vita rinchiuso in una azienda solo per mandarla avanti e andare avanti lui fino a dare questo fardello a suo figlio.


A sentire le richieste del figlio e la risolutezza con la quale queste richieste venivano poste, il padre non poté fare altro che provare un minimo di pietà verso quel ragazzo, pieno di energie, come il sole che si stava alzando. Un sole che ancora non sapeva se in quella giornata avrebbe potuto splendere bene come voleva. Il sole giovane è un concentrato di energia pronta a esplodere e illuminare tutto quello che c'è da illuminare. Senza farsi troppi problemi, il sole vuole vedere risplendere tutto grazie al suo lavoro. Non immagina però, che non sempre si riesce nei propri intenti. In giornate ventose come quelle è molto facile l'addensarsi di nubi che non fanno passare il sole, e rendono il suo lavoro meno fruttuoso. La stessa cosa si poteva dire per Kaoru.
“Io...credo che questo sia un discorso che qualsiasi padre ha fatto a suo figlio. Ma, Kaoru, alla tua età la pensavo esattamente come te. Provavo il desiderio di sbancare, di ottenere tutto nella vita facendo solo quello che mi piaceva fare. Ripudiavo il lavoro qui in azienda, lo consideravo inutile e ripetitivo. Volevo andare in città. Secondo te per quale motivo ti ho concesso di andarci? Perché anche io nel mio piccolo, ho sempre desiderato conoscere la città, e non stare rinchiuso qui. Io non ho avuto questa libertà di scelta, e sono sempre rimasto qui. Ti prego, non fare l'errore di pensare che non ho mai ottenuto niente dalla vita. Io ho ottenuto tutto quello che ho scoperto essere abbastanza per me: un posto dove tornare la sera per mangiare, una moglie e un figlio.”
Interruppe il discorso per guardare gli occhi ardenti di Kaoru, che volevano una risposta a tutti i costi.
“Un figlio del quale ammiro il suo fortissimo desiderio di voler conoscere il mondo. L'unico mio timore è che il mondo non sia quello che tu ti aspetti, e che possa rimanere ferito anche tu. Non devi credere che non dovrai impegnarti se andrai a fare qualcos'altro, che non rimarrai immerso in miliardi di problemi, che non desidererai che semplicemente tutte le preoccupazioni svaniscano. Non succederà.”
Incominciò a piovere. Purtroppo tutta la parte stupefacente del grandissimo lavoro del sole, tutti i suoi frutti più succosi e saporiti erano andati persi in un ammasso di nuvole grigie, cariche di pioggia.
“Ma io lo so ormai cos'è la vita. O almeno...ne sono abbastanza sicuro. Ormai riesco a immaginarmi di tutti gli incarichi e gli oneri che a chiunque riserba la vita. La mia vita non è mai stata rose e fiori, nemmeno al liceo, perciò so cosa vuol dire impegnarsi in qualcosa.”
Pensò al progetto suo e di Sato ancora non finito che, fedele, aspettava di essere rispolverato dai due. Forse ancora non sapeva cosa vuol dire impegnarsi fino in fondo...
“Lo so che non può succedere.”
Rassegnato e stanco della convinzione del figlio, dura come l'acciaio, cercò di porgli in faccia la realtà.
“Kaoru, non puoi fare molto. Ogni persona che ha una quota non fa molto di più di quanto non sia necessario: versa la sua quota e ottiene dei profitti. Ovviamente la parte più grande spetta a noi, ma dovendola in parte spendere per l'azienda stessa, arriviamo alla stessa somma degli altri comproprietari, che però non fanno nulla. Nessuno, nemmeno tu, puoi vendere la tua quota a un'altra persona, perché tra tutti ci sono degli accordi per l'assicurazione sulla vita, e se uno vende la sua quota, tutto quello che gli spetta secondo gli accordi decade. E il nuovo proprietario non saprebbe nulla di questi accordi. Ma in ogni caso nessuno vuole vendere la propria quota, nemmeno io l'ho mai voluto fare, quindi problemi di questo tipo non si sono mai posti.”
“Loro si prendono tutto dal nulla. Loro, loro...”
“Ma tieni conto che loro hanno anche un secondo lavoro, perché la sola somma che ottengono da qui non basta.”
Loro, loro, loro...
All'improvviso in Yamazaki si accende una lampadina.
“Potrei teoricamente scambiarmi una quota? Dare la possibilità a qualcuno di diventare il comproprietario principale e cedermi in cambio la sua quota?”
In questo modo avrei il tempo di finire quello che avevo incominciato!
“Beh, secondo l'assicurazione tu sei il proprietario principale, ma i cambi di nominativi sono sempre possibili, ti spetterebbe di meno in quanto non saresti più il comproprietario principale. Ma si può fare.”
“L'unico da convincere...”
“È Yasuhiro.”
Yasuhiro sarebbe uno dei comproprietari della ditta agricola, ma anche il proprietario dell'agenzia di assicurazioni col quale la nostra famiglia stipula assicurazioni sulla vita da generazioni.
Un uomo tranquillo, che ha sempre fatto metodicamente il suo lavoro, da dietro la scrivania dove era finito. Aveva moglie e figli, e tutti lavoravano nella sua azienda di assicurazioni. Nessuno di questi aveva mai pensato di incominciare a lavorare nella ditta agricola: troppo degradante.
Quella volta che Kaoru vide la sua vita scritta nero su bianco su un foglio, era stato il pugno di Yasuhiro, o di chi per lui, a scrivere.
“Dimentichi che nessuno molto probabilmente vuole cambiare la sua posizione. Come farai?”
Un altro ostacolo posto davanti i suoi progetti.
“...in ogni caso andrò a parlare con Yasuhiro!”
Girò le spalle al padre e, fissando la porta, lo ringraziò.
Ho la mia idea di famiglia, ma mio padre nel suo piccolo ha sempre cercato il meglio per me.


I locali dell'ufficio di Yasuhiro erano maledettamente formali. Il bianco spiccava ovunque, sui tavoli, sui muri, perfino sul tetto, e pochissime cose spezzavano questo bianco: qualche oggetto sulle varie scrivanie bianche, e qualche pianta messa vicino a delle finestre. Nulla di più, non c'erano altre cose. Perfino le uniche cose che spuntavano dal tetto, ossia dei neon, riflettevano una luce di un bianco caldo che si mescolava col resto. Ogni dipendente non spiccicava parola, se non per dire le cose necessarie. Erano tutti vestiti con dei completi eleganti e delle camice, qualche coraggioso portava anche la cravatta. Le donne invece invece indossavano tutte degli ingombranti tailleur.
La vita negli uffici di un'azienda era questa?
TOC
Lui avrebbe sopportato una cosa simile?
TOC
In azienda non c'erano tutte queste formalità, che lui sicuramente non sarebbe riuscito a...
Sì sì, ti ho detto che è tutto apposto!” urlava Yasuhiro nella sua stanza.
Come lui si accorse che Kaoru aveva bussato e aperto la porta, gli fece cenno di rientrare e chiudere la porta. Con la porta chiusa, tutto quello che si sentiva da fuori era un brusio.
Sì, ovvio che voglio includere anche queste due fatture con le altre dell'impianto di aerazione! Va bene, va bene, ora vado. Sì sì, ciao.”
Staccò il telefono, fingendo con dei sospiri che la telefonata riguardava qualcosa di grandissima importanza. Con un cenno fece accomodare Kaoru e si concesse un minuto per raccogliere varie carte e riporle. Fatture, bolle di trasporto, cose così. Il ragazzo aveva imparato a riconoscere questi documenti, lavorando al posto di suo padre. Liberata la scrivania, incominciarono i convenevoli di Yasuhiro riguardo la salute di Kaoru e di suo padre. Invece, Yamazaki non ci mise molto ad arrivare al punto: voleva sapere della possibilità di scambiarsi la quota con qualcuno.
...come mai t'interessa sapere una cosa simile?”
“Ti prego di rispondermi.”
Tono educato al punto giusto, forse giusto un po' più sotto del punto giusto, troppo fermo e pretenzioso.
Il sorrisetto farlocco che Yasuhiro aveva mostrato fino a quel momento svanì. Troppo, troppo rapidamente, il suo viso si trasformò in un grugno beffardo e superbo. Lo guardò dritto negli occhi, come un anziano si permette di fare con un ragazzo.
Sappi che tu non mi sei mai piaciuto. Non mi è mai calata giù la storia che te ne sei andato a Tokyo per studiare robaccia inutile. Hai solo prolungato di un annetto le agonie a tuo padre, che ormai non ce la faceva più di lavorare.”
A Kaoru non si stupì di questa reazione, anzi era certo che non gli stava molto a genio. Ma era meglio mantenersi calmi, in fondo lui è solo un ragazzo che ha dovuto prendere in mano un'azienda, ma è ancora troppo inesperto per destreggiarsi in mezzo a tutti i cavilli, e manca di consenso tra i comproprietari. Invece, visto il suo ruolo di direttore di una conosciuta azienda di assicurazioni, lui tutte queste cose le aveva.
“Quello che io ho fatto a Tokyo è stata una cosa che abbiamo deciso tra me e mio padre. È solo una questione tra noi due. Magari avrò fatto robaccia, ma non è stata un'esperienza inutile.”
Il grugno si tramutò in un sorriso, che non mancava però di superbia. Un sorriso sadico, il sorriso tipico di chi guarda le persone dall'alto verso il basso.
In ogni caso, sì, è teoricamente possibile. Solo che per essere attuabile una cosa di questo genere ci deve essere qualcuno favorevole a ottenere la quota principale. Non credo che lo troverai.”


Uscito da quell'ufficio, Yamazaki tornò a respirare l'aria aperta, vuota di trucchi e di abiti eleganti, a vedere gente dalle movenze informali di ogni giorno. Si sentiva un pesce fuor d'acqua lì dentro. Varcata la soglia, si sbrigò a girare l'angolo e a riordinare i pensieri. Non sapeva nemmeno lui cosa avrebbe voluto ottenere da quella discussione, ma suo padre lo aveva disincantato abbastanza da sperare in positivo. Almeno sapeva che quello che voleva fare era possibile. Solo che nessuno glie lo avrebbe permesso. Non poteva mandare a far benedire tutta la ditta e il lavoro e l'orgoglio di suo padre, ma aveva bisogno di qualcosa per...
Il suo cellulare si mise a vibrare. Perplesso, lo raccolse dalla tasca: un email. Non ricordava nemmeno di aver lasciato funzionante la rete dati. In campagna da lui era abbastanza inutile, ma già vicino agli uffici di Yasuhiro funzionava bene. Un email da Tatsuhiro.
“Yamazaki, mandami presto la sceneggiatura. Sato.”
...
Quindi pure Sato pensava ogni tanto al loro videogioco. Lui nemmeno si ricorda quando è stata l'ultima volta che si sono visti.
Cosa dovrebbe fare? Tutti si aspettano qualcosa da lui. Lui stesso si aspettava tanto da sé. Quando era ancora a Tokyo voleva fare la rivoluzione. Da dove gli era saltata l'idea di incominciare una rivoluzione coltivando piante? Certo, erano piante piuttosto “rivoluzionarie”, ma di certo non avrebbe ricominciato una rivoluzione, se non tra un gruppetto di sbandati.
Ci pensò mentre mescolava placidamente una tazza di cioccolata calda in un bar posto di fronte gli uffici di Yasuhiro. Lui ancora poteva permettersi di pensare alle rivoluzioni? Stava per mettere su famiglia, si era già preso in mano una ditta, e doveva pensare a mandarla avanti. Fissò l'orologio appeso sopra l'ingresso.
Ventiquattro ore non bastano più per farsi piacere la vita. Ma del resto, la vita lo ha imposto, così come impone un sacco di cose che non piacciono a nessuno. E dobbiamo vivere per saperci regolare, no?
Saperci regolare significa saper fare una scelta. Saper scegliere cosa ritagliarci in quelle cazzo di ventiquattro ore.
E io non riesco a vedere nient'altro se non due alternative: me e Sato, oppure mio padre e l'azienda.
Cosa dovrei scegliere? Cosa dovrei mandare allo sfacelo? Chi devo deludere?
Ripensò a Sato, a Kashiwa, e ai loro complotti.
N.H.K., l'organizzazione che ci manopola a nostro piacimento. Ma ha un senso una cosa del genere? Perché?
Alzando lo sguardo, noto Yasuhiro che usciva dal suo ufficio, tutto indaffarato a controllare l'orario e a fare mente locale sui suoi impegni. Non era ancora l'orario di chiusura, ma lui poteva permettersi di uscire prima. Teneva in mano la sua valigia piena di documenti, molto probabilmente gli stessi che gli aveva visto sulla scrivania.
Facciamo finta che lui sia dell'N.H.K.. Sono abbastanza dell'idea che in questo momento mi faccia fare quello che vuole. Anzi, lo fa, grazie a quella fottuta assicurazione sulla vita. Perché lo fa? Cosa ne trarrebbe?
La risposta è semplice: soldi, e notorietà tra i suoi colleghi. Lui ovviamente non guadagna tutto il necessario con Kaoru, però grazie a me si fa bello con gli altri comproprietari, e sopratutto si può permettere di pensare tranquillamente alle altre assicurazioni che stipula. Lavoro per ottenere altro lavoro, che da più soldi di prima. Tutto lì.
“L'N.H.K. vorrebbe solo questo? Manipolarci per ottenere soldi e manipolare altre persone per ottenere ancora più profitti? In effetti per logica il ragionamento fila: manipolo il merchandising degli anime così le persone comprano, magari diventano hikikomori e inizieranno a spendere solo per questo. E magari si inizierà a spendere in movimenti e associazioni in aiuto agli hikikomori.”
A un tratto un particolare saltò in mente a Kaoru. Sato voleva combattere proprio contro l'N.H.K., senza doverci convivere. E lui si convinse che poteva riuscire a battere Yasuhiro. La sua mente iniziò a macinare idee e ipotesi, se è possibile una cosa di quel genere. Pensava a documenti, a tutti i documenti che gli sono passati davanti in azienda. Aspettò fremendo che Yasuhiro se ne andasse, dentro la sua Alfa Romeo. Si alzò frenetico e rientrò dentro gli uffici, dove trovò una segretaria.
Prego?”
“Oh, di nuovo buongiorno, mi ha visto prima, ero andato a parlare con Yasuhiro nel suo ufficio, ma mi sono dimenticato lì due miei documenti.”
Quella lo fissò dalla testa ai piedi, chiedendosi se mai un ragazzo come lui potesse essere in affari col suo direttore.
“Non si ricorda di me?” si chiese Yamazaki.
Ah, sì, tu sei Yamazaki! Quasi mi dimenticavo di te e di tuo padre. Eh, grande lavoratore...sì sì, prenditi quello che devi!”
“Grazie!”
Tornando verso l'interno degli uffici si guardò intorno. Fissò il bianco impeccabile del tetto e dei neon.
“Sì cazzo, avevo ragione!”
Si fiondò nell'ufficio del direttore. La scrivania era praticamente vuota, ad eccezione del monitor del suo pc e di materiali di cancelleria. Ma nei cassetti sicuramente avrebbe trovato quello che cercava.
E invece questi erano vuoti, a parte altra cancelleria. Come è giusto che sia, visto che tutti i documenti li aveva lui.
“No, non può essere, deve avere delle copie...forse...”
Accese il pc. Doveva fare in fretta. Sperava che un tipo come Yasuhiro fosse abbastanza smemorato per tenere una password nel suo pc di lavoro. Si sbagliò, ma scoprì che in fatto di pc Yasuhiro era combinato molto, ma molto male. Aveva scritto la password nel suggerimento.
“E la mia famiglia da anni stipula assicurazioni con lui...”
Lo sgomento passò quando riuscì a trovare quello che cercava. Ordinatamente in una cartella vi erano tutte le fatture.
“Ecco! Lo sapevo! Una fattura per un impianto di aerazione, per dei condizionatori...il tutto portato fin qui e installato, come è giusto che sia. Se non fosse che qui non c'è nessun impianto di aerazione, tanto meno dei condizionatori!”
Mandò tutto soddisfatto una mail, cancellando poi le tracce, e si copiò queste fatture in un cloud on-line.
Sapeva di un sacco di rimborsi IVA e di agevolazioni che lo stato offre alle aziende che spendono in migliorie per gli edifici. Yasuhiro voleva approfittarne.
Ha detto di voler dichiarare queste fatture, false, che riguardano acquisti che non ha fatto. Ciò, a casa mia, si chiamerebbe dichiarazione fraudolenta.

Commento dell'autore:
Mi sono sentito abbastanza sollevato nell'aver finito questo capitolo. E mi sono rivisto un attimo in Yamazaki. S'era sentito perso e poi è riuscito a capovolgere la situazione. Io, all'inizio della stesura di questo capitolo, sudavo freddo. Non avevo la minima idea di come fare finire la storia di Yamazaki. Due settimane fa, o forse anche una, mi sono poi deciso che dovevo per forza darmi una mossa e fargli dare una mossa. Ho scritto abbastanza di getto, come al mio solito, questa storiella infilandoci pure un attimo di intrighi di aziende e cose così. Sono dubbioso sul risultato finale, ma posso dire di essermi divertito.
Il prossimo capitolo molto probabilmente sarà l'ultimo. E niente, non è un informazione utile, ma volevo condividerla.
Stay tuned!
  
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