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Autore: WhiteLady14    25/01/2015    6 recensioni
SPOILER grossi come una casa per Lo Hobbit: la Battaglia delle Cinque Armate!!!
***
Thranduil chiede a Legolas di cercare un Ramingo chiamato Grampasso, questo si sa: cosa succede dopo? Come si sono conosciuti l'erede di Isildur e il Principe di Bosco Atro?
Una sera, molti anni dopo, due piccoli Hobbit si pongono le stesse domande, e Legolas racconta...
Racconta di un viaggio verso Nord, di un uomo e un Elfo e della nascita di un'amicizia destinata a sopravvivere perfino all'oscurità di Sauron...
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Mia prima fanfiction sul Signore degli Anelli.. quindi non vi dico quanto terrore abbia di aver stravolto i personaggi, né quanto ci sia voluto perché mi convincessi a pubblicarla…
Per il resto, credo che il titolo dica tutto: gli Hobbit sono curiosi e Legolas racconta… tutto nato da una nascente mania per tutto ciò che riguarda LOTR e dalle lacrime davanti al finale di BOTFA, ma sorvoliamo…
Un grazie enorme a MissWilde25, che ha letto questa cosa per prima, ha corretto i miei errori di ortografia e, soprattutto, ha ancora il coraggio di sopportarmi anche quando qualunque essere sano di mente non mi rivolgerebbe più la parola da qui all’eternità <3<3
 
Spero di non aver stravolto la Terra di Mezzo, la geografia non è mai stata la mia materia preferita…
Non credo di aver altro da aggiungere, ma lasciate un commentino, anche le critiche sono benvenute ^^
Buona lettura!!
 
WhiteLady14

 
 
I personaggi non mi appartengono -ad eccezione forse del cavallo di Legolas- ma sono di J.R.R. Tolkien e al massimo di Peter Jackson, e, purtroppo, da questa storia io non ci guadagno assolutamente niente…
NOTA: Le parole scritte da parentesi [] sono la traduzione dell’elfico
 

Di Hobbit curiosi, racconti e uccellini feriti
 

 
«Ci accampiamo qui.»
Al comando di Aragorn, la Compagnia dell’Anello fu ben felice di lasciarsi cadere a terra in una piccola radura protetta dalla foresta che precedeva l’Agrifogliere, evitando accuratamente i piccoli mucchi di neve ancora gelata sotto l’ombra degli alberi.
I quattro Hobbit iniziarono immediatamente a svuotare le bisacce e Sam fu incaricato di preparare la cena per tutti i compagni, mentre Gimli e Boromir iniziavano un’accesa discussione sull’utilità della folta barba intrecciata del Nano –l’uomo sosteneva che potesse essere pericolosa in battaglia, impigliandosi nell’armatura- sotto lo sguardo divertito di Gandalf.
Aragorn si sedette accanto a Legolas, che osservava le stelle con la schiena appoggiata ad un albero e una mano posata su una delle radici, in ascolto di qualcosa che nessuno oltre a lui riusciva a sentire. «Va tutto bene, mellon-nin?» [amico mio] chiese notando la sua espressione pensierosa.
«Sono solo un po’ malinconico, Estel, niente di cui tu debba preoccuparti. Presto il nostro viaggio ci porterà lontano dalle foreste, vero?»
Aragorn annuì: a breve avrebbero attraversato l’Agrifogliere, poi li avrebbe attesi il Caradhas e, a meno che non avessero fatto una lunga deviazione verso Lothlòrien, non avrebbero più messo piede in una foresta per molto tempo.
Il Ramingo sapeva bene quanto il suo amico fosse legato alla natura, aveva assistito lui stesso con sgomento alla reazione degli alberi di Eryn Galen quando lo aveva visitato anni prima, notando come sembrassero bisbigliare una lingua che solo gli Elfi Silvani riuscivano a comprendere e come accarezzassero la figura del principe con le loro foglie più verdi; non faticava a capire che Legolas fosse triste all’idea di allontanarsi per lungo tempo dalle foreste, oltretutto in favore dell’oscurità di Mordor.
«Hai sentito?» chiese all’improvviso l’Elfo, alzando la testa verso le cime degli alberi.
«Che cosa?» non fece in tempo a finire la frase, che il suo amico aveva già iniziato ad arrampicarsi con l’agilità tipica della sua razza ed era scomparso tra le foglie. Aragorn si alzò in piedi e cercò di scorgerlo, circondato da tutta la Compagnia, di cui avevano attirato l’attenzione. «’Las? Mi vuoi dire che succede?» domandò, leggermente preoccupato, quando non lo videro più comparire per lunghi minuti.
«Il fatto che tu mi conosca da più di sessant’anni non ti dà il diritto di appiopparmi certi nomignoli, Estel.» lo ammonì una voce alle sue spalle e, voltandosi, Aragorn si accorse di non aver sentito Legolas scendere con un balzo da un altro albero e atterrare sul tappeto di foglie secche.
«Voi due vi conoscete già??»
«Quello cos’è?»
Le voci di Merry e Pipino si erano sovrapposte e Legolas si voltò verso di loro, aprendo le mani per mostrare il piccolo uccellino accoccolato tra di esse; l’animale teneva un’ala stretta al corpo e l’altra piegata in modo innaturale. Un dolce sorriso illuminava il volto dell’Elfo quando si inginocchiò e posò la creatura su un masso coperto di muschio. «Ho conosciuto Aragorn molto tempo fa, e questo è un tordo, mio caro Pipino, ed è ferito.»
Anche Frodo si avvicinò, osservando l’uccellino con i suoi grandi occhi azzurri. «Mio zio Bilbo ha parlato di un tordo, nel suo libro… solo, non ricordo perché.»
«Thorin Scudodiquercia lo definì un simbolo di speranza, quando lo vide volare verso Erebor(*).» fu la voce profonda e pacata di Gandalf a rispondere, non senza un velo di tristezza.
«Bilbo non parla mai della sua impresa con i Nani, a stento mi ha fatto leggere qualcosa…»
«Credo che per lui sia ancora troppo doloroso, mio caro Frodo… lui e Thorin erano diventati grandi amici, la sua morte è stato un duro colpo per tuo zio… ma venendo a storie più divertenti: perché non racconti ai nostri amici Hobbit come hai conosciuto Aragorn, Legolas? Lo ricordo come un racconto interessante.»
«Oh, sì, ‘Las! Racconta!» Estel si beccò un’occhiataccia mentre Legolas si alzava lentamente in piedi.
«Aragorn?» sul suo volto si era fatta strada un’espressione così angelica che gli Hobbit arretrarono: non sembrava promettere niente di buono… «Fossi in te inizierei a correre…»
Aragorn lo guardò con gli occhi sgranati, probabilmente chiedendosi se quello che aveva davanti fosse lo stesso, malinconico e silenzioso Elfo di poco prima, prima di riconoscere nel suo ghigno lo stesso che avevano Elrohir ed Elladan quando stavano per combinare qualcosa ai suoi danni, ad Imladris.
Tra le risate del resto della Compagnia, il Ramingo scattò in una folle corsa, seguito a breve distanza dall’Elfo, che teneva tra le mani una grossa palla di neve. Non sentendo più i passi dell’amico dietro di sé, l’uomo, giunto ai margini della radura, iniziò a rallentare, salvo poi trovarsi davanti proprio Legolas e la palla di neve di cui sopra direttamente in faccia.
Attuata la sua piccola vendetta su Aragorn, il Principe di Bosco Atro si appoggiò con la schiena ad un albero, tenendo dolcemente stretto al petto il tordo ferito, e, assicuratosi di avere l’attenzione di tutti, iniziò a raccontare.
 
-Flashback-
 
Legolas Verdefoglia, figlio di sire Thranduil, si chinò sul collo del giovane stallone pomellato e gli chiese dolcemente di rallentare; era in viaggio da quasi un mese, esattamente il tempo che era passato da quando si era conclusa la Battaglia di Erebor, quella che gli Uomini avrebbero cantato come la Battaglia delle Cinque Armate.
Quando suo padre gli aveva chiesto di partire per il Nord, in cerca di un Dùnadan chiamato Grampasso, l’Elfo era stato sollevato all’idea di lasciare la Desolazione di Smaug: troppe morti in quel luogo, troppo dolore da sopportare; Thorin Scudodiquercia aveva assicurato la vittoria ai Popoli Liberi, ma aveva pagato con la vita insieme ai nipoti, e nelle orecchie di Legolas echeggiava ancora il pianto di Tauriel, inginocchiata accanto al corpo del più giovane erede di Durin.
Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri e i suoi occhi blu scrutarono l’oscurità che stava iniziando a calare. Presto sarebbero iniziate le lande desolate del Nord, e lui e il suo cavallo avevano bisogno di un posto in cui riposare, e quel villaggio di cui Legolas scorgeva il fumo in lontananza poteva essere l’ideale.
Impiegò ancora alcune ore prima di raggiungere le porte del villaggio, che stavano per essere sprangate per la notte, e Roheryn camminò stancamente per le strade strette, gli zoccoli che battevano sul selciato, attirando l’attenzione di molti, con la sua imponenza e lo strano uomo incappucciato che lo cavalcava senza sella né redini.
Legolas guidò l’animale verso la stalla dell’unica locanda presente e scese con un balzo, avvicinandosi allo stalliere, poco più di un ragazzino, che era uscito per accoglierlo. «Posso aiutarvi, signore?» chiese quello senza distogliere gli occhi luccicanti di meraviglia da Roheryn.
«Hai posto per lui, stanotte?» l’Elfo non accennò a togliersi il cappuccio e si limitò a porgere al ragazzo alcune monete.
«Aspettate qui.» rientrò di corsa nella stalla e ne uscì poco dopo, accompagnato dal padre, un uomo alto e massiccio, con gli stessi capelli rossi del figlio.
«Che magnifica bestia!» esclamò l’uomo avvicinandosi a Roheryn, che però arretrò, diffidente, battendo lo zoccolo per terra.
Legolas gli posò una mano sul collo e l’animale sembrò calmarsi all’istante. «Non ama essere avvicinato dagli estranei.»
«Ho notato. Non preoccupatevi per lui, signore, sarà trattato nel modo migliore: non ci capita spesso di vedere uno stallone così bello, da queste parti. Quanto a voi, nella locanda di mio fratello dovrebbero essere libere ancora delle camere, potrete trovare alloggio e un pasto caldo.»
«Vi ringrazio.» Legolas prese la testa di Roheryn tra le mani e poggiò la fronte contro la sua. «Hannon le, mellon-nin. Riposa, ora.» [Grazie, amico mio] mormorò lasciandolo alle cure dei due stallieri e allontanandosi verso la locanda.
La sala che costituiva l’unico ambiente al pianterreno era vecchia, sporca e impregnata di fumo e delle voci dei pochi avventori dai volti truci, ma il fuoco del grande camino emanava un piacevole calore e perfino Legolas, che non soffriva il freddo, fu contento di lasciarsi alle spalle l’umidità della notte.
L’Elfo si avvicinò al bancone, dove l’oste, simile in tutto al fratello incontrato nella stalla, stava servendo alcuni boccali colmi di birra a un gruppetto di contadini, e vi si appoggiò con i gomiti. «Avete una stanza libera e qualcosa da mangiare?» chiese, tirando indietro il cappuccio tanto da permettere all’uomo di scorgere il proprio volto, ma non le orecchie appuntite.
«Sedetevi, intanto, arrivo subito.» rispose sbrigativamente l’uomo indicandogli un tavolo libero in un angolo appartato.
Legolas distese le gambe stanche sotto il tavolo con un sospiro sollevato e appoggiò l’arco al muro accanto a sé, a portata di mano, tenendo legati alla schiena la faretra e i due coltelli dal manico bianco dono di suo padre.
Quando l’oste gli posò davanti un piatto di stufato bollente e un boccale di birra, che l’Elfo non sfiorò nemmeno, lo fermò prima che potesse allontanarsi. «Scusate, buon uomo. Sto cercando un Ramingo del Nord, per caso sapete dove potrei trovarlo? Mi risparmiereste una lunga ricerca in queste terre.»
L’oste trascinò una sedia accanto al tavolo e si sedette. «I Raminghi sono gente strana, devo avvisarvi… vagano qua e là, nessuno sa da che parte siano schierati, qui al villaggio non sono visti di buon occhio. L’unico lato positivo è che, vivendo nelle lande a Nord, uccidono le terribili creature che le abitano prima che arrivino da noi.»
Legolas inclinò la testa di lato e i capelli biondi gli scivolarono intorno al viso, uscendo dal cappuccio. «Siete diventato triste. Posso chiedervi il motivo?»
«Potete, dal momento che intendete avventurarvi in quelle terre. Un anno fa, un gruppo di Raminghi arrivò nel nostro villaggio e ci chiese ospitalità: erano inseguiti da un branco di lupi del Nord, quelle bestie maledette! Se non fosse stato per i Raminghi, ci avrebbero uccisi tutti: quegli uomini del Nord ci salvarono la vita, ma la mia povera moglie… non potei fare nulla per lei…»
«Mi dispiace molto.» era sincero: sapeva bene cosa significasse perdere qualcuno di amato per colpa di quell’oscurità dilagante. Dopotutto, Eryn Galen era continuamente bersagliato dagli attacchi di quei maledetti ragni e, nei suoi duemila anni di vita, Legolas aveva visto molti, troppi amici cadere in battaglia.
«Vi ringrazio, mastro Elfo.»
Legolas alzò la testa di scatto, gli occhi spalancati. «Come…?»
«Le vostre armi.» accennò all’arco intarsiato. «Non capiscono cosa significhino, ma quelle sono senza dubbio rune elfiche; e poi ho notato che state molto attento a non mostrare del tutto il vostro viso.»
«Dovete perdonarmi, ma non so di chi potermi fidare.»
«E fate bene ad essere prudente. Prendete questo villaggio: siamo gente semplice, ma qui molti sono bigotti e creduloni e non apprezzano gli stranieri, men che meno gli Elfi. Per vostra fortuna,» aggiunse con un sorriso. «io non condivido le loro idee.»
Legolas ricambiò con un cenno del capo. «In quanto ai Raminghi?»
«L’ultima volta che ne ho sentito parlare, alcuni giorni fa, parte di loro erano accampati poco lontano da qui e si stavano addentrando nelle lande. Se partirete all’alba, forse potrete raggiungerli prima che superino i crepacci ad est ed evitare di viaggiare da solo: quelle zone sono le più pericolose e sembra che brulichino di Orchi.» richiamato da un cliente che chiedeva altro vino, l’oste rivolse un ultimo sorriso all’Elfo e si dileguò, lasciandolo solo.
Sistemandosi meglio il cappuccio sul viso, curando di nascondervi i capelli, Legolas abbandonò la sala chiassosa e si ritirò nella stanza che l’oste gli aveva dato: l’alba non era poi così lontana e a breve lo avrebbe atteso l’ultima parte del suo viaggio.
 
Roheryn tirò indietro la testa con uno sbuffo infastidito quando uno scoiattolo saettò tra le sue zampe arrampicandosi sull’albero più vicino e Legolas gli accarezzò il collo sudato. Erano partiti all’alba, come previsto, e avevano tenuto un ritmo serrato fino a metà pomeriggio, nella speranza di raggiungere i Raminghi, e ora perfino il possente stallone elfico iniziava a dare segni di stanchezza.
Il suo cavaliere scese e si chinò ad esaminare il terreno. I Raminghi erano molto bravi a nascondere le proprie tracce, ma raramente qualcosa poteva sfuggire agli occhi di un Elfo, soprattutto se si trattava di poche orme di zoccoli che avevano deviato dal sentiero per addentrarsi nella foresta, mentre un numero maggiore aveva proseguito per la via tracciata.
Sarebbe stato molto più logico seguire queste ultime, ma uno strano presentimento lo fece inoltrare tra gli alberi, lasciando Roheryn, troppo grosso per il fitto sottobosco, a brucare pazientemente nell’attesa.
Con un sospiro sollevato, l’Elfo aprì le mani e le posò sulle piante del sottobosco che gli arrivavano all’altezza dei fianchi, gioendo della vita che sentiva scorrere al loro interno; ancora prima che potesse udire un rumore di passi, furono proprio le piante a sussurrargli che qualcosa si stava muovendo.
Lentamente, cercando di non fare alcun rumore, Legolas incoccò una freccia e tenne l’arco abbassato e pronto a colpire al minimo segno di pericolo, mentre continuava ad avanzare. Ben presto, un piccolo accampamento fu visibile tra le foglie e Legolas si fermò, osservando il suo occupante.
Questi era un uomo che non dimostrava più di vent’anni, i capelli castani che gli cadevano fino alle spalle celandogli il volto, e indossava gli abiti tipici dei Raminghi, con i loro stivali consunti e i mantelli grigio-verdi che, quasi quanto quelli elfici, permettevano loro di mimetizzarsi tra le rocce. Dietro di lui stava un cavallo dal manto baio, evidentemente entrato nel bosco per un sentiero diverso da quello che aveva preso Legolas.
Fu proprio l’animale ad accorgersi per primo della presenza silenziosa dell’Elfo e ad alzare la testa verso di lui, le orecchie dritte, e a mandare un debole richiamo, attirando anche l’attenzione del suo padrone, che si alzò di scatto, imbracciando la spada.
«Chi siete?» chiese al nulla, con voce limpida e chiara, tipica di chi è abituato a comandare, gli occhi grigi, che Legolas aveva visto solo in coloro che avevano sangue elfico, intenti a scrutare la penombra della foresta.
Senza il minimo rumore, l’Elfo uscì allo scoperto, l’arco abbassato ma il cappuccio ancora sul volto. «Non credo di dover rispondere ad un Ramingo.» rispose quasi con noncuranza.
Vedendo che il visitatore non aveva intenzioni ostili, l’uomo abbassò leggermente la spada e le sue spalle si rilassarono. «Ho il diritto di conoscere chi è tanto silenzioso da sorprendermi alle spalle. Inoltre, mi stupisce che non mi abbiate ancora attaccato: è difficile trovare pietà, da queste parti.»
«Se aveste rappresentato una minaccia per me, credetemi, vi avrei colpito prima che aveste avuto il tempo di alzarvi.» Legolas ripose la freccia nella faretra e assicurò l’arco alla schiena, gettando indietro il cappuccio.
L’uomo mostrò meno sorpresa di quanto si sarebbe aspettato. «Un Elfo Silvano: ora capisco perché non vi ho sentito arrivare.»
Imitando il Ramingo, che era tornato a sedersi con la spada posata in grembo, Legolas accennò un sorriso. «Posso chiedervi per quale motivo avete abbandonato il resto dei vostri compagni e vi siete addentrato qui?»
«Lupi del Nord sono stati visti aggirarsi da queste parti, e io ne sto inseguendo uno che è entrato nel bosco; sospetto che sia in cerca di cibo, e la fattoria di contadini che si trova dall’altra parte degli alberi è un ottimo pasto per una di quelle belve.»
L’Elfo spalancò i begli occhi blu. «Roheryn!»
«Come?»
«Ho lasciato il mio cavallo al di fuori del bosco, potrebbe essere una facile preda.»
«Non credo sia il momento per chiedervi per quale motivo mi abbiate seguito.»
«Vi risponderò, invece: sto cercando un Ramingo che chiamano Grampasso. Lo conoscete?»
Un lampo attraversò gli occhi dell’uomo, ma Legolas non lo notò. «Ne ho sentito parlare, pare che sia un tipo piuttosto solitario, non ci segue spesso e preferisce cacciare gli Orchi da solo.»
Un nitrito lontano arrivò alle loro orecchie e Legolas si alzò. «Potrete parlarmi di lui più tardi, ora, se non vi dispiace, vorrei salvare Roheryn e liberarci della scomoda presenza del lupo.»
Prima che il Ramingo potesse aggiungere una sola parola, era già scomparso tra le cime degli alberi, scivolando su rami che sembravano troppo sottili per reggere il suo peso; abituato alle stranezze degli Elfi, il cacciatore richiamò con un fischio il cavallo e gli balzò in groppa, spronandolo a seguire l’Elfo.
Quando il Ramingo uscì dal bosco, la scena che si trovò davanti gli parve quasi irreale: una pattuglia degli Orchi che infestavano la regione aveva visto nello splendido cavallo grigio una facile preda, al punto da non accorgersi di essere osservata, e si era lasciata cogliere di sorpresa.
Lo stallone, illeso, drizzò le orecchie verso di lui, ma gli occhi dell’uomo erano concentrati sui cadaveri di almeno una decina di Orchi, trafitti da altrettante frecce conficcate esattamente nelle fessure tra le placche dell’armatura, mentre i pochi rimasti stavano combattendo contro l’Elfo che, armato dei due lunghi pugnali che gli aveva visto legati alla schiena, si muoveva tra loro con una grazia mortale.
Il Ramingo aveva visto combattere molti Elfi, eppure quello sembrava più rapido e in un certo senso più feroce dei suoi compagni, come se fosse abituato a scontri simili. Riscuotendosi, l’uomo sguainò la spada e decapitò il primo Orco che gli si parò davanti, conficcando poi la lama nel ventre di un altro.
In poco più di qualche minuto, i cadaveri di quei mostri giacevano sul terreno in una pozza di sangue e Legolas stava pulendo le lame prima di riporle nei loro foderi.
«A quanto pare non si trattava di lupi.»
Si voltò verso il Ramingo mentre calmava Roheryn con qualche carezza. «Purtroppo no.»
«Gli Orchi stanno aumentando di numero.»
Legolas si chinò ad esaminare l’armatura di un Orco. «Ho già visto queste armi… Sono sfuggiti alla Battaglia di Erebor, mi sorprende che nessuno abbia tentato di fermarli.»
«Avete combattuto ad Erebor?»
Scuotendo la testa, l’Elfo salì in groppa a Roheryn con un balzo. «Non è qualcosa di cui amo parlare.» rispose, notando il tono curioso del Ramingo.
L’uomo annuì montando anch’egli a cavallo. «Dove andrete ora?»
«Continuerò la ricerca di Grampasso.»
«Perché non vi unite a noi, intanto? Non è piacevole passare la notte da soli in queste zone: c’è freddo e non mancano le brutte sorprese. E avrei piacere di conoscere il vostro nome.»
Legolas voltò lo stallone sulle tracce dei Raminghi che aveva individuato prima. «Mi chiamo Finian, e accetto con piacere l’offerta.» era più saggio non rivelare la propria vera identità, ancora non era certo di potersi fidare del tutto di quell’uomo, che per altro non sembrava per nulla intenzionato a dirgli il proprio nome.
Accompagnati solo dal battere ritmico degli zoccoli dei cavalli sul terreno, i due ripresero il cammino in silenzio, diretti verso l’accampamento dei Raminghi.
 
«Fermi! Chi siete?» tuonò una voce quando scorsero i fuochi dell’accampamento.
«Non si riconoscono più gli amici? Siamo stanchi, lasciaci passare!»
Alle parole del Ramingo, la sentinella fece loro cenno di procedere e i due entrarono nel cerchio di luce di un falò, intorno a cui stavano seduti cinque Raminghi incappucciati.
Uno di loro si alzò e, non appena questi fu sceso da cavallo, abbracciò l’accompagnatore di Legolas. «Temevamo non saresti più tornato.» disse mentre si calava il cappuccio, gli occhi nocciola accesi dello stesso sorriso che gli tendeva le labbra.
«Sai che torno sempre, Halbarad.»
«Porti un prigioniero, amico mio?» Halbarad accennò a Legolas, il cui volto restava nascosto all’ombra nel cappuccio.
«Rischi di risultare offensivo, sai? Amici miei, vi presento Finian. L’ho incontrato nel bosco e ho distrutto con lui una pattuglia di Orchi.»
«Un Elfo!!» l’esclamazione era uscita dai petti di tutti i Raminghi, ma Halbarad fu il primo a farsi avanti e a salutare Legolas con un leggero inchino. «Non vediamo Elfi da queste parti da molto tempo.»
«La mia gente non ama la desolazione di questi luoghi.» rispose Legolas accettando l’invito a sedersi accanto al fuoco, la schiena appoggiata al ventre caldo di Roheryn che, incurante della presenza degli altri uomini, si era sdraiato dietro al padrone.
«E non li biasimo!» intervenne un altro Ramingo, alzando un boccale. «Qui non si trova niente a parte erbacce, pietre e Orchi!»
Legolas lasciò che i capelli biondi gli coprissero il volto quando abbassò la testa, sorridendo. «Preferisco di gran lunga le foreste di Bosco Atro, allora.»
«Pur con i ragni che le infestano?» si levò la voce curiosa del Ramingo dagli occhi grigi.
«Ho difeso la mia casa per secoli contro i ragni, ora che finalmente sta tornando la pace non la abbandonerei per niente al mondo.»
Lo sguardo del Ramingo si rabbuiò. «Temo che la pace non durerà a lungo… forze oscure si muovono ai confini di Gondor, sire Elrond lo ha predetto…»
Halbarad gli assestò una forte gomitata nelle costole. «Hai la capacità di rovinare qualsiasi bella serata! Accidenti a te, Grampasso!»
Legolas sussultò e, lentamente, si voltò verso il Ramingo. Lo osservò con attenzione, notando la sorpresa e forse la colpa attraversare i suoi occhi chiari. «A quanto pare, mi hai mentito. E così non conoscevi Grampasso, vero?» chiese, passando direttamente al tu, la rabbia che trapelava dalle sue parole.
Grampasso, inaspettatamente, si limitò a portarsi la mano destra al cuore e chinare la testa nel saluto elfico, segno di grande rispetto. «Ci siamo mentiti a vicenda… Legolas Thranduilion, Principe di Bosco Atro.»
I Raminghi mormorarono tra loro –quello era il figlio del famoso Re Thranduil? Decisamente, era diverso da come si sarebbero aspettati, conoscendo il padre- ma Legolas non ci fece caso. «Tu sapevi?»
«Avevo intuito che mi nascondessi qualcosa, ma ne ho avuto la conferma quando ti ho visto combattere con gli Orchi: il Principe di Eryn Galen è conosciuto per essere il migliore arciere di questa Era. E adesso, posso sapere che cosa può fare Grampasso per te?»
«Mio padre mi ha chiesto di cercarti, sostiene che avrai un ruolo importante in quello che ha da venire.»
Grampasso gli fece cenno di seguirlo ai margini dell’accampamento, dove potevano parlare lontano da orecchie indiscrete. «Anche Elrond mi disse qualcosa su di te, molto tempo fa.»
«Spero non fosse niente di terribile! I suoi figli, Elladan ed Elrohir, tendono a parlare molto male di me…»
Grampasso sorrise. «Parlano male di chiunque, non ti preoccupare, soprattutto se si tratta di un caro amico. Elrond, invece, aveva predetto che mi avresti aiutato a compiere quello che… beh, quello che lui definiva il mio destino…»
«Per quale ragione Elrond di Gran Burrone è tanto interessato ad un semplice Ramingo del Nord?»
L’uomo sospirò e si voltò verso di lui. «Da queste parti mi conoscono come Grampasso, ma il mio vero nome è Aragorn, figlio di Arathorn.»
Legolas spalancò gli occhi e scrutò il Ramingo da capo a piedi. «Un Capitano dei Dùnedain…» mormorò in elfico. «L’erede di Isildur… Colui che siederà sul trono di Gondor, quando l’Albero Bianco tornerà a fiorire…»
Aragorn si strinse nelle spalle. «Così sembra.» tacque un istante. «Legolas?»
«Dimmi.»
«Tuo padre crede davvero che io possa regnare su Gondor, un giorno?»
«Non so dirti cosa creda o meno mio padre, Aragorn. Ultimamente i nostri rapporti non sono molto… rosei, ecco.»
«Avevo sentito parlare del brutto carattere di Thranduil. Scusa, non volevo infierire…»
L’Elfo rise. «Non preoccuparti. Dire che mio padre ha un brutto carattere equivale a definire il drago Smaug un’innocua lucertola…» scherzava, ma ad Aragorn non sfuggì la tristezza nella sua voce.
«Mi dispiace, Legolas.» commentò sinceramente, tornando a osservare la volta stellata sopra di loro. «Adesso che mi hai trovato, cosa farai?»
«Beh… Ho appena trovato l’erede di Isildur, colui che riporterà la pace nella Terra di Mezzo: il minimo che possa fare è aiutarlo a restare in vita fino ad allora.»
«Come se mi servisse l’aiuto di un Elfo! Al limite sarò io a tenere in vita te!»
Legolas sorrise, non visto. Non aveva certo bisogno di qualcuno che lo proteggesse, però, in fondo, avere un amico non sarebbe stato poi così male…
 
-Fine flashback-
 
«E poi che cosa è successo?»
Merry parlò non appena Legolas ebbe finito il suo racconto, strappando un sorriso a Gandalf. La Compagnia si era riunita a semicerchio intorno all’Elfo e aveva ascoltato ogni parola nel più assoluto silenzio, perfino Gimli non aveva fatto alcun commento, offensivo o meno.
«Si sta facendo buio e domani dobbiamo ripartire molto presto.» si intromise Aragorn. «Dovete dormire, piccoli Hobbit.»
«Ma io non ho sonno!» un sonoro sbadiglio rovinò le proteste di Pipino.
«Il viaggio che ci aspetta è ancora molto lungo. Domani, se volete, vi racconterò qualcuna delle nostre avventure, d’accordo?» Legolas arruffò i capelli dello Hobbit e gli altri, piuttosto soddisfatti, acconsentirono e si avvolsero nelle coperte; poco dopo, il lieve russare degli abitanti della Contea e quello molto più marcato di Gimli risuonavano nella radura.
Aragorn, quando vide anche Gandalf e Boromir profondamente addormentati, posò una mano sulla spalla dell’Elfo. «Lo sai che domani non avrai un momento di pace, vero?»
«E’ da quando ti conosco che non fai che tempestarmi di domande, Estel, non mi faccio certo spaventare dagli Hobbit. Ora dormi, farò io la guardia stanotte.»
Il Ramingo rise, andando a sdraiarsi accanto allo stregone, e Legolas si sedette a gambe incrociate su un masso, la mano che scorreva tra le piume del tordo che ancora teneva in grembo. «Ti rimetterai presto, piccolo; dopotutto, sei stato la speranza di un popolo…» gli sussurrò accarezzandogli l’ala ferita.
Ad un certo punto, un mormorio lo raggiunse nel silenzio: «’Quel du, ‘Las.» [Buonanotte]
«’Quel du, mellon-nin.» rispose con un sorriso, poi si appoggiò all’arco e tornò a vegliare sulla Compagnia addormentata.
 
(*) citazione dal finale de Lo Hobbit: un viaggio inaspettato. La mia ossessione per Thorin Scudodiquercia ha raggiunto un livello preoccupante fin da quando ho letto il libro, e si vede….^^
  
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