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Autore: Lady Lazarus    26/01/2015    1 recensioni
[School Days]
Sekai.
Il mio nome è Sekai Saionji.
Sono stata la compagna di banco di Makoto Itou.
Ora sono all'aeroporto, con la valigia rossa ed il berretto nero. Un berretto di lana tipo basco parigino da foto di Doisneau, fa freddo, siamo a Gennaio.
Fa freddo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Una notte lontana da te e attendevo il giorno come una liberazione.

Un giorno senza i tuoi occhi ed ella ne muore, ragazzina di Nevers, monella di Nevers.

Un giorno senza le tue mani ed ella crede all’infelicità dell’amore.

Ragazza da niente, morta d’amore a Nevers.

Piccolo fantasma di Nevers, io ti lascio partire, stasera, storia da quattro soldi.

 Come fu per lui, l’oblio comincerà dai tuoi occhi, uguale.

Poi, come fu per lui, l’oblio avrà la tua voce, uguale.

Poi, come fu per lui, esso trionferà su di te tutto intero, a poco a poco, e tu diventerai una canzone …

 

Sekai.

Il mio nome è Sekai Saionji.

Sono stata la compagna di banco di Makoto Itou.

Ora sono all'aeroporto,  con la valigia rossa ed il berretto nero.  Un berretto di lana tipo basco parigino da foto di Doisneau, fa freddo, siamo a Gennaio.

Fa freddo.

 

Sono in partenza,  sì.

Da me stessa, prima di tutto.

Poi da Makoto. Non mi sento di parlarne.

Da KatsuraHikari e tutte quelle sgualdrine che se lo portano a letto.

Da Katsura,  soprattutto,  e da tutto ciò che direttamente o indirettamente mi collega a lei.

Da Katsura, e dalla consapevolezza di aver sempre perso con lei.

Da Katsura,  e da quel biglietto imbucato nella cassetta della posta di una bellissima ed accogliente casa, non la mia topaia. "È tutto tuo,  lo è sempre stato".

Non serve la firma né l'augurio di plastica ad essere felici insieme,  perché probabilmente non lo saranno affatto, perché il mio cuore non può andare oltre.

Cuore o kokoro, quel suono gutturale che ti rimbomba in gola, pronunciato dal labbro tremulo di chi sta per partire.  O che probabilmente non è mai arrivato.

 

Sto imparando ad apprezzare la precarietà dell'attesa all'aeroporto,  tutte quelle persone che camminano a passo svelto inseguendo vacue promesse, la voce all'altoparlante che ti ricorda quanto sia grande il mondo là fuori. E tu, misera nullità che sanguini nell'attesa e quasi ti compiaci di quel sapore ferroso che avverti nella bocca, sei invisibile alla massa frettolosa, perché il mondo scorre troppo velocemente per chi si crogiola lentamente nell'infelicità.

Chiudo gli occhi.

Li riapro e ho sopra di me un soffitto,  un soffitto sconosciuto.

Ma no, è solo il soffitto della mia camera, mi dico, è lui a non riconoscermi.

 Perché questa non è la Sekai sopra Makoto, sotto Makoto, dentro Makoto. Non è la Sekai che piange stringendo forte il cuscino, ma tenendo d'occhio tra le lacrime la spia luminosa del cellulare,  in attesa del suo messaggio. Non è la Sekai che si addormenta sapendo di aver dato l'ultimo bacio della buonanotte a Makoto.

È solo una bambola di pezza, rammendata alla bell'e meglio da quello stupido istinto di autoconservazione che si preoccupa solo dei parametri vitali.

 

 

***

 

 

So a cosa state pensando, e cioè che è sempre stata solo colpa mia dato che ho tollerato la libertà sentimentale e sessuale di Makoto, io che ho sempre sognato l’ Amore.

Sono stata io a spingerlo a comportarsi in quel modo, quando lui davvero stava cominciando a provare qualcosa. È il pensiero che mi fa più male. Non posso darvi torto.

 Makoto mi è piombato all’improvviso, non riuscivo materialmente a distoglierne lo sguardo, il solo sorriso scioglieva quel  gelo che in tanti anni mi si era diligentemente stratificato dentro.

Non mi importava come, ero disposta a giocare tutte le mie carte per far colpo su di lui, persino coesistere assieme al suo grande e primo (unico?) amore, persino aiutarlo a tornare da lei.

Tutto, pur di non perderlo.

 Sapevo anche che era uno sforzo inutile in verità, ma ormai avevo superato l’idea del possesso, Makoto non era più qualcosa di mio, non era nemmeno parte di me, bensì qualcosa in una terra desolata. Un qualcosa che riusciva a scaldarmi, seppure per un paio d’ore, a scatti intermittenti, per poi lasciarmi  intere giornate ad agognare quel calore.

Un amore del tutto disinteressato, quindi, ma che brava! Me ne ero quasi convinta, perché sapevo che era l’unico modo per tollerare la sua poliamoria.

 Tuttavia, non avevo fatto i conti con i miei sentimenti che, si sa, nascondono sempre una componente di egoismo.

Sapevo essere così generosa solo quando lui era al mio fianco, a pancia piena.

Poi cominciava il digiuno, le crisi, mi sentivo uno schifo perché non ero capace di dargli tutto ciò di cui aveva bisogno, mi detestavo.

Makoto non si rendeva conto di tutto ciò, per lui ero solo la Sekai gelosa che si arrabbiava quando lo vedeva con le altre ragazze.

 Era divertente a guardarsi da fuori, per carità!

Se tutto fosse stato così semplice non sarei qui, adesso, a combattere contro me stessa tra passanti sconosciuti.

Uno scontro perenne tra razionalità e passione.

La razionalità ha sempre avuto ragione, era inutile parlarne con Makoto perché gli avrei soltanto messo pressione, come ho finito per fare con la storia del bambino. Ormai avevo imparato a capirlo grazie all’intimità che si era stabilita tra noi e sapevo che ciò che mi dava era il massimo che poteva.

Ma ogni fibra di Sekai sente prima di pensare, proprio come ora avverto con tutto il mio essere la sua mancanza, per quanto provi a giustificarla.

Aspettate… L’aereo parte tra 40 minuti, devo cominciare ad avviarmi al gate!

 

Dove ero rimasta? Ah, sì. Per me l’unica cosa importante era continuare a restare al suo fianco, su questo punto ragione e cuore hanno sempre concordato. Quindi bisognava trovare il modo per superare questo ostacolo, poi ero convinta che col tempo le cose si sarebbero sistemate da sole.

Se ha rivisto Katsura è giusto così, magari ci ha anche fatto l’amore, non devo pensarci, non devo arrabbiarmi, prima saracinesca. C’è quel messaggio di Katou che ho intravisto, cavolo sapevo che c’era lei dietro, in qualche modo Makoto stava cercando di parlarmene e… seconda saracinesca e “Ciao Makoto! No, non sono sovrappensiero …”.

A volte non avvertivo quasi dolore, sembrava funzionare. I tessuti cicatrizzati sono i più resistenti.

 

Eppure qualcosa  continuava a ferirmi, in maniera capziosa, proprio quando ero convinta di aver superato.

Pensavo che Makoto fosse con qualcun’altra, ma una volta che sapevo, beh, il  crollo.

Che significa crollare?

Crollare vuol dire trascinarsi con quel poco di forza che rimane e tornarsene a casa, sola.

I passanti mi guardano, forse il mascara continua a colarmi, chissene.

 La rabbia.

 Il desiderio di non sentirlo più.

 Cancellare il numero, cancellare tutte le foto, tutte le canzoni, qualsiasi segno esterno che poi possa ricollegarmi a lui.

Torno a casa.

Riesco solo a buttarmi sul letto, vestita, il cellulare accanto, la spia che non si accende.

 Passo dal pianto al sonno, dal sonno al pianto, ancora una mattina gelida di Gennaio, ancora tutto bianco.

 Dalla rabbia alla disillusione, ore passate a letto con gli occhi sbarrati.

 Il soffitto che mi schiaccia, pur essendo così lontano.

 Dalla disillusione alla disperazione, Makoto non sarà mai mio, che idiota che sono!

 Meglio dirglielo, meglio di no, non oggi.

 Passano altre giornate, Makoto si fa sentire, torna a dormire da me, sono felice, un altro crollo.

Tutto da capo.

 

 

Ho ripercorso questo cerchio, nel deserto, tante volte. Poi mi sono accasciata, un’altra volta con lei, non ce la faccio più…

Agire, non solo pensare, perché da questo pantano non se ne esce a suon di riflessioni e compromessi.

Ammettere che Makoto non è innamorato di me, proprio non può esserlo, mentre io lo sono, e proprio non posso farne a meno.

 Distacco, se nessuno dei due riesce ad adattarsi all’altro, ammesso che sia giusto farlo.

Smettere di fare la bambina, i sogni sono fuori luogo. 

Non posso fare più nulla ormai, meglio sparire.

 

 

Due anni fa sono andata con la mia classe a visitare un museo, non conoscevo ancora Makoto.

 Passeggiando per i corridoi luminosi con sguardo distratto mi colpì una piccola tela, in un angolo della galleria.

Non so come descriverla,  era un groviglio di figure geometriche dipinte con colori scuri nel cui centro urlava qualcosa di inafferrabile.

 I contrasti sono l’unica verità che ci è data conoscere, ci ho sempre perso la testa.

 Mi sedetti sulla poltroncina rossa, spensi l’audioguida e cominciai ad osservarlo intensamente, ogni nervosa sfumatura, ogni piccola imperfetta incrostazione di colore che rivelava i tormenti di un cuore autentico.

Ero troppo presa dal caos che per la prima volta si palesava in tutta la sua sincerità per leggere chi fosse l’autore o il titolo dell’opera.

L’incanto mi sembrò durare poco quando fui richiamata da una compagna di classe, non so quante ore erano trascorse ma bisognava rientrare sul pullman.

Tutto il resto del museo aveva perso interesse, il tempo si era fermato in silenzio, c’eravamo solo io e quel quadro.

 È stato un po’ come morire, forse.

Al mio ritorno sul pullman, niente sarebbe stato uguale, perché adesso sapevo che esisteva quella bellezza che ho sempre ricercato.

 

 

***

 

 

La testa vuota, la valigia vuota, il viaggio a Kyoto che ho sempre desiderato.

Non so se Makoto abbia già letto il messaggio che gli ho lasciato, poco cambia, non verrà.

Per un momento mi chiedo con chi sia in questo momento, forse con Katsura. Sospiro. Anche lei troverà il mio messaggio, in fin dei conti è una brava ragazza, ha sempre amato Makoto quanto me, in maniera diversa.

Mi sistemo sulla poltrona turchese, spero che accanto a me non si sieda nessun passeggero perché non mi va di parlare con nessuno.

È solo una settimana, nel luogo dell’anima. Può darsi che al mio rientro tutto resti esattamente com’è, solo un po’ di amaro in bocca.

Non è vero che la valigia è del tutto vuota, ci sono i momenti bellissimi che ho passato con Makoto, da quelli proprio non voglio separarmi.

 

Avreste preferito che salutassi Makoto prima di partire,  con magari un bel coltello vermiglio nascosto dietro l'esile schiena?

Davvero la violenza, il litigio, le recriminazioni possono rappresentare l’unica soluzione di continuo?

È molto romantico aspettarsi tutto ciò, ma forse anche un po’ spettacolarizzato e forzato.

Non voglio essere l’eroina dark né impersonare la catarsi dell’amore non corrisposto.

Guardatemi bene: sono solo una ragazzina che probabilmente ha il suo diario con la copertina rosa rigida nascosto nel cassetto e che si mangia le unghie quando è nervosa.

Auguratemi buon viaggio!

 

 

È solo tuo e mio il finale.

Le canzoni non dicono mai la verità, purtroppo.

 

 

 

 

   
 
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