Una sala
circolare, sorprendentemente moderna per essere sita in cima alla torre più alta
del Ligue Château d’Examen, la sede ufficiale della Lega Pokémon. Una sola
finestra continua, uno squarcio vetrato nelle pareti che circondavano
l’ambiente, da cui era visibile la monumentale maestosità della regione di
Kalos. Solo quattro poltrone, di cui quella sul centrosinistra vuota in quanto
Narciso si trovava già a Luminopoli, segno che difficilmente chi frequentava
quella stanza riceveva ospiti degni di sedere.
Timeus, già vestito della sua armatura per la
apparizioni pubbliche, si sistemò con un clangore metallico e annunciò « Cinque
minuti ».
Ginger annuì e prese un respiro profondo. Lei e
ciò che rimaneva della Seconda Unità dopo l’incidente del settimo piano – Sandy,
Terence e Kibwe – erano costretti a restare in piedi. Non che valesse la pena
mettersi comodi per il poco tempo a loro disposizione: tra poco più di quattro
ore avrebbe avuto luogo la nomina di Lysandre Faubourg a nuovo Presidente e
Grande Assessore, e ovviamente non sarebbero potuti mancare i suoi quattro
influenti sponsor. Tutto lasciava intuire che fossero sul piede di partenza per
la capitale: Lilia indossava i suoi classici abiti tribali, Malva il suo
completo vagamente reminiscente del suo passato nei Flare e Timeus, come detto,
pareva un cavaliere della Tavola Rotonda.
« Siamo convinti che qualcosa stia agendo fuori
dal nostro controllo a Kalos ».
« Sii più specifica, Xaad » la esortò Malva, che in assenza di Narciso
occupava di fatto la postazione centrale.
« Nella notte tra ieri e oggi è stato confermato un furto massiccio di
zinco dal Deposito Primario di Romantopoli. Si parla di tonnellate ».
« Ne siamo a conoscenza, sì. Le autorità stanno già indagando ».
« Come sapete lo zinco è un materiale chiave nella fabbrica di Poké
Ball, essendo parte della lega di metalli che le compongono. Noi crediamo che––
».
« Risparmia gli inutili tecnicismi e parlate di cose serie » la
interruppe Lilia con aria annoiata mentre giocherellava con uno dei corni che
usava come pendenti della sua collana.
Timeus la seguì, sfoggiando tuttavia un tono più velatamente derisorio «
Se ho ben capito le vostre convinzioni sono motivate solo da… Un furto? Di un
materiale facilmente rivendibile? ».
Ginger reagì infastidita dalla sufficienza con cui si rivolgevano a lei.
Non avevano la sua cultura scientifica, il minimo che dovevano fare era non
mettere in discussione i fatti. « Dov’è la sua stella, signore? ».
L’uomo esitò, passandosi involontariamente la mano sul capo « Come? ».
« La stella decorativa che porta sempre sulla fronte, proprio dove ora
si sta toccando ».
Con riluttanza e dopo aver provato a temporeggiare, Timeus abbozzò un
pretesto « … L’ho persa da qualche parte nel mio–– ».
« Per caso oltre a oro era fatta anche di zinco? » incalzò Ginger con
sguardo di sfida « Perché lo zinco è frequente nelle leghe d'oro ».
Di fronte alla titubanza di un Superquattro tutti i membri della Seconda
Unità trepidarono interiormente, inorgogliti dall’intraprendenza del loro
leader. « Anche la mia fede nuziale è sparita da un giorno all’altro »
intervenne Sandy « e non la tolgo mai dal dito ».
« Non ricordo di averle dato la parola » lo ammonì Timeus, incapace però
di celare la difficoltà in cui si trovava nel confronto.
Terence, sospinto dal fuoco del momento, obiettò in difesa del suo amico
– seppur probabilmente per spirito di difesa del territorio « Ma ha ragione. Non
sono casi isolati, ovunque stanno–– ».
« Xaad, tieni a bada la tua Unità o sarò costretta a espellervi in
blocco » intimò Malva irrigidita sulla sua poltrona.
Ginger obbedì, ma in cuor suo sapeva che anche lei stessa avrebbe agito
nel medesimo modo, e anche i suoi colleghi ne erano al corrente. Dopo averli
riportati all’ordine riprese « Per quanto i metodi siano bruschi, non ritratto
nulla di ciò che hanno detto ».
« Oh, andiamo, qual è la vostra tesi? » la interpellò Lilia « Che
qualcuno stia andando in giro a rubare zinco? Per cosa, poi? »
In risposta l’ingegnera seppe precisamente cosa fare: mostrarsi sicura
di sé. Che l’avesse fatto o meno, aveva compreso benissimo che l’avrebbero
allontanata a momenti. « Un generatore sperimentale di radiazioni sinaptiche è
stato rubato qualche giorno fa dalla Cripta. Non penso sia un caso visto che lo
zinco–– ».
« Basta così, Xaad. Invito te e i tuoi colleghi a lasciare questa stanza
».
« Malva, almeno tu–– ».
« Ora. O dovrò chiamare la sicurezza ».
Con i nervi a fior di pelle Ginger uscì dalla sede di ricevimento
insieme alla Seconda Unità e venne scortata all’esterno dell’edificio. Era una
bella giornata primaverile, dal cielo terso in cui un tiepido sole delle tre di
pomeriggio splendeva sulle sfavillanti vetrate del Ligue Château. Aleggiava un
silenzio sovrannaturale, spezzato solo dal fruscio dei fiori nel prato
antistante.
« E ora che facciamo? » le chiese Kibwe a nome di tutti « Senza
l’approvazione dei Superquattro abbiamo le mani legate ».
Vero, non avrebbero mai potuto indagare a fondo quanto avrebbero voluto.
Ma Ginger non era certo una da arrendersi al primo rifiuto. Aveva già tenuto in
conto che quegli individui ormai ossessionati più dalla politica che non dal
loro reale ruolo di protettori di Kalos ed esaminatori di Allenatori avrebbero
potuto negarle l’appoggio, e aveva già ideato un piano di riserva.
Si sarebbe rivolta all’unica autorità in tutta la regione in grado di
annullare una sentenza della Lega Pokémon.
Episodio 1x27
Sabbie
oscure
«
Giù!
».
Bellocchio e Serena si gettarono oltre l’uscita della caverna per
scansarsi subito da lati opposti. Nell’istante seguente un’orda informe di Zubat
fuoriuscì dall’apertura e sviò verso l’alto con versi striduli. L’uomo si alzò,
spolverandosi il cappotto e studiando l’ambiente circostante. Si trovavano su un
terreno roccioso, facilmente la fiancata del Monte Trait d’Union da cui
provenivano.
« Questa non è Altoripoli » constatò Serena sistemandosi il cappello in
testa. Teoricamente sarebbero dovuti sbucare ai piani alti della città
prescelta, ma a giudicare dalla ripida fiancata che stava di fronte a loro prima
di un’infinita distesa marina avevano sbagliato strada.
« Beh, quindi dopotutto dovevo andare a destra » commentò
Bellocchio. Volse lo sguardo a est, sporgendosi sul precipizio quel che bastava
perché la sua visione periferica migliorasse. A breve distanza, nell’oscurità
vespertina in cui versavano, brillava una cittadina inerpicata su un pendio in
maniera quasi irrealistica, un muro verticale di edifici multicolore. Ai suoi
piedi i flutti spumeggiavano su spiagge che parevano stranamente vivaci per
essere le sette di sera inoltrate. « Ah, eccola là ».
« Era necessario tirare un sasso a quello Zubat, vero? ».
« Puntava la mia cravatta! ».
Serena tossicchiò, indicando con cenni del capo la schiera di un
centinaio di pipistrelli ostili che, prodotta un’elica in cielo, avevano ora
virato proprio nella loro direzione. « Stanno tornando ».
Bellocchio la guardò negli occhi e un ampio sorriso da birba gli si
dipinse sul volto « Sai cosa fare ».
Annuirono in simultanea e il giovane con un gesto collaudato della mano
chiamò in campo Nephtys, la sua fedele Fletchinder. Quindi porse la mano alla
ragazza, che in risposta alzò le sopracciglia eccitata e dichiarò « La cosa si
fa intrigante ».
Non appena i due palmi si strinsero Bellocchio si aggrappò al volatile e
insieme si gettarono nel precipizio. L’uccello dischiuse le ali fino a
somigliare a un deltaplano e il gruppo iniziò a discendere gradualmente in
direzione delle spiagge di Altoripoli. Gli Zubat retrostanti mancarono il
bersaglio di un soffio e, appena prima di schiantarsi a terra, deviarono
nuovamente facendo ritorno nella caverna.
«
WOOOOOOOOO! » esclamò Serena
guardando dietro di sé, poi scoppiò in una risata liberatoria «
ALLA FACCIA VOSTRA! ». Anche quella volta era finita bene, anche se doveva ammettere che
con Oregon il Loudred se l’erano vista brutta. La Grotta Trait d’Union era una
tappa obbligata per i nuovi Allenatori che volessero accedere alla sezione
costiera di Kalos, dal momento che affrontare l’impervio deserto del Percorso 13
non era consigliabile per chi come lei era alle prime armi – anche se con
Bellocchio sicuramente ne sarebbe uscita viva. Di certo non si era attesa che
fosse così difficile attraversarla: erano giunti all’ingresso venerdì notte e ne
erano usciti solo ora, tarda domenica.
Finalmente la planata si concluse. Serena pregò fino all’ultimo che
Nephtys avesse migliorato le doti di atterraggio morbido, ma fu una speranza
vana e il Pokémon catapultò i suoi due ospiti dritti contro la rena. La ragazza
si rialzò dopo un momento di iniziale stordimento, sputando la sabbia che le era
finita in bocca.
« Tutto bene? » domandò in una direzione generica, udendo in risposta
Bellocchio ridere istericamente come lei aveva fatto qualche minuto prima e
Fletchinder rientrare nella sua Poké Ball. Osservò l’ambiente circostante: per
colpa delle correnti d’aria erano atterrati al confine della città, in una
spiaggia libera completamente buia. Era difficoltoso persino distinguere il mare
in quell’amalgama scuro, ma alla fine la rassicurante figura del soprabito del
suo amico che svolazzava al vento divenne visibile. Entrambi erano messi
discretamente, il che dopo ciò che avevano passato era considerabile un
successo.
« Certo che la bava di Axew è appiccicosa forte » si lamentò Bellocchio,
osservando che tutti i suoi vestiti erano stati impiastrati di granelli rimasti
attaccati alla sostanza collosa che li ricopriva.
« Ehi, sembrava davvero che avesse qualcosa incastrato in bocca. Cercavo
di aiutare ». Serena cercò di scrostare almeno parte del viscidume dalla gonna
con scarso successo « Credo ci servirà una lavanderia ».
« O un inceneritore. Senti anche tu questa canzone? ».
Protendendo l’orecchio, in effetti, la ragazza riuscì ad avvertire una
melodia soul che veniva diffusa da una cassa da qualche parte.
« Sunshine she’s here, you can take a break… ».
A giudicare da ciò che sentiva la sorgente doveva essere in movimento,
anche se stabilire se si stesse avvicinando o allontanando era più complicato.
D’un tratto una voce dall’accento marcato proveniente dalla loro sinistra
sovrastò la musica. «
AOOOOOOOH! È arrivato il
Pirata! ».
E alla fine eccola emergere dalle tenebre, l’impianto stereo assordante:
una nave. Cioè, non era veramente una nave, anche se l’intenzione doveva
essere quella di assomigliarvi: ciò che aveva attirato la loro attenzione era un
piccolo veicolo elettrico somigliante a un furgoncino ma decorato come
un’imbarcazione corsara del Settecento. L’accuratezza storica era sorprendente,
dalla polena al finto timone posteriore, e più avanzava verso di loro più
dettagli emergevano, come il fatto che la porzione dorsale fosse occupata da
quello che pareva proprio un refrigeratore, o che sulle fiancate fosse appeso un
catalogo di frutta e prezzi. Quando la vettura si accostò a Bellocchio questi
notò che il guidatore, immedesimato bene nel personaggio, era un uomo sulla
cinquantina dai capelli ricci brizzolati raccolti in una coda, nonché dotato di
baffi e pizzetto del medesimo colore.
« With the air, like I don’t care baby by the way… ».
« Aoh! È arrivato il Pirata » ripeté con più calma, diretto al
potenziale cliente « Vuoi un watermelon? ». Fece una pausa e Bellocchio
provò a parlare, ma fu subito interrotto da quello che, muovendosi a tempo,
canticchiò « Water… Watermelon? ». Doveva piacergli proprio come
suonava.
« Questa dev’essere una di quelle situazioni in cui la gente pensa che
io abbia soldi con me ».
« Che ci fai qui, coso? Ti perderai il Giuramento ».
Serena in quel momento rammentò: era il giorno del giuramento del nuovo
Presidente! Ne aveva parlato con sua madre via PSS qualche giorno prima, poco
dopo essere usciti dal Palais Chaydeuvre. Per la verità era stata l’adulta a
tenere il discorso, cosa che la ragazza aveva volentieri concesso temendo che,
se avesse avuto campo libero, sicuramente sarebbe finita per raccontarle di ciò
che era successo nella villa. Le aveva tenuto nascosti, durante le sue
telefonate saltuarie, i pericoli che aveva corso da quando aveva incontrato
Bellocchio. Non avrebbe ottenuto nulla più di dieci chiamate perse al giorno se
avesse rivelato che ciclicamente rischiava di non uscire viva dal guaio del
momento.
« Oh, è una lunga storia » abbozzò il suo amico mentre rispondeva
all’estraneo.
« Ehi, raccontagli di come sei planato giù! » gli suggerì ad alta voce
per oltrepassare il furgoncino che si era frapposto tra loro due « Con me a
Borgo Bozzetto ha funzionato! ».
Il Pirata si rese conto solo in quel momento della presenza di Serena.
Con il tono di chi lavora nel settore e quindi la sa lunga mormorò ammiccante «
Ah, te la spassi con la signorina, eh? Nulla da obiettare ».
Bellocchio non colse nessun riferimento improprio, rispondendo
impassibile « Beh, ci stavamo divertendo. Credo ».
« Capisco. Se dopo aveste fame o altro, non lo so… Mi trovate alla prima
spiaggia in quella direzione, al banco della frutta ».
« Ricevuto, Barbagrigia ».
Serena sgranò gli occhi, realizzando solo a quel punto che il suo amico
per qualche ragione stava congedando un individuo provvisto di veicolo
motorizzato. Cosa si aspettava da lei, che camminasse ancora dopo aver corso
negli ultimi venti minuti per i meandri della Grotta Trait d’Union? « No, no,
sta zitto! » intervenne, quindi si appoggiò al volante della finta nave
immobilizzandolo ed esibì all’indirizzo del Pirata un sorriso imbonitore che non
avrebbe ingannato nemmeno un barboncino. « Abbiamo bisogno di un passaggio ».
“La Costa Nera”, questo il nome del lido privato, era poco meno
di una discoteca a cielo aperto. Strutturalmente era divisa in due sezioni
distinte: la zona più vicina alla terraferma, sita a due passi dal pendio
inorganico su cui sorgeva Altoripoli, era disseminata di impianti per servizi di
vario genere, tutti modellati per assomigliare a certe palafitte caraibiche di
Unima. Era la porzione propria del Resort Riva Nera, dove venivano serviti
cocktail e un disc jockey dalle cuffie abnormi stava presentando un gioco a
premi il cui vincitore sarebbe partito per una vacanza a Ceneride. In uno spazio
al centro era stato allestito uno schermo dalle ragguardevoli dimensioni che al
momento giaceva spento, in attesa della sua grande occasione.
L’altra fetta, quella più prossima al mare e dove Serena e Bellocchio si
trovavano al momento, era l’epitome della minima entropia. Dovunque si posasse
l’occhio si incappava in ragazzi ubriachi impegnati in ciò che loro definivano
pogare – qualsiasi cosa fosse –, oppure eccitati all’idea di un bagno di
mezzanotte nonostante fossero solo le sette e un quarto. La quantità di persone
era tale da chiedersi legittimamente da dove provenissero, dato che non
c’era nessuna possibilità che una città come Altoripoli avesse un’età media così
bassa. Scoprirlo per via diretta era reso impossibile dall’assordante musica, o
meglio un frastuono elettronico prodotto da un set di casse alte due metri che a
ogni basso fuori dalla norma facevano tremare il suolo.
« Questa è una diretta politica, vero? » domandò sarcastico Bellocchio.
Riusciva a malapena a sentire la sua stessa voce anche urlando, ragion per cui
pregò che la sua amica fosse tanto esperta nella lettura delle labbra quanto
lui.
« Sì! Moon è caduto, quindi Faubourg prende il suo posto ».
« E c’è una ragione particolare per il rave party? ».
Serena ridacchiò interiormente. Al Palais Chaydeuvre non gliel’aveva
fatta pesare con la faccenda dell’omicidio a cui badare, ma ora poteva
punzecchiare in tutta libertà la scontrosità del suo amico. « Oh, non essere
così misantropo! Neanche a me piace, ma mica vado in giro a lamentarmi ».
« Adolescenti. Ogni scusa è buona per–– ». La geremiade di Bellocchio fu
troncata dalla collisione con una ragazza che gli era salita sulle spalle in un
tentativo di mosh. L’uomo se la scrollò di dosso, poi le rivolse
un’occhiata di fuoco « Rifallo. Provaci, su ».
« Oh, ma sta’ sciallo, ci stiamo solo divertendo! » esclamò grossomodo
lei prima di andarsene gridando versi inconsulti.
« Il prossimo lo sciallo tanto forte che si ritroverà a Nevepoli ».
Serena sogghignò, stavolta senza nascondersi, al che il suo compagno di viaggio
le puntò il dito contro « Ehi, non ti azzardare, non è divertente ».
« Non sono d’accordo ».
Bellocchio sospirò con un’espressione in volto simile a un Herdier
bastonato « Vado al banco della frutta. Barbagrigia non sarà granché, ma è il
massimo della normalità a cui posso aspirare qui ».
« Va bene, dai, ci vediamo per il Giuramento! » concordò Serena
salutandolo a mano alzata. Il giovane fece lo stesso e, districandosi nel
labirinto di avvinazzati e luci stroboscopiche, raggiunse infine uno stand in
legno a forma di capanna dal cui bancone pendevano caschi di banane e ananas
appesi per le corone. Al suo interno il loro Pirata, in canotta nera, intagliava
mezze noci di cocco per trasformarle in recipienti decorativi. La frutta pareva
essere gratuita, probabilmente pagata dalla spiaggia.
« Oh, ehilà! Sai, non ti ho ancora chiesto il tuo nome! » esclamò l’uomo
alzando per un breve attimo la testa dal suo lavoro.
« Bellocchio ».
« Ah, un nickname! Beh, Belloccio ti si addice effettivamente.
Non in quel senso, eh… » chiarì in fretta il Pirata, ritenendola una
precisazione importante. Bellocchio cercò di correggerlo, ma quello riprese a
parlare senza concedersi un secondo di silenzio « Tu puoi chiamarmi Cornelius
Woodward IV. Com’è andata con la signorina? ».
« È voluta venire qui. Non so quanto voglia stare, spero che almeno dopo
la diretta ce ne andiamo ».
Cornelius assunse nuovamente il suo tipico tono da uomo vissuto « Ah,
neanche a me piace questo posto, ma pagano bene. Ma vai tranquillo, che, cioè…
Con le donne si sa, va così. Fai un favorino ogni tanto, e poi la notte… ».
« Come mai sono tutti qui? » domandò Bellocchio indicando sommariamente
la mandria che pestava i piedi sulla sabbia, e riuscendo così a concludere
l’intero ciclo di innuendo senza coglierne nemmeno uno.
« Patriottismo ».
Il giovane annuì con marcato sarcasmo « Lo vedo ».
« Oh, si stanno solo divertendo ora… Ma vedrai, tra poco inizia il
Giuramento ».
« Come funziona, poi? Come mai c’è questo giuramento? ».
« Ah, poco attento alla politica? Non ti biasimo » commentò Cornelius,
deponendo per la prima volta la noce di cocco sul ripiano sotto di sé « In
pratica Mr. Moon è stato costretto a dimettersi, e i Superquattro hanno scelto
Faubourg come successore ».
« E Mr. Moon era… ? ».
« Il presidente precedente, ovviamente. È per quello che Faubourg deve
giurare, stasera ».
Bellocchio effettuò uno svelto riepilogo a suo beneficio. Per quello che
aveva annotato nel mezzo mese di permanenza a Kalos, la regione aveva due centri
di potere bilanciati: il Congresso, governato dal Presidente, e il Consiglio dei
Superquattro, e il mediatore tra le parti era colui che ricopriva il ruolo di
Intermediario. L’attuale leader di maggioranza Moon – che aveva l’epiteto di
mister, per qualche ragione – era stato travolto dagli scandali fino alla
destituzione, e i Superquattro avevano scelto Lysandre Faubourg, ora
Intermediario, per sostituirlo, cosa che avrebbe fatto a momenti giurando
fedeltà alla Regione. C’erano alcuni punti da sistemare, ma quantomeno come
mappa mentale aveva senso.
« Comunque ti ho capito, sai » lo avvertì Cornelius con convinzione,
distraendolo dalle sue riflessioni « Ti ho visto, con la signorina, mentre
facevate il Saluto… Io e te stiamo sulla stessa lunghezza d’onda. Quando c’era
lui questi drogati andavano nei campi… ».
Di colpo la musica assordante cessò, provocando un’istantanea sordità
nei presenti, e anche le luci si spensero. Si accese invece il grande schermo
predisposto nella spiaggia, sul quale comparve in alta qualità lo stemma
statale, un pentagono tricromatico accompagnato da una melodia che fu
impossibile ascoltare per il contraccolpo alle trombe di Eustachio; il logo si
scompose poi nelle parole “Regione Amministrativa di Kalos” prima di svanire del
tutto. Seguirono circa trenta secondi di sfondo nero a tinta unita in cui fu
possibile recuperare quantomeno parte delle facoltà uditive.
Inizialmente Bellocchio pensò a un ritardo nella sincronizzazione tra le
città, ma comprese la reale ragione della pausa quando, dal nulla, due frasi che
parevano strofe comparvero sul display.
Ho
incontrato te
su questo
grande pianeta
Un attimo e
c’è
prezioso
incontro di vita
Date le circostanze ciò che seguì lasciò l’uomo sbalordito: tutti,
inclusi gli sbandati che non più di due minuti prima si inebriavano dei fumi
dell’alcool come se dovessero morire quella notte stessa, tutti loro avevano
portato la mano al cuore e stavano cantando in coro un’armonia dolce, quasi una
ninna nanna. Rimase in estasi a osservare quella coralità inaspettata prima di
voltarsi verso Cornelius in cerca di risposte. Lui non si era unito agli altri,
impegnato a controllare con noia per nulla mascherata quello che pareva un P5S,
di quelli usciti da poco.
« Che cos’è? ».
« Il loro “inno” » ribatté con una smorfia contrariata « Miracolo
».
« E perché tu non canti? ».
« L’unico vero inno è Andrò con te, non questa canzoncina da
femmine ».
Il giovane lo guardò con sufficienza e pietà, tornando poi alla folla
che non si era scomposta nemmeno un po’, anzi sembrava più determinata di come
aveva iniziato.
Pensa al
mondo che nascerà
quanti sogni
e desideri
Costruiamo
un futuro che
rifletta il
possibile!
Rintracciò Serena, che cantava con convinzione quei versi come fossero
suoi. C’era un che di grottesco in quel tipo di orgoglio patriottico, questo era
certo. Alcuni di loro sembravano mossi più dalla nostalgia per i tempi in cui da
bambini erano obbligati alla devozione che non da reale persuasione. Eppure non
poteva trattarsi solo di abitudine, o avrebbe significato che ogni singola
persona che aveva messo piede nella spiaggia, e forse in tutta Kalos, avesse una
capacità di applicazione fuori dal comune. No, c’era davvero chi credeva nella
sua regione, nella sua casa: bastava vedere la sua amica. Non era solo
ipocrisia, c’era vera fierezza per le proprie origini là in mezzo, e non era
necessario essere estremisti come Cornelius per dimostrarlo.
« Giuro fedeltà alla Bandiera di
Kalos, e alla Repubblica che essa rappresenta: una Regione indivisibile, con
libertà e giustizia per tutti ».
Un lungo applauso seguì la frase
conclusiva del Giuramento pronunciato da un Lysandre che, nonostante le
occasioni molto diverse, era identico alla controparte che aveva parlato con
loro alle Galeries. Il pentagono di Kalos ricomparve sullo schermo, il quale poi
si spense con un lampo brusco. Vi fu qualche attimo di silenzio, poi intervenne
nuovamente la fastidiosa voce del DJ ad annunciare che la festa sarebbe
proseguita “fino all’alba”. Il palpito elettronico che a stento si qualificava
come musica riprese a battere dalle casse mentre Bellocchio, congedato il caro
Pirata, si riuniva con Serena.
« Allora, come ti è sembrato? »
gli domandò, non fu ben chiaro se per genuina curiosità o sapendo già che
reazioni una simile dimostrazione di unità tendesse a suscitare.
« Beh, direi… Istruttivo ».
« Non facciamo così schifo,
dopotutto ».
Bellocchio annuì distrattamente
mentre con la coda dell’occhio notava un addensamento di persone intorno alla
televisione. Sembrava esserci fibrillazione, ragion per cui sia lui che la sua
amica furono al centro del dialogo in un batter d’occhio.
Serena si rivolse a uno degli
uomini che discutevano animatamente, mentre un altro gruppo era celato dal
display al plasma e parevano gente meno incline al parlare « Che succede? ».
« Nulla di che, non ti
preoccupare. Lo schermo si è spento all’improvviso, teoricamente doveva andare
in onda lo speciale di approfondimento de L’Avvocato dopo la diretta ».
Senza nemmeno attendere altre
conferme delle sue supposizioni Bellocchio si fece avanti presso il team
impegnato sul retro dello schermo. A quanto pare dovevano esserci problemi con i
cavi, dato che avevano divelto la copertura a uno scomparto che ne includeva
diversi. Con un gesto rapido mostrò il suo falso documento da insegnante. «
Warren Peace, professore di Elettrotecnica e Cablature. Fatemi dare un’occhiata
».
La sua carta d’identità fu
esaminata da colui che, a giudicare dal vestiario e dalla cassa degli attrezzi
che reggeva con il braccio, doveva essere l’elettricista designato. Sarebbe
stato sorprendente se fosse giunto così in fretta quando il malfunzionamento si
era verificato solo un paio di minuti prima, ragion per cui era probabile che
fosse stato ripartito d’ufficio per garantire la continuità della diretta.
« Qui dice professore di
attività avventurose ».
« Energia elettrica, la più
grande avventura a portata di mano. Non fatelo a casa » soggiunse Bellocchio,
analizzando a mani nude il circuito all’interno dello scomparto « Oh, guarda,
questo sembra proprio un’elica ».
« Sei sicuro di sapere che stai
facendo? ».
Il giovane lo ignorò, andando a
frugare tra i suoi strumenti per estrarne un oggetto dalla forma rettangolare
dal bordo di un arancione brillante. « Oh, un multimetro! Ora si fa sul serio »
commentò. Lo collegò nelle cavità apposite e, applicata un leggero voltaggio,
lesse il valore sul monitor monocolore « Questo è buffo ».
« Cosa? » lo esortò
l’elettricista.
« La resistenza sta calando
stabilmente, deve avere innescato un cortocircuito. È come se qualcosa la stesse
abbassando dall’esterno ». La realizzazione colpì Bellocchio come un macigno «
Avete staccato la corrente, vero? ».
Il volto del presunto esperto
impallidì, rendendo superflua ogni risposta.
«
VIA! ».
L’avvertimento giunse appena in
tempo: lo schermo fu teatro di una parziale esplosione, cui si accodarono in
pochi secondi quelle delle casse, dei forni e di qualsiasi oggetto collegato
alla corrente nel raggio di svariati metri. Non vi fu modo di domandarsi le
ragioni di ciò, perché le scintille risultanti trovarono terreno fertile nelle
strutture in legno sparse per la spiaggia, che presero fuoco con spaventosa
velocità. Sotto un cielo stellato privo dell’ormai tramontata luna, il lido La
Costa Nera si trasformò nell’inferno in terra.
Bellocchio e Serena si
ricongiunsero per la seconda volta da quando erano usciti dalla Grotta Trait
d’Union, miracolosamente illesi anche ora. Altrettanto non si poteva dire di
gran parte del gruppo che si era riunito alla televisione guasta, rimasto ferito
da schegge, o del personale coinvolto negli incendi susseguenti. Sapendo di
essere probabilmente i più indicati per ciò che avevano in mente fino all’arrivo
dei vigili del fuoco, decisero di fare ciò che riusciva loro meglio: aiutare gli
altri.
Una volta divisi, Bellocchio
inviò a sua volta Nephtys a occuparsi dei casi più disperati dal momento che non
pativa le temperature, mentre lui trasse in salvo principalmente coloro che
erano rimasti contusi nel caos della fuga della mandria di giovani che prima
occupavano il posto. Fortunatamente trovarsi in riva al mare fu un grosso
vantaggio, in quanto utile sia come zona sicura sia per trattare le ustioni
riportate da alcuni. Non tutti, però, avevano avuto la fortuna di ritrovarselo a
due passi!
«
AIUTO! ».
La voce familiare giunse
all’orecchio dell’uomo solo dopo un largo tempo dalla sua prima iterazione, ma
per fortuna non troppo in ritardo per poter agire. L’origine era Cornelius, il
cui stand aveva ceduto quasi istantaneamente a causa del frigorifero interno che
era deflagrato. Ciò aveva avuto anche l’effetto di ritardare la sua ritirata a
causa di una brutta escoriazione al ginocchio, il che gli aveva impedito di
scansarsi da un traliccio che gli era franato sulle gambe bloccandolo
definitivamente.
Bellocchio provò a sollevarlo, ma
era ben oltre le capacità dei suoi muscoli. Provò a forzare in risposta alle
ripetute implorazioni di Cornelius, finché d’un tratto il pezzo di legno ardente
divenne leggero come aria. Sbigottito si guardò attorno notando Karen, la
piccola Ralts che con i suoi poteri psichici lo stava aiutando, affiancata da
una Serena quasi irriconoscibile per la quantità di polvere scura che le
imbrattava il volto.
« Proprio quando servivi! »
esclamò lui.
« Ho imparato da te ».
Insieme trascinarono fuori dalla
capanna il pirata, la cui coda si era sciolta lasciando la capigliatura
inabissata nella sabbia. Per loro fortuna in quel momento sopraggiunse un
plotone di pompieri in completo ignifugo, che schierarono subito una colonna di
Clawitzer pronti a usare i loro Idropulsar per spegnere le fiamme.
Contemporaneamente anche le ambulanze per i soccorsi arrivarono sul posto, e
Serena tirò un sospiro di sollievo, sollevata dal poter finalmente riposarsi. Il
suo amico sembrava pensarla allo stesso modo, e fu solo nel guardarlo che si
rese conto che entrambi i loro vestiti erano ridotti a stracci sporchi.
Gli si avvicinò, trovandolo in
una mescolanza perfetta di perplessità e turbamento. « È incredibile. Cos’aveva
quel televisore? ».
« Nulla di ordinario » replicò
convinto, perso nella contemplazione delle sabbie oscure del bagnasciuga
notturno.
Altoripoli era un borgo
morfologicamente unico. Essendo stata costruita su una scogliera, aveva la forma
di una nicchia nel mozzafiato paesaggio rurale della costa occidentale di Kalos.
I modesti palazzi che davano alloggio ai locali erano ammassati gli uni sugli
altri in una sorta di grande scalata al cielo di cui costituivano i gradini
singoli. Tale scelta urbanistica era stata applicata per massimizzare la
superficie abitabile, che su un piano parallelo al mare su cui si affacciava
sarebbe ammontata a poco più di un rione di una grande città.
La casa di Cornelius era una
delle più alte, quasi al livello della caverna da cui provenivano Serena e
Bellocchio. Aveva deciso di ospitarli lì la notte come ringraziamento per il
marginale atto di avergli salvato la vita. Loro avevano provato a opporsi,
affermando che sarebbero comodamente stati nel Centro Pokémon, ma lui aveva
insistito e alla fine si erano arresi. Il padrone di casa aveva allestito per
loro il soggiorno, abbassando il divano-letto per trasformarlo in un giaciglio a
due piazze. Si era anche offerto di lavare i loro abiti nella lavatrice e aveva
persino proposto loro i suoi. Ovviamente non possedeva vestiti femminili, di
conseguenza Serena si era dovuta arrangiare, ma era dotato di un guardaroba
stranamente elegante per uno che di lavoro guidava un finto vascello travestito
da corsaro: sia lei che Bellocchio avevano optato per un completo scuro a
camicia bianca – quello della ragazza aveva una componente nostalgica insita in
sé, dato che per trovare qualcosa della sua taglia erano stati costretti a
curiosare nella gioventù di Cornelius. Il suo compagno di viaggio,
apparentemente ormai incapace di sopravvivere senza una cravatta e un cappotto,
ne aveva prelevata un’accoppiata nera. Il loro ospite aveva provato a porgere
loro da mangiare, ma il frigorifero si era danneggiato mentre era via – tra
l’altro, considerando che lo stesso tipo di elettrodomestico era responsabile
della combustione del banco della frutta, si sarebbe detto che stessero
cospirando in gran segreto.
Comunque, Serena si era scoperta
incapace di dormire. Aveva imputato il fatto al costante transito di treni a due
passi dall’appartamento, i quali producevano un rumore assordante che certo non
conciliava il sonno. Ma dentro di sé sapeva che non poteva essere solo quello,
perché chi è stanco prima o poi cede; invece lei aveva riposato sporadicamente,
per mezz’ora al massimo, e ora si trovava sul piccolo terrazzo dell’abitazione,
a poco prima delle sei di mattina, infreddolita e insonne, ad ammirare l’oceano.
L’alba si stava avvicinando e il primo chiarore solare rischiarava le sparute
nuvole all’orizzonte. Sospirò.
« Quello era un gran sospiro.
Riprendi fiato ». Bellocchio si affiancò a lei, abbigliato con la nuova tenuta
che aveva ricevuto e che doveva piacergli parecchio. Serena non disse nulla,
limitandosi a un sorriso di circostanza e stimolando il suo amico a perseverare
« Vuoi che parliamo? ».
La ragazza a quel punto si sentì
obbligata a rispondere, ma fece trapelare nell’intonazione che avrebbe preferito
non essere disturbata « Non è niente, tranquillo. Mi manca un po’ casa ».
« È normale ».
Figurarsi. Serena in qualche modo
sapeva che avrebbe ribattuto così. Avrebbe dovuto aggredirlo verbalmente per
averla sminuita in quel modo, ma sentiva anche che non era in sé al momento ed
era una cosa di cui si sarebbe pentita l’istante dopo averla detta. Meglio
sforzarsi di mantenersi amichevole. « No… Cioè, immagino di sì, ma… Io ho sempre
voluto partire. Ho aspettato nove anni sognando di viaggiare per Kalos, e ora
che lo sto facendo ho nostalgia di Borgo Bozzetto ».
Bellocchio si appoggiò alla
balaustra in ferro, unendosi a lei nell’estasi indotta dalla distesa marina. «
Non saresti normale se non ti mancasse casa ».
« E a te? Ti manca mai casa? ».
« Con me è complicato ». Serena
notò che si era concesso una pausa prima di ribattere, e ne fece un’altra prima
di proseguire « Ma tutti si sentono soli la notte. È scientifico, sai? Il
cervello è stanco, l’amigdala è più ricettiva e siamo più emozionali. Non hai
dormito bene, vero? ».
« No ».
« Neanche io. Ogni volta che
stavo per addormentarmi mi sentivo strano. Come se… ».
« … qualcuno mi osservasse »
completò la ragazza. Si guardarono preoccupati, venendo destati dalle campane
intente ad annunciare che le sei in punto erano scoccate. Un altro treno
percorse senza fermarsi i binari che tagliavano la cittadina.
« Cos’è quello? » domandò Serena,
alzandosi e indicando il promontorio più distante a nord. Sulla sua vetta si era
accesa una strana luce dalle tinte arancioni e dall’intensità cospicua dato che
nonostante la lontananza risultava intempestiva alle pupille.
« Sembra fuoco. Che città c’è là?
».
« Non ne ho idea. Controllo
online se ci sono notizie » replicò risoluta lei. Quindi afferrò il PSS e vi
smanettò per suppergiù un minuto, presentando infine l’esito della ricerca «
Trovato. Incendio massiccio a Petalonia, origini ancora incerte ».
« Se n’è acceso un altro ».
« Come? ». Era vero:
adesso una seconda macchia si era illuminata in una zona decisamente più
prossima ad Altoripoli. Proprio mentre Serena se ne sincerava una terza
comparve, stavolta verso Petroglifari a sud. « Che sta succedendo? ».
Bellocchio le tolse il PSS di
mano, scorrendo le notizie fino a trovare ciò che cercava: un livestream
di stampo radiofonico degli avvenimenti. Lo avviò impaziente e la voce profonda
di un giornalista sul campo si diffuse nel balcone, portando tutto meno che
buone novità.
« ––nche nel montano. Sì, è
sicuro ora affermare che non c’è nessuno schema, città di tutta Kalos ne
segnalano di nuovi proprio ora. Quello che è certo è che una simile ondata di
incendi non si era mai verificata. Le cause sono ignote ma sembrerebbe qualcosa
di programmato ». Il racconto si fermò un attimo, probabilmente per il
doppio effetto di una doverosa ripresa di fiato e di aggiornamenti in tempo
reale che giungevano nello studio. « I Superquattro non hanno ancora parlato,
mentre si presume che il neopresidente potrebbe presto intervenire per chiarire
le cose. Le autorità... consigliano di spegnere qualsiasi strumento collegato
alla corrente, perché proprio non si capisce come… Ripetiamo, spegnere ogni
strumento collegato alla corrente! ».
Con lo sguardo corrugato,
Bellocchio restituì lo smartphone alla sua proprietaria e infilò le mani nelle
tasche. Solo in quel momento dovette rendersi conto che il cappotto non era
quello che usava di solito, e che facilmente non aveva ancora trasferito tutto
dal vecchio al nuovo, perché rientrò di tutta fretta all’interno. Dapprincipio
Serena non vi fece caso, salvo poi udire una lamentela provenire dal salotto.
« Dov’è, dov’è… ! ».
In realtà non si trattava del
salotto, bensì della cucina adiacente dove, per ragioni di design alquanto
discutibili, si trovava anche la lavatrice. Bellocchio si trovava lì, occupato a
frugare tra gli scomparti dei suoi vestiti precedenti.
« L’hai fermata? ».
« Si era fermata da sola e non ha
lavato nulla. Rotta, probabilmente » borbottò lui alzandosi in piedi e
cominciando a riflettere. Di colpo sembrò capire qualcosa di fondamentale, tanto
che si rigò il volto con le unghie per punirsi. « No, no, no! » imprecò.
« Cosa c’è? ».
« C’è che è in spiaggia! » sbottò
criptico l’uomo. Senza ulteriori spiegazioni chiamo Nephtys e si gettò dal
ballatoio esterno, iniziando a planare sul borgo marittimo. Serena non comprese
minimamente cosa fosse accaduto, ma fin da subito fu certa di una cosa: doveva
seguirlo, perché da come si era comportato doveva essere estremamente agitato e
non poteva lasciarlo da solo. Accelerò verso l’uscita e aprì la porta quando le
parve di avvertire qualcosa o qualcuno muoversi dietro di lei. Avevano svegliato
Cornelius parlando a volume di voce troppo alto?
Si voltò, ma il soggiorno era
vuoto come lo aveva trovato. Probabilmente è stato qualcuno al piano di sopra,
ipotizzò mentre chiudeva con poca cura del rumore prodotto e si avviava giù per
le scale.
Il fatto che Bellocchio
indossasse un completo scuro non aiutò i primi minuti della ricerca di Serena.
Nonostante le prime luci del mattino rischiarassero già la spiaggia, infatti,
essa rimaneva comunque largamente immersa nelle tenebre. Era inoltre da
precisare che l’uomo non si trovava nel luogo più ovvio, ovvero La Costa Nera.
Per fortuna lo schiacciasassi con il compito di appiattire la sabbia era passato
durante la notte, quindi le orme imprese sui granuli erano poche. La ragazza
individuò quasi subito quelle del suo amico, ma altrettanto immediatamente
realizzò che ritrovarlo sarebbe stata un’impresa: le impronte andavano avanti e
indietro senza alcuna logica, come se chi le aveva lasciate fosse impazzito e
avesse iniziato a percorrere non solo il lido in cui era stato, ma anche quelli
limitrofi, in cerca di quel qualcosa che aveva perso. Ma piuttosto che pensare a
un Bellocchio privo di lucidità o peggio fuori di sé, Serena preferì zittire la
sua mente.
Alla fine, dopo dieci minuti di
ricognizione febbrile, lo scovò. Era seduto curvo sulla battigia in un’altra
partizione privata del litorale di Altoripoli, meditabondo mentre si gingillava
assente con la sabbia. La sua espressione era di una depressione contagiosa,
propria di chi ha perso la verve di vivere.
« Tutto bene? » gli domandò con
riservatezza, temendo che la assalisse in un attacco di psicastenia.
Bellocchio indugiò. Il suo
respiro era rapido e il suo cuore batteva tanto forte che, nel silenzio
dell’alba, era quasi possibile sentirlo rimbombare. Finalmente decise di
guardare la sua bionda compagna negli occhi, e quest’ultima notò che in poco più
di un quarto d’ora apparivano invecchiati di dieci anni.
« Tra dodici ore non avrò la
minima idea di chi tu sia ».